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Discussione: Diogene di Sinope

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    Predefinito Diogene di Sinope


    Johann Tischbein, Diogene cerca l'uomo

    Wikipedia

    Diogene di Sinope, detto il Cinico[1] o il Socrate pazzo (in greco antico: Διογένης, Dioghénēs; Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.), è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico storico Diogene Laerzio, morì nel medesimo giorno nel quale Alessandro Magno spirò a Babilonia[2].

    Biografia


    La principale fonte di informazioni sulla sua vita è fornita dall'opera di Diogene Laerzio[3][4]. Secondo lo storico il padre di Diogene, Icesio, un cambiavalute, fu imprigionato oppure esiliato perché accusato di contraffare le monete. Diogene si trovò anch'egli sotto accusa, e si spostò ad Atene con un servo che poi abbandonò, dicendo: «Se Mane può vivere senza Diogene, perché non Diogene senza Mane?»[4]. Attratto dagli insegnamenti ascetici di Antistene, divenne presto suo discepolo, a dispetto della rudezza con la quale era trattato e del fatto che costui non lo voleva come allievo, ma ben presto superò il maestro sia in reputazione che nel livello di austerità della vita.[4] Le storie che si raccontano di lui sono probabilmente vere; ad ogni modo, sono utili per illustrare la coerenza logica del suo carattere e la sua irriverenza. Si espose alle vicissitudini del tempo vivendo in una piccola botte aperta che apparteneva al tempio di Cibele. Distrusse l'unica sua proprietà terrena, una ciotola di legno, vedendo un ragazzo bere dall'incavo delle mani.[4]

    In viaggio verso Egina, venne fatto prigioniero dai pirati e venduto come schiavo a Creta ad un uomo di Corinto chiamato Xeniade (o Seniade) diventando tutore dei suoi due figli[5][6] nonché suo amministratore domestico. Venendo interrogato sul suo prezzo, replicò che non conosceva altro scambio possibile che quello con un uomo di governo, e che desiderava essere venduto ad un uomo che avesse bisogno di un maestro.

    «E chiedendogli l'araldo che cosa sapesse fare, Diogene rispose: «Comandare agli uomini». Fu allora che egli additò un tale di Corinto che indossava una veste pregiata di porpora, il predetto Seniade, e disse: «Vendimi a quest'uomo: ha bisogno di un padrone».»

    (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi VI, Vita di Diogene, 32)
    Visse a Corinto per il resto della sua vita, che dedicò interamente a predicare le virtù dell'autocontrollo e dell'autosufficienza, abitando in una botte. Ai Giochi Istmici tenne discorsi a un pubblico consistente che lo seguiva dal periodo di Antistene.[4]

    Fu probabilmente ad uno di quegli eventi che incontrò Alessandro Magno.

    «Il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: "Scostati un poco dal sole". A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene".»

    (Plutarco, Vite parallele, Vita di Alessandro Magno, 14)
    Diogene Laerzio, a differenza di Plutarco, riferisce che successivamente, forse irritato dalla mancanza di rispetto, Alessandro, per farsi gioco di lui che veniva chiamato "cane", gli mandò un vassoio pieno di ossi e lui lo accettò ma gli mandò a dire: Degno di un cane il cibo, ma non degno di re il regalo.[4]
    Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Incontro tra Diogene di Sinope e Alessandro Magno.
    Alla sua morte, avvenuta a 89 anni proprio nel periodo nel quale anche Alessandro Magno stava concludendo la sua esistenza, sulla quale ci sono più testimonianze, i Corinzi eressero un pilastro alla sua memoria, sul quale vi era, inciso, un cane di marmo pario.

    «Il medesimo Eubulo attesta che Diogene invecchiò presso Seniade e, morto, fu seppellito dai suoi figli. Chiedendogli al tempo Seniade come volesse essere seppellito, egli replicò: "Sulla faccia". Domandandogliene quello la ragione, Diogene soggiunse: "Perché tra poco quel che è sotto si sarà rivoltato all'insù". Disse questa battuta perché ormai i Macedoni dominavano, o da umili erano diventati potenti.»

    (Vita di Diogene, 74)

    Pensiero


    «Soleva anche dire che nella vita assolutamente nessun successo è ottenibile senza strenuo esercizio, e che questo è capace di vincere qualunque ostacolo. È dunque necessario che quanti scelgono le fatiche che sono in armonia con la natura, invece di quelle improficue, vivano felicemente; mentre coloro che scelgono, contro natura, la dissennatezza siano infelici. Lo stesso abito acquisito di spregiare il piacere fisico è piacevolissimo; e come quanti sono abituati ad una vita piacevole si dispiacciono se vanno incontro al suo contrario, così coloro che sono esercitati al loro contrario spregiano con gran piacere proprio i piaceri fisici. Di questo genere erano i discorsi che faceva e che dimostrava mettendoli in pratica: contraffacendo effettivamente la moneta, non concedendo alla legalità l'autorità che invece concedeva alla natura, e affermando di condurre la stessa sorta di vita che era stata di Eracle, il quale nulla anteponeva alla libertà.»

    (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 71)
    La virtù, per lui, consisteva nell'evitare qualsiasi piacere fisico superfluo: tuttavia Diogene rifiuta drasticamente, non senza esibizionismo, le convenzioni e i tabù sociali, oltre che i valori tradizionali come la ricchezza, il potere, la gloria[7]; sofferenza e fame erano positivamente utili nella ricerca della bontà; tutte le crescite artificiali della società gli sembravano incompatibili con la verità e la bontà; la moralità porta con sé un ritorno alla natura e alla semplicità. Citando le sue parole, «l'Uomo ha complicato ogni singolo semplice dono degli Dèi». È accreditato come uno strenuo sostenitore delle sue idee, al punto da arrivare a comportamenti indecenti; tuttavia, probabilmente, la sua reputazione ha risentito dell'indubbia immoralità di alcuni dei suoi eredi.[4] Diogene rivendica la libertà di parola, ma rifiuta la politica, rivelando un concetto proto-anarchico.[4][8]

    «Tutto appartiene agli dei; i sapienti sono amici degli dei; i beni degli amici sono comuni. Perciò i sapienti posseggono ogni cosa»

    (Diogene di Sinope, citato da Diogene Laerzio[4])
    Secondo quanto tramanda Diogene Laerzio, Diogene fu anche la prima persona conosciuta ad aver utilizzato il termine «cosmopolita». Difatti, interrogato sulla sua provenienza, Diogene rispose: «Sono cittadino del mondo intero».[9] Si trattava di una dichiarazione sorprendente in un'epoca dove l'identità di un uomo era intimamente legata alla sua appartenenza ad una polis particolare.[4] Al filosofo megarico Diodoro Crono, che negava il movimento, Diogene rispose semplicemente mettendosi a camminare.[4]


    Inoltre, la messa in pratica degli ideali di ascetismo in netta opposizione al conformismo imperante gli meritò il soprannome di "cane":

    «Durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un cane. Diogene, andandosene, urinò loro addosso, come fa un cane.»

    (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 46)
    Diogene riteneva, infatti, che gli esseri umani vivessero in modo artificiale e ipocrita e che dovessero essere più liberi. Oltre a praticare in pubblico le fisiologiche funzioni corporee senza essere a disagio, un sapiente mangerà di tutto, e non si preoccuperà di dove dorme, vivendo in modo naturale nel presente senza preoccupazioni.[4]

    Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva, e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona reputazione.[4]

    Una volta uscì con una lanterna di giorno, e, alla domanda su che cosa stesse facendo, rispose: "cerco l'uomo!",[10] non intendendo con questo però "un uomo onesto", come pensano alcuni, in quanto l'onestà non era certo, come invece oggi, una delle più pregnanti esigenze civili del mondo greco del quarto secolo a.C. Egli invece cercava qualcuno che avesse le qualità che ci si aspetterebbe di trovare nell'uomo naturale, come spiegano, tra i tanti, Giovanni Reale e Dario Antiseri: "... (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l'uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l'uomo che, al di là di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e al di là dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."[11]

    Uno degli aspetti più clamorosi della sua filosofia era di conseguenza il suo rifiuto delle normali concezioni sulla decenza. Secondo gli aneddoti, Diogene mangiava in pubblico, viveva in una botte, defecava nel teatro pubblico, e non esitava ad insultare apertamente i suoi interlocutori. Diogene svolgeva in pubblico anche atti sessuali. I suoi ammiratori lo consideravano un uomo devoto alla ragione e di onestà esemplare. Per i suoi detrattori era un folle fastidioso e maleducato.[4]

    Opere
    Come scrive Diogene Laerzio, si solevano attribuire a Diogene 14 dialoghi[12] e 7 tragedie.[13] Tuttavia lo stesso Laerzio afferma poco oltre: «Sosicrate nel primo libro delle Successioni, e Satiro nel quarto libro delle Vite affermano che nessuna di tali opere è di Diogene. Satiro afferma anche che le tragedie sono di Filisco di Egina, un conoscente di Diogene. Sozione nel settimo libro afferma che soltanto queste sono opere di Diogene: Sulla virtù, Sul bene, Erotico, Il Poveraccio, Tolmeo, Pordalo, Casandro, Cefalione, Filisco, Aristarco, Sisifo, Ganimede, Detti sentenziosi, Lettere».[14]

    Diogene nell'arte e nella cultura


    Sia nei tempi antichi che in quelli moderni, la sua personalità ha attirato molti scultori e pittori. Busti e statue antichi esistono nei Musei Vaticani e al Louvre.[15] L'incontro tra Diogene e Alessandro è rappresentato anche in un bassorilievo del XVIII secolo di Villa Albani. Rubens, Jordaens, Steen, Van der Werff, Jeaurat, Salvator Rosa e Karel Dujardin hanno dipinto numerosi episodi della sua vita.

    Diogene ha ispirato anche il nome del Diogenes Club, un immaginario club londinese per gentiluomini inserito da Sir Arthur Conan Doyle in vari racconti di Sherlock Holmes.

    Diogene il Cinico, oppure Diogene di Apollonia, viene citato da Dante nel Canto IV dell'Inferno (Divina Commedia), fra gli spiriti magni che quest'ultimo incontra nel primo Cerchio o Limbo; il poeta lo descrive accanto a Democrito, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito e Zenone di Elea (o Zenone di Cizio):
    «Democrito che 'l mondo a caso pone,
    Dïogenès, Anassagora e Tale,
    Empedoclès, Eraclito e Zenone.»

    (Inferno, IV, vv. 136-138)
    A Diogene è dedicato il brano del rapper Murubutu, intitolato appunto Diogene di Sinope e la scuola cinica.


    https://it.wikipedia.org/wiki/Diogene_di_Sinope



    Diogene di Sinope, oggi città e porto della Turchia, discepolo di Antistene, il fondatore della scuola cinica, è uno dei filosofi più bizzarri che si conoscano. Non aveva una casa in cui abitare. Viveva in una botte, portando in mano una lanterna, anche in pieno giorno, perché – a suo dire – era alla ricerca dell’uomo. Aveva con sé inoltre un doppio mantello, quasi un prototipo del sacco a pelo, una bisaccia e un bastone. Non possedeva altro. Era un antieroe che filosofava anche attraverso il gesto, talvolta volgare, per evidenziare le contraddizioni umane. Abile conversatore, poteva contare su una capacità dialettica singolare e corrosiva. Platone lo definì un Socrate impazzito. Ma mentre quest’ultimo era il filosofo delle domande, Diogene lo era invece delle risposte, spesso sarcastiche e canzonatorie. Con il suo parlare e il suo modo di agire, egli mordeva appunto come può farlo un cane. La sua critica era rivolta al potere, alle istituzioni, alle ipocrisie e alla vanità umana. Disprezzava apertamente gli uomini, le ricchezze e le convezioni sociali. Non aveva teorie da insegnare. Era un filosofo che agiva.
    Mangiava, dormiva, pensava, conversava senza problemi ovunque si trovasse. Incurante del giudizio altrui, all’occorrenza arrivava persino a masturbarsi in pubblico. Oppure espletava i suoi bisogni fisiologici nell’agorà. Uno stile di vita randagio, insomma. Irriverente nei confronti dei potenti, irrise persino Alessandro Magno chiedendogli un giorno di spostarsi perché lo copriva dal sole. Diogene non invidiava i lussi e i privilegi di cui godeva il re, mentre invece lo compativa perché questi non poteva godersi il piacere del semplice filosofare. Dietro questa apparenza bislacca, si celava in realtà un autentico maestro di vita.

    *************
    https://www.academia.edu/11564020/Di...sofia_del_Cane

    https://it.wikiquote.org/wiki/Diogene_di_Sinope

    Citazioni di Diogene di Sinope
    [A chi lo rimproverava perché entrava in luoghi sudici] Anche il sole penetra nelle latrine, ma non ne è contaminato.[1]
    [A chi gli disse: «Tu non sai nulla e pure fai il filosofo»] Aspirare alla saggezza, anche questo è filosofia.[2]
    [Andando in giro di giorno con la lanterna accesa] Cerco l'uomo.[3]
    [Interrogato su quale fosse la sua patria] Cittadino del mondo.[1]
    [Interrogato su cosa sapesse fare, quando fu messo in vendita come schiavo] Comandare agli uomini.[4]
    [A chi riteneva beato Callistene perché godeva degli sfarzi di Alessandro] È certo infelice, perché fa la colazione e il pranzo quando fa comodo ad Alessandro.[5]
    [A chi gli disse: «Sei vecchio, smettila!»] È come se corressi la lunga corsa nello stadio e in vista del traguardo dovessi desistere, invece di insistere ancora.[6]
    [A chi diceva che il popolo di Sinope l'aveva condannato all'esilio] Ed io lui a rimanere a casa.[7]
    [A chi gli rimproverava l'esilio] Ma è per questo, o disgraziato, che mi diedi alla filosofia.[7]
    [Interrogato su quale fosse la cosa più bella tra gli uomini] La libertà di parola.[8]
    [A chi gli disse: «Molti ti deridono»] Ma io non mi derido.[9]
    [Mentre si masturbava in un luogo pubblico] Magari potessi placare la fame, stropicciandomi il ventre.[8]
    [Interrogato sul perché chiedesse qualcosa ad una statua] Mi alleno a chiedere invano.[7]
    [Quando Perdicca minacciò di ucciderlo se non fosse andato da lui] Nulla di straordinario: anche uno scarafaggio e una tarantola saprebbero far questo.[10]
    [Ad una donna che supplicava gli dèi in una posa sconveniente] Non pensi, o donna, che il dio possa stare dietro di te, poiché tutto è pieno della sua presenza, e che tu debba vergognarti di pregarlo scompostamente?[11]
    [Ad un figlio che disprezzava il genitore] Non ti vergogni di disprezzare colui al quale tu devi se puoi vantarti?[12]
    [Ad un grazioso giovinetto che parlava senza grazia] Non ti vergogni di trarre un pugnale di piombo da un fodero di avorio?[12]
    [Ad un tale che gli disse: «Non sono adatto alla filosofia»] Perché vivi se non ti curi di vivere bene?[12]
    [Interrogato su quale sia il tempo opportuno per sposarsi] Quando si è giovani non ancora, quando si è vecchi mai più.[9]
    [Interrogato su quale vino bevesse volentieri] Quello degli altri.[9]
    [Interrogato su quale vantaggio avesse tratto dalla filosofia] Se non altro, l'essere preparato ad ogni evento.[1]
    Tutto appartiene agli dèi; i sapienti sono amici degli dèi; i beni degli amici sono comuni. Perciò i sapienti posseggono ogni cosa.[11]
    [Interrogato su dove nell'Ellade avesse visto uomini buoni] Uomini buoni in nessun luogo, ragazzi buoni a Sparta.[13]

    Citazioni su Diogene di Sinope

    Accanto a Diogene Antistene sembra timido. La Antichità lo chiamò "il Socrate furioso". Il poeta Cercida lo tramuta nella costellazione del Cane. Nel secolo IV d.c., l'imperatore Giuliano l'Apostata cui ripugnava il cinismo, faceva rispettose eccezioni per la persona di Diogene. "Sono convinto – diceva Barbey d'Aurevilly – che Diogene era, di suo, una persona geniale e ammodo, ma il Faubourg Saint-Germain di Atene lo aveva fatto disperare." (Alfonso Reyes)
    Diogene si azzardò a mangiare un polpo crudo nel tentativo di eliminare la necessità di cuocere le carni. Attorniato da molti uomini, coperto da un mantellaccio, porta la carne alla bocca e dice: "Per voi io mi espongo a questo pericolo e metto a repentaglio la mia vita". Bel pericolo, o Zeus! Non l'ha infatti affrontato come Pelopida, per la libertà dei Tebani o come Armodio e Aristogitone, per quella degli Ateniesi! Il filosofo ha lottato contro il polpo crudo per rendere la vita umana più simile a quella delle bestie! (Plutarco)
    Il suo discepolo più famoso [di Antistene] fu Diogene, il quale riuscì a spuntarla su Alessandro e vinse sulla natura umana. (San Girolamo)

    Diogene Laerzio

    Diceva d'imitare gli istruttori dei cori: questi infatti danno il tono più alto, perché tutti gli altri diano il tono giusto.
    Durante un convito alcuni gli gettavano le ossa come ad un cane. Diogene andandosene ci orinò sopra, come un cane.
    Godeva l'affetto degli Ateniesi. Così quando un giovinetto gli ruppe la botte, gli Ateniesi batterono il giovinetto e diedero a Diogene un'altra botte. Lo stoico Dionisio racconta che dopo Cheronea fu catturato e condotto a Filippo. A Filippo che gli chiese chi fosse, replicò: «Osservatore della tua insaziabile avidità». Per questa battuta fu ammirato e rimesso in libertà.
    Mentre una volta prendeva il sole nel Craneo, Alessandro sopraggiunto disse: «Chiedimi quel che vuoi». E Diogene, di rimando: «Lasciami il mio sole».
    Una volta Diogene gridò: «Ehi, uomini!» e convenne della gente che egli picchiò col bastone, dicendo: «Uomini chiamai, non canaglie!»
    Si narra anche che Alessandro abbia detto che se non fosse nato Alessandro, avrebbe voluto nascere Diogene.
    Una volta vide un fanciullo che beveva nel cavo delle mani e gettò via dalla bisaccia la ciotola, dicendo: «Un fanciullo mi ha dato lezione di semplicità». Buttò via anche il catino, perché pure vide un fanciullo che, rotto il piatto, pose le lenticchie nella parte cava di un pezzo di pane.

  2. #2
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