La Reggenza Italiana del Carnaro




Io sono per il comunismo senza dittatura. È mia intenzione di fare di questa città un’isola spirituale dalla quale possa irradiare un’azione, eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse (Gabriele D’Annunzio)

SI SPIRITUS PRO NOBIS, QUIS CONTRA NOS?

100 anni fa, il 12 settembre 1919, duemila legionari partiti da Ronchi entravano a Fiume dichiarando l’annessione della città all’Italia.

L’impresa di Fiume dall’iniziale carattere meramente nazionalista e revanscista, passò in poco tempo ad ergersi come faro luminoso per i destini dei proletari italiani, fucina di idee rivoluzionarie per il nostro Paese e non solo. Grazie a figure come il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, Fiume ci regalò la Carta del Carnaro, uno degli esempi più belli ed alti di carta costituzionale, tanto da far sbocciare il reciproco riconoscimento e ammirazione tra la giovanissima Unione Sovietica e la Reggenza Del Carnaro di cui Lenin fu sostenitore.

Gramsci guardò con favore ed interesse gli avvenimenti, scorgendo in essi il prodromo di una Rivoluzione italiana, considerando che anche in Russia il socialismo s’instaurò nonostante i dettami di Marx non ne facessero il Paese adatto.

In un articolo dell’ottobre 1919, Gramsci valutò l’impresa di Fiume come un sintomo di quel processo di disfacimento che (secondo lui) stava in quel periodo gravemente indebolendo lo Stato italiano; Gramsci, infatti, interpretava la fondazione della repubblica fiumana come una iniziativa di tipo secessionista nei confronti del regno d’Italia; per Gramsci, il fatto che un avventuriero come D’Annunzio avesse potuto sfidare in armi l’autorità del governo era un segnale significativo della incapacità della borghesia italiana a conservare integro lo Stato unitario; nella visione gramsciana, solamente il proletariato avrebbe potuto, soppiantando per via rivoluzionaria la borghesia come classe dominante, impedire la disgregazione definitiva dello Stato.

In un successivo articolo del gennaio 1921, Gramsci riaffermò la sua interpretazione della impresa di Fiume come “clamorosa prova delle condizioni di debolezza, di prostrazione, di incapacità funzionale dello Stato borghese italiano in completo sfacelo”; osservò tuttavia che il Partito socialista non aveva saputo approfittare di tale situazione di debolezza dello Stato capitalistico (situazione che ora Gramsci riconosceva come temporanea) per rafforzare a fini rivoluzionari le posizioni del proletariato; Gramsci concludeva che la liquidazione della repubblica di Fiume compiuta da Giolitti aveva oggettivamente rafforzato lo Stato borghese e, di conseguenza, aveva indebolito politicamente la classe operaia.

In un articolo dello stesso periodo, Gramsci condanna duramente il “cinismo triviale” del governo Giolitti, il quale, durante l’impresa di Fiume, aveva dipinto nella sua propaganda con i colori più foschi D’Annunzio e i suoi legionari, indicati alla pubblica esecrazione come saccheggiatori e nemici della patria; ma – continua Gramsci –, dopo la conclusione dell’avventura fiumana, quello stesso governo ora concedeva a D’Annunzio un esilio dorato nel suo “palazzo principesco” di Venezia, e accordava ai legionari una piena e completa amnistia. Viceversa, osserva Gramsci, lo stesso governo Giolitti, nel settembre 1920, aveva promesso solennemente clemenza agli operai che avevano occupato le fabbriche, mentre ora perseguitava ed incarcerava parecchi di loro “colpevoli solo di aver lavorato durante l’occupazione”.

Occorre aggiungere che nei primi mesi del 1921, quando l’offensiva violenta dello squadrismo era ormai pienamente dispiegata, Gramsci intravide una possibilità di approfittare tatticamente del dissidio in quel periodo esistente fra D’Annunzio e Mussolini, e di tentare un accordo con i legionari fiumani per formare una coalizione armata contro i fascisti; tale tentativo si concretizzò nell’aprile 1921 in un viaggio di Gramsci a Gardone Riviera per incontrare D’Annunzio; ma tale incontro (di cui si era fatto mediatore un legionario che frequentava la redazione de “L’Ordine Nuovo”) non ebbe mai luogo.

Gramsci, pochi mesi prima, aveva cercato di analizzare i termini del contrasto tra dannunziani e fascisti: commentando una violenta zuffa avvenuta a Torino fra le due fazioni, Gramsci aveva osservato che, a differenza dei fascisti, i legionari erano tendenzialmente apolitici ed erano tenuti assieme dal solo vincolo della devozione personale a D’Annunzio; altra differenza tra fascisti e legionari (sempre secondo Gramsci) consisteva nell’estrazione prevalentemente borghese dei primi, mentre i secondi erano più che altro un “gruppo di spostati” senza una precisa collocazione di classe, i quali si illudevano di risolvere i loro problemi di sussistenza seguendo D’Annunzio nei suoi piani d’insurrezione militare.



D’Annunzio non fu mai fascista, i legionari contro il fascismo

A seguito dell’impresa fiumana il prestigio del poeta era altissimo, fa notare Giordano Bruno Guerri nello straordinario Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920. Molti erano convinti che l’autore de Il piacere potesse costituire un pericolo per il fascismo. Ernest Hemingway, in una corrispondenza dalla Svizzera per un giornale americano, scrisse: «In Italia sorgerà una nuova opposizione, anzi si sta già formando e sarà guidata da quel rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso che è Gabriele d’Annunzio». Condivideva (a modo suo) questa opinione il generale Emilio De Bono, quadrumviro della marcia su Roma e ora capo della polizia, che nel dicembre 1922 invitò i prefetti a «controllare e reprimere tutte le organizzazioni legate al suo nome, a partire dalla Federazione dei legionari». Nell’aprile 1923 la Federazione, i sindacati di ispirazione dannunziana e l’Associazione arditi d’Italia si misero assieme nell’Unione spirituale dannunziana, con l’obiettivo dichiarato di resistere al fascismo e di fondare una costituente sindacale ispirata a quella costituzione utopistica che aveva preso il nome di Carta del Carnaro. In seguito, fa notare Guerri, fra l’estate e l’autunno una raffica di perquisizioni e di arresti fece naufragare il progetto. Fu del resto lo stesso d’Annunzio a mettere le cose in chiaro con Mussolini scrivendogli (il 15 maggio 1923): «Io non voglio essere aggettivato… Il nome dannunziano mi era già odioso nella letteratura, odiosissimo m’è nella politica». Un modo quasi esplicito per dirgli che, pur non mettendosi di traverso, non voleva essere strumentalizzato. L’unico intervento del poeta nella vita pubblica fu nello stesso 1923 la difesa della Federazione italiana dei lavoratori del mare (del suo vecchio sodale Giuseppe Giulietti) ad impedire che fosse inclusa nei sindacati fascisti.

Vi fu chi cedette alle lusinghe e prebende del fascismo asservendosi al padronato e trasformandosi di fatto in oppressori dei propri fratelli lavoratori. E chi invece, grazie a eroi immortali come Argo Secondari, fondatore degli Arditi del Popolo, Aldo Eluisi e Mario Magri, entrambi assassinati alle Fosse Ardeatine perché partigiani, interpretò fino in fondo la consegna “Arditi, non gendarmi”.

Non solo rifiutando la comoda adesione al fascismo che dell’impresa di Fiume e della sua simbologia s’impossessò indebitamente, ma imbracciando fieramente le armi per difendere il Popolo lavoratore. Ecco perché Fiume fu un solco, “un solco profondo di sangue e macerie fumanti divide fascisti e Arditi”

Nel 1924 l’Unione spirituale dannunziana assunse un atteggiamento sempre più apertamente antifascista: nel corso della crisi successiva all’uccisione di Matteotti, si unì all’opposizione dell’Aventino e tra l’8 e il 10 settembre convocò a Milano un Consiglio nazionale. Qui i reduci dell’impresa fiumana non confluiti nel fascismo presero quella che Guerri considera una «decisione estrema»: vista la volontà del Comandante di appartarsi dalla politica, dichiararono di ispirarsi al pensiero e non alla persona di d’Annunzio, «per il raggiungimento», dissero, «di quegli ideali, consacrati nella sua multiforme attività», di cui avevano fatto il loro «credo». Recuperando le «vecchie consuetudini dell’Ufficio colpi di mano», in pochi giorni, «i legionari trasformarono l’Unione spirituale in un’associazione clandestina, con depositi segreti, tessere anonime e una rete di cellule incaricate di sostenere le lotte operaie e tutte le forme di opposizione al regime». Ma era tardi. Troppo tardi.

D’Annunzio non fu mai fascista. Ne è riprova il fatto che «fra gli oltre ventimila oggetti della sua casa non si trova un solo fascio o elemento che richiami il regime, se non relegato tra i doni che riponeva nel solaio». Parlava, il Vate, di «camicie sordide», mai di camicie nere; non celebrava le date sacre del regime e aveva quasi sempre parole di disprezzo per i gerarchi. Rispettava in Mussolini il demiurgo capace di realizzare «quel che a lui non era riuscito, una rivoluzione», ma sempre considerandolo «un uomo di gran lunga inferiore, umanamente e intellettualmente». Un uomo «tenuto a rendergli omaggio». Le sue lettere al Duce, «spesso citate a riprova di ammirazione e devozione», sono in realtà «un gioco di lusinghe e di minacce che più volte l’interlocutore non afferra»

Rivendichiamo con forza l’esperienza fiumana, ne rivendichiamo il valore simbolico del sacrificio e dell’ideale, vera e propria Patria ideale per tutti i popoli oppressi che non piegano la testa ai tiranni e ai divoratori di carne cruda, l’esempio di una Patria nella forma e socialista nei contenuti.

Rivendichiamo con forza l’esperienza fiumana, ne rivendichiamo il valore simbolico del sacrificio e dell’ideale, vera e propria Patria ideale per tutti i popoli oppressi che non piegano la testa ai tiranni e ai divoratori di carne cruda, l’esempio di una Patria nella forma e socialista nei contenuti.



«Siate forti e abbiate fede…soprattutto fede. Fede nell’avvenire in questa Italia che abbiamo tanto amata: fede in questa terra Madre di Eroi e di Geni. Fede in questo popolo che saprà rinnovarsi nel lavoro e nella pace. La vera pace domani aleggerà sicura sulle generazioni d’Italia, che saranno vessillifere all’avanguardia delle schiere del mondo in un’Era senza confronti, in cui i popoli tutti troveranno quanto hanno sempre agognato: La Fratellanza e il Lavoro»

Fonti:

Antonio Gramsci, L’unità nazionale in “L’Ordine Nuovo”, anno I, n. 20, 4 ottobre 1919.

Antonio Gramsci, Fiume in “L’Ordine Nuovo”, 11 gennaio 1921

Antonio Gramsci, Negazione di Dio in “L’Ordine Nuovo”, 6 gennaio 1921

Antonio Gramsci, Fascisti e legionari in “L’Ordine Nuovo”, 19 febbraio 1921

Patria Socialista

D’Annunzio non fu mai fascista Molti suoi «legionari» contro il Duce