a cura di Gabriele Paolini – In “Nuova Antologia”, a. CLIII, fasc. 2287, luglio-settembre 2018, Polistampa, Firenze, pp. 5-12.

Nel centenario di Mazzini il primo intervento politico dopo l’uscita dal “Corriere”

Il 14 marzo 1972 Giovanni Spadolini lasciava ufficialmente la direzione del «Corriere della Sera», pubblicando l’ultimo fondo dal titolo «Un congedo e un impegno»[1]. La decisione di chiudere il rapporto l’avevano presa unilateralmente i proprietari del quotidiano di via Solferino il 3 marzo, comunicandola d’improvviso[2] al diretto interessato. Fu un momento molto amaro per lui, che si vedeva gravemente colpito come figura pubblica.
Un’amarezza tanto forte quanto breve, perché l’indomani giunse l’offerta della candidatura al Senato nelle file del Partito Repubblicano da parte di Ugo La Malfa. Quest’ultimo aveva condiviso immediatamente il suggerimento formulatogli da Indro Montanelli, in una conversazione telefonica del 4 marzo[3]. «Perché non dai a Spadolini il collegio senatoriale che offrivi a me? È un bel nome, è più un politico che un giornalista, la pubblica opinione è tutta per lui, considerandolo vittima… Non mi lascia finire. “Magnifico!... Hai ragione… Magnifico!”».
I repubblicani dalla seconda legislatura in poi non erano più riusciti a conquistare un seggio senatoriale a Milano; tuttavia, qualora si fossero ripetuti i risultati delle regionali del 1970, sarebbe stato nuovamente possibile. La Malfa aveva già offerto la candidatura allo stesso Montanelli e a Leo Valiani, ricevendo però da entrambi un rifiuto. Spadolini – contattato dal segretario del PRI nella stessa mattina del 4 – aderì di slancio[4], anche se chiese un po’ di tempo prima di sciogliere ufficialmente la riserva.
In quei giorni ricevette l’offerta di tre diverse candidature. Si presentò prima Flavio Orlandi, a nome della segreteria del Partito Socialdemocratico; quindi Giovanni Malagodi, segretario del Partito Liberale; infine Giovanni Marcora, che gli proponeva di candidarsi come indipendente nelle file della Democrazia Cristiana. «Scelsi i repubblicani – ricorderà dieci anni dopo Spadolini – perché la loro posizione politica era stata quasi identica alla mia durante il periodo del “Corriere”. Era un rischio perché gli altri offrivano di più: sia i liberali che i socialdemocratici avevano già due senatori a Milano»[5].
La notizia della candidatura di Spadolini come indipendente nelle file del PRI in tre collegi senatoriali a Milano – I, II e IV – fu annunciata ufficialmente da «La Voce Repubblicana» il 9 marzo. Era lo stesso La Malfa a darne notizia in un breve fondo che apriva la prima pagina, intitolato «Valori civili»[6].
Esordiva respingendo l’accusa più comune rivolta allora al PRI, quella di essere un «partito con prevalente ispirazione economicistica o efficientistica». Al contrario proprio il quadro di valori civili che lo aveva sempre contraddistinto rendeva possibile «un incontro fra il nostro Partito e un uomo fra i più ascoltati ed autorevoli della nostra cultura storica e del nostro giornalismo, Giovanni Spadolini». Grazie a lui si apriva così la strada per una nuova battaglia in cui «la conoscenza degli uomini, delle forze, delle idee del Risorgimento e del post-Risorgimento e l’alta capacità giornalistica» venivano in appoggio all’impegno di un partito che dal Risorgimento traeva la sua maggiore e più genuina ispirazione. «Rivolgiamo a Giovanni Spadolini – era la conclusione – il nostro saluto ed il nostro augurio e lo ringraziamo per la fiducia che egli ha mostrato nell’impegno politico e morale del nostro Partito».
Il giornale riportava anche la dichiarazione in merito fatta all’ANSA da Spadolini[7]. «Ringrazio gli amici repubblicani per la candidatura offertami come indipendente per il Senato. È un momento in cui ognuno deve impegnarsi per la difesa dei valori supremi della libertà, insidiati e minacciati come non mai. Se la fiducia dei milanesi mi manderà a Palazzo Madama, riprenderò in quella sede la battaglia condotta per oltre quattro anni sulle colonne del “Corriere della Sera”, la battaglia per la tutela dell’equilibrio democratico, del dialogo fra mondo laico e mondo cattolico, della salvaguardia delle istituzioni repubblicane contro i fermenti torbidi e dilaganti di eversione o anche solo di confusa correzione in varie e spesso contraddittorie direzioni. Né mancherò di continuare una lotta che vorrei ricollegare all’esempio di Luigi Albertini: la lotta per la libertà di stampa, che è oggi anche lotta per il pluralismo dell’informazione, sia scritta che televisiva, contro ogni coartazione e livellamento. È un campo nel quale si impongono nuove iniziative: i tempi sono maturi».
In quei giorni la campagna elettorale non era ancora formalmente aperta ma ricorreva il centenario della morte di Giuseppe Mazzini: un’occasione troppo importante e simbolica per lasciarsela sfuggire. Quella ricorrenza fu anzi scelta da Spadolini e dai vertici del PRI per segnare il suo esordio nelle attività di partito, con una manifestazione pubblica che fosse ai confini tra storia e politica.
L’evento si svolse al Teatro Lirico di Milano, il 18 marzo 1972. Organizzato dall’Associazione Mazziniana Italiana, presieduta da Giuseppe Tramarollo, si aprì con un breve intervento di Ugo La Malfa, che ribadì la centralità e il significato della candidatura dell’ex direttore del «Corriere».
Spadolini aveva approntato per l’occasione un testo articolato in punti[8], piuttosto definitivo, anche se probabilmente suscettibile di essere ampliato durante l’intervento in alcune parti.
Esordiva indicando il senso della sua candidatura nel nesso inscindibile fra giornalismo e azione civile, fra milizia ideale e milizia politica, quasi mazzinianamente fra pensiero e azione. Trattando del profeta dell’Unità, si soffermava in particolare sull’ultimo decennio, amaro e tormentato, della sua vita: il Mazzini che non si piega alle soluzioni acquisite, che contrappone un modello ideale all’Italia realizzata dal genio di Cavour. Una lezione e un motivo che arrivavano fino ai nuovi maestri del ‘900, fino a Piero Gobetti, alimentando il filone revisionistico della storia italiana, con il senso dei problemi insoluti, delle questioni drammatiche lasciate in eredità alle generazioni successive.
Sulla scia di Mazzini, Spadolini rivendicava alla base della sua candidatura la difesa e la ricerca di una democrazia dal volto umano, contro ogni illusione tecnocratica, contro ogni seduzione di pseudo-riforme costituzionali. Ribadiva l’impegno a difendere le istituzioni repubblicane contro tutte le illusioni eversive e le tentazioni della violenza, pesanti eredità della Contestazione che stava ormai degenerando in lotta armata.
Seguivano altri punti fermi già anticipati da molti articoli sul «Corriere» negli anni di direzione, quali il convinto impegno per una proficua collaborazione fra laici e cattolici, su un programma concreto, su contenuti precisi e non utopistici o demagogici; il sostegno a tutte le battaglie per le riforme, in particolare a quella del diritto di famiglia; gli obiettivi di una retta e moderna riforma universitaria, la difesa del paesaggio e dei beni culturali, una linea di politica economica pluralistica e ancorata all’Occidente, contro ogni indulgenza reazionaria ma anche contro ogni evasione utopistica o livellatrice.
Temi che avrebbero caratterizzato per più di vent’anni, con coerenza e lungimiranza, le future battaglie di Spadolini come uomo politico, di governo e delle istituzioni.

Gabriele Paolini

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1) Ringraziamento affettuoso a Ugo La Malfa e a Giuseppe Tramarollo.
2) Significato ideale della mia candidatura come indipendente. Dopo quattro anni e più di direzione del Corriere, dopo oltre tredici di direzione del Resto del Carlino, è la riaffermazione nel nesso inscindibile fra giornalismo e azione civile, fra milizia ideale e milizia politica, vorrei dire mazzinianamente fra pensiero e azione, in una delle ore più difficili e tormentate della vita nazionale, solcate dai grandi nembi della contestazione e delle negazioni violente.
3) Pensiamo a Mazzini, cent’anni dopo come all’occasione di un severo esame di coscienza, di uno scavo in noi stessi, contro ogni indulgenza apologetica o celebrativa, contro ogni retorica statuaria o monumentale.
4) Vogliamo volgere soprattutto lo sguardo all’ultimo Mazzini, il Mazzini dell’estrema malinconica parabola successiva al 20 settembre, alla conquista monarchica che deludeva le speranze e le attese del grande profeta smagato.
È il Mazzini che incarna il momento della protesta, dell’eresia e del dissenso. È il Mazzini più vicino a noi: che si oppone alle soluzioni acquisite, che contrappone un modello ideale all’Italia realizzata, con una straordinaria soluzione diplomatica, dal genio di Cavour.
Ventidue anni fa, dalle colonne del Mondo, scrissi la prima storia dei repubblicani dopo l’unità, coi documenti di Giovanni Conti. Ricordo che Jemolo, in una recensione, esaltò la linea dell’ascetismo e della separazione politica contrapposta a quella dell’inserzione precipitosa ad ogni costo nella vita delle istituzioni, nella logica del potere.
Il quadro è chiaro. Mazzini isolato: le delusioni del ’66. Le falangi repubblicane divise dopo Mentana; il crescente dissidio con Garibaldi. L’uomo che dopo le estreme speranze di collaborazione del 1866, la terza guerra d’indipendenza, sogna di nuovo l’azione diretta degli italiani, fonda l’alleanza repubblicana universale, rinnova il sogno dei Bandiera o del 6 febbraio 1853 attraverso il caporale Barsanti o la spedizione di Sicilia. Il patetico arresto sul piroscafo che doveva condurlo a Napoli e Palermo.
5) Con Mazzini ritorna per noi il motivo del Risorgimento incompiuto. Vogliamo ricordare Francesco De Sanctis? “Mazzini fu il Mosè dell’unità, colui che intravide la terra promessa, ma non c’entrò: c’entrò Giosuè”.
Le potenti formule di morale collettiva. L’etica del mazzinianesimo: pensare ed operare, la vita è dovere, il dovere è sacrificio.
Attraverso Mazzini quel motivo arriva a Gobetti, alimenta il filone revisionistico della nostra storia. Il senso dei problemi insoluti, delle questioni drammatiche lasciate in eredità alle nostre generazioni.
6) Sulla scia di Mazzini, vorrei parlarvi del mio programma elettorale a Milano, del perché abbia accettato questa candidatura di democrazia laica, in difesa dei grandi valori civili, in tre collegi senatoriali di questa città cui è legata la più importante e riassuntiva esperienza della mia vita.
7) La rivendicazione di una democrazia dal volto umano, contro ogni illusione tecnocratica, contro ogni seduzione di pseudo-riforme costituzionali sulla base di dissimulati archetipi autoritari. Mazzini fu il solo che si pose il problema di identificare il cittadino e il credente; è un problema mai risolto nella storia italiana, ma sempre vivo.
8) La difesa strenua e coerente delle istituzioni repubblicane nate dalla Costituente, contro tutte le illusioni eversive e le tentazioni della violenza, drammaticamente compendiate dalla tragica vicenda dell’editore Feltrinelli[9]. Occorre riaffermare la maestà della legge repubblicana contro tutti gli estremismi: ma nell’ambito della Costituzione e al di fuori di ogni seduzione autoritaria o reazionaria, anche ammantata con le fughe nell’integralismo o nell’efficienza. Sono arrivato al Corriere agli inizi della contestazione; sono uscito tra le bombe molotov e i candelotti esplosivi. Una parabola illuminante.
La trasformazione dello Stato centralista in uno Stato fondato sulle regioni è uno dei problemi più gravi che incombe sull’incerto presente del paese; ma deve essere realizzato nella fedeltà agli ideali del Risorgimento, senza nessun carattere di vendetta guelfa.
9) La ferma collaborazione fra cattolici e laici, contro la riapertura delle guerre di religione, contro il risollevarsi degli storici steccati. È ancora la sola alternativa al disfacimento della democrazia italiana, contro le fallaci suggestioni degli equilibri più avanzati o più arretrati. Dopo le incertezze e gli errori di questa infeconda legislatura, la legislatura del disimpegno e della scissione, toccherà alla prossima ritrovare un ponte tra la Democrazia Cristiana e le forze di democrazia laica, su un programma concreto, su contenuti precisi e non utopistici o demagogici.
In questi quattro anni e più di Corriere abbiamo combattuto grandi battaglie. Vogliamo ricordarne qualcuna?
10) La lotta contro la repubblica conciliare. Il dialogo con La Malfa[10] e Silone[11] che inaugurò, nell’ormai lontano febbraio del ’68, la direzione del giornale di via Solferino. Il “no” ad ogni intesa di vertice tra cattolici e comunisti, sulla testa delle forze di democrazia laica e riformatrice (fino al duro attacco alla legge Carettoni[12], proprio alla vigilia delle oscure e tormentate elezioni presidenziali). Come esempio di ammiccante complicità fra impostazioni fideistiche.
11) La posizione sul divorzio e sul referendum. Mi sono coerentemente battuto, nella linea di separazione fra Chiesa e Stato che si riallaccia alle migliori tradizioni risorgimentali, per l’autonomia del potere civile in ogni occasione, pur sforzandomi di non offendere mai la coscienza dei credenti nei punti di fede, che valgono più di tutti i compromessi o gli armistizi fra i potenti. È la linea che ho chiamato del “Tevere più largo” e che ho legato alla rivendicazione ferma del 20 settembre 1870, al di là del dissenso che divise le forze democratiche avanzate da quelle liberali moderate.
12) Il fermo sostegno a tutte le battaglie civili, per le riforme dei codici, per la riforma del diritto di famiglia, per la più stretta tutela delle libertà individuali, per una retta e moderna riforma universitaria, per la riforma urbanistica mai contrastata dal Corriere in virtù di posizioni misoneiste e reazionarie, per tutto ciò che volesse dire allargamento dei diritti dei singoli, nel quadro di uno Stato veramente moderno. E vorrei soprattutto ricordare la lotta per la salvezza di Venezia, la lotta per la difesa del paesaggio e della natura, la lotta contro ogni speculazione.
13) Una linea di politica economica pluralista e occidentale, contro ogni indulgenza reazionaria ma anche contro ogni evasione utopistica o livellatrice.
14) E infine consentitemi di parlare, come punto fermo del mio programma per il Senato, della libertà di stampa, la più sacra fra tutte le libertà. Io vorrei continuare da Palazzo Madama la lotta che fu di Luigi Albertini, il grande direttore del Corriere, che obbedì solo alla propria coscienza e rifiutò ogni imposizione esterna: la lotta per la libertà di stampa che è oggi anche lotta per il pluralismo dell’informazione, sia scritta sia televisiva, contro ogni coartazione o soffocamento, comunque dissimulati. È un campo nel quale si impongono nuove iniziative: i tempi sono maturi. Mazzini diceva: “La stampa è immortale. Uccide, ma non è uccisa. Ogni potere che la vìola scava l’abisso che deve inghiottirlo. Vi sdrucciolerà presto o tardi, senza esserne avvisato”. Le minacce alla libertà di stampa si sono accresciute negli ultimi tempi; provengono dallo Stato e dalle forze del parastato, e non solo da quelle.
C’è un altro pensiero di Mazzini che merita di essere ricordato: “Io sento che avrei bisogno di essere milionario per fare un giornale o una rivista a modo mio, senza speculare sulla voga, spendendo per due o tre anni del mio, unicamente per mostrare a tutti come intendo io che si debba considerare questo ministero della stampa, così scaduto perché diventato strumento di traffico, mentre dovrebbe essere trattato a modo di vero sacerdozio: sacerdozio infatti perché dovrebbe essere opera di educazione tanto più importante dell’educazione domestica, in quanto la domestica non ha di mira che uno o due individui, mentre quella della stampa intende a educare le intere generazioni”.
Il giornale, disse in altra occasione Mazzini, deve essere atto di sacerdozio, opera di apostolato.
Ecco perché ho inteso il Corriere come organo di dibattito, di opinione, di formazione politica: sempre teso a rivendicare l’unità fra il giornalismo e la cultura, contro i nuovi mass media, in primo luogo la televisione. Ecco perché occorre garantire tali libertà in tutte le forme possibili. La società italiana si salverà dalla crisi attuale solo se si ritroverà nei valori della ragione e della tolleranza, contro ogni dogmatismo e ogni sopraffazione.
È una battaglia difficile, in questo autunno dei valori risorgimentali che incombe su di noi; ma non è una battaglia impossibile se ognuno di noi resterà fedele a se stesso e non piegherà mai a nessuna suggestione e a nessuna imposizione che non coincida con quella della propria coscienza.
La democrazia è in primo luogo, ci ricorda Mazzini, educazione e apostolato. Il solo grande apostolato laico del nostro tempo.


Giovanni Spadolini


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[1] Scritti giornalistici di Giovanni Spadolini. “Corriere della Sera” 1968-1972, a cura di P. Bagnoli, Firenze, Polistampa – Fondazione Spadolini Nuova Antologia, 2008, tomo II, pp. 701-704.

[2] Ciò avvenne in una maniera «sadica e fetente», come avrebbe poi ammesso la protagonista di quell’episodio: G. M. CRESPI, Il mio filo rosso. Il “Corriere” e altre storia della mia vita, Torino, Einaudi, 2015, p. 248.

[3] I. MONTANELLI, I conti con me stesso. Diari 1957-1978, a cura di S. Romano, Milano, Rizzoli, 2009, p. 187. Recentemente Adolfo Battaglia, esponente repubblicano assai vicino a Ugo La Malfa e presente al momento della telefonata, ha rivendicato la paternità dell’idea della candidatura di Spadolini a Milano, maturata quel 4 marzo subito dopo aver appreso dai giornali delle sospette “dimissioni” del direttore del «Corriere»: A. BATTAGLIA, Né un soldo né un voto. Memorie e riflessioni dell’Italia laica, Bologna, il Mulino, 2015, pp. 221-222.

[4] Secondo l’annotazione diaristica di Montanelli, Spadolini così si espresse con lui subito dopo la telefonata del segretario repubblicano: «Guarda che amico è La Malfa: mi ha proposto la candidatura al Senato… Spontaneamente: io manco ci pensavo… Ho accettato… Sono sulla cresta dell’onda… Alluvionato di telegrammi di simpatia e solidarietà… In tutta la città non si parla che di me… Per strada, nei salotti, dal fornaio». I. MONTANELLI, I conti con me stesso. Diari 1957-1978, cit., p. 187.

[5] Così nell’intervista a C. SABELLI FIORETTI, Spadolini. Il potere della volontà, Milano, Sperling & Kupfer, 1982, pp. 123-124.

[6] U. LA MALFA, Valori civili, «La Voce Repubblicana», LII, n. 56, 8-9 marzo 1972.

[7] Spadolini candidato per il PRI al Senato, «La Voce Repubblicana», LII, n. 56, 8-9 marzo 1972.

[8] All’epoca non fu pubblicato. Si conserva – in dattiloscritto con interventi autografi dell’autore – presso la Fondazione Spadolini Nuova Antologia, a Firenze.

[9] Pochi giorni prima, il 14 marzo 1972, era stato rinvenuto nei pressi di un traliccio dell’Enel a Segrate il cadavere dell’editore Giangiacomo Feltrinelli.

[10] Il primo articolo di fondo pubblicato da Spadolini come direttore del «Corriere della Sera», l’11 febbraio 1968, s’intitolava Il dialogo e trattava fra l’altro dei rischi di una “collusione clerico-comunista” alternativa al centro-sinistra e a danno dei partiti di democrazia laica: Scritti giornalistici di Giovanni Spadolini. “Corriere della Sera” 1968-1972, cit., tomo I, pp. 23-25. Il direttore ne trasse spunto per inaugurare una nuova area di dibattito, aprendo il giornale a personalità anche un po’ distanti dalla linea mantenuta sino a quel momento. Il leader del PRI fu tra i primi interpellati e aderì alla richiesta di intervenire sull’argomento con una lunga lettera aperta, pubblicata integralmente il 13 febbraio 1968 con il titolo La repubblica conciliare.

[11] Ignazio Silone fu il secondo ad intervenire nel dibattito promosso da Spadolini con un testo, pubblicato in prima pagina il 17 febbraio 1968, dal titolo L’ombra dell’articolo 7.

[12] La senatrice Tullia Romagnoli Carettoni, all’epoca segretaria del gruppo parlamentare della Sinistra Indipendente, promotrice di un disegno di legge sul divorzio. L’articolo con il duro attacco cui si riferisce Spadolini s’intitolava Il fatto compiuto e fu pubblicato il 3 dicembre 1971: Scritti giornalistici di Giovanni Spadolini. “Corriere della Sera” 1968-1972, cit., tomo II, pp. 646-648.