Un canale lungo duemilacinquecento chilometri per legare a sé le repubbliche centroasiatiche
Siberia, 1969. Su ordine del comitato centrale del Partito comunista sovietico, si studia un'opera colossale: un canale lungo duemilacinquecento chilometri che dall'intersezione di Ob e Irtyš dovrebbe arrivare alle repubbliche centroasiatiche del sud. Il progetto serve a distribuire meglio il patrimonio idrico della Siberia occidentale, a ridare acqua al lago d'Aral e a favorire l'agricoltura.
Tiene banco fino alla metà degli anni Ottanta: favorevoli, gli apparatniki di Mosca e dell'Asia centrale, contrari gli abitanti del bacino dell'Ob - che temono una riduzione della fauna ittica - e i primi ecologisti dell'"impero". Stranamente, per l'Urss di allora, se ne parla diffusamente. Poi il progetto viene cestinato da Gorbačëv nel 1986 in una delle prime vittorie dell'embrionale "società civile" sovietica.

Oggi, mentre l'acqua va sostituendo gradualmente il petrolio come risorsa chiave del futuro, il canale "Sibaral" - dalla contrazione di Siberia e Aral - torna di moda. Il presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev, l'ha rispolverato in un incontro al vertice con quello russo, Dmitri Medvedev, a inizio settembre.
Il punto è che tutto il bacino del lago d'Aral va desertificandosi, complici le molteplici deviazioni dei fiumi che l'alimentano - Amu Darya e Syr Darya - per le esigenze della produzione agricola, e il global warming.

E' una sorta di guerra fredda dell'acqua che interessa l'Asia Centrale, con enormi implicazioni politiche ed economiche. Oltre a Russia e Kazakistan, anche Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Cina sono coinvolti in questo grande gioco.
Lo scorso aprile, Kirill Koktysh, docente di teoria politica all’Università MGIMO di Mosca, arrivava perfino a legare il problema dell'accesso all'acqua ai disordini del Kirghizistan, dandone la colpa alla Cina. Secondo lui, dopo il sisma del Sichuan del 2008, il Dragone aveva dovuto ripristinare la propria rete idrica accedendo ai fiumi che nascono dalle sue catene montuose occidentali e che alimentano di fatto tutta l'Asia Centrale: sottraendo così l'acqua ai vicini. La classe politica kirghisa non aveva saputo far fronte all'emergenza e fu defenestrata dai cittadini. Ma il problema non si limita a un solo Paese.
"La stessa minaccia - aggiungeva Koktysh - sussiste infatti in Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan: e la questione è altrettanto grave e pericolosa".

Ora Nazarbayev gioca la carta della cooperazione. Dopo l'incontro con Medvedev ha dichiarato: "Sfortunatamente, il problema dei rifornimenti d'acqua non riceve l'attenzione che meriterebbe [...] E' imperativo assegnare ai nostri governi il compito di prendere iniziative comuni per trovare una soluzione a questi problemi", e quindi "perché non recuperare il progetto di deviare il flusso dei fiumi siberiani verso le regioni meridionali della Russia e il Kazakistan, cosa di cui abbiamo discusso ieri?".

Dunque se ne parla. La Russia possiede il 20 per cento delle riserve idriche del pianeta e potrebbe utilizzare la diplomazia dell'acqua per due ragioni fondamentali: legare a sé più strettamente le repubbliche centroasiatiche e togliere terreno sotto i piedi al radicalismo islamico, che si alimenta anche dell'impoverimento di masse contadine non più in grado di produrre. C'è poi una ragione del tutto interna. Ripristinare i bacini idrici della Siberia meridionale potrebbe in futuro scongiurare incendi disastrosi come quelli di quest'estate.
Per questo motivo, nonostante le forti resistenze, anche alcuni pezzi grossi della politica russa hanno sposato il progetto. E' questo per esempio il caso di Jurij Mikhajlovič Lužkov, sindaco di Mosca e amico personale di Putin.

Restano due problemi non da poco: i costi e le tecnologie. Già negli anni Ottanta, il progetto Sibaral era stimato sui 53 miliardi di dollari, una cifra che, aggiornata, difficilmente la Russia sarà disposta ad accollarsi.
Ed ecco che entra in gioco la Cina, che potrebbe fornire sia gli investimenti necessari sia il know-how, forte di progetti idrici colossali come la diga delle Tre Gole. Cosa ci guadagnerebbe? Ritorni economici ed allargamento della propria area d'influenza politica nel segno del "soft power". E soprattutto si scrollerebbe di dosso l'accusa di deviare le acque di tutta l'Asia Centrale.

Gabriele Battaglia




PeaceReporter - Sibaral, la geopolitica dell'acqua secondo Mosca