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Condor
Dezzani: il M5S, piano Usa nato per sterilizzare la protesta
Scritto il 29/9/19
Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.
In premessa, Dezzani ricorda gli albori della strategia della tensione, poi esplosa a livello mondiale l’11 settembre 2001. Già nel remoto 1963, prima ancora che nascesse il primo centrosinistra di Moro, il laboratorio-Italia serviva alla bisogna: l’analista Grillo e Di Pietrocita una relazione riservata del Sifar indirizzata al generale Giovanni Allavena, capo del controspionaggio. Per arginare l’avanzata comunista, si contemplava la possibilità di creare «gruppi di attivisti», pronti a usare «l’intimidazione, la minaccia, il ricatto, la lotta di piazza, l’assalto, il sabotaggio e il terrorismo». Trent’anni dopo, caduta l’Urss, la sovragestione torna in campo: la fine del mondo bipolare e la volontà di procedere a tappe forzate verso un “nuovo ordine mondiale” (Ue e allargamento della Nato a Est, neoliberismo e finanza selvaggia) comporta per l’establishment euro-atlantico la necessità di sbarazzarsi della vecchia classe politica dei “paesi alleati”, con cui si è vinta la guerra fredda. Alleati ormai inutili e anche scomodi, perché «abituati a ritagliarsi una certa libertà di manovra entro i paletti della Nato e propugnatori dell’intervento dello Stato nell’economia». Per l’operazione – da supportare a livello mediatico – viene prescelto un “contadino molisano”, Antonio Di Pietro: perfetto, per sembrare un uomo del popolo...
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