Giovanni Spadolini (Firenze, 1925 - Roma, 1994)
In “Nuova Antologia”, a. CXXIX, fasc. 2191, luglio-settembre 1994, Le Monnier, Firenze, pp. I-VIII.
“Quando non ci sarò più, sulla tomba voglio solo il nome e cognome, seguiti dalla data di nascita e di morte, e sotto una sola parola, che racchiude intero il senso della mia vita: UN ITALIANO”. Così mi ripeteva Spadolini in momenti di serena malinconia, quando il suo pensiero andava al di là dei cipressi di Pian dei Giullari, e degli ulivi, che si intrecciano fra loro in quel tipico paesaggio toscano che dal colle di Arcetri scende in dolce pendio verso via Pietro Tacca, per risalire poi al piazzale Michelangelo e alla chiesa di San Miniato al Monte, proprio di fronte al giardino della sua villa-biblioteca.
Inizialmente, qualche anno fa, Spadolini aveva espresso il desiderio di essere sepolto là, nel terreno che circonda la villa, il più vicino possibile ai suoi libri. Erano insorte difficoltà per i regolamenti delle USL (occorrevano ettari di terreno senza abitazioni intorno e non so che altro), di fronte alle quali la rinuncia del senatore, che non voleva né forzature né privilegi, era stata immediata. La scelta allora non poteva cadere che su San Miniato, il cimitero monumentale che conserva nella cappella di famiglia le spoglie mortali dei genitori, il pittore Guido, medaglia d’oro, caduto in operazione di soccorso sotto i bombardamenti del’11 marzo 1944, e la madre Lionella.
Su iniziativa del sindaco Giorgio Morales e della giunta di palazzo Vecchio, il Comune di Firenze ha deliberato mesi fa la donazione di un pezzo di terra, nel giardinetto prospicente la sua stessa cappella di famiglia, dove sono sepolti i fiorentini illustri, quali Pratolini e Annigoni, e dove andrà pure la salma di Mario Cecchi Gori.
“Un italiano”. La scelta di quella semplice parola aveva un preciso richiamo storico: si tratta dello pseudonimo che nascondeva il nome di Giuseppe Mazzini, negli scritti pubblicati nell’ “Antologia” di Giovan Pietro Vieusseux, fra 1828 e 1831…
“Un italiano”. Un legame costante con l’ “Antologia” e con la “Nuova Antologia”. Questo fascicolo dal numero particolarmente elevato di pagine è stato “licenziato” per la stampa dal direttore, Giovanni Spadolini, domenica 31 luglio, quattro giorni prima della sua improvvisa scomparsa, che ha suscitato il più profondo cordoglio dell’intero paese e in particolare dei collaboratori e amici della “Nuova Antologia”.
Per questo, come vicedirettore responsabile – d’intesa col consiglio di amministrazione della Fondazione Nuova Antologia (di cui Spadolini era fondatore e presidente), proprietaria della testata – ho deciso di pubblicarlo tale e quale, con la sola aggiunta di un breve inserto in numeri romani dedicato al direttore (molto più di un direttore per scrive queste righe, e per molti di noi, piuttosto un padre e un maestro esemplare), evitando non la commozione ma la retorica, secondo i suoi desideri e la lezione coerente della sua stessa vita.
Le pagine che seguono contengono un breve riepilogo degli ultimi avvenimenti, delle drammatiche settimane che dal primo intervento chirurgico del 10 marzo lo hanno visto intraprendere l’ultima, coraggiosa e insieme disperata battaglia contro un male rivelatosi improvviso e insieme incontenibile.
Segue l’ultima lettera che Spadolini – assistito fino in fondo dall’affetto dei familiari e degli amici – ha dettato il 29 luglio, in risposta ad altra lettera appena ricevuta dell’amico fraterno di decennali comuni battaglie in difesa di quella che Bobbio chiama l’ “Italia civile”, Alessandro Galante Garrone, uno dei collaboratori più fedeli della “Nuova Antologia”. Una lettera particolarmente significativa perché conferma il profondo attaccamento di Spadolini per la “Nuova Antologia”, l’amore e insieme la preoccupazione profonda per l’Italia, impegnata nel difficile passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, la lucidità piena e totale che ha accompagnato il Professore fino all’ultimo, “pria che l’ombra avvolgami”, come amava ripetere egli stesso citando uno dei maestri più cari, Piero Calamandrei.
[…] È quanto potevamo fare, nel rispetto delle sue scelte, nella mancanza di tempo e di spazio, e soprattutto nel senso di smarrimento che dal 4 agosto pervade molti di noi. Dedicheremo tuttavia al nostro direttore il prossimo fascicolo, al quale già stiamo lavorando: riproponendo oltre alla commemorazione ufficiale in Santa Maria Sopra Minerva, affidata il 5 agosto alle parole di Leo Valiani, con gli affettuosi e autorevoli interventi del presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, e del presidente del Senato, Carlo Scognamiglio, e di numerose testimonianze dell’indomani della scomparsa, testi originali dei collaboratori più stretti e pagine di lui e su di lui scritte in momenti diversi della vita. Unitamente a una diffusa nota bio-bibliografica e alla rievocazione del suo lungo e appassionato rapporto con la “Nuova Antologia”.
Un rapporto che continua, che va al di là della sua stessa vita terrena. Perché alla sua creatura, la “Nuova Antologia appunto, Spadolini è rimasto fino all’ultimo fisicamente e idealmente aggrappato. Consentitemi in questa sede di rivelare un particolare, relativo alle ultime ore, prima del progressivo e rapido abbandono della forze. Lunedì 1° agosto, alle 4.30 del mattino, Spadolini ha chiesto a Pino, il fedele infermiere della notte, di lasciare il letto per sedersi in poltrona: era l’ultima volta che lo avrebbe fatto. Accesa la luce, ha chiesto un libro a gesti più che a parole (così difficili ormai a pronunciare), ma non uno qualsiasi fra i tanti che affollavano i tavoli della stanza della clinica romana, divenuta ormai una biblioteca mobile (ha lavorato davvero fino all’ultimo), bensì uno preciso, sepolto fra molti altri. L’infermiere non comprendeva con la necessaria tempestività, ne alzava uno dietro l’altro porgendoli al Professore, che si inquietava sempre più, soprattutto con se stesso, per non riuscire a farsi subito capire. Finalmente un lampo negli occhi rasserenava il volto: Pino aveva “pescato” ciò che voleva, l’ultimo numero uscito della “Nuova Antologia”, quello dell’aprile-giugno 1994, con gli scritti di Valiani, Bobbio, Arnaldi, Galante Garrone, Bo e tanti altri amici. Ancora una volta, come faceva sempre quando gli consegnavo appena uscito dalla tipografia il fascicolo fresco di stampa, ha ripercorso lentamente il sommario, ha rivisto autori e titoli, uno ad uno. Soddisfatto, ha reso il fascicolo all’infermiere ed è tornato a coricarsi. Sono state quelle le ultime pagine che il destino gli ha consentito di leggere.
Ho portato a Firenze quella copia, che esporrò all’ingresso della meravigliosa villa di Pian dei Giullari che Spadolini ha lasciato alla Fondazione Nuova Antologia, erede universale dei suoi beni, compresi quadri e libri, i circa settantamila volumi che compongono la biblioteca, destinata ad essere aperta al pubblico al più presto, grazie anche al concreto impegno degli amici della Cassa di Risparmio di Firenze, che hanno adibito appositi locali, sulla collina di Pian dei Giullari.
Quella copia racchiude non solo i suoi ultimi sguardi, pensieri, sospiri, ma l’estremo atto di amore e di fede nella rivista e nei valori della cultura, della libertà, del confronto, della civile tolleranza che l’hanno ispirata e per i quali Spadolini si è sempre battuto e per i quali continueremo a batterci.
Negli ultimi quarant’anni Spadolini è stato per la “Nuova Antologia” assai più di un direttore. Basta pensare alla passione con cui salvò la rivista da morte certa del 1977, riportandola a Firenze, da Roma, e rilanciandola con successo grazie all’aiuto disinteressato di amici che si chiamavano Montale, Jemolo, Romeo e tanti altri, oltre a quelli prima citati. È una pagina di storia che ripercorreremo con molte altre nel fascicolo speciale.
Il Professore ci ha lasciati, ma la sua creatura deve continuare a vivere: non a caso l’ha affidata a una Fondazione, appositamente costituita e alimentata. Il suo insegnamento, la sua battaglia di educatore civile, la difesa della cultura, quella vera, libera e onesta, non asservita a nessun partito o fazione, restano vivi e limpidi in quanti hanno collaborato con lui.
Il suo insegnamento, al pari della sua eredità è rivolto a tutti noi, e sta a noi mantenerlo vivo, a vantaggio soprattutto dei giovani e delle future generazioni. Con il consenso e l’aiuto di tutti la rivista potrà accentuare la propria diffusione. Se i collaboratori della testata – che conserverà inalterata la proprio linea politico-culturale sotto la vigilanza di un prestigioso comitato scientifico di garanti – manterranno inalterato il proprio impegno, e se gli associati di conserveranno la loro fiducia e le loro sottoscrizioni, del che siamo certi, la rivista continuerà ad uscire libera e aperta al confronto delle idee come è stato fino ad oggi. È un impegno e insieme un appello. Perché la lezione di una intera vita non rimanga inascoltata.
Cosimo Ceccuti
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