Sono 43 i capi di Stato e di governo africani che si sono riuniti a Sochi, da Vladimir Putin. Un invito a cui pochi hanno rinunciato. Il primo summit Russia-Africa che si è svolto sulle rive del Mar Nero la settimana scorsa, ha segnato un ritorno in grande stile della Russia che, dopo gli anni della Guerra Fredda e la caduta del muro di Berlino (quando molti Paesi africani ruotavano attorno all’allora Unione Sovietica), si era quasi completamente ritirata dal continente africano.
Il nuovo corso della politica estera del Cremlino cerca di recuperare il tempo perduto e di farsi largo fra i paesi occidentali da un lato e la Cina dall’altro. Un soft power che la Russia intende implementare puntando sulle affinità con i Paesi africani in cerca di affrancamento dalle influenze occidentali, puntando sul sovranismo in salsa africana, appoggiando le rivendicazioni contro il neocolonialismo e le battaglie contro il franco Cfa.
Un presidente, Putin, che esercita un certo fascino sui leader africani, con la sua capacità di opporsi all’Occidente, con il suo decisionismo, il suo pugno di ferro nel gestire il dissenso interno. Tutti i capi di stato presenti speravano in un faccia a faccia che solo meno della metà di loro ha ottenuto. Gli altri hanno dovuto “accontentarsi” di Sergej Lavrov, ministro degli Esteri, o del suo vice Mikhaïl Bogdanov. Gli interessi diplomatici sono reciproci: per il Cremlino, stringere o rafforzare legami coi Paesi africani non significa solo aumentare la propria influenza, ma anche assicurarsi appoggio all’Assemblea generale dell’Onu, dove quasi un terzo dei voti sono africani.
Copresieduto da Vladimir Putin e dall’egiziano Abdel Fattah al-Sisi, in qualità di presidente di turno dell’Unione Africana, il summit di Sochi è stato concepito come un’imponente dimostrazione di forza, con la partecipazione di circa tremila delegati. Due i piani: uno politico-diplomatico, con meeting a porte chiuse, e uno economico, con l’obiettivo dichiarato di raddoppiare in cinque anni gli scambi commerciali, fino a raggiungere i 40 miliardi di dollari. Ad oggi, infatti, il volume degli affari fra Russia e Africa è di 17 miliardi di dollari l’anno, un terzo rispetto agli Stati Uniti, nulla contro i 200 della Cina e gli oltre 300 dell’Europa.
Ripresa degli scambi economici
Il summit si è concluso con la firma di un memorandum con l’Unione Africana. Se di eventuali accordi politici non è dato sapere, si sa invece di numerosi accordi economici stipulati, in particolare, in tre settori: materie prime, armamenti e nucleare. Più che assicurarsi le materie prime, come la Cina e l’Occidente, i russi sono interessati ad ampliare le esportazioni verso uno dei mercati che nei prossimi anni viene dato maggiormente in crescita.
Rosatom (società pubblica russa che si occupa di tutta la filiera del nucleare, dall’estrazione dell’uranio fino alla costruzione di centrali nucleari e alla gestione delle scorie), ha annunciato di aver siglato diversi accordi, di cui un terzo già formalizzati, con Egitto, Etiopia, Rwanda e Zambia. In trattative ci sarebbero anche Uganda, Kenya e Nigeria. Si preparerebbe dunque un’ondata di progetti per il nucleare civile in Africa, con tutte le implicazioni connesse all’uso della tecnologia nucleare in mano a Paesi accusati di violare i diritti umani e di gestire l’opposizione interna col pugno duro.
https://www.ilfattoquotidiano.it/201...icano/5542007/