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    Predefinito L'Alto Adige nel secondo dopoguerra

    Contrariamente alle aspettative e alle speranze di molti, il Sud Tirolo non venne annesso alla Germania nazista dopo l'8 settembre 1943, ma su ordinanza del Führer venne unito alle province di Trento e di Belluno nella Operationszone Alpenvorland. In questo modo il Sud Tirolo restò a far parte dell'Italia, e precisamente della Repubblica di Salò, lo Stato-fantoccio fascista del Nord, che venne costituito immediatamente dopo l'Operazione Alarico e l'invasione tedesca della penisola e al cui capo fu posto Mussolini. A commissario supremo della Zona d'operazione fu nominato il Gauleiter del Tirolo-Vorarlberg, Franz Hofer, che in sostanza preparò l'annessione del Tirolo meridionale alla Germania e avviò a livello ufficiale una "ritedeschizzazione" dell'Alto Adige. In Provincia di Bolzano venne nominato nuovo prefetto Peter Hofer sempre, a cui successe dopo la morte sotto un bombardamento Karl Tinzl. I podestà italiani vennero destituiti e sostituiti da borgomastri commissariali di lingua tedesca. Gli impiegati comunali italiani furono in parte licenziati, per mancanza di bilinguismo e venne assunto nuovo personale esclusivamente germanofono. Le insegne pubbliche tornarono bilingui, nell'amministrazione pubblica il tedesco tornò equiparato all'italiano. In molti settori della vita pubblica i rappresentanti della Deutsche Volksgruppe assunsero ruoli dirigenziali. Attraverso la loro capillare rete organizzativa e la presenza di fiduciari nei piccoli agglomerati fu possibile uniformare all'ideologia nazionalsocialista il Sud Tirolo di lingua tedesca. I tedeschi vietarono la ricostituzione del Partito fascista (come non era legale neanche il Partito nazista) cosa che ebbe non poche conseguenze. Il fascismo aveva determinato anche qui la vita quotidiana, come l'organizzazione del tempo libero e la vita associativa e ciò lasciò gli individui disorientati. Associazioni che erano state soppresse dal fascismo italiano, come gruppi folkloristici e musicali, ripresero le loro attività, spesso a manifestazioni naziste. La perdita del potere politico comportò il declino economico per gli italiani dell'Alto Adige, fino ad ora favoriti da Roma. Accadde che ad artigiani e commercianti italiani venisse revocata la licenza e agli affittuari disdetto il contratto, mentre molti insegnanti si ritrovarono senza lavoro. La maggior parte degli italiani era giunta negli ultimi anni in Alto Adige da diverse regioni, cosicché i vari gruppi erano fra loro molto eterogenei, ma il "pericolo tedesco" li spinse ad avvicinarsi fra loro e fece emergere un certo senso di appartenenza.

    Contemporaneamente continuò la persecuzione razziale, in totale furono 42 gli ebrei arrestati a Bolzano, Soprabolzano, Merano, Glorenza, Anterivo e Ora, solo due sopravvissero alla Shoah. Nella primavera 1944 venne istituto a Bolzano il "Campo di transito di pubblica sicurezza", comunemente noto come Lager di Bolzano, qui vennero rinchiuse 11mila persone, molte delle quali deportate oltre le Alpi: avversari politici (partigiani e antifascisti), minoranze etnico-religiose (ebrei e zingari), familiari di disertori, disertori e renitenti alla leva, prigionieri di guerra e delinquenti comuni. La Chiesa altoatesina invece mantenne un atteggiamento di attesa, i suoi sacerdoti critici verso il nazismo vennero spiati e dovevano soppesare attentamente le parole. Mentre i reggimenti di polizia sudtirolesi furono impiegati spesso anche nella lotta contro i partigiani. Sempre nel 1944 si costituì a Bolzano un Comitato di Liberazione Nazionale, presieduto da un dirigente industriale, Manlio Longon. Dato che non fu possibile costituire formazioni armate a causa della stretta sorveglianza tedesca, il CLN locale si limitò alla propaganda, soprattutto tra gli operai delle fabbriche e faceva assistenza agli internati, oppure compiva atti di sabotaggio in contatto coi partigiani italiani della pianura padana e di Milano e Torino. Alla fine dell'anno però, il CLN venne intercettato e quasi tutti i suoi componenti furono arrestati. La Gestapo torturò e uccise Longon e 7 capi-cellula non sopravvissero nel lager di Mauthausen.


    All'inizio di aprile 1945 il CLN dell'Alta Italia inviò in Alto Adige Bruno De Angelis, per riorganizzare la Resistenza, con l'obiettivo di assumere il potere prima dell'arrivo angloamericano e creare così le condizioni per il futuro politico della Provincia di Bolzano. De Angelis ebbe timore di collaborare con personaggi fino ad allora filo-fascisti, che negli ultimi giorni si convertirono alla causa partigiana. I partigiani di lingua tedesca furono guidati da Hans Egarter, sotto la formazione dell'Andreas-Hofer-Bund, che diede assistenza ai disertori e strinse contatti coi servizi segreti alleati in Svizzera. Il contributo militare locale, sia da parte italiana che tedesca, nella vittoria sulla Germania fu limitato. L'insurrezione partigiana nell'Italia del Nord il 25 aprile 1945 non ebbe luogo in Alto Adige. La resistenza locale però dimostrava ci fosse un Sud Tirolo antinazista. Il 2 maggio 1945 l'esercito tedesco capitolò in Italia: il fascismo e il nazismo erano stati sconfitti.

    La fine della guerra in Alto Adige fu accompagnata da alcuni eventi tragici: il 30 aprile 1945 a Merano un corteo italiano fu preso a fucilate dalle truppe tedesche con aiuto sudtirolese, in cui morirono 9 persone. Il 3 maggio successivo a Bolzano, durante uno scontro a fuoco tra tedeschi e operai della Lancia, persero la vita 45 persone. Il giorno dopo gli italiani altoatesini festeggiarono e sventolarono il tricolore sulle strade della regione, per l'arrivo degli Alleati. I sudtirolesi tirarono un sospiro di sollievo per la fine del conflitto, accompagnato dal timore che l'Alto Adige avrebbe continuato ad appartenere all'Italia. L'8 maggio fu fondata la Südtiroler Volkspartei, i cui membri potevano vantare la loro opposizione al nazismo, mentre gli Alleati approvarono la pubblicazione di alcuni giornali liberi, come il Dolomiten, la voce degli altoatesini germanofoni, e l'"Alto Adige", voce invece del gruppo italofono. Per la SVP la priorità era l'autodeterminazione e l'annessione all'Austria, mentre per il CLN e il prefetto De Angelis la Provincia di Bolzano apparteneva all'Italia e tale doveva rimanere. Il 12 maggio il rappresentante ciellenista De Angelis fu confermato prefetto dagli Alleati e gli italiani si organizzavano in molteplici partiti politici, mentre l'istanza germanofona e germanofila si costituiva in un unico movimento etnico.

    Il 31 maggio 1945 venne stipulato un accordo, su pressione del governatore militare americano William McBratney, di generica collaborazione tra i tre gruppi linguistici in Alto Adige, che venne poi rinnovato pochi mesi dopo. Il 4 settembre a Innsbruck e il 3 ottobre dello stesso anno a Vienna ebbero luogo grandi manifestazioni in cui si rivendicava il ritorno della Provincia di Bolzano all'Austria. Tuttavia fu determinante la posizione delle Quattro potenze vincitrici USA, Regno Unito, Francia, URSS; infatti la decisione a favore o contro era strettamente legata agli interessi e ai rapporti di forza internazionali. Alla Conferenza degli Esteri a Londra di quel periodo gli spazi di annessione dell'Alto Adige all'Austria apparvero già strettissimi, mentre la posizione italiana era un po' più favorevole, perché il paese aveva combattuto venti mesi a fianco degli Alleati e vantava una Resistenza molto attiva contro i tedeschi. L'Austria invece era stata fino alla fine del conflitto sotto il regime nazista, poi divisa in quattro zone d'occupazione e controllata dagli Alleati. Solo nell'ottobre 1945 era stato riconosciuto il nuovo governo democratico di Karl Renner, cioè quando era già stato deciso il mantenimento dell'Alto Adige entro il confine del Brennero. Le ombre della Guerra fredda già si allungavano e il favore verso gli italiani furono determinanti per i seguenti motivi: giocavano un ruolo particolare per gli USA, sia perché geograficamente vicini ai nuovi Paesi comunisti sia perché nel loro territorio vi era un forte Partito comunista. Da questo punto di vista era bene fare dell'Italia un alleato filo-occidentale e rinforzarne le difese anticomuniste. L'Austria era in parte occupata dalle truppe sovietiche e per diverso tempo venne considerata in pericolo in questo senso. Non per ultime, furono rilevate anche questioni economiche che andavano a beneficio della causa italiana: nel Ventennio fascista gli italiani avevano investito nello sfruttamento dell'energia idraulica, nello sviluppo dell'energia elettrica e nell'industria, risorse fondamentali per la ricostruzione del paese e di cui avrebbero beneficiato gli altoatesini stessi. Non meno importante si registrò un cambiamento demografico dal 1918 al 1945: molti italiani si erano trasferiti in Alto Adige; la città di Bolzano era ormai abitata in prevalenza da italiani. Il governo democratico di Roma, ora guidato da Ferruccio Parri, garantì agli Alleati che avrebbe rispettato i diritti etno-linguistici della minoranza tedesca, richiamandosi ad alcune misure concrete, soprattutto in ambito scolastico (su esempio della Valle d’Aosta).

    Nel dicembre 1945 subentrò al governo il premier democristiano Alcide De Gasperi, che era di origine trentina, portando all'attenzione internazionale la questione altoatesina, mentre la regione passava dal governo militare angloamericano a quello civile del Regno d'Italia. Intanto vennero riaperte le scuole primarie e secondarie della provincia.

    Il 30 aprile 1946, la Conferenza di Pace di Parigi sancì definitivamente il mantenimento del confine del Brennero e con ciò respinse la richiesta austriaca di annessione dell’Alto Adige. I giorni seguenti, a Bolzano e Innsbruck si tennero grandi manifestazioni di protesta.

    Il 2 giugno 1946 i cittadini italiani vennero chiamati ad esprimersi al referendum istituzionale e alle elezioni per l’Assemblea Costituente. La popolazione dell’Alto Adige non prese parte alla consultazione elettorale, in quanto la Provincia di Bolzano, eccetto qualche comune poi passato dal Trentino (cui l’80% degli elettori scelse la repubblica), attendeva le decisioni degli Alleati. Nel dibattito della carta costituzionale fu posta anche la questione del futuro assetto della Repubblica italiana, se improntata al regionalismo o al centralismo. Si concluse con la “regionalizzazione”, una terza via che però prese un avvio lento. Il Trentino-Alto Adige venne confermato come Regione a Statuto speciale, però l’autonomia assegnata era limitata, visto che la politica italiana del secondo dopoguerra s’indirizzava alla centralizzazione dei poteri e al modello unitario. Il 16 luglio 1946 oltre 3mila ladini manifestarono al passo Sella, sventolando la bandiera ladina, coi loro abiti tradizionali per la salvaguardia culturale della loro minoranza.

    Né l’Italia né l’Austria avevano ancora preso in considerazione l’ipotesi di un’autonomia provinciale. Le diplomazie italiana e austriaca negoziarono in questo anno la futura autonomia altoatesina. Si giunse quindi all’Accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946, che assicurò alla minoranza germanofona la salvaguardia della propria cultura e della propria lingua:

    - il diritto all’insegnamento scolastico del tedesco, l’uso paritario dell’italiano e del tedesco con equa distribuzione degli impieghi pubblici;

    - l’autonomia legislativa e amministrativa;

    - il riconoscimento dei titoli di studio e dei diplomi conseguiti in Austria e facilitazione del libero transito di persone e merci tra Italia e Austria;

    - l’assicurazione di rivedere le opzioni di cittadinanza, con “equità e comprensione”.

    Nell’immediato dopoguerra, più di 250mila persone, prevalentemente italiani, dovettero abbandonare Zara, Fiume, le isole del Quarnaro e l’Istria, passate sotto il controllo jugoslavo. Tra le regioni che assicurarono l’accoglienza ai profughi giuliano-dalmati ci fu anche il Trentino-Alto Adige. Circa 2.500 profughi istriani andarono ad abitare nella Provincia di Bolzano, tuttavia questi appartenevano quasi tutti alla borghesia, erano impiegati, dirigenti, liberi professionisti e avevano antenati vissuti sotto l’Impero austro-ungarico e ben conoscevano un ambiente plurilinguistico e multiculturale. L’Alto Adige, sempre in questo periodo, fu anche luogo di transito e fuga per molti gerarchi nazisti. La Chiesa locale offrì i propri monasteri come riparo ai fuggitivi diretti a Roma o Genova, giustificato come gesto caritatevole, ma che nascondeva solo un militante anticomunismo cattolico e c’era solidarietà verso l’elemento germanico. Basti pensare ad Adolf Eichmann, organizzatore della Shoah, che sotto il nome di Riccardo Klement riuscì a raggiungere l’Argentina grazie a documenti falsi prodotti dal comune altoatesino di Termeno. Josef Mengele, medico nazista che ad Auschwitz aveva eseguito esperimenti su cavie umane, riuscì a fuggire oltreoceano in modo sicuro sempre grazie al comune di Termeno. Erich Priebke, capo della Gestapo a Roma, corresponsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, dopo la sua fuga dal campo prigionieri di Rimini, visse con la sua famiglia a Vipiteno, prima di riparare anche lui in Argentina. Nell’estate 1947 entrarono in Alto Adige anche circa 5mila profughi ebrei attraverso il passo dei Tauri, da Salisburgo in Italia.

    Gli embrioni di un’opposizione di lingua tedesca non riuscirono a portare alcun rappresentante nel Consiglio provinciale. Il Movimento Sociale Italiano fondò la sua sezione bolzanina nel 1947 e assunse a livello locale posizioni apertamente nazionalistiche contrarie a forme di riconoscimento dei diritti di minoranze linguistiche.

    Nella Costituzione repubblicana fu prevista l’attribuzione dell’autonomia per la neocostituita Regione Trentino-Alto Adige/Tiroler Etschland e non per il solo Alto Adige. Il relativo “Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige” fu approvato il 29 gennaio 1948. La questione italo-austriaca fu risolta poco dopo, il 2 febbraio successivo col decreto legge sulla revisione delle opzioni degli altoatesini che il governo italiano fece seguire allo Statuto d’autonomia da parte della SVP (divenuta una succursale della Democrazia Cristiana). Tutti gli optanti rimasti in Alto Adige, che non avessero ottenuto la cittadinanza germanica, potevano rilasciare entro pochi mesi una dichiarazione di revoca che automaticamente faceva conservare la cittadinanza italiana. Gli altoatesini naturalizzati, ma non ancora emigrati, potevano richiederne la riacquisizione entro il termine di scadenza. Dei 75mila sudtirolesi emigrati nel Terzo Reich, solo un terzo rimpatriò nella regione d’origine, alcuni illegalmente attraverso i valichi alpini, con decessi per sfinimento.

    Lo Statuto d’autonomia altoatesino nell’Italia repubblicana era segno evidente che l’idea autonomista non era molto radicata nella politica italiana. La minoranza sudtirolese si dimostrò delusa dall’“autonomia incompleta”, secondo la quale molte decisioni importanti erano affidate al Consiglio regionale e alla Giunta regionale di Trento, mentre al Consiglio provinciale di Bolzano spettavano solo limitati poteri decisionali. Le forti richieste di autonomia del Trentino erano state accontentate dall’influente portavoce trentino De Gasperi e il governo italiano nutriva una certa diffidenza verso una regione di confine abitata da una maggioranza di lingua tedesca e sperava, grazie a un’autorità regionale unitaria, di neutralizzare la questione etnica. A ciò si aggiunga l’inizio della Guerra fredda che per lo scenario politico italiano rappresentò un ritorno delle forze nazionaliste e conservatrici.

    Quando il 18 aprile 1948 ebbero luogo le prime elezioni parlamentari della Repubblica italiana, poterono votare anche i sudtirolesi e per la prima volta anche le sudtirolesi. Otto von Guggenberg, Friedl Volgger e Toni Ebner furono eletti alla Camera dei deputati come minoranza sudtirolese, Carl von Braitenberg e Josef Raffeiner ottennero il seggio al Senato. Nel novembre successivo ebbero luogo pure le elezioni regionali, nelle quali si votava anche per il Consiglio provinciale di Bolzano. La SVP poté affermarsi a livello territoriale come partito di raccolta etnico, ottenendo 13 seggi su 20 a Bolzano. La DC nazionale e la SVP formarono una coalizione di governo che durò per lungo tempo. L’opposizione di sinistra, formata dal Partito socialista e dal Partito comunista, conquistarono un seggio a testa, aveva la loro base nelle fabbriche e nell’internazionalismo proletario. I socialisti, dal canto loro, ritenevano giustificata l’autonomia altoatesina.


    Nel 1951, l’atto di applicazione delle norme di attuazione dello Statuto, veniva però riconosciuto solo il gruppo linguistico ladino di Bolzano, “dimenticando” la Val di Fassa. Solo in Badia e Gardena si ebbe quindi la prima introduzione dell’insegnamento del ladino nella scuola dell’obbligo.

    Poi, dal 1945 al 1954, tra i 20mila e i 25mila italiani si trasferirono in Alto Adige per vivere e lavorare. Come fenomeno, questa immigrazione si inseriva nel contesto nazionale delle migrazioni interne negli anni della ricostruzione. Provenivano, in gran parte, come prima della guerra, dalla regione del delta padano. Mentre migliaia di sudtirolesi negli stessi anni abbandonavano la Provincia di Bolzano per trasferirsi nei paesi germanofoni dove trovavano più possibilità a livello di formazione e di guadagno, l’immigrazione italiana si concentrò nelle città di Bolzano, Merano e Bressanone, così come nel comprensorio della Bassa Atesina. Bolzano divenne progressivamente una città divisa in quartieri italiani e tedeschi. La carenza di abitazioni nel capoluogo altoatesino, dovuta anche ai bombardamenti, produsse tensioni sociali e conflitti etnici. Sul Dolomiten del 28 ottobre 1953, il canonico Michael Gamper scrisse sull’immigrazione degli italiani in Alto Adige:

    «Troppe decine di migliaia di italiani sono immigrate dalle regioni meridionali nella nostra Provincia dopo il 1945 e dopo l’Accordo di Parigi, mentre al contempo è stato bloccato il rimpatrio di alcune migliaia di nostri compaesani emigrati. Di anno in anno diminuisce la percentuale della popolazione nativa in confronto alle terribili ondate di immigrati. Quasi con certezza matematica possiamo calcolare il punto in cui costituiremo una minoranza indifesa non solo all’interno della Regione, ma anche all’interno degli stretti confini provinciali. Questo in un territorio dove gli italiani avevano rappresentato fino a poco tempo fa solo il 3 per cento della popolazione totale. È una marcia della morte, in cui noi sudtirolesi ci troviamo dal 1945, se non giunge la salvezza all’ultimo momento.»

    Il riscontro di un minaccioso processo di soffocamento della minoranza di lingua tedesca mancava di ogni reale fondamento. Altro, inoltre, il quadro politico in cui questa immigrazione avveniva. Il drammatico appello di Gamper va compreso come richiamo, indirizzato soprattutto al governo austriaco che in quegli anni, secondo tanti politici a nord e a sud del Brennero, trascurava la questione altoatesina, perché principalmente impegnato a raggiungere l’attesa indipendenza statale. In Austria, nello stesso anno erano previste nuove elezioni e Leopold Figl era considerato il probabile ministro degli Esteri, rappresentante dell’orientamento euro-occidentale dell’Austria e riteneva importante il mantenimento di buone relazioni con la DC, partito fratello in Europa.

    Nei primi anni ‘50, più del 60% della popolazione sudtirolese di lingua tedesca e ladina lavorava nel settore agricolo, circa un quarto nell’artigianato, nel commercio e nel turismo e solo una minima parte nel servizio pubblico. Il 60% della popolazione di lingua italiana era occupato nel settore secondario, cioè industria e commercio, e più di un terzo lavorava come libero professionista o nell’impiego pubblico. Questa “divisione etnica del lavoro”, in larga misura conseguenza del fascismo, rappresentò un ostacolo per la convivenza dei tre gruppi linguistici. I mondi lavorativi etnicamente separati in Alto Adige durarono per decenni. Gli italiani vivevano prevalentemente nelle città ed erano portatori di concezioni e stili di vita urbani e “moderni”. Nel loro gruppo si affermò il modello del nucleo familiare di piccole dimensioni, ancor prima che all’interno delle minoranze tedesca e ladina.

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    Predefinito Re: L'Alto Adige nel secondo dopoguerra

    Non conoscevo i retroscena della storia altoatesina dal 1943 al secondo dopoguerra.

 

 

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