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    Predefinito La rottura della continuità democristiana col governo Spadolini (1981-1982)





    di Giuseppe Galasso – In “Nuova Antologia”, a. CXXVIII, fasc. 2187, luglio-settembre 1993, Le Monnier, Firenze, pp. 263-275.



    Anticipiamo per il lettori della “Nuova Antologia” il saggio che Giuseppe Galasso ha dedicato al governo Spadolini nel 1981-82 (“La rottura della continuità democristiana ed il governo Spadolini”), inquadrato nell’opera Il Parlamento nella storia d’Italia, curato dall’Istituto europeo di cultura storica, politica e costituzionale dell’editore Buccomino (Nuova CEI). Sarà il vol. XXIII della vasta e monumentale opera.


    Il corso ulteriore delle cose ha chiarito ciò che al momento della costituzione del governo Spadolini (data di nascita: 10 giugno 1981) generalmente non fu avvertito.
    Si pensò, infatti, allora che l’incarico di formare il governo affidato e portato ad effetto, per la prima volta dal 1945, da un uomo politico non appartenente alla Democrazia Cristiana, rispondesse alla necessità contingente di una sorta di “governo istituzionale”, di soluzione istituzionale sui generis, resa necessaria dalla condizione di stallo in cui era venuta a trovarsi la questione del governo in quel momento. Si giudicò allora che lo stallo potesse essere superato andando oltre la prassi fino ad allora seguita e fondata sulla centralità del partito che aveva la maggioranza relativa e un conseguente diritto, secondo quella prassi, alla direzione del governo.
    La “prima presidenza laica” superava, infatti, la stessa questione della parità numerica tra ministri democristiani e ministri laici. Questa parità era stata richiesta dapprima come elemento di necessaria modificazione del tipo di struttura del governo consueta già dalla fine degli anni ’40. E ciò, non tanto a seguito del mutamento dei rapporti di forza venutosi a delineare nel corso del tempo tra la Democrazia Cristiana e gli altri partiti di governo, quanto a seguito della considerazione sempre più largamente imposta, specialmente da parte socialista, che la partecipazione degli altri partiti alla coalizione di governo era altrettanto necessaria di quella democristiana per ottenere la maggioranza in Parlamento.
    Con la “presidenza laica” si affermava, invece, una ulteriore istanza di questa considerazione: l’istanza, cioè, di una alternanza fra democristiani e laici nella guida del governo. E fu questo, appunto, il significato immediatamente e più largamente attribuito alla costituzione del governo Spadolini.
    Solo successivamente, come si è accennato, si è percepito un significato più recondito e più importante, e cioè che quello era il primo, per quanto poco percettibile, indizio che veniva ormai posto in questione non solo il rapporto fra la DC e gli altri partiti delle coalizioni di governo da essa guidati, bensì il sistema dei partiti in generale. Ed è a un tale elemento che va connessa, per quanto avrebbe poi significato, l’accentuazione del ruolo del presidente del Consiglio dei Ministri che si ebbe in occasione della formazione del nuovo governo e che lo stesso Spadolini sottolineò fin dall’inizio in interventi nel Parlamento e fuori del Parlamento.
    Spadolini andava, anzi, oltre tale punto. Era stato il presidente della Repubblica Pertini a sottolineare già nel marzo 1980 la figura costituzionale del presidente del Consiglio per quanto atteneva alla scelta dei ministri. Spadolini sottolineava, a sua volta, l’importanza dominante del ruolo del presidente nell’indirizzo e nello svolgimento dell’attività di governo, richiamando la necessità che tale attività fosse unitariamente coordinata e riservando al presidente il compito non solo di assicurarla, ma anche di ristabilirla ove necessario. Non si può dire che si avviasse, solo con ciò, un discorso di trasformazione della figura del presidente del Consiglio, conosciuta ab origine nella tradizione costituzionale italiana, in figura di premier, secondo la tradizione costituzionale di altri paesi.
    L’esperienza di governo dello stesso Spadolini doveva, anzi, dimostrare che l’esigenza dalla quale egli muoveva non era suscettibile di essere immediatamente e sufficientemente soddisfatta. Matura nella realtà delle cose, non lo era ancora nella consapevolezza generale. Sta di fatto, però, che sia nella selezione dei suoi collaboratori di primo rango (dai sottosegretari F. Compagna e, poi, V. Olcese al capo di gabinetto Manzella e a coordinatori come Caianiello, Arcelli, Zuliani, nonché a vari consiglieri), sia nella prassi di governo è possibile riconoscere a Spadolini il proposito esplicito di dare soddisfazione alla esigenza di una diversa articolazione del ruolo istituzionale da lui rivestito.
    Si è parlato, al riguardo, con indubbio fondamento, di una “via amministrativa di riforma della presidenza”. Rimane, però, aperto il discorso sul problema se questa via fosse solo surrogatoria del proposito di attuare precisi princìpi della Costituzione (della quale si veda l’art. 95) affermato sia dalla opposizione sia da tutti o quasi i programmi dei governi precedenti, o se essa comportasse, come alcuni dati di fatto suggerirebbero, un proposito di riforma più ampio e più di fondo (per quanto, magari, se ne potesse essere non del tutto consapevoli). Certo è che il governo Spadolini lasciò, da questo punto di vista, un’eredità che, pur non accolta dal successivo governo Fanfani, avrebbe finito, tuttavia, con l’affermarsi sotto il governo Craxi.
    A quel punto, si era, però, già fatto e andava facendosi sempre più chiaro il fermento più forte e più anticipatore della presidenza Spadolini, ossia la divaricazione apertasi di fatto e a livello politico tra il “palazzo” e la “gente”.
    Ne sarebbe stato un ulteriore indizio la popolarità cui Spadolini subito godé, come capo del governo, in tutta l’opinione pubblica e che restò caratteristica della sua figura anche dopo la cessazione dell’incarico presidenziale. Una popolarità, del resto, non puramente sintomatica, se nelle elezioni del giugno 1983, sullo slancio dell’esperienza di governo conclusasi da poco più di un semestre, il partito guidato da Spadolini conseguì un’affermazione che segnò, in termini di voti, il massimo risultato del Partito Repubblicano dal 1946 in poi.
    Anche al di là di questo fondamentale piano politico e istituzionale, la cronologia della presidenza Spadolini fu, comunque, assai fitta di impegni e di realizzazioni.
    Un impegno primario fu quello della lotta all’inflazione, giunta alla fine dell’estate del 1981 a un livello di oltre il 20% su scala annua. Il bilancio preventivo per il 1982 fissò al 16% il livello da conseguire entro l’anno per invertire una tendenza che minacciava nel modo più grave le fondamenta dell’organismo economico-sociale del paese.
    Il successo non mancò e la tendenza inflazionistica fu invertita. Al risultato il governo si era avviato già dalle sue primissime battute, avendo convocato a fine giugno le parti sociali e proposto di fissare per le stesse parti come indirizzo di politica economica e finanziaria un “tasso programmato di inflazione”.
    È vero che a facilitare il compito si ebbe l’avvio di una fase economica molto positiva, che avrebbe poi caratterizzato, con poche discontinuità, tutti gli anni ’80. È vero pure, però, che il governo si trovò a dover affrontare alcuni passaggi in materia di questioni sociali, nonché questioni di altro ordine, direttamente legate al tema dell’inflazione, e che le affrontò con coerenza rispetto al proposito antinflazionistico che si era prefisso.
    Così uno dei primissimi successi del nuovo governo fu nella decisione della Confederazione degli Industriali di revocare la disdetta della “scala mobile”, a cui era ancorato il prezzo del lavoro in Italia da decenni e che nel corso degli anni ’70 era stata irrigidita e aggravata dalla parificazione del suo importo per tutte le posizioni di lavoro al livello massimo toccato nel sistema salariale. La Confindustria aveva adottato la decisione della revoca in vista di quella che ad essa appariva come un’inevitabile necessità di razionalizzare il mercato del lavoro in relazione alla capacità competitiva dell’industria italiana sul mercato internazionale. La decisione confindustriale aveva, peraltro, sollevato un’opposizione sindacale e politica, che minacciava di riaccendere il conflitto tra le parti al livello dell’ “autunno caldo” di ancora recentissima memoria, e quindi di un periodo nel corso del quale era stata sviluppata la singolare teoria del salario come “variabile indipendente” nel sistema dei conti della produzione.
    È bene, a questo punto, aprire una parentesi. Abbiamo già richiamato le condizioni politiche nel cui quadro il governo Spadolini nacque per quanto atteneva al rapporto tra Democrazia Cristiana e altri partiti di governo, nonché al rapporto tra il “palazzo” e la “gente”. Occorre aggiungere che il nuovo governo subentrava al precedente governo Forlani, politicamente collocatosi nella prospettiva di una rottura di quella “solidarietà nazionale” che, in anni difficilissimi per la congiuntura sociale e per la minaccia terroristica, aveva consentito di affrontare le difficoltà del paese su una base molto vicina a quella di una sorta di unione per l’emergenza nazionale. La convergenza, che fu allora di importanza decisiva, del PCI su questa linea si era rotta proprio sul terreno della politica economica (in particolare per quanto riguardava il sistema monetario europeo) e sociale (sul piano delle rivendicazioni sindacali).
    Da parte industriale si era intanto maturata la convinzione che i tempi richiedessero e, insieme, permettessero sia una revisione dei rapporti di forza tra le parti sociali (rapporti complessivamente favorevoli, nel corso degli anni ’70, alle controparti sindacali), sia una ristrutturazione produttiva che consentisse un pieno rilancio della competitività italiana sui mercati internazionali (competitività minacciata dall’inflazione e dal sistema retributivo, in quanto connessi tra loro) nel momento in cui si delineava nuovamente una congiuntura positiva dell’economia mondiale e, al contempo, una fase politica nuova come quella segnata dall’avvento del governo Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati Uniti.


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    Predefinito Re: La rottura della continuità democristiana col governo Spadolini (1981-1982)

    La percezione di questi obiettivi non poteva che essere chiara al livello politico e sindacale interessato ad essi su basi di contrapposizione. Ecco perché il conflitto sociale minacciava un’ulteriore accensione, che rischiava di rendere impossibile o più che difficile l’adozione di una forte politica di stabilizzazione monetaria e di rilancio produttivo del paese. Si aggiunga, infine, che la prospettiva di un’accelerazione e rafforzamento dell’integrazione europea, quale la realizzazione del sistema monetario concordato metteva in mostra, era tale da dissuadere ulteriormente sindacati e partiti ad essi vicini da posizioni concilianti, poiché il quadro europeo vedeva prevalere indirizzi economici e sociali orientati nettamente in senso più moderato e, soprattutto, liberistico di quelli vigenti in Italia.
    Il negoziato sociale allora in corso in Italia si muoveva, dunque, in una cornice interna e internazionale assai più complessa di quanto la questione della “scala mobile”, già di per sé tanto importante, non facesse intendere. Il nuovo governo, partendo da un riconoscimento di fondo delle istanze di razionalizzazione del costo del lavoro a tutti gli effetti che abbiamo ricordato, si dimostrò sensibile anche alla opportunità che il conflitto sociale, già grave, non determinasse una situazione di ancora maggiore deterioramento della condizione economica e finanziaria del paese. Esso tendeva, perciò, a che si continuasse a mirare, con ancora maggiore impegno, a una soluzione del problema del costo del lavoro concordata fra le parti. In questo senso la revoca decisa dalla Confindustria all’atto stesso della nascita del governo costituiva, per quest’ultimo, un indubbio successo.
    I progressi del negoziato non furono, tuttavia, quelli sperati, anche se nel maggio 1982 si ottenne che i partiti della maggioranza si mettessero finalmente d’accordo sulla riforma delle pensioni. Il governo si trovò così all’inizio dell’estate del seguente anno 1982 di fronte a un’analoga decisione di disdetta della “scala mobile” adottata dalle industrie pubbliche. Spadolini ne riferì al Senato il 9 luglio e ne ebbe conferma della fiducia al suo governo. Il 15 luglio l’industria pubblica aderì all’invito di sospendere gli effetti della disdetta che aveva annunciato, con un ulteriore successo del governo.
    In tal modo, mentre rimaneva fermo in principio l’indirizzo di fondo a cui le industrie pubbliche si erano orientate, veniva recuperata un possibilità di accordo sociale che altrimenti sarebbe stata pregiudizialmente perduta. I fatti avrebbero poi dimostrato, con il referendum sul costo del lavoro, che questa possibilità non poteva maturare. È lecito, comunque, credere che il risultato di quella consultazione referendaria avrebbe potuto essere diverso, se le possibilità di una soluzione non fossero state sufficientemente perseguite. Del resto, la linea dell’accordo era già stata positivamente sperimentata dal governo nei suoi primi mesi e in un altro settore importante, realizzando un’intesa con le organizzazioni commerciali per un autocontrollo dei prezzi; e il successo aveva facilitato la lotta all’inflazione.
    Due altri fronti a cui venne riservata particolare attenzione furono quello della lotta al terrorismo e quello del problema delle associazioni segrete e dei servizi di informazione.
    Che il problema del terrorismo fosse tutt’altro che alle spalle del paese si vide con particolare evidenza quando alla fine di dicembre 1981 fu rapito il generale americano Dozier. Un mese dopo il generale era liberato. Già prima del rapimento il governo aveva approvato nuove misure di favore e di incoraggiamento dei “pentiti” del terrorismo. In occasione del rapimento era poi stata affidata l’azione liberatoria a un’unica direzione, quella del prefetto De Francesco, realizzando una cooperazione inusuale nell’amministrazione italiana del settore.
    Quanto alle associazioni segrete, già il 5 agosto 1981 il governo rinnovava i vertici militari e di sicurezza, nei quali la penetrazione massonica facente capo a Licio Gelli e alla Loggia P2 appariva essere stata particolarmente forte. Il movimento fu di un’ampiezza che aveva pochi precedenti. L’impressione generale fu che effettivamente si fosse voltata una pagina nella permeabilità manifestata da alcune delle branche più delicate dell’amministrazione pubblica ad associazioni più che discutibili. Questa linea fu poi confermata quando si trattò di affrontare la crisi del Banco Ambrosiano e il comportamento della presidenza Spadolini, sostenuta dal ministro del Tesoro Andreatta, fu poi giudicato “impeccabile” dal governatore della Banca d’Italia, Ciampi. Questi fece presente che, data la struttura del Banco, in quella crisi operavano “le più disparate componenti, anche componenti di natura religiosa, ed in quella circostanza nella durezza dei provvedimenti presi non vi fu nessuna componente anticlericale, cioè contrastante fatti religiosi; vi fu la dissociazione, ma non la contrapposizione”. Del resto, già il 24 luglio il governo aveva formulato un disegno di legge di scioglimento della Loggia P2, mirando così a colpire alla radice l’organizzazione di Gelli, che nei mesi precedenti aveva costituito il punto di gravitazione del dibattito e della lotta politica.
    Un cenno a parte meritano, da un lato, la preoccupazione che il governo con successo manifestò, nella seconda metà dell’ottobre 1981, a riguardo delle pressioni che allora si avvertirono per la proprietà del “Corriere della Sera”, confermando anche dinanzi alla Camera dei Deputati l’intenzione dello stesso governo di mantenersi pienamente sulla linea dei princìpi fissati nella legge sull’editoria; dall’altro lato, il disegno di legge che il governo presentò agli inizi di maggio 1982 sulla responsabilità disciplinare dei magistrati. Questi due diversi interventi rientravano, a ben vedere, nell’orientamento generale di muoversi con criteri di ampio garantismo in tutte le questioni che, direttamente o indirettamente, avessero attinenze o profili istituzionali. Tenuto conto della ben più cospicua importanza che i problemi dell’informazione e della stampa e quelli dell’ordine giudiziario avrebbero assunto nel corso degli anni ’80, la linea – che può apparire prudente, ma che era indubbiamente anche previdente – assunta dal governo Spadolini può essere meglio apprezzata. Negli anni successivi proprio il discostarsi da tale linea avrebbe segnato una ulteriore ragione di crisi dell’ordine politico, dinanzi alla portata e all’intensità dello scontro di interessi che si sarebbe avuto nel campo dell’informazione e a una contrapposizione che sarebbe diventata frontale e lacerante fra politici e magistrati.
    Quanto alla politica estera, pochi dubbi si potevano avere già in partenza sull’atteggiamento del governo Spadolini, essendone la solidarietà europeistica e quella atlantica pilastri naturali e decisivi, dati i precedenti sia personali di Spadolini che tradizionali, ormai, nelle forze che ne sostenevano il governo. Nella prima decade di agosto venne scelta Comiso, in Sicilia, come base degli “euromissili” che, su impulso americano, l’alleanza atlantica aveva deciso di impiantare in Europa nel quadro di una nuova fase del confronto tra Est e Ovest. Era questo anche un tema di contrasti interni da non sottovalutare.
    Sul problema degli impegni atlantici, come su quello del sistema monetario europeo, la reazione della sinistra, e quindi, del PCI era stata assai dura. I partiti di governo ne avevano tratto conferma al loro giudizio che, come sul terreno della politica economico-finanziaria e del lavoro, i comunisti restavano lontani dalla maturazione di atteggiamenti conformi alla fisionomia di partito di governo, tenacemente rivendicata dal PCI. L’incontro di solidarietà costituzionale che si era avuto per la lotta al terrorismo rimaneva complessivamente fermo, ma esso non lasciava ora più intravvedere alcuna possibilità immediata di trasformarsi nell’avvio a un nuovo e organico schieramento, come negli anni precedenti si era ritenuto e, a seconda delle varie posizioni, auspicato o deprecato.
    Anche in questo caso la condizione italiana rifletteva, come nell’economia, echi europei assai forti; e anche in ciò riferimenti come il “reaganismo” e il thatcherismo” agivano in maniera evidente. Peraltro, la vittoria di Mitterrand in Francia e dei socialisti in Spagna, nonché la forza persistente di questi ultimi nella Germana Federale, sembravano aprire nello stesso tempo prospettive diverse.


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    Predefinito Re: La rottura della continuità democristiana col governo Spadolini (1981-1982)

    La dialettica politica italiana se ne alimentava vistosamente. Ai comunisti, ai quali si imputava un vincolamento sostanziale permanente (come si è detto) a posizioni non compatibili con altri loro atteggiamenti e rivendicazioni, non si poteva negare, tuttavia, che il processo, già in corso fra essi da anni, di “strappo” rispetto alla tradizione sovietica del comunismo internazionale e di accentuazione delle spinte a un riordinamento democratico del loro partito, continuasse effettivamente ad andare avanti, sia pure con limiti e tra difficoltà evidenti. Intanto, però, prendeva progressivamente corpo una presenza dei socialisti, polarizzata intorno a Craxi, tendente a imporre una loro forte, se non prevalente, centralità, sia rispetto agli alleati di governo, sia rispetto ai comunisti e a un processo ormai visibile di ristrutturazione di quella che fino ad allora era stata la fisionomia della sinistra italiana.
    Il riferimento all’Europa socialista era, da questo punto di vista, assai forte, ma si accompagnava, e in ciò si distingueva dall’analogo riferimento in corso di affermazione presso i comunisti, a un’ideologia della modernità e della razionalizzazione che configurava il socialismo italiano in maniera assai singolare. Forte era, a sua volta, il disagio dei democristiani, non solo e non tanto per la messa in discussione della loro centralità politica, che sembrava abbastanza garantita dalla permanente forza elettorale del partito, quanto per l’intraprendente rivendicazione e iniziativa socialista e per il parallelo richiamo all’alternanza “cattolico-laica” nella guida del governo e alla “pari dignità” nel sistema generale amministrativo e tecnico del paese che la maggioranza aveva in mano.
    La segreteria della DC a cui ascese allora De Mita fu annunciata, infatti, anche come promessa di una reazione democristiana al tono e alla portata assunti dalla sfida socialista. In realtà, essa comprendeva, però, anche altri elementi di merito, ancor più importanti, e in primo luogo il progetto politico e sociale, dello stesso De Mita e dell’ampia area democristiana di sinistra facente campo a lui, di una leadership cattolica affidata ad equilibri diversi sia da quelli degasperiani che da quelli promossi da Aldo Moro, benché forse più vicini a questi ultimi che ai primi.
    Tra il 1981 e il 1982 tutto questo travaglio, espresso per lo più in movimenti marginali o in scontri non sempre politici e spesso solo personali, si venne facendo più chiaro. Alla fine di luglio 1982 quello che si poteva ormai definire un vero e proprio malessere politico ebbe una espressione parlamentare importante. Il governo presentò le previsioni finanziarie per il 1983, che comportavano, fra l’altro, una riduzione programmata del tasso di inflazione al 10%, ossia alla metà del livello in atto al momento della sua costituzione. Pochi giorni dopo, il 4 agosto, un decreto fiscale del governo in materia di petrolio, già approvato al Senato, fu bocciato dalla Camera dei deputati grazie alla defezione di 30 parlamentari della maggioranza. Lo scalpore sollevato dall’episodio, che toccava un punto del cuore stesso del programma dell’azione di governo, trattandosi di materia economico-finanziaria, portò Spadolini alle dimissioni, non senza considerazioni di ordine istituzionale concernenti il problema della governabilità in un regime di accentuata fisionomia parlamentaristica.
    Nonostante le apparenze in parte contrarie, non era facile, però, trovare subito un nuovo punto di equilibrio tra le varie spinte a cui si è accennato. Ciò, oltre ad altre considerazioni, spiega la decisione del Presidente della Repubblica Pertini di confermare la scelta dell’anno precedente, e spiega pure l’univoca indicazione nello stesso senso data a Pertini dal segretario democristiano De Mita, di confermare Spadolini alla guida del governo. Il primo passo di Spadolini fu quello di redigere un “decalogo” in materia di problemi istituzionali: una materia che da allora in poi avrebbe assunto anch’essa, in pochissimi anni, una portata decisiva e imprevista. Il 23 agosto era nominato il nuovo governo, in tutto identico al precedente (si parlò di “governo fotocopia”).
    La seconda fase di governo di Spadolini sarebbe stata, peraltro, assai breve. L’11 novembre egli rassegnava nuovamente le dimissioni dal suo incarico, perché, durante una sua visita negli Stati Uniti tra il 2 e il 7 dello stesso mese, erano insorte polemiche violentissime, e anche con punte di vera e propria volgarità, tra ministri democristiani e ministri socialisti. Era un sintomo ulteriore di quel travaglio in atto al quale si è accennato. Spadolini ne prese coscienza, giudicando che ormai solo un chiarimento diretto e un esplicito riassetto nei rapporti tra PSI e DC poteva consentire di superare il punto effettivo della crisi, almeno e livello politico. Formalmente egli pose la questione che le polemiche tra ministri operavano a danno sia del principio della collegialità del governo, sia del principio della funzione di guida ed espressione del governo stesso propria del presidente del Consiglio dei Ministri. Pertini, anch’egli consapevole della vera ragione e portata della crisi politica in atto, con decisione che non aveva precedenti nella storia italiana dalla proclamazione della Repubblica in poi, respinse le dimissioni del governo e lo rinviò al giudizio delle Camere.
    Quando potremo approfondire questi fatti si vedrà che la questione delle nomine pubbliche incise sulla vita del secondo governo Spadolini quanto e più delle dilacerazioni nella collegialità di governo. Il 24 settembre Spadolini aveva nominato Romano Prodi alla presidenza dell’IRI e Umberto Colombo alla presidenza dell’ENI. Erano due nomine tecniche assolutamente esemplari, svincolate dal piano inclinato della lottizzazione verso il quale si stava avviando la vita italiana sotto la prevalenza della crescente partitocrazia. Ebbene: la relazione socialista per l’ENI fu imperniata sulla condizione della nomina di Di Donna, noto esponente della P2, alla vicepresidenza. Spadolini fu irremovibile nel respingere la richiesta, e la risposta dei socialisti si fece sentire sul campo della politica economica e fiscale.
    Nei tre mesi intercorsi la politica del governo non si era distaccata sostanzialmente dalle linee del primo e ben più lungo periodo.
    In politica estera fu mantenuto l’allineamento con gli alleati occidentali, in particolare sui delicati problemi del Medio Oriente. Già nell’ottobre 1981 l’Italia aveva aderito alla costituzione di una forza di pace nel Sinai secondo lo spirito degli accordi di Camp David. Durante la crisi di governo nell’agosto 1982 erano inviati nel Libano reparti militari italiani per una forza di pace, che si era deciso di costituire anche in quel paese. Il secondo governo Spadolini ribadì nel settembre successivo tale linea ed escluse, quindi, ogni riconoscimento unilaterale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Spadolini rifiutò, anzi, di ricevere il leader dell’Organizzazione Yasser Arafat, in quanto ciò avrebbe potuto comportare equivoci sulla figura di capo non di un movimento politico, ma di rappresentante ufficiale e legittimo unico del “popolo palestinese” che Arafat rivendicava. Successivamente, a seguito dell’aggravarsi del conflitto civile in corso nel Libano, ove ci furono disordini sanguinosi a danno dei profughi palestinesi colà, il governo italiano propose un nuovo invio di forze multinazionali di pace nel paese, ottenendo il consenso americano e francese.
    Ciò non tolse che, essendosi manifestato un aperto e grave contrasto tra Stati Uniti ed Europa per la decisione di vari paesi europei di impegnarsi nella costituzione di un grande gasdotto transiberiano nell’Unione Sovietica, ci si schierasse altrettanto apertamente a fianco degli altri paesi europei, tanto più essendosi orientati gli americani a imporre gravi sanzioni commerciali verso gli alleati europei con i quali si trovavano in dissenso. Per l’Italia era stato bloccato, ad esempio, nel porto di New York, un carico di turbine prodotte nella grande industria fiorentina del Nuovo Pignone. E fu appunto in relazione a ciò che Spadolini intraprese nel novembre 1982 quel viaggio negli Stati Uniti, durante il quale, come si è detto, maturò la crisi del suo secondo governo. Il viaggio sembrò aver avuto, comunque fosse, fortuna e fu annunciato che le sanzioni commerciali americane contro l’Italia sarebbero state ritirate.
    Sul piano interno proseguì la lotta all’inflazione, accompagnata, però, da un impegno parallelo nel negoziato sociale. E, poiché quest’ultimo non accennava a concludersi, il 7 ottobre Spadolini fissò al 30 novembre un termine, oltre il quale sarebbe stato il governo a formulare una sua proposta relativamente alla scala mobile. In settembre furono nominati, come già ricordato, i nuovi vertici dell’IRI (R. Prodi) e dell’ENI (U. Colombo). Come già nella nomina del commissario dell’ENI, Enrico Gandolfi, nel precedente marzo 1982, il governo si sforzava di uscir fuori da criteri di spartizione fra i partiti nelle nomine economiche di pertinenza pubblica e di far prevalere criteri di professionalità e di garanzia tecnica. Motivo di polemica e, come si vede, di rottura.


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    Predefinito Re: La rottura della continuità democristiana col governo Spadolini (1981-1982)

    Sul piano interno prendeva, però, quota un altro ordine di problemi, quello della grande criminalità organizzata. L’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, il 3 settembre diede la misura del livello di sfida all’autorità dello Stato a cui era ormai giunta la mafia. Il governo reagì con la nomina di Emanuele De Francesco ad alto commissario per la lotta alla mafia, perseguendo con impegno innanzitutto l’obiettivo di un migliore coordinamento delle forze di repressione del fenomeno. Lo stesso obiettivo ci si pose in Campania per la lotta alla camorra, per cui il 16 settembre Spadolini presiedé una riunione ad hoc a Napoli. Già nei mesi precedenti sulla camorra era stato preparato un rapporto per la presidenza del Consiglio dei Ministri. In settembre si predispose un piano straordinario e si affidarono al prefetto di Napoli poteri speciali di coordinamento.
    Erano, peraltro, solo le punte fortemente emergenti di un fenomeno che, negli anni seguenti, sarebbe andato ben oltre e avrebbe provocato intrecci e collusioni anche col mondo politico-amministrativo e un forte decremento di autorità e di credibilità delle istituzioni. Intanto, si tardava anche a prendere piena consapevolezza del salto di qualità che la malavita organizzata aveva fatto da quando era entrata massicciamente nel commercio internazionale della droga, nonché delle potenzialità ormai in mano alle organizzazioni criminali di questo tipo di svilupparsi come una sorta di multinazionali di attività economiche finanziate coi proventi, riciclati, di attività criminose. Meno ancora si riconosceva la collusione politico-amministrativa.
    Ma il governo si era già dovuto, come si è detto, dimettere. Rinviato alle Camere, i dissensi tra PSI e DC emersero, nel dibattito che ne seguì, ancor più chiari. Spadolini ne prese atto e rinnovò il 13 novembre le dimissioni nelle mani del Presidente, che questa volta le accolse.
    Si concludeva, così, l’esperienza di quella che fu subito diffusamente definita come la “prima presidenza laica” nella storia della Repubblica Italiana. Al di là degli obiettivi successi riportati, come si è detto, sui vari impegni da essa assunti (inflazione, terrorismo, problemi istituzionali), restava, e fu riconosciuto all’indomani stesso della sua conclusione, il suo valore di elemento di discontinuità, di rottura rispetto ai problemi dell’equilibrio politico e sociale nell’Italia che passava dagli anni del terrorismo e della crisi economica agli anni dell’eclisse del terrorismo e di una rinnovata e maggiore floridezza economica, dalla “solidarietà nazionale” al “pentapartito”. Può giudicarsi che allora davvero maturò una nuova dinamica nella vita politica e sociale del paese, che avrebbe poi trovato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 percorsi ed esiti del tutto imprevisti. E fatta la tara, peraltro assai alta, dell’imprevedibilità, si può dire che il governo Spadolini fu anche un tentativo di soluzione che la classe politica italiana e la maggioranza di governo, in particolare, cercarono di dare ai nuovi problemi, quali – almeno – allora li si poteva percepire. Ma si può anche dire che la relativa brevità dell’esperienza presidenziale (per quanto durata oltre la media della prassi parlamentare italiana) e le difficoltà fra le quali essa si svolse non consentirono né a Spadolini di avviare appieno il suo progetto politico, né alle forze che lo sostennero (nella misura in cui e fino a quando lo sostennero) di imprimere alla loro percezione dei nuovi problemi il corso più opportuno perché questi problemi fossero affrontati alla radice e positivamente.
    Spadolini pensava, come egli stesso diceva, a “un’Italia più modernamente liberale”, e reinterpretava il termine “laico” in riferimento a tale obiettivo, senza alcuna opposizione di principio al mondo cattolico, ritenuto anzi una possibile parte sostanziale del progetto, e con una aperta “strategia dell’attenzione” nei riguardi della tradizionale area di opposizione comunista.
    Una maggiore spinta in questo senso appariva allora la via migliore per porsi con efficacia rispetto alla nuova realtà italiana, maturata o in maturazione che fosse. Le forze di maggioranza in parte praticarono una tale spinta, in altra parte la deviarono verso una irreggimentazione di essa nel quadro di un proprio predominio senza limiti di tempo e senza stretto legame coi problemi del paese.
    In un primo momento il successo non mancò, sia con la presidenza Spadolini che con la successiva presidenza Craxi. Poi seguirono anni di sclerosi e di deterioramento destinati a concludersi in una crisi politica di proporzioni senza precedenti.

    Giuseppe Galasso


    https://www.facebook.com/notes/giova...3718242386434/
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

 

 

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