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    Predefinito 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    MARCO QUAGLIAROLI - PER IL 70° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DELLA REPUBBLICA POPOLARE DELLA CINA

    L’1 ottobre 2019 i partiti comunisti e i popoli dei paesi socialisti e antimperialisti di tutto il mondo celebrano il 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare della Cina.

    Sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre la nascita della Cina Popolare ha aperto la via della liberazione del terzo mondo dal colonialismo e dall’imperialismo.

    Oggi la Cina è la prima potenza mondiale e la stretta alleanza con la Russia e la RPD di Corea nel quadro del fronte socialista ed antimperialista mondiale costituisce la maggiore minaccia per il vampiro imperialista perennemente assetato del sangue dei popoli a tutte le latitudini.

    Dopo la fine dell’Unione Sovietica e del socialismo europeo, la Cina, grazie alla teoria delle quattro modernizzazioni e al socialismo con caratteristiche cinesi ha salvato le sorti del socialismo non solo nel proprio paese, messo a dura prova dai disastri della rivoluzione culturale, ma anche nel mondo.

    Se è vero che bisogna “cercare la verità nei fatti” non bisogna dimenticare che dal 1978 ad oggi 800 milioni di cinesi sono usciti dalla povertà e che 1560 milioni di persone – il 22% della popolazione mondiale – vive nel socialismo.

    Come recita la costituzione la Cina è un paese socialista fondato sul marxismo-leninismo, pensiero di Mao, teoria di Deng e teoria del socialismo della nuove era di Xi Jinping, sulla dittatura del proletariato e il ruolo guida del Partito Comunista.

    Nella dottrina marxista lo stato è uno strumento dell’oppressione di classe. In una società socialista esso deve sempre servire gli interessi della classe operaia e più in generale del proletariato al potere.

    Secondo Deng uno stato operaio e socialista come quello cinese può tollerare alcuni meccanismi di mercato solo se lo stato opera un severo controllo sulla macroeconomia.

    Il governo cinese tramite il socialismo di mercato ha notevolmente sviluppato le forze produttive ed ora che la tecnologia e il settore scientifico hanno raggiunto il livello dei paesi capitalisti avanzati, si vanno correggendo quei fenomeni negativi che Deng riteneva che si sarebbero presentati e i cui danni sarebbero comunque stati largamente inferiori ai benefici. Ci riferiamo alle disuguaglianze tra le provincie più avanzate e quelle più arretrate che ora stanno scomparendo e all’attuale graduale diminuzione del settore privato in favore di quello pubblico prevalentemente statale ma non solo, esistendo anche la proprietà cooperativa in consistente crescita, delle provincie e del sindacato.

    Inoltre in Cina è in corso anche una epocale rivoluzione ecologica iniziata nel 2012 che prevede 360 miliardi di investimenti e 13 milioni di nuovi posti di lavoro nel biennio 2019-2020.

    Molti non sanno, o fingono di non sapere, che dal 1978 ad oggi il settore privato è sempre stato minoritario ed oggi il settore statale è più ampio di quanto lo fosse in quell’anno.

    Nelle unità produttive l’investitore privato autoctono o straniero, non può possedere più del 49,9% dell’azienda; non può licenziare a piacimento e i diritti del lavoratore sono garantiti dal sindacato sempre fortemente presente. Inoltre la produzione è controllata dallo stato e dal comitato di partito della singola unità produttiva. Quando una Joint venture scade la proprietà torna allo stato.

    Deng fu chiaro sin dall’inizio della riforma: “La Cina deve mantenere la via socialista. Abbandonando il socialismo essa tornerebbe al semicolonialismo.”

    Lo studio del marxismo-leninismo è capillare in Cina. Xi Jinping ha conseguito la laurea in filosofia marxista.

    L’Accademia Cinese per le Scienze Sociali organizza convegni e seminari con la presenza di studiosi marxisti di ogni parte del mondo. Nelle scuole superiori e nelle università è materia di studio normalmente inserita nel curriculum didattico e infine i candidati a membri del partito devono studiarlo per due anni.

    Chiudiamo con alcune affermazioni di Deng, Xi e Castro che sintetizzano al meglio quanto sia giusto difendere la Cina Popolare.

    “Sino a che il socialismo non collasserà in Cina, esso avrà sempre la sua sede nel mondo.” Deng Xiaoping

    “Solo il socialismo può salvare la Cina e guidare il nostro paese allo sviluppo. Questo fatto è stato pienamente di mostrato attraverso la pratica a lungo termine del partito e dello stato ….. Il socialismo con caratteristiche cinesi è il socialismo e nient’altro. I princìpi del socialismo scientifico non devono essere abbandonati altrimenti non è più socialismo.” Xi Jinping

    “Non dimentichiamo mai cosa il socialismo ha realizzato in Cina. Un tempo era terra di fame, povertà e disastri. Oggi non vi è più nulla di tutto ciò. Oggi la Cina può nutrire, vestire, educare e curare 1200 milioni di persone. Le riforme hanno conseguito gli obiettivi dello sviluppo nazionale e del socialismo. Non esistono rivoluzioni pure. Anche a Cuba vi è un settore privato regolamentato dallo stato ma ciò non significa che abbiamo rinunciato al socialismo.” Fidel Castro, 1994

    In occasione delle celebrazioni per il 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare il governo cinese consegnerà a Raul Castro la Medaglia dell’Amicizia, la massima onorificenza dello stato cinese.

    Ciò ad ulteriore riprova degli strettissima alleanza internazionalista tra il dragone asiatico e il “caiman del Caribe”.


    https://ilventodellest2019.wordpress...re-della-cina/
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  2. #2
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    BOLLETTINO CULTURALE - LA CINA CI PARLA ANCORA



    A chi parla, a 70 anni di distanza, la rivoluzione cinese?
    In primo luogo parla ai cinesi. Il 1949 rappresenta una data spartiacque per la nazione cinese che “si alza in piedi” e avvia un processo contraddittorio di riscatto dal secolo delle umiliazioni, una traiettoria che ancora deve concludersi.
    Gli eventi di questi mesi hanno ben evidenziato come l’eredità del colonialismo e della spartizione imperialista del paese abbiano ripercussioni lampanti ancora oggi.
    Hong Kong, conquistata con i cannoni e l’oppio dagli inglesi, ancora deve essere riassorbita dalla Cina, su questo processo pesano le differenza della propria storia nel XX secolo.
    Il porto profumato mantiene degli elementi del capitalismo occidentale che ha scelto la strada del capitalismo fittizio per guidare il proprio processo di accumulazione, sacrificando il futuro dei propri giovani che senza prospettive si riversano in piazza scegliendo evidentemente il bersaglio sbagliato.
    La provincia ribelle di Taiwan ancora ostenta fiera la propria autonomia, giocando da pilastro offensivo dell’imperialismo statunitense.
    Contemporaneamente a ciò Xi Jinping ha portato la Cina guidata dal PCC nella sua terza era, diversa da quella maoista ma anche da quella successiva alle riforme del 1978.
    Con fatica cerca di ricostruire una legittimità del partito senza rinnegarne la storia, fa senso sapere che è il primo leader cinese dopo Mao a non voler minimizzare l’importanza della prima era.
    Potrebbe essere una sorta di sintesi tra Mao e Deng ma certamente ciò che potrà diventare questo immenso paese, che con coraggio cerca di imporsi come potenza mondiale e presumibilmente come nazione guida del nuovo ciclo di accumulazione, è ancora difficile da comprendere.
    Il conflitto sociale non è mai sopito, i giovani si avvicinano sempre di più al pensiero di Mao, chiedendo al PCC di essere coerente con gli ideali per cui dice di battersi.
    Giovani che si uniscono alle lotte degli operai e dei contadini nel paese, uniti nel chiedere di essere loro al comando del paese.
    A queste sfide il governo risponde cercando di implementare una serie di politiche di reflazione salariale e di ampliamento dello stato sociale che, assieme alla retorica nazionalista, hanno come bersaglio la classe media in ascesa del paese, autentica fonte di legittimazione del potere del partito.
    Oltre alla necessità di comprendere cosa avviene nel gigante asiatico destinato ad avere un ruolo sempre più centrale nel futuro dell’umanità, cosa ci dice a noi marxisti oggi la rivoluzione cinese?

    Dice ancora molto sulle sfide che pone la costruzione del socialismo ad ogni forza rivoluzionaria.
    Due sono gli elementi su cui ancora oggi ci fa riflettere la rivoluzione cinese in tutta la sua complessità, che per il sottoscritto abbraccia sia la sua prima fase, la resistenza all’imperialismo giapponese e la lotta contro il Kuomitang, che la seconda fase, la Rivoluzione Culturale, la dialettica distruzione/ricostruzione e masse/partito.
    Concetti che è possibile far valere operando una netta distinzione tra la rivoluzione politica, ovvero la presa del potere, e rivoluzione sociale, che sorge nel momento in cui si impone la necessità di operare la distruzione del modo di produzione capitalista, con la sua civiltà di rapporti di produzione ed interumani, qui inizia la vera transizione.
    Dopotutto una rivoluzione la si giudica dai mutamenti che è stata capace di portare nella vita quotidiana delle persone, quando la polvere della rivolta si posa.
    Mao cerca la leva della trasformazione contro la natura totalizzante del capitalismo che impedisce di sviluppare al suo interno modi di produzione differenti.
    Il capitalismo, in quanto fatto sociale totale, tenderà inevitabilmente a riprodursi anche sotto un bastone del comando di colore rosso, sfruttando ciò che sa fare meglio: produrre.
    Da Lenin in poi, la Terza Internazionale si è occupata dalla teoria della presa del potere intendendo la questione come sequestro della macchina statale da parte della classe operaia che, rimanendo dentro i processi dell’accumulazione nati con la “rivoluzione industriale” inteso come unico modello possibile, pretendevano di usarla per la liberazione del proletariato e contro gli sfruttatori di ieri.
    Si trattava essenzialmente di cambiare destinazione d’uso al plusvalore prodotto.
    Malgrado anche in Stato e Rivoluzione Lenin già affermava l’impossibilità di esercitare la dittatura del proletario per mezzo dello Stato, negando quindi la neutralità dei suoi apparati difesa allora dai teorici della Seconda Internazionale.
    Lo Stato accetta il cambio di autista al volante ma permane e riproduce quella divisione tra governanti e governati del vecchio regime sociale e perciò non si può usare questo strumento per costruire una diversa organizzazione della società.
    Lo Stato centralizzato però venne visto come l’unico strumento per accelerare lo sviluppo del paese, si diceva, in direzione del socialismo, imponendosi sui limiti della Russia dei Soviet e la loro parcellizzazione che rifletteva la parzialità dello sviluppo del capitalismo russo e dimostrando l’incapacità di creare una nuova organizzazione della società.
    Si apre quindi la strada alla centralizzazione statale, alle leggi “oggettive” del mercato, dello sviluppo gestite però da un potere politico.
    Mao risponde a questa evoluzione del marxismo sovietico ribadendo che non esiste autonomia dello Stato, in quanto risponde sempre alla natura della struttura economica.
    Non è determinante la proprietà giuridica dei mezzi di produzione, lo sono i rapporti di produzione.
    Ove permangono i rapporti di produzione capitalistici, con la produzione del plusvalore, la tecnica capitalista incarnata dal taylorismo sovietico, non può esistere il socialismo, non è rotto il processo di formazione dell’accumulazione che dalla fabbrica si estende al resto della società.
    Se permane come unico orizzonte quello dello sviluppo industriale, forma in cui vive lo sviluppo capitalistico, poco importa l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione.

    Eppure questo diventa il modello che dagli anni ‘20 si impone per giungere al socialismo, o meglio, come forma di accumulazione di recupero impersonata da questo gigantesco paese che funziona come una gigantesca fabbrica, parafrasando Marx, che invece di liberare la masse dal lavoro salariato universalizza ed esalta la figura dell’operaio.
    Si tratta di una forma di capitalismo senza capitalisti in cui però la fabbrica resta tale, come il rapporto tra industria e agricoltura, la divisione sociale del lavoro e il salario.
    Lo sviluppo monco deve sempre essere assistito dallo Stato, tra crisi produttiva nei settori alti e arretramento in quelli bassi, che si adopera per reintrodurre subito la concorrenza, bloccando la ristrutturazione brutale del capitale ed elargendo compensazioni dentro il posto di lavoro (incentivi economici) e fuori (welfare).
    Uno Stato-fabbrica non armonico e depoliticizzato.
    Mao parte da qui, dalla crisi del 1956, per criticare il modello sovietico, cercando di capire come aggredire il sistema dei rapporti di produzione capitalistici dopo la socializzazione dei mezzi di produzione.
    Riprende il filo del dibattito degli anni ‘20, quando Preobrazenskij parlava di accumulazione socialista basata sull’industria pesante e il massiccio prelievo di plusvalore dagli operai, divenuti ormai “soggetti del proprio autosfruttamento”, dirottando le risorse contadine verso l’industrializzazione urbana che con la collettivizzazione spera la rivoluzione dalle masse contadine.
    Mao cerca una via alternativa esplicitata dalle Dieci grandi relazioni in cui invita a modificare la concezione stessa di “lavoro”, “produttività” e “risorse” per uscire dal modello della rivoluzione industriale e mettere in discussione la stessa idea di “accumulazione socialista” propria del modello sovietico.
    Si tratta del grande attacco maoista al meccanismo del profitto come regolatore generale del sistema che annuncia un nuovo rapporto tra lavoro umano e risorse che diventerà il manifesto con cui nel 1966 le guardie rosse attaccarono il meccanismo di riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici in Cina.
    Da qui nasce il tentativo del Grande Balzo in avanti di dare in mano al produttore l’intero apparato economico, decentralizzando il sistema con un centro che si occupa di armonizzare il tutto.
    Questo tentativo di creare un nuovo modello di pianificazione fallisce, si scontra con delle calamità naturali, con il vuoto soggettivismo ma anche con l’ostilità sovietica, segno che questa via entra in rotta di collisione con l’accumulazione socialista.
    Il Grande Balzo in avanti offre due insegnamenti: come uscire dalla logica dell’industrializzazione e dell’accumulazione accelerata e le Comuni, per redistribuire il potere alla collettività locale e alla periferia.
    Si tratta di un nuovo modo di pianificare e pensare al lavoro in senso comunista che ha come massimo esempio l’avanguardia di Tachai.
    Partendo dalla teoria “squilibrio-equilibrio-squilibrio”, in cui il partito si trova nella posizione di equilibrio e di sclerosi, Mao invita i propri dirigenti ad imparare dalle masse, vivendo il rapporto di subalternità del lavoro manuale e andando in campagna per contrastare la centralità nella società della fabbrica e della città.
    Tutto ciò viene poi condensato nel 1966 dalla Rivoluzione Culturale, dall’invito di Mao a “bombardare il quartier generale”, riavviare la lotta di classe ma fuori dal partito ed anche dal concetto di Stato-partito che secondo questa idea deve essere distrutto da dentro.
    Il culmine si avrà nel febbraio 1967, con la Comune di Shanghai, il modello della Comune di Parigi che doveva essere esteso al resto del paese.
    Un’avanguardia che si spegne a causa dei suoi limiti e per l’arretratezza politica del resto del paese, vittima sopratutto dell'indottrinamento dell’era Liu Shao-Chi, ma anche della Comune stessa, incapace di creare quelle istituzioni e quelle parole d’ordine come i compagni parigini seppero fare.
    Il fronte della Rivoluzione Culturale e della rivoluzione cinese è quello della distruzione del modo di produzione capitalista, quello della messa in atto d’un rapporto di produzione, d’una strumentazione diversa dei dati materiali della produzione.
    La rivoluzione cinese, in tutte le sue due parti, ci ha insegnato a trasferire problemi teorici universali nella quotidianità della vita della gente comune, insegnandoci a non accettare una società consensuale nel lavoro e nella politica.

    Dedico questo scritto alla compagna Nie Yuanzi, morta il 28 agosto del 2019, autrice del primo dazebao della Rivoluzione Culturale nel 1966.

    https://bollettinoculturale.blogspot...-ci-parla.html
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  3. #3
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    DAVIDE ROSSI - Cina Popolare: 1° ottobre 1949 – 2019



    La Cina Popolare compie il 1°ottobre 2019 settant’anni, è uno stato marxista, guidato dal Partito Comunista in un quadro di pluralismo partitico che tutela le minoranze e contrasta ogni separatismo, rappresentando oggi la prima potenza economica e militare della terra. Una nazione impegnata nella costruzione di un mondo multipolare e di pace, in cui le risorse energetiche e alimentari del pianeta siano a servizio di tutta l’umanità, non a caso la Cina primeggia in investimenti nel campo ecologico e ambientale. Risorse non rapinate da una minoranza che vuole utilizzarle contro il resto del mondo, come purtroppo continua a comportarsi l’Occidente, sostenitore dell’unipolarismo. Il comunismo quindi non è crollato sotto il Muro di Berlino e con il tracollo dell’Unione Sovietica, una simile baggianata è buona solo per tranquillizzare i liberali e i socialdemocratici che controllano la politica e l’informazione in Europa. Il modello sovietico, soprattutto economico, era incapace di rispondere alle richieste dei cittadini. I cinesi ora invece viaggiano per il mondo, forti del loro reddito decuplicato in pochi anni e sono fieri di appartenere a una nazione che ogni anno traguarda nuovi primati. Il merito va a tutto il Partito Comunista di Cina e certamente un posto di riguardo deve essere riconosciuto a Deng Xiaoping, dirigente dai tempi della Lunga Marcia, segretario del Partito nei primi turbolenti anni della Repubblica, in cui lo sviluppo delle forze produttive da lui auspicato insieme a Liu Shaoqi e Zhou Enlai è stato frenato per un decennio dalla tragedia della Rivoluzione Culturale, con cui Mao Zedong, dopo essere stato il gigante che ha restituito dignità e libertà al popolo cinese, ha chiuso mestamente la sua parabola politica. Deng invece aveva capito che le potenzialità della Cina, nel solco del marxismo, sarebbero state un baluardo contro ogni possibile nuovo tentativo di aggressione o di forzata sottomissione tentate dall’Occidente. La Cina grazie agli insegnamenti di Deng praticati dal 1978 si erge nel tempo presente come fortezza capace di costruire dialogo e pace, sviluppo e crescita per tutte e tutti, a partire da chi si assocerà alla Nuova Via della Seta.

    Gli errori grossolani e meschini di Michail Gorbaciov hanno travolto, a pochi mesi dalla celebrazione del 70° anniversario dell’Unione Sovietica, la nazione che dirigeva. Xi Jinping con un ritorno forte all’identità marxista garantisce che questo non accadrà, anzi conferma quanto siano importanti per i cinesi il rispetto della volontà popolare, la tutela della sovranità nazionale, la costruzione di un dialogo internazionale in cui tutti gli stati siano intorno a uno stesso tavolo alla pari, non alcuni in piedi e altri genuflessi di fronte a chi ieri era più forte e oggi non lo è più.

    Per altro la lotta democratica del popolo cinese festeggia quest’anno il suo secolo, per trenta duri anni dal 1919 al 1949 il popolo cinese ha affrontato inenarrabili difficoltà, guerre, occupazioni straniere. L’inizio del cammino che porta all’affermazione e alla preminenza dello stato marxista coincide con la lotta per la libertà e contro ogni sfruttamento, interno a opera dei latifondisti ed esterno per mano dei colonialisti. È infatti nella primavera del 1919 che nasce il Movimento Quattro Maggio, detto “cinque quattro”, anticipando il numero del mese a quello del giorno, così ancora oggi universalmente conosciuto e celebrato. In quella data si è manifestato in tutta la sua forza il movimento patriottico cinese, che ha chiamato a respingere le decisioni di Versailles intese ad attribuire le pertinenze tedesche nella provincia di Shandong ai giapponesi e non alla madrepatria cinese, un movimento antimperialista e per la sovranità cinese. La manifestazione del 4 maggio 1919, come un impetuoso torrente, si sposta dalla piazza Tienanmen di Pechino a tutta la Cina, coinvolgendo operai e contadini proseguendo per tutto il mese di maggio e arrivando a bloccare Shanghai ai primi di giugno con uno sciopero generale di una settimana. L’impeto di quei giovani travolgerà la repubblica dei feudatari e dei proprietari terrieri che era scaturita dall’esaurirsi della stagione monarchica, costringendola a non firmare il trattato di pace parigino, comprendendo al contempo come il destino e lo sviluppo del paese sarebbe ricaduto per intero sui cinesi stessi, che non avrebbero avuto alcun aiuto dalle potenze occidentali.

    La fiaccola di quella battaglia per l’indipendenza, per la sovranità nazionale, per lo sviluppo tecnologico e scientifico, che avrebbe portato i taikonauti nello spazio, è diventata la linea politica del Partito Comunista di Cina, a segno di quanto il marxismo, con tutta evidenza, sia attuale.

    https://annaseghers.wordpress.com/20...bre-1949-2019/
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  4. #4
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    PARTITO PROGRESSITA DEI LAVORATORI (AKEL-CIPRO) - Messaggio dell'AKEL in occasione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese



    Il segretario generale del C.C. dell'AKEL Andros Kyprianou ha inviato oggi un messaggio al presidente della Repubblica popolare cinese Sua Eccellenza, il signor Xi Jinping in occasione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

    La parte principale della lettera è la seguente:

    "Vorrei esprimere le più sentite congratulazioni del Comitato centrale dell'AKEL e anche le mie in occasione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

    Il 70 ° anniversario della R.P. della Cina segna un corso di lotte e sacrifici del popolo cinese per la prosperità, il progresso, la pace e il socialismo. In tutti questi anni, la R.P. della Cina è stato un fulgido esempio di solidarietà e cooperazione con altri popoli con l'obiettivo di raggiungere la pace a beneficio reciproco.

    Le strette relazioni tra l'AKEL e il Partito Comunista Cinese sono sempre state orientate verso il rafforzamento delle lotte dei nostri due paesi per salvaguardare la loro sovranità e raggiungere la prosperità dei loro popoli. Speriamo che queste relazioni siano salvaguardate e continueranno nel prossimo futuro.

    Desideriamo che il 70 ° anniversario della Repubblica Popolare Cinese costituisca una pietra miliare nel rafforzamento degli obiettivi e dei piani del Paese per il suo futuro. Speriamo che questo futuro garantisca l'ulteriore prosperità e progresso della Cina e dei suoi abitanti.

    Per favore, trasmetti i nostri migliori auguri al popolo cinese."

    https://www.akel.org.cy/en/2019/09/3...blic-of-china/
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  5. #5
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    NUOVO PCI/CARC - Viva il 70° anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese!

    1° ottobre 2019

    Viva il 70° anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese!

    Essa risuonò in tutto il mondo come appello alla riscossa per i popoli di tutti i paesi oppressi e inferse un grave colpo al sistema imperialista mondiale!

    Il marxismo-leninismo-maoismo è il terzo superiore stadio, dopo il marxismo e il marxismo-leninismo, della scienza delle attività con le quali gli uomini hanno fatto e fanno la loro storia, guida indispensabile oggi dei comunisti che promuovono e dirigono la rivoluzione socialista!

    Il maoismo è il maggiore contributo che la rivoluzione cinese ha dato al mondo!


    Nella piazza Tienanmen a Pechino settanta anni fa Mao Tse-tung (Mao Zedong), capo del Partito Comunista Cinese (PCC) e presidente del governo popolare centrale, proclamò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC). Come disse Mao nella Proclamazione del governo popolare centrale che lesse quel giorno nella piazza, l’intervento delle forze armate dell’imperialismo USA non era riuscito a rovesciare le sorti della guerra: la guerra di liberazione nazionale era sostanzialmente vinta, le armate di Chiang Kai-shek erano in fuga su tutti i fronti. Iniziava la costruzione della nuova Cina.

    L’instaurazione della RPC fu uno dei grandi risultati della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale (1917-1976) sollevata nelle classi sfruttate


    e nei popoli oppressi di tutto il mondo dalla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre, dalla nascita dell’Unione Sovietica, dalla sua vittoriosa resistenza all’aggressione di tutte le potenze imperialiste e reazionarie del mondo (dagli USA al Vaticano, dal Giappone al Regno d’Italia), dai suoi progressi sotto la direzione prima di Lenin e poi di Stalin. “I cannoni dell’Aurora [l’incrociatore che nel 1917 contribuì alla conquista del Palazzo d’Inverno a Pietroburgo] hanno destato il popolo cinese”, proclamò Mao. Nel Telegramma di ringraziamento ai dirigenti del Partito comunista degli Stati Uniti d’America del 6 ottobre 1949 Mao ribadì che “la battaglia del popolo cinese è una battaglia contro l’imperialismo, in primo luogo contro l’imperialismo americano”.

    Quelli che oggi trattano la rivoluzione cinese e la fondazione della RPC come qualcosa di avulso dalla prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale travisano i fatti, fanno una ricostruzione della storia che impedisce di comprendere il corso delle cose. Sono mossi dall’anticomunismo e dalla cecità che esso produce anche in tanti intellettuali della sinistra borghese, perfino in alcuni che si dichiarano comunisti. Mostrare come la rivoluzione proletaria di un paese ha aiutato i popoli di altri paesi, è illustrare un aspetto importante del movimento rivoluzionario del quale le classi sfruttate e i popoli oppressi dal sistema imperialista mondiale hanno bisogno ancora oggi, è perseguire l’internazionalismo proprio del movimento comunista e riassunto nella sua parola d’ordine “Proletari e popoli oppressi di tutto il mondo, uniamoci!”.

    Oggi per le masse popolari, della rivoluzione cinese e dell’opera della RPC è utile parlare da molti punti di vista. Indubbiamente uno di essi è la natura e il ruolo che la RPC svolge attualmente, dopo la svolta impressa al suo sviluppo da Teng Hsiao-ping (Deng Xiaoping) e dai suoi seguaci, nel sistema delle relazioni internazionali e nella lotta di classe a livello mondiale. Il (n)PCI ne ha trattato ripetutamente, non solo nel suo Manifesto Programma ma anche nelle riviste Rapporti Sociali e La Voce e anche recentemente nell’Avviso ai naviganti 93 del 17 settembre Lettera aperta a Fosco Giannini, responsabile Dipartimento Esteri PCI.

    In Italia i compagni che vogliono avere un resoconto veritiero e dettagliato dello svolgimento della rivoluzione cinese hanno la fortuna di disporre delle Opere di Mao Tse-tung (nei 20 volumi delle Edizioni Rapporti Sociali).

    Noi qui dedichiamo la celebrazione del 70° anniversario della fondazione della RPC e della vittoria del PCC nella guerra contro l’imperialismo e la reazione, al maggiore dei contributi che il PCC ha dato al mondo: il maoismo.

    Il maoismo costituisce il terzo superiore stadio della scienza della rivoluzione proletaria mondiale. In ogni paese la rivoluzione socialista è una guerra condotta dalle masse popolari, ma si sviluppa e vince solo grazie all’opera consapevole del Partito comunista che la promuove e la dirige. Chi nega l’opera del Partito comunista nega la lezione dell’esperienza: in realtà rifiuta di assumere le responsabilità che competono ai comunisti. La comprensione che il movimento comunista cosciente e organizzato ha delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta tra le classi è la scienza che lo guida. Oggi questa scienza è il marxismo-leninismo-maoismo.

    Negli articoli L’ottava discriminante di La Voce 10 (marzo 2002) e L’ottava discriminante di La Voce 41 (luglio 2012) il CC del (n)PCI ha sintetizzato l’apporto del maoismo a questa scienza in 6 punti principali.

    1. – La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia universale della rivoluzione socialista, anche nei paesi imperialisti: per sua natura la rivoluzione socialista non scoppia e non può scoppiare. Tutti i partiti socialisti e comunisti che hanno atteso che scoppiasse, sono venuti meno al loro compito. La storia lo ha dimostrato.

    2. – La rivoluzione di nuova democrazia nei paesi semifeudali è una componente della rivoluzione socialista. Protagonista principale di questa è la classe operaia e il partito comunista è il suo partito. La rivoluzione di nuova democrazia è la rivoluzione democratica antimperialista diretta dal partito comunista.

    3. – La lotta di classe nella società socialista è indispensabile per condurre avanti la transizione dal capitalismo al comunismo. Nei paesi socialisti la borghesia non è costituita principalmente dagli eredi delle vecchie classi sfruttatrici: è costituita da quei dirigenti del Partito comunista, dello Stato proletario e delle altre istituzioni sociali che danno ai problemi di sviluppo della società socialista soluzioni ispirate dal sistema sociale e dall’esperienza dei paesi capitalisti.

    4. – La linea di massa è il principale metodo di lavoro e di direzione del Partito comunista verso le masse popolari. Essa consiste nel mobilitare in ogni ambito la sinistra perché unisca il centro e isoli la destra (quindi implica l’individuazione in ogni ambito della sinistra, del centro e della destra); nel raccogliere le idee sparse e approssimative delle masse popolari, elaborarle e portarle alle masse come linea perché la attuino.

    5. – La lotta tra le due linee nel Partito è il principio per lo sviluppo del Partito e la sua difesa dall’influenza della borghesia. È inevitabile che la borghesia eserciti una certa influenza nelle nostre file, come noi esercitiamo la nostra influenza nel campo borghese. Ad ogni passo dello sviluppo del Partito le scelte si riassumono in due vie e in due linee: una che fa avanzare la rivoluzione ed esprime l’interesse del proletariato e l’altra che frena la rivoluzione ed esprime l’influenza della borghesia. È indispensabile individuare le due linee e far prevalere la linea rossa.

    6. – I comunisti non sono solo il soggetto (i promotori e dirigenti) della rivoluzione socialista. Essi sono anche oggetto della rivoluzione socialista. Ogni persona che aderisce al Partito comunista è quello che è, ma è anche quello che non è ma che può diventare. Ogni comunista deve essere disposto a trasformare la propria concezione del mondo, la propria mentalità e in una certa misura anche la propria personalità per svolgere con maggiore efficacia il suo ruolo di promotore e dirigente della rivoluzione socialista: è la riforma intellettuale e morale (RIM) che fa parte della formazione permanente che il Partito dà a ogni suo membro.

    Il maoismo ha sintetizzato l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale: quello che prima i comunisti hanno praticato alla cieca, mossi dall’istinto di classe, senza la consapevolezza che rende i comunisti più forti nella lotta di classe che dirigono e nella lotta tra le due linee nel Partito. Il maoismo permette di capire quali sono stati, durante la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale, i limiti dei comunisti nella comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe che dirigevano. Tra questi 1. i limiti che hanno permesso ai revisionisti moderni (Krusciov e seguaci) di assumere nel 1956 la direzione in URSS e portarla nel giro di 30 anni alla dissoluzione, 2. i limiti che hanno reso i partiti comunisti dei paesi imperialisti, tra essi quello italiano, incapaci di portare la classe operaia a prendere il potere e instaurare il socialismo: in sintesi i limiti che hanno condotto all’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale.

    La crisi generale del capitalismo si aggrava, determinata irresistibilmente alla base dalla sovrapproduzione assoluta di capitale. La crisi ambientale, che ha la stessa origine, si è aggiunta alla crisi politica, economica e del sistema di relazioni sociali. Nel nostro paese si allarga la breccia aperta dalle masse popolari con il voto del 4 marzo 2018 nel sistema politico delle Larghe Intese tra PD e il polo Berlusconi: i due poli delle Larghe Intese franano. Ma la rivoluzione socialista avanza lentamente perché la trasformazione dei comunisti per convinzione e aspirazione in comunisti di nuovo tipo (promotori e dirigenti della rivoluzione socialista) è un processo nuovo e complesso. L’assimilazione e l’applicazione del marxismo-leninismo-maoismo sono indispensabili perché avanzi. Non a caso in questi mesi nel nostro paese crescono i “cercatori del vero partito comunista”, quelli che non si accontentano di unire i frammenti del PRC in vista del rientro delle istituzioni elettive della democrazia borghese (i fanatici delle elezioni) né di costruire un fronte di opposizione al governo M5S-PD, all’UE e alla NATO. Essi hanno bisogno di assimilare il maoismo. Portarli ad assimilarlo è compito e responsabilità di ogni membro del (n)PCI e della sua Carovana, un compito secondo solo a quello di promuovere la nascita e lo sviluppo di organizzazioni operaie e popolari in ogni azienda capitalista e pubblica.

    Attualmente tra i “cercatori del vero partito comunista” vi sono, quanto al maoismo, due correnti principali.

    1. Quelli che ignorano o rifiutano il maoismo e cercano di far rinascere e continuare l’esperienza del vecchio PCI: il PC di Marco Rizzo è un concentrato di comunisti di questo tipo. Essi rifiutano ostinatamente di porsi il problema dei motivi per cui né il PCI né i partiti comunisti degli altri paesi imperialisti hanno instaurato il socialismo nel proprio paese nel corso della prima crisi generale della società borghese (dagli anni ’80 del XIX secolo agli anni ’70 del XX). Ad essi il (n)PCI ha dato risposte nello scritto I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale. Si tratta per quanto riguarda i membri del (n)PCI e della sua Carovana di far valere in ogni caso particolare quelle risposte facendo leva concretamente sulle esperienze, sulle conoscenze e sulle argomentazioni dei loro interlocutori.

    2. Quelli che isolano il maoismo dal marxismo-leninismo, come nel passato alcuni isolavano il leninismo dal marxismo, trattando il leninismo come una specificità russa (a questi rispose magistralmente Stalin nelle lezioni del 1924 raccolte in Principi del leninismo). Essi si combinano con l’una o l’altra di tre correnti di pensiero della sinistra borghese (se ne alimentano e le alimentano):

    di quelli che dicono che la situazione è completamente cambiata, che il modo di produzione attuale (l’imperialismo, la globalizzazione, ecc.) non sono uno sviluppo necessario (una sovrastruttura) del vecchio modo di produzione capitalista analizzato da Marx (essi ripropongono le antidialettiche teorie di Bukharin & C che Lenin ha già confutato nel 1919 in occasione dell’ottavo Congresso del Partito comunista (bolscevico) russo);

    di quelli che cercano la “classe di riferimento” che quindi per loro non è la classe operaia, cioè l’insieme dei lavoratori che un capitalista assume con un salario per valorizzare il suo capitale facendo produrre beni e servizi che lui vende;

    di quelli che cercano le “istanze progressiste che maturano all’interno della società”: quindi per loro le “istanze progressiste che maturano all’interno della società borghese” non si sintetizzano nel comunismo indicato nel Manifesto del partito comunista (1848) di Marx ed Engels con il socialismo come sua fase inferiore, fase di transizione dal capitalismo al comunismo (Critica del programma di Gotha (1875)). Essi ignorano o rifiutano l’insegnamento di Marx che l’esperienza dell’Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti sorti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale ha pienamente confermato.

    Il maoismo non è una nuova dottrina, ma lo sviluppo, ad un nuovo livello, del marxismo-leninismo, a sua volta sviluppo ad un livello superiore del marxismo. Chi cerca di separare il maoismo dal marxismo-leninismo, come chi cercava di separare il leninismo dal marxismo, travisa la scienza fondata da Marx. Compie un’operazione diversiva, anticomunista. Contro di loro dobbiamo condurre una polemica argomentata ma netta e senza tregua, analoga per molti aspetti a quella che conducemmo tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 contro i promotori del Forum “il vecchio muore ma il nuovo non può nascere.

    Facciamo della celebrazione del 70° anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese un’occasione per far avanzare l’assimilazione del maoismo nel movimento comunista del nostro paese.

    Il marxismo-leninismo-maoismo è la scienza che guida noi comunisti nell’assolvimento del nostro ruolo!

    Viva Marx! Viva Lenin! Viva Stalin! Viva Mao Tse-tung!


    https://nuovopci.wordpress.com/2019/...polare-cinese/
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  6. #6
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    PARTITO COMUNISTA - Per il 70° anniversario della Repubblica Popolare Cinese



    Comunicato del SG del Partito Comunista, Marco Rizzo, in occasione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

    Il 31 gennaio 1949 le truppe dell’Esercito Popolare di Liberazione entravano a Pechino e il 1° ottobre dello stesso anno il Presidente Mao Zedong proclamava la fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

    Il processo rivoluzionario, iniziato nel 1921, che portò alla vittoria delle forze proletarie, guidate dal Partito Comunista Cinese, era stato lungo e durissimo. In questo processo, la lotta per il socialismo e l’emancipazione di enormi masse proletarie, urbane e rurali, era strettamente legata alla lotta per l’unificazione del paese, per la liberazione dall’occupazione giapponese e per l’indipendenza nazionale. Nonostante la Cina fosse allora un paese prevalentemente agricolo, la classe operaia fu in grado di esercitare il proprio ruolo egemonico, sviluppando una salda alleanza con i contadini, numericamente prevalenti ed ergendosi a classe nazionale nel senso gramsciano del termine. Mentre capitalisti e proprietari terrieri, rappresentati dal partito Guomindang e organizzati nel regime di Chang Kaishek, pur di mantenere profitti e proprietà, preferivano combattere l’Esercito rosso piuttosto che l’invasore giapponese, il Partito Comunista era alla testa del proletariato nella lotta per la liberazione, nazionale e sociale, trovandosi a combattere su due fronti contemporaneamente: contro l’esercito nazionalista del Guomindang e contro i giapponesi.

    La compattezza del blocco sociale proletario determinò il successo della brillante tattica della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, concepita dal Presidente Mao e la vittoria della rivoluzione proletaria.

    L’Unione Sovietica, guidata da Stalin, apportò un contributo fondamentale, militare e politico, alla vittoria del Partito Comunista Cinese e alla liberazione. Nel 1945, infatti, dopo la vittoria sul nazifascismo, l’Armata Rossa annientò, nell’arco di una settimana, l’armata giapponese del Kwantung, forte di un milione di uomini, fornendo armi e basi d’appoggio all’Esercito di Liberazione Popolare, un aiuto materiale e logistico che si rivelò determinante.

    La nascita della Repubblica Popolare Cinese fu salutata dai comunisti e dai proletari di tutto il mondo come un evento di portata storica: immense masse si liberavano dall’oppressione imperialista e dallo sfruttamento capitalistico per imboccare la via della costruzione del socialismo e della liberazione da un’arretratezza secolare. Lungo questo cammino vi sono stati successi e sconfitte, errori e deviazioni, che meritano analisi più approfondite, ma questo non offusca la grandezza e il significato di quell’evento fondativo che oggi abbiamo voluto ricordare.

    http://ilpartitocomunista.it/2019/10...polare-cinese/
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  7. #7
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    PARTITO COMUNISTA ITALIANO - 1° OTTOBRE 1949: A 70 ANNI DALLA NASCITA DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE IL RUOLO DELLA CINA OGGI

    Il primo ottobre del 1949 Mao Zedong dichiarò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. A 70 anni da quella storica Dichiarazione pubblichiamo le conclusioni che Fosco Giannini ha svolto ad un dibattito su “La Cina della Nuova Era” lo scorso venerdì 13 settembre presso il Circolo ARCI “La Cricca” di Torino



    di Fosco Giannini, direzione Nazionale PCI

    Care compagne e cari compagni, care cittadine e cari cittadini di Torino, in prossimità del 70° anniversario della Dichiarazione di Mao Zedong per la fondazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949) il PCI di Torino ha voluto, a partire dalla presentazione del libro “La Cina della Nuova Era” (curato da chi parla e da Francesco Maringiò ed edito da “La Città del Sole) avviare un dibattito sul ruolo della Cina oggi.Vorrei intanto ringraziare il foltissimo pubblico che questa sera ha voluto essere presente e ringraziare i compagni e le compagne del PCI di Torino che hanno organizzato così bene questo importante evento.

    Prima di addentrarci nel dibattito sulla Cina oggi e nella presentazione diretta del libro, che affronta i temi del 19° Congresso del Partito Comunista Cinese, svoltosi nell’ottobre del 2017, vorrei innanzitutto ricordare, rimarcare, il carattere di massa e democratico di questo stesso Congresso, che – come avevano fatto gran parte dei media occidentali – il quotidiano italiano “La Repubblica”, aveva invece presentato come “la discussione chiusa di una cerchia esoterica”.

    Bene: il 19° Congresso del PC Cinese si è invece svolto esattamente al contrario: i circa 90 milioni di iscritti al PC Cinese hanno partecipato al dibattito in tutti i territori e hanno eletto i 2.880 membri dell’Assise a Pechino.

    Il punto è che in Occidente permane una visione colonialista ed imperialista dell’Oriente, una visione che parte dal senso di superiorità della cultura occidentale e rende impossibile, per l’Occidente, la comprensione del nuovo Oriente, la comprensione dello stesso sviluppo economico, sociale e democratico cinese.

    Come introduzione alle questioni poste dal libro e relative alla discussione sulla Cina oggi, credo sarebbe opportuno misurare il livello del titanico sviluppo economico cinese degli ultimi 30 anni attraverso due questioni:-primo, i circa 800 milioni di uomini e donne cinesi che lo stesso sviluppo ha tratto fuori dalla povertà;-secondo, il potentissimo impatto politico e geo-politico della Cina Socialista sull’ultima fase storica mondiale.

    Per ciò che riguarda il primo punto: la guerra di posizione condotta dalla classe dirigente del PC Cinese ha visto negli ultimi 40 anni di Riforme e Apertura 800 milioni di cinesi affrancarsi dalla povertà, un fenomeno che è stato definito dalla Banca Mondiale come uno dei più grandi racconti della storia dell’umanità. Di questi 800 milioni, 60 sono usciti dalla condizione di povertà soltanto negli ultimi 6 anni.

    Il dato è enorme, d’importanza epocale. Tuttavia l’Occidente capitalistico tende a trascurare questo dato, a non attribuirgli l’immensa portata storica che ha. E pensare che nell’Occidente capitalistico, specie nell’area dell’Unione Europea, sta avvenendo esattamente il contrario di quanto è accaduto in Cina: in questa parte capitalistica del mondo, infatti, sempre più vaste sono le aree della povertà e del disagio sociale, come conseguenza della disoccupazione e della precarizzazione di massa, della specifica inoccupazione, precarizzazione e disoccupazione giovanile (in Italia oltre il 50% dei giovani sono senza lavoro), della distruzione del welfare e della sottosalarizzazione di massa.

    Secondo punto: il ruolo dello sviluppo cinese nel nuovo quadro internazionale.Il 26 dicembre del 1991 la gloriosa bandiera sovietica viene ammainata dalla cupola del Cremlino. Scompare l’URSS e cambia radicalmente la Storia. Fukujama decreta “la Fine della Storia”. Con la scomparsa dell’URSS si liberano immediatamente gli spiriti animali dell’imperialismo e del capitalismo mondiale. Il nuovo e intero mondo viene da essi percepito come un totale e smisurato mercato da conquistare, con le buone o con le cattive, con la penetrazione economica o con la guerra.

    La stessa concezione liberale, idealistica e anti dialettica de «la fine della Storia», già messa a fuoco da studiosi del campo conservatore, viene eletta a categoria assoluta e chiave di lettura della fase presente e del divenire. Con la sconfitta dell’URSS si afferma, da parte dell’euforico fronte imperialista e capitalista mondiale, che «la storia è conclusa» e «il socialismo si mostra ai popoli per quello che è: un’illusione irrealizzabile»; per il fronte imperialista e per il pensiero borghese la scomparsa dell’Unione Sovietica «ratifica» formalmente, anche sul piano filosofico, che «il capitalismo è natura, eterno e immodificabile».

    In questa stessa fase temporale nella Repubblica Popolare Cinese è in atto un duro scontro tra la corrente «riformista» del Partito Comunista Cinese, guidata da Hu Yaobang e la maggioranza del Partito, guidato da Deng Xiaoping. Hu Yaobang ha messo in moto un movimento («doppio cento») che si richiama (inopinatamente) a quello dei «cento fiori», del 1956; che tende a mobilitare di nuovo quel movimento, che chiede una maggiore separazione tra Partito e Stato ma che, nella stessa dinamica politica, sociale e ideologica messa in campo nella battaglia contro il Partito, sfocia nella sfera politico-culturale liberista, nella negazione dei prodromi del progetto «denghista» dell’«economia socialista di mercato», finendo per inclinare in senso antisocialista e filo americano.

    Una doppia inclinazione che porta il movimento «doppio cento» a cercare apertamente, nel 1989, il sostegno di Gorbaciov, già perdutosi, in questa fase, nel caos distruttivo dell’Unione Sovietica e dell’intero campo socialista e dunque osannato dai «doppiocentisti» durante la sua visita in Cina; sorretto, il movimento «doppiocentista», soprattutto da una parte del movimento studentesco di Pechino, sfociato e culminato – tra il 16 e il 17 maggio 1989, in piazza Tienanmen– nella richiesta di una democrazia borghese di stampo nordamericano, che se conquistata avrebbe decretato la morte del «socialismo dai caratteri cinesi» ancora in evoluzione.

    Come avrebbe fatto mancare (in relazione a ciò che lo sviluppo pieno del progetto «denghista» avrebbe, nei decenni successivi, positivamente rappresentato sia per il popolo cinese che per i popoli in via di liberazione nel mondo) il pilastro fondamentale per la ricostruzione di quel fronte mondiale antimperialista che, invece, in poco più di un quindicennio, si sarebbe ripresentato sulle scene internazionali.

    Lo scontro tra il movimento di Hu Yaobang e la sua degenerazione liberale e la linea di Deng Xiaoping è fortunatamente vinto da quest’ultimo e dalla maggioranza del Partito Comunista Cinese. Con la sconfitta del movimento «doppio cento» e la sconfitta della Piazza Tienanmen, la svolta politica ed economica cinese diretta ad un’«economia socialista di mercato» s’invola.

    Prima con Deng, poi con Jang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping alla guida del Partito Comunista Cinese, lo sviluppo economico porta la Cina – da un’arretratezza delle forze produttive ancora segnata, alla fine dell’era maoista, persino da alcuni caratteri feudali, specie nel lavoro dei campi, nella produzione agricola, ma non solo – a conseguire, «la posizione di seconda più grande economia del mondo, contribuendo per più del 30 per cento alla crescita economica globale».Gli 800 milioni di uomini e donne cinesi che nella nuova fase di sviluppo economico sono tratti fuori dalla miseria e dalla fame, dicono solo una parte della grande crescita cinese, che cambia positivamente il mondo mutandone i rapporti di forza tra poli e Stati imperialisti e poli e Stati dal carattere socialista, antimperialista e in via di liberazione anticolonialista.

    Uno sviluppo, quello cinese, che, incredibilmente, prende corpo in un contesto terribilmente ostile per ogni esperienza e progetto socialista e che la dice lunga sulla lungimiranza, sul senso rivoluzionario, sulla determinazione e sullo sguardo lungo dei gruppi dirigenti del Partito Comunista Cinese; un contesto segnato dalla controrivoluzione «gorbacioviana» e dalla conseguente scomparsa dell’URSS e del campo socialista; dalla scomparsa del Comecon (l’area di scambio mercantile socialista); dalla nuova aggressività economica e militare imperialista e dal fronte interno guidato da Hu Yaobang e da Piazza Tienanmen, un fronte ben visto dagli USA e dall’occidente capitalistico e obiettivamente diretto a destabilizzare il socialismo e il Partito Comunista Cinese.

    A posteriori, aiutati dallo stato presente delle cose, è facile dirlo: ma se il Partito Comunista Cinese non avesse scelto e intrapreso la via del pieno sviluppo delle forze produttive, attraverso il coraggioso lancio di quel progetto autonomo, indipendente dai poli imperialisti e capitalisti mondiali chiamato «economia socialista di mercato» e avesse invece mutuato le scelte «gorbacioviane», la Cina (invece di dotarsi di una propria, possente, autonomia) sarebbe stata, con ogni probabilità, preda, nella fase mondiale iperliberista successiva alla caduta dell’URSS, delle forze imperialiste; sarebbe stata penetrata da queste forze e avrebbe corso il forte rischio di una propria polverizzazione interna, di una propria implosione, a partire dall’immediata autonomia del Tibet, possibile primo mattone a cedere di un’intera struttura.Oggi possiamo più agevolmente affermare, alla luce dei fatti compiuti, che le vittorie «denghiste» su Piazza Tienanmen e sul movimento di Hu Yaobang (con il conseguente pieno avvio di quello che sarebbe stato il più grande sviluppo economico e sociale della storia dell’umanità, lo sviluppo cinese attraverso «l’economia socialista di mercato») si sarebbero offerte quali decisive basi materiali per giungere – da lì a pochi anni e in una fase storica così difficile per il movimento comunista, rivoluzionario e operaio mondiale da consentire alle forze imperialiste di credere davvero nella «fine della storia» – alla costituzione di un fronte antimperialista, e comunque libero dall’egemonia imperialista, in grado di cambiare i rapporti di forza mondiali a sfavore degli USA e delle altre potenze imperialiste.

    Parliamo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) che a soli 18 anni (un lampo, nella storia!) dalla caduta dell’URSS si uniscono – tra il 2009 e il 2010- al fine di sviluppare una politica non subordinata alle forze imperialiste e invece solidale con i popoli e gli Stati in via di liberazione. Un’unione, quella dei BRICS, che non è stata un fatto isolato, ma ha prodotto, attorno al cardine cinese, sempre più vasti campi di alleanze politiche ed economiche tra Paesi – dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia – in via di liberazione dall’egemonia imperialista. Costruendo un grande campo interattivo in espansione che è la vera e positiva novità storica di questa fase.

    Ora, nuove contraddizioni attraversano i BRICS, tuttavia è del tutto evidente come l’immenso sviluppo economico (e dunque politico e geopolitico) cinese sia stato il massimo collante di questa unione, di questo nuovo campo tendente a «spuntare le unghie all’imperialismo».Il tempo che ci separa dal 26 dicembre 1991 (autoscioglimento dell’URSS) ad oggi possiamo dividerlo – seppur rozzamente, ma per far «ordine» nel quadro internazionale – in tre grandi fasi: la prima, quella segnata dall’euforia imperialista successiva alla caduta dell’URSS e del campo socialista; la seconda, quella delle grandi lotte a carattere antimperialista e socialista che si alzano (raggelando il fronte che aveva «deciso» la «fine della storia») in tutta la loro evidenza in America Latina, che si allargano in Africa, che prendono forme antimperialiste diverse nella Russia di Putin, in India, che si consolidano in Vietnam e in altre aree dell’Asia. Tutte forme socialiste e antimperialiste che trovano nella Repubblica Popolare Cinese e nel suo sviluppo la loro prima e massima sponda, il primo alleato, il centro di gravità.

    La terza fase che possiamo mettere a fuoco, in questo lasso di tempo che ci separa dal fallimento «gorbacioviano» e dalle sue catastrofiche conseguenze, è quella che oggi viviamo: la fase caratterizzata dalla risposta violenta, militare dell’imperialismo a guida USA e NATO all’«insurrezione» antimperialista internazionale” e al rafforzamento del fronte antimperialista mondiale che trova nella Cina Socialista il proprio cardine.Come rispondono gli USA e la NATO alla ripresa di questo nuovo fronte antimperialista?

    Rispondono in due modi: con una nuova escalation militare sul piano mondiale ed un nuovo e vastissimo processo di militarizzazione internazionale da una parte; con un’acutizzazione dei processi di mondializzazione economica imperialista e con un neo-nazionalismo ed un neo-protezionismo – guidato da Trump – dall’altra.

    Sia la nuova espansione militare USA e NATO che le nuove politiche economiche segnata dal neo-nazionalismo che dal neo-protezionismo contengono in sé – recuperando la volontà di guerra di quell’ imperialismo che volle la Prima Guerra Mondiale- tutti i prodromi della guerra.Come risponde a questa nuova, attuale, politica economico-militare USA e NATO? La Cina Socialista risponde proponendo all’intero mondo una nuova politica economica caratterizzata da relazioni economiche e scambi commerciali vicendevolmente proficui tra Stati e Stati, tra popoli e popoli, risponde con un titanico progetto internazionale segnato dalla filosofia win-win e dalla Nuova Via della Seta.

    Ed è del tutto evidente che, mentre le nuove politiche imperialiste USA caratterizzate dalla centralità del rilancio dell’industria bellica e dall’aggressività neo-nazionalista e neo-protezionista sono grondanti di guerra, è del tutto evidente come, al contrario, la politica economica cinese segnata dalla filosofia win-win e dalla Nuova Via della Seta abbia assolutamente bisogno, per svilupparsi, della pace sul piano mondiale.

    La «legge» di Marx («il socialismo è lo sviluppo delle forze produttive») trova nell’attuale potenza internazionale cinese e del Partito Comunista Cinese, la sua probante conferma. Ed è, dunque, tale, rivoluzionario, sviluppo delle forze produttive che dobbiamo indagare, mettere a fuoco. Anche per rafforzare l’attuale pensiero politico-teorico comunista generale.Nell’affrontare «la questione cinese» e, in particolare, la relazione tra la NEP di Lenin e la «NEP» cinese, credo sia utile affidarsi ad una disciplina teorica, la massima disciplina teorica, quella secondo la quale è dalla base materiale dello sviluppo delle forze produttive e dallo sviluppo sociale generale che trovano possibilità di sviluppo le stesse «idee» e, più precisamente, le innovazioni – antidogmatiche, dunque, per la loro stessa natura di «forme» innovative – sui terreni dell’economia, della politica, della teoria, del pensiero e della prassi della trasformazione sociale, della transizione al socialismo.

    Ed è indubbio che il titanico sviluppo economico e sociale intrapreso e conquistato dalla Repubblica Popolare Cinese e dal Partito Comunista Cinese, dalla fase delle «Quattro Modernizzazioni» del compagno Deng Xiaoping e dalla via al «socialismo con caratteri cinesi», si sia offerto quale immensa e solida base materiale per lo stesso sviluppo di un nuovo pensiero rivoluzionario generale, di un nuovo e denso pensiero per la trasformazione sociale e la transizione al socialismo.

    È questo – la relazione tra sviluppo della materialità delle cose e lo sviluppo teorico-filosofico in senso rivoluzionario – uno degli aspetti, dei «prodotti», della storica crescita materiale cinese, un aspetto, forse, non considerato ancora pienamente, nella sua importanza, all’interno del movimento comunista e rivoluzionario mondiale. Ma un aspetto che, invece, occorrerebbe assumere pienamente, come formidabile arricchimento del bagaglio teorico e pratico del processo rivoluzionario, specie in questa fase storica segnata – oltre che da un avanzamento del fronte antimperialista trainato proprio dallo sviluppo cinese – anche da processi involutivi e di indebolimento del pensiero e della prassi comunista sul piano internazionale.

    Specie in Europa, ove con ogni evidenza l’«eurocomunismo» ha seminato i suoi danni. È anche da qui, dunque, dal contributo che lo sviluppo delle forze produttive cinesi, dal contributo che la «NEP» cinese ha fornito allo sviluppo dell’attuale pensiero rivoluzionario, che si può iniziare a tratteggiare un’analisi comparata tra NEP leninista, rimozione della stessa NEP leninista e «NEP» cinese, anticipando – in modo sintetico – una valutazione: come la conquista dell’obiettivo dello sviluppo delle forze produttive ha potuto darsi – in Cina – come base materiale dello sviluppo del pensiero rivoluzionario, così la troppo lunga stagnazione sovietica si è data – infine – come base materiale della cristallizzazione e dell’involuzione del pensiero e della prassi del socialismo in Unione Sovietica.Quali sono le «categorie» centrali che, come proiezioni della propria, nuova, poderosa, forza materiale, la Cina socialista ha potuto mettere in campo?

    Sinteticamente: il pieno ripristino dell’azione soggettiva e antipositivista nel processo storico (Lenin, Gramsci) e ciò in rapporto al rovesciamento del dogma secondo il quale la contrapposizione sarebbe secca: o socialismo o mercato; il superamento, nella prassi, dell’artificiosa dicotomia relativa alla «neutralità» o non «neutralità» delle forze produttive, dicotomia risolta, nell’esperienza del «socialismo con caratteri cinesi», dal controllo del Partito Comunista sulle stesse forze produttive (esigenza già richiesta, dal Lenin della NEP, nella proposta del «controllo dalle alture strategiche»), forze produttive ridotte a pure «funzioni» del progetto del «socialismo di mercato » a guida comunista; conseguentemente a ciò, una concezione del mercato come spazio economico e politico anch’esso funzionale al progetto di necessaria accumulazione originaria, imprescindibile per la transizione al socialismo, un mercato – dunque – pienamente assunto, nella prassi e nel pensiero, come forma storica non perenne ma dialettica, cavallo di Troia materiale per il socialismo.

    E altre categorie: come l’internazionalismo oggettivo (e soggettivo) che scaturisce dalla stessa potenza economica, in grado di mettere in campo relazioni e grandi e positive sfere d’influenza sul piano mondiale, capaci di mutare i rapporti di forza internazionali in senso antimperialista; e, ancora, la vera e propria cancellazione della «cultura» piccolo borghese (ma tanto funzionale alla critica imperialista alla Cina socialista) tendente a mitizzare le fasi preindustriali e contadine, demonizzando lo sviluppo economico.Sia Flaubert che Marx ed Engels avevano già fustigato tale untuosa tendenza piccolo borghese: Flaubert nel romanzo «Bouvard e Pècuchet», dove è descritto il «desiderio» della piccola borghesia di «tornare alla terra in un mondo senza più l’orrore dell’industria», un desiderio che dura il tempo di conoscere la fatica bestiale dei campi, per poi celermente scomparire; Marx ed Engels nel «Manifesto del Partito Comunista», quando scrivono dell’«idiozia di una vita rurale racchiusa nella miseria e nell’ignoranza bruta».

    Il punto è che per l’ideologia piccolo borghese, anche «di sinistra», nulla è contato l’aver tratto fuori dalla miseria, come ha fatto il socialismo dai caratteri cinesi, quasi un miliardo di persone dall’orrore della fame e della morte per inedia.Come nulla è contato, per questa stessa ideologia, anche «di sinistra», il fatto che lo sviluppo cinese abbia innestato un nuovo e potente motore nel camion dell’antimperialismo mondiale.Marx ed Engels, per ragioni storiche, oggettive, non sono mai stati di fronte ai problemi pratici della costruzione del socialismo. E mai hanno potuto sviluppare un’analisi scientifica rispetto al rapporto tra economia di mercato e socialismo.

    È stato Lenin – a dimostrazione della propria inclinazione antidogmatica, la stessa che lo portò alla concezione dell’«anello debole della catena» – il primo comunista ad interessarsi alla questione. Naturalmente, il Lenin della presa del potere, dell’Ottobre, non metteva in discussione la concezione dell’incompatibilità tra socialismo e mercato. Una posizione rafforzatasi nella fase terribile della guerra contro gli undici eserciti stranieri e della controrivoluzione in atto.In quella fase la concezione di Lenin era lineare: lo Stato doveva mettere sotto controllo totale sia la produzione industriale che le eccedenze dei raccolti del grano. In questo quadro «l’economia di mercato» e «il libero commercio» erano considerati, anche sul piano ideologico, concezioni contro-rivoluzionarie. Questa politica, come è noto, prenderà il nome di «comunismo di guerra» e terminerà all’inizio del 1921.

    Ma, sconfitta la controrivoluzione, l’enorme massa dei contadini non accettò più i sacrifici imposti dal «comunismo di guerra» e Lenin si fece carico, più di ogni altro dirigente, della contraddizione sociale in atto, che lo portò a ragionare sull’esigenza dell’alleanza contadini-operai. Un’alleanza che Lenin, all’inizio, tentò di saldare anche attraverso un’innovazione politico-teorica: lo scambio di prodotti (baratto di merci) tra contadini e operai, tra grano e beni industriali. Non sarebbe stata la soluzione, ma un’epifania: l’indicazione di marcia, da parte di Lenin, era già potente, antidogmatica, una premessa della stessa NEP. NEP che partì nell’ottobre del 1921, quando Lenin si convinse della necessità dell’economia di mercato, linea che produsse non poche contraddizioni all’interno del Partito Comunista Russo, contraddizioni e resistenze che Lenin vinse ma sarebbero poi tornate, con Stalin, sotto forma di totale contrarietà, nella fase della fine della NEP.

    Quale corredo politico-teorico lascia la breve esperienza della NEP leninista? Lascia, innanzitutto, una riflessione, da parte di Lenin, profonda e proficua, un vero e proprio apparato teorico (accantonato) a sostegno del «socialismo attraverso un’economia di mercato». Lenin mette a fuoco la concezione dell’«uklad», una struttura socialista, una produzione economica socialista in grado di svilupparsi proprio in virtù della competizione con le strutture neocapitalistiche interne al socialismo. Una visione, questa di Lenin, addirittura preveggente, rispetto alla futura stagnazione sovietica brezneviana e in accordo con lo stesso, odierno, tipo di sviluppo e proficua competizione stato-mercato del «socialismo con caratteri cinesi».

    Oltre ciò, Lenin affronta il problema dell’entrata dell’economia di mercato (e persino del capitale straniero) nel socialismo in termini nuovi, sottolineando gli aspetti positivi, per ciò che riguardava e riguarda il necessario sviluppo generale delle forze produttive, di queste «entrate» capitalistiche.Un altro aspetto anticipato da Lenin, nell’analisi del «socialismo di mercato», sta nel fatto che, in presenza di spinte neo capitalistiche nella struttura socialista, elementi «mafiosi», di corruzione, di involuzione burocratica possono inevitabilmente presentarsi.

    Ed è a partire da ciò che Lenin stesso proponeva una forte spinta politica e ideale ai fini della costruzione di un’autodisciplina nelle istituzioni pubbliche, oltre la proposta di un controllo esercitato contro le degenerazioni da parte del potere socialista. Ciò che dobbiamo rimarcare, da questo punto di vista, è il fatto che le degenerazioni di cui parlava Lenin si siano poi presentate, anche in forma massiccia, nell’esperienza sovietica priva di mercato, come a dire che non basta la cancellazione del mercato a impedire il formarsi della corruzione, questione che – ci sembra – sia presente al Partito Comunista Cinese, che sta intervenendo giustamente e con polso fermo contro i fenomeni di corruzione in seno al «socialismo con caratteri cinesi».

    Non è senza significato, da questo punto di vista, il fatto che l’88% dei delegati al 19° Congresso del PC Cinese sia entrato nel Partito dopo le riforme di Deng.La stessa questione – ai fini rivoluzionari e di sviluppo del socialismo – dell’«apprendimento» (categoria sviscerata nella ricerca leninista di allora) da parte del socialismo dei meccanismi produttivi capitalistici era considerata da Lenin centrale; come centrale, architrave del processo, era considerata da Lenin la concezione delle «alture strategiche», terminologia mutuata dalla guerra e utilizzata per rimarcare, da Lenin, l’esigenza del controllo socialista su tutto il piano NEP, il controllo del potere rivoluzionario sullo stesso «socialismo di mercato ».

    Cosa è stata, in fondo, la giusta reazione del Partito Comunista Cinese in Piazza Tienanmen, quando l’imperialismo USA soffiava sul fuoco, se non l’applicazione rivoluzionaria della difesa del socialismo dalle «alture strategiche»? Possiamo, anche in questo caso, fare ricorso ad un intervento che appare nel libro di cui parliamo questa sera libro, quando si citano le parole che Gillo Pontecorvo fa pronunciare ad Alì Ben Mihdi ne «La Battaglia di Algeri»: «Cominciare una rivoluzione è difficile, anche più difficile continuarla, e difficilissimo vincerla.

    Ma è solo dopo, quando avremo vinto, che inizieranno le vere difficoltà!».E che cos’è – se non una mutuazione delle categorie leniniste – la parola d’ordine uscita dal 19° Congresso del PC Cinese relativa al «maggior controllo», da estendere per la difesa del socialismo, da parte del Partito»?La NEP leninista, seppur tra difficoltà e contraddizioni, favorì un grande sviluppo economico, riconosciuto come tale anche da Lenin nei suoi scritti precedenti la morte. Uno sviluppo che non aveva inficiato il progetto ed il potere socialista, ma l’aveva persino rafforzato nel senso comune del popolo sovietico.

    Lenin muore nel gennaio del 1924 e la NEP inizia a spegnersi da quella data. Si protrae, di fatto, sino al 1930, ma, con la «collettivizzazione forzata delle campagne», condotta da Stalin, essa termina di esistere.Colpa di Stalin? Noi comunisti ci rifiutiamo di rispondere in questi termini alla domanda. La demonizzazione di Stalin è già così potentemente portata avanti dall’occidente capitalistico che non ha bisogno dell’aiuto dei comunisti.

    Noi possiamo e dobbiamo criticare anche l’azione di Stalin, come i compagni cinesi criticano la «Rivoluzione Culturale», ma, come il PCC che rivaluta l’azione rivoluzionaria storica di Mao, noi comunisti italiani sappiamo rivalutare l’azione rivoluzionaria storica di Stalin.Altra cosa è un’analisi profonda e seria relativa al superamento della NEP da parte di Stalin, analisi che ancora non è sufficientemente sviluppata e che deve invece svilupparsi, anche perché riguarda una fase decisiva per arricchire lo stesso bagaglio teorico del movimento comunista mondiale.

    Certo è che Stalin va dritto verso l’abolizione della legge del valore, non delineando una fase di passaggio e di transizione al socialismo; risponde con più «automatismi» ideologici, nella lotta contro il mercato, rispetto alla creatività teorica e politica di Lenin e, soprattutto, Stalin inizia ad operare in un contesto segnato dal riarmo e dall’aggressività bellica imperialista, delle spinte alle quali si aggiungono, all’interno dell’URSS, nuove tensioni e contraddizioni, date anche dallo sviluppo spurio e non ancora reso armonico al socialismo della NEP.

    Spinte belliche imperialiste e contraddizioni interne che inducono Stalin a decidere che l’URSS, in quella fase, non può reggere le politiche e le inevitabili contraddizioni della NEP e che, dunque, la Nuova Politica Economica va disinnescata.D’altra parte, è un insegnamento della stessa, attuale, esperienza cinese che il «socialismo di mercato», e comunque un processo di transizione al socialismo, ha innanzitutto bisogno di un contesto internazionale di pace.

    E tale assunto è facilmente constatabile proprio in questa fase: contro la nuova, gigantesca «One Belt One Road», la Nuova Via della Seta cinese, dal successo della quale può oggettivamente partire un grande aiuto sia alla pace mondiale che alle fortune del socialismo, si erge la contrarietà imperialista, che si materializza, intanto, attraverso il minaccioso rafforzamento della flotta militare USA e NATO nei Mari del Sud della Cina e nei porti delle Filippine; attraverso la rimilitarizzazione, sostenuta dagli USA, del Giappone; attraverso la costruzione di uno scudo stellare nella Corea del Sud contro la Corea del Nord; attraverso il moltiplicarsi delle esercitazioni militari USA-Corea del Sud; attraverso la demonizzazione della Corea del Nord e attraverso la collocazione di basi militari USA e NATO sia in Ucraina che in Afghanistan, motivo primario degli interventi militari USA e NATO in questi due Paesi.Per riprendere il filo del discorso sull’economia sovietica, discorso funzionale allo studio del «socialismo dai caratteri cinesi»: cosa sostituisce, Stalin – ai fini della produttività di massa, dello sviluppo delle forze produttive e ai fini di una nuova accumulazione – alla NEP?

    Indubbiamente Stalin sostituisce alla Nuova Economia Politica la forza intrinseca dello stesso socialismo sovietico che va (dentro un mondo ostile e di fronte alla concezione quasi planetaria di un capitalismo concepito come «natura» e dunque insuperabile) controstoricamente costruendosi; costruzione concreta alla quale, tuttavia, aggiunge elementi fortemente idealisti che hanno la forza di protrarsi nel tempo (il lavoro d’assalto, l’emulazione, lo stakanovismo, l’onda lunga e idealista della Rivoluzione d’Ottobre, che tutto unisce e spinge) ma che – proprio perché elementi non materialisti – possono durare sino alla vittoria sul nazifascismo e non evitare la grigia caduta ed evaporazione nella lunga stagnazione brezneviana. Nel senso, prosaico ma concreto, che non si poteva chiedere l’emulazione di massa e lo stakanovismo alle generazioni venute dopo la guerra.

    Persino Ernesto Che Guevara (un iper idealista), per ricordare la storia, da Ministro dell’Economia, dopo la Rivoluzione Cubana, punta, dopo deludenti esperienze sul campo del la mobilitazione sentimentale, a introdurre, per aumentare la produttività, il cottimo. Introduzione vissuta da Guevara come una sconfitta.Dopo la NEP, l’Unione Sovietica non conosce più altro sistema che quello dello «Stato totale», dove, mano a mano, la spinta alla produttività e allo sviluppo delle forze produttive va anchilosandosi. Nel sistema viene a presentarsi anche una contraddizione di natura degenerativa: una sorta di scambio tra mancanza del mercato e delle merci, mancanza di democrazia sovietica e allentamento, sino quasi alla cancellazione, del controllo nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e di produzione.

    Uno sviluppo senza più la NEP di Lenin né l’idealismo ed il controllo di Stalin.Il processo ideologico di «svalorizzazione» del lavoro e della produttività diviene una sorta di involucro che tutto segna di sé e, in questa palude, la riproduzione della produzione e dei mezzi di produzione – che va avanti, dalla fine degli anni ’60 in poi, come una coazione a ripetere, senza dinamizzazioni o svolte significative – diviene un processo in via d’esaurimento.

    Nella mancanza – spesso disperata, per i cittadini sovietici – delle «merci leggere» e di consumo di massa, vi è molto dell’«ideologia» della stagnazione: la scelta di perpetuare un’economia di merci pesanti, a discapito delle condizioni di vita dei cittadini e del consenso di massa e a discapito dell’apertura di un più vasto mercato interno e della possibilità, da parte dell’URSS, di puntare ai mercati mondiali, la si spiega anche con la supposta, «diversa», coscienza del popolo sovietico, non incline, per questa ideologia, alla necessità delle merci.

    Un errore madornale nell’interpretazione di un popolo, dei lavoratori: non vi era bisogno, per liberarsi dalle fatiche famigliari, di una lavatrice? Non vi era bisogno di un frigorifero, di un ferro da stiro facilmente reperibili sul mercato? Non vi era bisogno, per un popolo e per una classe operaia, contadina, che tanto avevano dato alla Rivoluzione, alla difesa della Rivoluzione e alla sanguinosa lotta contro il nazifascismo, di una economia volta alla produzione di massa di merci «leggere», di consumo popolare?Non vi furono, nell’URSS, grandi innovazioni sul campo economico. Uniche eccezioni di rilievo, i tentativi delle due riforme condotte da Aleksej Kosygin, che prima nel 1965 e poi nel 1973, tentò di dinamizzare l’economia sovietica a partire, soprattutto, dal superamento della burocratizzazione ministeriale dell’economia, attraverso la costituzione di associazioni produttive a livello repubblicano e locale. Paradossalmente, una via che aumentava i poteri del Comitato di Pianificazione di Stato (il Gosplan) sottraendoli, appunto, ai gangli burocratici distanti dalla produzione.

    Le due riforme Kosygin, benché lontane dallo spirito della NEP e solo timidamente evocanti il ritorno a minimi meccanismi di mercato, furono insabbiate, pur non fallendo (si ricorda lo sviluppo produttivo imperioso delle automobili «Gorkii», a Leningrado). Il sistema anchilosato aveva «digerito» Kosygin.Certo è che le cause della caduta dell’URSS non vanno solo ricercate nella stagnazione e nel mancato e pieno sviluppo delle forze produttive; la lunga sfida militare imperialista volta a dissanguare l’economia sovietica sull’altare del riarmo; il possente e continuo aiuto internazionalista, di tipo materiale e diretto in ogni continente; i veri e propri tradimenti di Gorbaciov, la mancata vittoria, prima di lui, della linea Andropov, l’accidia dell’Armata Rossa, incapace di respingere il «golpe» di El’cin: tutto ciò è stato decisivo.

    Tuttavia, la base materiale della resa e dello scioglimento dell’URSS non può che rintracciarsi, innanzitutto, sull’assenza – infine – di un’economia forte, di forze produttive in grado di sostenere lo scontro e preparare il futuro. Ed è questa un ulteriore lezione che, oggi, ci viene dallo sviluppo cinese: le basi materiali e lo sviluppo delle forze produttive garantisco anche il futuro del socialismo. Significativo, da questo punto di vista, è il rilancio, avvenuto al 19° Congresso del PC Cinese, dei valori politici e idealidel socialismo, del progetto rivoluzionario a breve e lungo termine.Noi riteniamo che il passaggio, in Cina, dalla Rivoluzione Culturale alle «Quattro Modernizzazioni» e poi al progetto compiuto di «socialismo dai caratteri cinesi» sia stato non solo necessario per la Repubblica Popolare Cinese e per il popolo cinese (per tanta parte uscito dalla miseria ed entrato nella modernità), ma anche per l’intero arco delle forze antimperialiste, anticolonialiste e comuniste del mondo, che dopo la scomparsa dell’URSS hanno ritrovato nella Cina dello sviluppo economico, e nei BRICS, una sponda potente e un punto di riferimento solido.

    Non è la questione o il desiderio di un nuovo «faro internazionale », del quale i partiti comunisti del mondo e le forze antimperialiste e rivoluzionarie non hanno bisogno: è la questione di un’accumulazione di forze materiali (e, dunque, dialetticamente, ideali) sul piano mondiale, capace di fronteggiare e far arretrare le forze imperialiste.La Rivoluzione Culturale cinese aveva fatto innamorare di sé anche la piccola borghesia occidentale di sinistra, molto e idealisticamente attratta dalla miseria e dal sacrificio del popolo cinese, «esempio» – per la piccola borghesia – di «una più alta vita».

    La Cina aveva invece bisogno di ergersi nel mondo attraverso quello che lo stesso Marx individuava come il motore della Storia: lo sviluppo delle forze produttive.Le concezioni politiche e teoriche che vanno forgiandosi in Cina, in questa fase di impetuosa crescita, sono già e potranno ancor più essere – senza rapporti di subordinazione, ma con rapporti leali e creativi – ricca materia teorica per altre esperienze di sviluppo socialista: il ruolo guida – nel progetto di sviluppo delle forze produttive – del Partito Comunista Cinese (ruolo guida che mutua la concezione leninista delle «alture strategiche»); il Partito Comunista come avanguardia del proletariato e della Nazione, in una visione della «totalità delle cose», della fase e del quadro sociale e politico, una pratica della totalità volta a trainare tutto l’immenso Paese cinese verso il socialismo; l’unità transeunte tra Partito Comunista, proletariato e borghesia, nella fase storica in cui essa è funzionale allo sviluppo delle forze produttive ed esse alla transizione al socialismo; la sollecitazione strategica alla costruzione delle «aree speciali» neo capitaliste, aventi il compito di accelerare i processi di accumulazione della ricchezza generale al fine di altri investimenti sociali, tecnologici, scientifici; l’attenzione e la lotta del Partito contro le inevitabili aree di corruzione che si aprono (come si sono, peraltro, aperte anche nell’URSS priva di mercato) nel «socialismo di mercato»; la consapevolezza (che il Partito Comunista Cinese ha totalmente e lucidamente) delle inevitabili contraddizioni che la presenza, voluta dallo stesso progetto socialista di un neocapitalismo interno, produce in termini di pulsione al potere politico da parte del potere economico accumulato dal neocapitalismo e, dunque, l’apertura di una lotta di classe sociale e politica che il Partito Comunista, dopo aver provocato, vuole e deve vincere.

    La stessa «Teoria delle tre rappresentatività» (l’unità storica tra operai, contadini e intellettuali, che deve allargarsi alla cultura d’avanguardia e agli interessi di massa), appare un’innovazione funzionale alla fase di transizione cinese, una linea, peraltro, già praticata da altre esperienze rivoluzionarie e comuniste di altri Paesi e in altre fasi storiche.Negli odierni passaggi cruciali della politica cinese e nelle stesse scelte strategiche del Partito e del governo della Repubblica Popolare è confermata in toto la bontà marxista della centralità dello sviluppo delle forze produttive: nel Piano Quinquennale 2016 – 2020 (rilanciato dal 19° Congresso del PC Cinese) viene presentato un immenso progetto ambientalista, di sviluppo ecocompatibile che non ha pari al mondo e che solo avendo sviluppato precedentemente le forze produttive ora può concretizzarsi.Sappiamo che l’imperialismo, specie quello nord americano, teme lo sviluppo cinese e ha gli occhi, e non solo gli occhi, puntati su Pechino: sarà nostro dovere di comunisti, di internazionalisti, stare dalla parte giusta, dalla parte della Repubblica Popolare e del Partito Comunista Cinese.

    https://www.ilpartitocomunistaitalia...lla-cina-oggi/
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  8. #8
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    MARCO RIZZO - Viva Marx (e i comunisti). Rizzo fa gli auguri alla Cina



    Conversazione di Formiche.net con il segretario del Pci, Marco Rizzo: “Oggi più che mai sono vere le parole di Marx, 'O socialismo, o barbarie'”

    “Oggi più che mai sono vere le parole di Marx, ‘O socialismo, o barbarie’”. Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista Italiano affida a Formiche.net un’analisi sul più longevo regime comunista, la Cina, in occasione del settantesimo anniversario della rivoluzione di Mao.

    Parata militare in Cina per festeggiare i 70 anni della rivoluzione e sangue nelle piazze di Hong Kong: qual è il bilancio del più longevo regime comunista?

    Il 31 gennaio 1949 le truppe dell’Esercito Popolare di Liberazione entravano a Pechino e il 1° ottobre dello stesso anno il Presidente Mao Zedong proclamava la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Il processo rivoluzionario, iniziato nel 1921, che portò alla vittoria delle forze proletarie, guidate dal Partito Comunista Cinese, era stato lungo e durissimo. In questo processo, la lotta per il socialismo e l’emancipazione di enormi masse proletarie, urbane e rurali, era strettamente legata alla lotta per l’unificazione del paese, per la liberazione dall’occupazione giapponese e per l’indipendenza nazionale. Nonostante la Cina fosse allora un paese prevalentemente agricolo, la classe operaia fu in grado di esercitare il proprio ruolo egemonico, sviluppando una salda alleanza con i contadini, numericamente prevalenti ed ergendosi a classe nazionale nel senso gramsciano del termine. Mentre capitalisti e proprietari terrieri, rappresentati dal partito Guomindang e organizzati nel regime di Chang Kaishek, pur di mantenere profitti e proprietà, preferivano combattere l’Esercito rosso piuttosto che l’invasore giapponese, il Partito Comunista era alla testa del proletariato nella lotta per la liberazione, nazionale e sociale, trovandosi a combattere su due fronti contemporaneamente: contro l’esercito nazionalista del Guomindang e contro i giapponesi.

    E quindi?

    La compattezza del blocco sociale proletario determinò il successo della brillante tattica della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, concepita dal Presidente Mao e la vittoria della rivoluzione proletaria. L’Unione Sovietica, guidata da Stalin, apportò un contributo fondamentale, militare e politico, alla vittoria del Partito Comunista Cinese e alla liberazione. Nel 1945, infatti, dopo la vittoria sul nazifascismo, l’Armata Rossa annientò, nell’arco di una settimana, l’armata giapponese del Kwantung, forte di un milione di uomini, fornendo armi e basi d’appoggio all’Esercito di Liberazione Popolare, un aiuto materiale e logistico che si rivelò determinante. La nascita della Repubblica Popolare Cinese fu salutata dai comunisti e dai proletari di tutto il mondo come un evento di portata storica: immense masse si liberavano dall’oppressione imperialista e dallo sfruttamento capitalistico per imboccare la via della costruzione del socialismo e della liberazione da un’arretratezza secolare.

    Oltre a successi e sconfitte?

    Lungo questo cammino vi sono stati successi e sconfitte, errori e deviazioni, che meritano analisi più approfondite, ma questo non offusca la grandezza e il significato di quell’evento fondativo che oggi compie 70 anni. Infine, nell’ultimo periodo, assistiamo ad Hong Kong ad una escalation di moti di piazza che sono alimentati da centri a guida Usa. L’organizzazione militare e la loro metodologia infatti seguono una tecnica già ben sperimentata nel passato, quella delle “rivoluzioni colorate”, delle “primavere arabe” e di Euromaidan in Ucraina. I vessilli del colonialismo inglese e la bandiera statunitense agitate testimoniano chiaramente chi sono i veri mandanti e fomentatori della destabilizzazione, sostenuti proprio da quelle potenze che maggiormente hanno combattuto la liberazione della Cina dal giogo coloniale. Sono avvenimenti che seguiamo con particolare preoccupazione perché avvengono nell’ambito e come corollario della guerra commerciale, con l’intento di destabilizzare il paese.

    Quali prospettive vede in termini politici, statuali ed economici?

    Le statistiche e gli indicatori a noi noti mostrano un notevole sviluppo economico, ma lo stesso Partito Comunista Cinese non nasconde l’esistenza di diseguaglianze e contraddizioni. La questione dell’edificazione del socialismo in un Paese originariamente arretrato dal punto di vista economico è un processo non privo di contraddizioni anche aspre. L’obiettivo del socialismo non è la crescita della produzione mercantile, ma la crescita del benessere del popolo, il soddisfacimento dei suoi bisogni materiali e spirituali nella libertà sostanziale, nell’uguaglianza e nella giustizia sociale. Una forte crescita economica è la base necessaria per accrescere le risorse da destinare a questo scopo, a patto che, a differenza di quanto avviene nei paesi capitalistici, la ricchezza prodotta venga utilizzata per scopi sociali e non accentrata in mani private. Sono questi fini che fanno del Socialismo il garante della civiltà umana, oggi minacciata nella sua stessa esistenza dal declino generale del capitalismo. Oggi più che mai sono vere le parole di Marx “O socialismo, o barbarie”.

    Le sfide delle libertà democratiche crede siano perse?

    Termini quali democrazia e libertà sono sempre più condannati all’ipocrisia e ai “due pesi e due misure”. Ad esempio, con quale metro vengono giudicati dal mainstream della globalizzazione i diritti umani a Cuba rispetto all’Arabia Saudita? Alla prima viene riservato un blocco totale mentre alla seconda tocca invece un posto di primo piano nelle relazioni internazionali. Nessuno potrà dire che ci sia più democrazia e libertà in Arabia Saudita rispetto a Cuba. Gli esempi potrebbero continuare anche sede storica: il colpo di stato in Cile contro Allende dimostra che in Occidente la democrazia vale solo se vincono “loro”, quando capitasse alle forze vere del movimento operaio arriva il golpe. Per forze vere, parlando per l’Italia, non faccio certo riferimento ai governi capitanati da Prodi, D’Alema ecc. Lontani anni luce dall’opzione politica di Allende. Queste considerazioni generali valgono anche quando ci si approccia ad un paese così complesso quale è la Cina.

    Come coniugare a quelle latitudini l’equilibrio fra campagne e città, crescita della popolazione e diffusione delle tecnologie?

    Quello che è accaduto in Cina in questi 70 anni, con le differenze tra città e campagna, con le contraddizioni che possono nascere con popolazioni che superano abbondantemente il miliardo di persone segnano certamente un punto cruciale nella storia dell’umanità. Noi auspichiamo che la Cina, con il suo crescente peso economico e politico, sappia armonizzare sempre di più l’equilibrio tra campagne e città e sia in grado di equilibrare il rapporto tra la crescita delle tecnologie e l’aumento della popolazione e che tutto questo possa contribuire ad allontanare il rischio di una deflagrazione mondiale. Se quindi parliamo di ciò che sarà, ovviamente anche per la Cina come per tutto il mondo, con l’ottimismo della volontà che ci contraddistingue vediamo un futuro comunista.

    https://formiche.net/2019/10/marx-co...-cinese-rizzo/
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  9. #9
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

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  10. #10
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    Predefinito Re: 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

    Cuba e la Cina continuano unite ad aderire al socialismo come unica via per costruire un futuro migliore
    Discorso pronunciato da Salvador Valdés Mesa, membro del Burò Politico e Primo Vicepresidente dei Consigli di Stato e de Ministri, nella cerimonia per il 70º anniversario della fondazione della Repubblica Popolare della Cina, nella Sala Universale delle FAR, il 1º ottobre del 2019, «Anno 61º della Rivoluzione».



    Compagno Generale d’Esercito Raúl Castro Ruz, Primo Segretario del

    Partido Comunista di Cuba;

    Compagno Miguel Díaz-Canel Bermúdez, Presidente dei Consigli di

    Stato e dei Ministri della Repubblica di Cuba;

    Compagno Esteban Lazo Hernández, Presidente dell’Assemblea Nazionale del

    Potere Popolare;

    Compagno Chen Xi, Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della

    Republica Popolare della Cina;

    Compagni del Burò Politico del Comitato Centrale;

    Distinti invitati:

    Il 1º ottobre del 1949 è una data di speciale significato per la storia

    dell’ umanità. In questo giorno, davanti a centinaia di migliaia di persone riunite in Piazza Tiananmén, il presidente Mao Zedong, i cuoi apporto alla lotta rivoluzionaria e il valore saranno sempre ricordati con rispetto e ammirazione, annunciò al mondo la fondazione de un nuovo Stato socialista: la Repubblica Popolare della Cina.

    Il trionfo rivoluzionario fu il momento culminante di un lungo processo di lotta antifeudale e antimperialista, e segnò l’inizio di una nuova era di sviluppo e progresso per una nazione millenaria.

    La storia moderna dell’umanità sarebbe stata diversa senza il trionfo della Rivoluzione cinese.

    Questo paese la cui popolazione era soprattutto contadina, conquistò la desiderata sovranità e indipendenza che a loro volta permisero la costruzione del socialismo, partendo da un ancestrale sottosviluppo, combattendo contro l’isolamento e un blocco economico imposto per 28 anni. Molti ostacoli resero più difficile, ma non impossibile il suo sviluppo.

    La Cina del 2019 è molto differente da quella del 1949, già non è più il paese povero e sottosviluppato che era 70 anni fa.

    La sua economia, con una crescita sostenuta, ha consolidato notoriamente il potere e il prestigio di questa nazione. Oggi conta con una solida base economica dopo 41 anni di riforma e apertura, con politiche verificate, una memoria storica preservata ed esperienze accumulate nel processo di costruzione del socialismo.

    Conta con un popolo laborioso e unito, un immenso mercato interno, una cultura millenaria e un Partito che ha percorso il cammino socialista e ha saputo collocare lo sviluppo integrale, l’istituzionalità, la legalità al popolo al centro delle sue preoccupazioni.

    È diventata la seconda più forte economia a livello mondiale. Negli anni ’70 ha ottenuto una crescita media annuale del PIL superiore al 8% ed ha tolto dalla povertà più di 800 milioni di persone una conquista sena precedenti nella storia dell’umanità.

    La Cina è la principale produttrice mondiale di alimenti ed è stata capace d’alimentare il 24 % della popolazione mondiale con solo il 7 % delle terre coltivabili.

    Con la preziosa direzione del Segretario Generale, il compagno Xi Jinping e del Partito Comunista, il paese avanza in una tappa decisiva per la consecuzione degli obiettivi compresi nelle mete del «doppio centenario», che consistono nel raddoppiare per il 2020 il PIL e le entrate pro cpaite rispeto al 2010, e nel 2019 divenire un paese socialista moderno, coincidendo con il

    centenario della Repubblica Popolare.

    Cuba saluta e appressa altamente l’ascesa di una Cina socialista e Nella difficile congiuntura internazionale attuale il suo sviluppo costituisce un fattore di stabilità, equilibrio e opportunità per tutto il pianeta e, in particolare, per i paesi in via di sviluppo e la regione dell’ America Latina e i Caraibi.

    Permettetemi in un’occasione tanto speciale come questa, di ricordare il leader storico della Rivoluzione cubana, Fidel Castro Ruz, quando nel suo prologo all’edizione in cinese di /Cento Ore con Fidel/ aveva previsto: «Dovremo contare con la Cina nel panorama mondiale del XX secolo e molte delle grandi sfide dell’umanità non avranno soluzioni senza la sua attiva e imprescindibile partecipazione».

    Valutiamo positivamente che i vincoli della Cina con la Russia, come con l’America Latina e i Caraibi, si sono stretti e ampliati come non era mai avvenuto prima.

    Il XIX Congresso del Partito Comunista della Cina ha appoggiato l’iniziativa della Striscia e della Rotta della Seta fatta conoscere dal segretario generale Xi Jinping nel 2013, e in virtù della quale la Cina ha proposta di condividere in maniera inclusiva e integrale le opportunità che genera il suo sviluppo , con una messa a fuoco sulla cooperazione, verso le infrastrutture e la connettività per le vie terrestri, aeree, marittime e digitali.

    L’ampliamento di questo progetto verso l’America Latina e i Caraibi evidenzia che non è precisamente la Cina quella che non rispetta le norme del commercio internazionale, costruendo muri o imponendo misure di protezione o sanzioni unilaterali. Non è nemmeno quella che sta bloccando l’adozione di determinate tecnologie, chiudendo il suo mercato o frenando gli investimenti.

    Distinti invitati:

    L’amicizia tra Cuba e la Cina iniziò con l’arrivo a Cuba dei primi emigranti cinesi 172 anni fa, che apportarono tanta lealtà, coraggio e patriottismo nelle nostre guerre d’indipendenza contro il colonialismo spagnolo, e si legge scritta in lettere indelebili sul Monumento eretto in una parco centrale della capitale, la frase di Gonzalo de Quesada, stretto collaboratore ed esecutore del testamento letterario di José Martí: «Non c’è stato un cinese cubano disertore. Non c’è stato un cinese cubano traditore».

    Questa immigrazione ha contribuito a forgiare la nazionalità cubana e a ridurre la distanza geografica che ci separa. Eredi di queste tradizioni, nelle nostre lotte più recenti, tre discensenti diretti di cinesi hanno raggiunto il grado di generale delle gloriose Forze Armate Rivoluzionarie.

    I due popoli abbiamo conosciuto attraverso simili esperienza storiche la tragedia e l’oltraggio che rappresenta per un paese esser invaso, occupato da truppe straniere e sottoposto a trattati disuguali o emendamenti onerosi.

    Ugualmente abbiamo dovuto affrontare il blocco, le aggressioni di ogni tipo, tentativi d’isolamento, sovversione, e una patologica diffamazione mediatica.

    A Cuba e in Cina sono germogliate rivoluzioni autoctone nel XX secolo, nate dalle ardue lotte per l’indipendenza e la liberazione nazionale, di fronte a forze superiori e appoggiate dagli Stati Uniti.

    In uno o un altro processo sono state realizzate importanti prodezze militari che hanno contribuito decisamente a dimostrare che il potere dell’impero e dei suoi lacchè ha dei limiti.

    Solo dieci anni hanno separato i trionfi rivoluzionari nei due paesi, che in questo 2019 hanno compiuto i loro anniversari 60 e 70, rispettivamente. E nel 2020 commemoreremo sei decenni dal momento in cui la giovane Rivoluzione Cubana adottò la decisione storica e sovrana di rompere le relazioni con Taiwán e stabilirle con la Repubblica Popolare della Cina, divenendo così il primo paese dell’emisfero occidentale che riconosceva il Governo della nuova Cina come suo unico rappresentante legittimo.

    Il presidente Mao Zedong, in quel lontano 7 maggio del 1960, apprezzò altamente il fatto che un piccolo paese come Cuba avesse osato realizzare una Rivoluzione così vicino agli Stati Uniti e nello stesso tempo considerava che era davvero necessario investigare la sua esperienza,

    data l’importanza della Rivoluzione Cubana a livello mondiale.

    L’unica e indivisibile Cina non fu riconosciuta come membro delle Nazioni Unite e del Consiglio d Sicurezza sino a 22 anni dopo la proclamazione della Repubblica Popolare, con l’appoggio fondamentale dei paesi in via di sviluppo, includendo Cuba.

    Dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica e del campo socialista, Cuba e la Cina abbiamo affrontato con fermezza numerosi avversari e preservato il cammino socialista, partendo dalle realtà specifiche di ogni paese.

    Questo accattivante paese asiatico è stato uno dei migliori amici di Cuba durante quel duro periodo in cui nessuno credeva che la Rivoluzione cubana potesse sopravvivere.

    L’allora presidente Jiang Zemin fu l’unico Capo di Stato che ci onorò con la sua visita nel 1993 , fatto che non scorderemo mai.

    Reiteriamo il nostro fermo e assoluto appoggio al principio di «una sola Cina», così come la condanna dell’ingerenza nei temi interni, dei tentativi di danneggiare l’integrità territoriale e la sovranità.

    Cuba, come la Cina condanna l’egemonismo, l’unilateralismo, i blocchi, il protezionismo, le politiche di forza, le doppie morali nella lotta contro il terrorismo e l’imposizione di un modello unico nel mondo e difendiamo i principi del Diritto Internazionale e il ruolo delle Nazioni Unite.

    Inoltre apprezziamo altamente il valore della sovranità, l’indipendenza, l’unità, i principi e la dignità conquistati al costo di molte vite umane preziose e di enormi sacrifici.

    Distinti invitati:

    Il Presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri Miguel Díaz-Canel Bermúdez meno di un anno fa ha realizzato un positiva visita nella Repubblica Popolare della Cina. Desideriamo segnalare gli importanti consensi ottenuti durante i suoi indimenticabili incontri con il compagno Xi Jinping e i principali dirigenti cinesi, alla cui implementazione lavoriamo con sforzo e dedizione.

    Dopo circa 60 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte, i vincoli tra i nostri due paesi sono diventati un esempio dei legami tra le nazioni socialiste della cooperazione sud - sud e delle relazioni tra un grande paese e uno piccolo, sulla base dell’uguaglianza e del rispetto mutuo.

    Come espressione della fiducia politica reciproca e della maturità che caratterizzano i nostri vincoli bilaterali, abbiamo scambiato esperienze sulla costruzione del socialismo. I due processi si complementano con le loro proprie forze.

    Permettemi, prima di concludere, di ringraziare a nome del popolo, del Partito e del Governo cubani, per la decisione di concedere al Generale d’Esercito Raúl Castro Ruz, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba, la Medaglia dell’Amicizia, il più alto onore che la Cina concede agli amici di altre nazioni per il loro contributo e l’appoggio alla modernizzazione socialista, agli scambi e la cooperazione tra questa nazione e altri paesi.

    Apprezziamo questo nuovo gesto di fraternità e di riconoscimento al ruolo della direzione storica della Rivoluzione Cubana, in particolare del compagno Raúl, nella promozione dei vincoli bilaterali.

    Il Generale d’Esercito ha mantenuto una straordinaria relazione con la Cina, nazione per la quale ha sempre sentito una speciale ammirazione e rispetto, ed ha concesso nello stesso tempo un’alta priorità alle relazioni bilaterali.

    Ha visitato questo grande paese nel 1997, nel 2005 e nel 2012, occasioni nelle quali ha potuto dialogare con i massimi dirigenti sulle esperienze nella costruzione del socialismo e temi d’interesse comune dell’agenda internazionale. È un onore per Cuba che sia stata scelta la data della commemorazione del 70º anniversario per consegnargli una così alta decorazione.

    I due paesi continuano uniti nell’adesione al socialismo come unica via per costruire un futuro migliore. Le presenti e future generazioni di cubani e cinesi sapranno preservare il prezioso legato della nostra amicizia.

    Che viva la profonda amicizia tra Cuba e la Cina! (Esclamazioni di: «Viva!»)

    Molte grazie! (Applausi).

    (Versioni stenografiche del Consiglio di Stato/ GM – Granma Int.)

 

 
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