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    Predefinito I ferventi Cristiani di Hitler

    I ferventi Cristiani di Hitler



    14 settembre 2008


    Autore: Lawrence Sudbury



    Sul nazismo, in oltre sessant’anni, è stato scritto tutto e il contrario di tutto, eppure, alcuni aspetti di questo fenomeno sociale e politico incredibilmente complesso sono rimasti, come inevitabile proprio sulla base di una tale complessità, ancora un po’ in ombra.
    Uno di tali aspetti è, certamente, quello riguardante lo sviluppo, addirittura in fase tardo-weimeriana, di una vera e propria “chiesa luterano-nazista”, le cui connotazioni potrebbero oggi apparire a dir poco contraddittorie, ma che, se analizzata nel suo contesto storico e, precipuamente, storico-ecclesiastico, risulta perfettamente coerente con una linea di pensiero portata avanti sin dai tempi della Riforma.
    Per comprendere questo elemento, cerchiamo di procedere con ordine.
    E’ cosa nota che la Repubblica di Weimar, nata nel 1919, fu, per tutta la sua breve e travagliata esistenza storica, ben lungi dal risolvere i problemi della nazione tedesca, umiliata dalla sconfitta bellica, economicamente distrutta e socialmente completamente disgregata[1]. Dal punto di vista religioso, la situazione non fu certamente migliore che da quello socio-politico ed economico: la SPD, la cui base ideologica social-democratica non era certamente aliena dalle influenze del marxismo pre-bolscevico[2], spinse, nella nuova costituzione repubblicana, per una definizione di totale laicità dello stato tale per cui, non esistendo alcuna chiesa centralmente riconosciuta (il che, comunque, poteva anche essere legittimo in un paese in cui almeno tre religioni cristiane, quella cattolica, quella luterana e quella riformata-calvinista, erano presenti), ogni chiesa regionale doveva organizzarsi e amministrarsi secondo i limiti del diritto comune, senza che esistesse alcuna forma istituzionalizzata di rapporto con i governi dei singoli Lander. Le chiese evangeliche si adattarono alla nuova situazione politica, frammentandosi in una quantità di sottogruppi indeboliti dalla mancanza di alcuna struttura unitaria comune e, nella maggioranza dei casi, piuttosto ostili alla situazione politica[3]. Non stupisce affatto, allora, che gran parte dei luterani in particolare esprimessero idee fortemente conservatrici e diffidenti verso le nuova forme democratiche della Repubblica di Weimar: idea comunemente diffusa era che fosse necessario prendere provvedimenti per ridare nuova forza politica alla chiesa.
    E i “provvedimenti” che molti tra i pastori e i fedeli luterani presero furono essenzialmente vedere di buon occhio l’ascesa al potere di Adolf Hitler e, in alcuni casi, addirittura tifare per lui[4].
    Hitler, dal conto suo, aveva verso la religione un atteggiamento quantomeno ambivalente. Nato e cresciuto nell’Austria asburgica, il giovane futuro dittatore non poteva che essere allevato nella fede cattolica, verso la quale nutrì sempre una sorta di odio-amore[5]. Nel Mein Kampf termini quali “il Creatore”, il “Signore dell’universo” o “la provvidenza” si riscontrano praticamente in ogni passaggio[6], ma è anche notorio che, in privato (ad esempio in alcune conversazioni con Hermann Raushning[7]), Hitler non perdesse occasione per farsi gioco del clericalismo di Francisco Franco e arrivasse addirittura a negare che una fede di stampo cristiano-giudaico, con la sua morale della compassione, potesse essere compatibile con una “fede energica ed eroica in Dio e nella natura” che avrebbe dovuto essere propria del popolo tedesco[8]. Sostanzialmente, la fede del führer si giocava in una sorta fusione personale tra immanentismo misticheggiante e neo-paganesimo eroico, forse addirittura con tratti di auto-immedesimazione messianica e chiare influenze teosofiche. Il nazional-socialismo, però, aveva bisogno del “Volk” e il popolo tedesco era, sostanzialmente, cristiano. Non è allora strano che, sebbene nei “25 punti” programmatici l’N.S.D.A.P. dichiarasse che distintiva del popolo ariano fosse l’appartenenza alla comunità di sangue germanico e non alcuna confessione religiosa[9], il partito sostenesse di aderire ad un “orientamento cristiano positivo”. Cosa fosse tale orientamento, lo spiega piuttosto chiaramente il più importante ideologo del “Volkgenosse”, Alfred Rosemberg, che, nel suo Der Mythus, scrive: “l’N.S.D.A.P. ha sempre dichiarato di avere la volontà di riconoscere e di proteggere ogni professione autenticamente religiosa, che non sia contraria ai valori germanici“[10]. Insomma, positiva era ogni religione che si conformasse al nazismo e nella “religione positiva” nazista, ovviamente, l’opposizione all’ateismo marxista e al giudaismo erano punti fondamentali. Quali che fossero le sue personali opinioni, comunque, durante la sua scalata al potere Hitler evitò qualsiasi scontro con l’autorità religiosa e, anzi, cercò di ottenerne i favori stimolando i suoi rappresentanti a partecipare agli affari di stato, attaccando in continuazione il materialismo marxista e punteggiando i suoi discorsi di evidenti proclami propagandistici del tipo “il cristianesimo è la base di tutta la nostra morale“[11].
    Riunione dei Deutsche Christen
    Uniamo alcuni punti (conservatorismo e senso di un “potere perduto” da parte delle gerarchie ecclesiastiche, loro opposizione ad un laicismo para-materialista che è elemento connotativo della politica weimariana, capacità di Hitler di blandire i cristiani durante la sua ascesa) e possiamo facilmente comprendere come, già nel 1930, addirittura tre anni prima della consegna della Germania nelle mani di Hitler da parte di Hindenburg, fosse nata, prima timidamente, poi con una crescita di fedeli notevole, una chiesa luterana tedesca di stampo nazista.
    In cosa credevano questi “Deutsche Christen”, questi “Cristiani Tedeschi”?
    Il loro motto già dice molto sulle loro idee: “Ein Reich-Ein Volk-Eine Kirche“ (Una Nazione-Un Popolo-Una Chiesa) è semplicemente un calco del motto nazista “Ein Reich-Ein Volk-Ein Führer” e quello che diventerà il loro grido di battaglia, “la Germania è la nostra missione, Cristo la nostra forza” e unicamente l’adattamento di una frase pronunciata da Hitler in cui il termine “Cristo” sostituisce il termine “sangue“. Tutta la strutturazione gerarchica di questa “nuova” chiesa nazionale, inoltre, altro non era che una applicazione del “Führerprinzip” all’ambito ecclesiastico: l’idea di fondo era quella di unificare le 28 chiese regionali (una per Land) sotto un’unica gerarchia (Reichskirche) alla cui sommità era posto un “Reichsbischof” (Vescovo di Stato). Il personaggio prescelto per questo delicato incarico fu un oscuro pastore, Ludwig Müller, i cui maggiori meriti erano quelli di essere stato un “Altenkameraden” (un nazista della prima ora) e di dimostrare una assoluta e cieca fedeltà ad Hitler (una fedeltà che durerà fino alla morte, visto che, alla caduta del regime nazista, nel 1945, il camerata vescovo Müller non sopporterà l’onta del disonore germanico e si suiciderà): la sua levatura intellettuale era, comunque, piuttosto indifferente, essendo, dal 1935 in poi, un semplice esecutore degli ordini del “Ministero per gli Affari Religiosi” retto da Hanns Kerrl, altro fervente nazista, ma di tutt’altro spessore speculativo[12].
    Nella realtà dei fatti, i “Cristiano-tedeschi” erano semplicemente dei nazisti convinti che tentavano di applicare i principi socio-politici a cui credevano all’ambito religioso. Una rapida ricognizione sul loro credo non può che convincerci di questo assunto. In particolare, possiamo leggere quanto riportato dal Time[13] (17 aprile 1933) su un congresso dei “Cristiano-Germanici”: “Il grande Congresso dei «Cristiani Germanici» e stato tenuto nell’antico palazzo della Dieta prussiana per presentare le linee delle Chiese evangeliche in Germania nel nuovo clima portato dal nazionalsocialismo. Il pastore Hossenfelder ha cominciato annunciando: ‘Lutero ha detto che un contadino può essere più pio mentre ara la terra di una suora mentre prega. Noi diciamo che un nazista dei Gruppi d’Assalto è più vicino alla volontà di Dio mentre combatte, che una Chiesa che non si unisce al giubilo per il Terzo Reich’. [...] Il pastore dottor Wieneke-Soldin ha aggiunto: «La croce a forma di svastica e la croce cristiana sono una cosa sola. Se Gesù dovesse apparire oggi tra noi sarebbe il leader della nostra lotta contro il marxismo e contro il cosmopolitismo antinazionale». L’idea basilare di questo cristianesimo riformato è che l’Antico Testamento, essendo un libro ebraico, debba essere proibito nel culto e nelle scuole di catechismo domenicali. Il Congresso ha infine adottato questi due principi: 1) «Dio mi ha creato tedesco. Essere tedesco è un dono del Signore. Dio vuole che mi batta per il mio germanesimo»; 2) «Servire in guerra non è una violazione della coscienza cristiana ma obbedienza a Dio».” Non fu certo solo il Time a riportare cronache di tale particolarissimo congresso. Il Sinodo dei pastori Cristiani Tedeschi, in realtà, impressionò l’opinione pubblica di tutto il mondo e non è difficile comprenderne la ragione: tutti e duecento i pastori vestivano uniforme bruna, stivali militareschi e distintivi nazisti, e nei loro sermoni non si esitava ad affermare che “Cristo è venuto a noi attraverso Adolf Hitler“. Al termine del sinodo i pastori cantarono la “Canzone di Horst Wessel”, inno del partito dedicato ad un giovane (e propagandisticamente costruito) martire della causa nazista[14].
    Probabilmente, anche lasciando da parte alcuni assunti a dir poco sconcertanti di Müller (dalla già menzionata volontà di cancellare l’autorità dell’Antico Testamento, “con la sua morale ebraica della ricompensa e le sue storie di mercanti e concubine” a quella di “ripulire” il Nuovo testamento dall’apporto del “rabbino Paolo“[15]) e dei suoi accoliti, l’elemento più inquietante della concezione teologica di questo “nuovo cristianesimo” risiedeva nell’accoglimento del cosiddetto “Paragrafo Ariano” della legge 7-4-1933. Tale paragrafo, che nella versione originale recitava: “Gli impiegati pubblici che non siano di discendenza ariana devono essere messi a riposo. I titolari di cariche onorifiche devono essere licenziati dal loro ufficio“[16], venne semplicemente mutuato in toto, interdicendo l’ordinazione di pastori non di “razza pura” e dettando restrizioni per l’accesso al battesimo di chi non avesse buoni requisiti di sangue. Con tale assunzione, la Chiesa Cristiano-Tedesca chiaramente entrava nella palese contraddizione in termini di strutturarsi come una Chiesa dichiaratamente razzista (non fu, nel corso della storia, l’unica, ma, probabilmente, mai nessun’altra confessione lo fu così apertamente e dichiaratamente).
    Potremmo pensare alla “follia” di un piccolo gruppo di fanatici, ma non fu così: alle “elezioni pastorali” del 1933, il clero appartenente ai “Deutsche Christen” ottenne ben il 75% dei suffragi dei luterani tedeschi e, ben presto, anche membri di altre confessioni evangeliche si federarono con i “cristiani di Hitler”.
    Paradossalmente, chi non li sostenne mai fu proprio il führer: Hitler riteneva i Cristiano-Tedeschi solo dei tiepidi e pavidi cristiani e al tempo stesso dei mediocri nazisti ed accordò qualche simpatia solo al movimento parallelo della “Deutsche Glaubensbewegung” (Movimento tedesco per la fede), fondato nel 1933 da una costellazione di vari gruppuscoli di «senza Chiesa», che non si riconoscevano in alcuna religione rivelata ma intendevano fondare una «fede tedesca» che traesse la sua forza dalla storia e dalle tradizioni delle comunità germaniche, in una sorta di mistica del folklore tedesco, che si proponeva un’intensa vita comunitaria con la rivalutazione delle feste e delle consuetudini germaniche[17]. Forse anche per questo, nonostante gli sforzi di Müller, il führer, che in un primo momento aveva visto nel gruppo una sorta di “quinta colonna” nazista che portasse la gioventù cristiana al partito, già dal 1937 si disinteressò completamente di una religione che fondamentalmente disprezzava (un disprezzo che, dal 1941 in poi, travolse anche il “Ministero per gli Affari Religiosi” di Kerrl, abolito alla morte di quest’ultimo)[18].
    Probabilmente, dal punto di vista storico, il problema più importante è cercare di capire perché una sostanziale aberrazione come quella Cristiano-Tedesca potesse sorgere proprio all’interno del credo luterano. Come accennato, le ragioni sono numerose.
    Va, innanzitutto, premesso che quella dei Deutsche Christen fu solo una estremizzazione di una tendenza comunque ben presente in vari ambiti religiosi. In ambito cattolico, ad esempio, non si può dimenticare che, già nel luglio 1933, il Vaticano firmò un Concordato con la Germania nazista e, sebbene già nel 1936 le note di protesta di Roma contro violazioni tedesche di tale Concordato ammontassero a ben 34 e nel 1937 Pio XI emanasse l’enciclica “Mit brennender Sorge” in cui attaccava duramente il regime hitleriano, tale Concordato non venne mai cancellato dalla Santa Sede (e risulta tuttora vigente).
    Allo stesso modo, non va dimenticato che non tutti i luterani furono nazisti e, anzi, che, ad opera del pastore berlinese Martin Niemöller, già nel 1934, proprio contro il Paragrafo Ariano, venne fondata una “Lega di Emergenza dei Pastori” che diede vita alla “Chiesa Confessante” (“Bekennende Kirche”), di stampo radicalmente anti-nazista (e che ebbe tra i suoi martiri il grande teologo Dietrich Bonhoeffer), il cui manifesto teologico contro i cristiano-tedeschi (“Esistenza Teologica Oggi!“) fu scritto dal più grande pensatore luterano del ‘900, lo svizzero Karl Barth[19].
    E’, però, innegabile che persino Niemöller, nei primi tempi, non aveva esitato a salutare in Hitler il salvatore della Germania, e anche durante il processo che lo vide imputato non esitò (e non certo per opportunismo) a ribadire la sua personale fedeltà al Führer. A sua volta, Hitler doveva nutrire personalmente della simpatia per il suo coraggio e la sua schiettezza: difatti nel `37 fu forse per sottrarlo a una sorte peggiore che lo spedì a Dachau e più tardi come prigioniero politico a Sachsenhausen. Nel 1939 Niemöller si offrì ancora come volontario di guerra: soltanto verso la fine degli anni quaranta, ormai vecchio, si sarebbe convertito al pacifismo integrale[20].
    Insomma, in qualche modo, quella tra luteranesimo e nazismo sembrava, nei primi tempi del regime, una sorta di “attrazione fatale”. Puro caso?
    In realtà, si diceva, probabilmente no.
    In primo luogo, bisogna tener conto della diversa situazione di “peso politico” di fronte al regime tra cattolici, che comunque avevano alle spalle una struttura formale di enorme importanza come il Vaticano, che poteva anche venire a patti con la dittatura hitleriana, ma che aveva, in ogni caso, la forza di contrapporsi ad essa qualora la misura fosse colma, e luterani, che alle spalle non avevano nulla e che rischiavano di venire messi in ombra (come accadde per molte altre confessioni evangeliche), perdendo ogni aggancio sui fedeli di fronte alla crescita della mistica nazionalista e neo-pagana nazista.
    A parte, però, questo elemento contingente, che si va ad unire a tutta la serie di presupposti anti-repubblicani di cui si è già discusso, una sorta di legame inscindibile tra idea di chiesa e idea di stato sembrava essere, per qualche verso, connaturato nella struttura stessa del luteranesimo.
    Fin dai tempi della Riforma, infatti, Lutero si era appoggiato al potere politico locale (si pensi ad esempio, alla protezione accordata al Riformatore dal Gran Elettore Federico il Saggio di Sassonia), dando inizio a quel tipico dualismo luterano per cui il mondo è diviso in due Regni (quello “profano” affidato solo al Principe, e quello “religioso” di competenza della Chiesa, ma della quale lo stesso Principe è il Moderatore, il Protettore, se non il Capo in terra), quel dualismo che giustificò il lealismo al tiranno anche in caso di sua palese violazione della morale (e si pensi, in questo caso, ad esempio, al massacro dei contadini di Svevia nella battaglia di Frankenhausen nel 1525, avallato da un documento di Lutero stesso).
    Questo legame, che si fece sempre più intenso con la Lega di Smalcalda, con l’Unione Evangelica e con la Pace di Augusta, entrò, in qualche modo, a far parte del DNA del luteranesimo tedesco e il risultato più estremo e più deteriore fu, appunto, la totale follia di chi arrivò a confondere la croce con la svastica e a giustificare le aberrazioni dell’eugenetica.
    Appare allora sensato quello che scrisse, ancora negli anni ‘70, il vescovo bavarese Joseph Ratzinger: “Il fenomeno dei «Cristiani Tedeschi» mette in luce il tipico pericolo al quale si trovava esposto il protestantesimo nei confronti dei nazisti. La concezione luterana di un cristianesimo nazionale, germanico, anti-latino, offrì a Hitler un buon punto di aggancio, alla pari della tradizione di una Chiesa di Stato e della fortissima sottolineatura dell’obbedienza nei confronti dell’autorità politica, che è di casa presso i seguaci di Lutero.“[21]
    Il problema è che negli anni ‘30 l’autorità in Germania era rappresentata dai nazisti e che questo “sentire storico” luterano portò alla negazione dei principi e dei presupposti fondamentali dell’umanità da parte di molti, troppi fedeli che si definirono “Cristiani di Hitler”.

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    [1] Per una descrizione esaustiva della situazione socio-politica ed economica della Repubblica di Weimar si veda: E.D. Weitz, Weimar Germany: Promise and Tragedy, Princeton University Press 2007

    [2] Cfr. H.Mommsen, E.Forster, The Rise and Fall of Weimar Democracy, The University of North Carolina Press 1998
    [3] Cfr. O. Wismayer, For an History of the Lutheran Confession, Ansig 1987
    [4] A.C. Cochrane, The Church’s Confession Under Hitler, Pickwick 1976
    [5] Cfr. A.L.Carlotti, Adolf Hitler. Analisi Storica delle Psico-biografie del Dittatore, Angeli 1984
    [6] Cfr. R. Manheim, Intoduzione a A.Hitler, Mein Kampf, Mariner Books 1998
    [7] H.Rauschning , Conversazioni con Hitler, Betelgeuse 2008
    [8] Cfr. F.Cardini, Il Dio di Hitler, Storia Illustrata, agosto 1985
    [9] Cfr. Manifesto del Partito Nazional-Socialista, 24 febbraio 1920
    [10] A. Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelisch-geistigen Gestaltenkämpfe unserer Zeit, Hoheneichen 1930
    [11] Riportato in Rauschning, Citato
    [12] Gregory Munro della Australian Catholic University di Brisbane ha affermato che “Kerrl era il solo Ministro con una esplicità volontà di ricercare una sintesi tra Nazismo e Cristianesimo. Provocando l’ire di gran parte della classe dirigente nazista, Kerrl affermò che il Cristianesimo era un elemento fondamentale della ideologia nazista e che le due forze dovevavo essere portate ad un punto di riconciliazione“. Cfr. G.Munro,The Reich Church Ministry in Nazi Germany 1935-1938, Australian Conference of European Historians, luglio 1997
    [13] Riportato in V.Messori, Pensare la Storia, SugarCo 2006
    [14] Cfr. F. Cardini, Citato
    [15] Ivi
    [16] Come riportato in E.Nolde, Three Faces of Fascism, Eerdman 1966
    [17] Cfr. F. Cardini, Citato
    [18] Cfr. P. Shelley, Church History, Nelson 1995
    [19] Che fu anche il principale estensore della Dichiarazione teologica di Barmen, adottata dal sinodo della Chiesa confessante nel maggio del 1934.
    [20] Cfr. L.Stein, Hitler Came for Niemöller. The Nazi War Against Religion, Pelican Publishing Company 2003
    [21] Riportato in V. Messori, Citato
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    Lawrence Sudbury



    I ferventi Cristiani di Hitler | Lawrence Sudbury

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    "non è Maurizio Lattanzio a sentirsi Dio, ma è Dio, quando è 'in forma', a sentirsi Maurizio Lattanzio"

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    CRISTIANI E NAZISTI


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    di Vittorio Messori

    A cent'anni dalla nascita di Hitler, un promemoria. È ad uso di quei cattolici che recitano solo mea culpa in risposta all'annoso coro di accuse, come se la Chiesa fosse responsabile dì quel battezzato austriaco.

    Ma la verità è questa: ciascuno ha la sua parte, piccola o grande, di responsabilità in ciò che avvenne tra il 1933 e il 1945. Eppure, se la Germania fosse stata cattolica, non ci sarebbero responsabilità da rinfacciarsi: il nazionalsocialismo sarebbe restato una frangia politica impotente e folkloristica.

    Prima Lutero e i suoi successori e poi, nell'Ottocento, Otto von Bismarck, cercarono, con ogni sorta di violenza, di sradicare dalla terra germanica il cattolicesimo, visto come una sudditanza a Roma indegna di un buon patriota tedesco. Il "Cancelliere di ferro" definì Kulturkampf, "lotta per la civiltà", la sua persecuzione dei cattolici, per staccarli con la forza dal Papato "straniero e superstizioso" e farli confluire in una zelante Chiesa nazionale, come già da secoli i luterani. Non ci riuscì, e alla fine fu lui che dovette cedere (ma l'essere fedele a Roma fu, sino al 1918, una macchia che impediva l'accesso agli alti gradi dello Stato e dell'esercito).

    Solo un terzo dei tedeschi, in seguito alla Riforma luterana, era rimasto cattolico. Hitler andò al potere non con un colpo di stato, ma in piena legalità, col metodo democratico delle libere elezioni. Ebbene, in nessuna di quelle elezioni ebbe mai alcuna maggioranza nei Länder cattolici, i quali, ossequienti (allora lo erano...) alle indicazioni della gerarchia, votarono come sempre compatti per il glorioso Zentrum, il loro partito, che già aveva sfidato vittoriosamente Bismarck e che si oppose sino all'ultimo pure a Hitler.

    E ciò (lo si dimentica troppo) a differenza dei comunisti per i quali, sino al '33, il nemico principale non fu il nazismo ma l"'eretica" socialdemocrazia. Si è fatto di tutto anche per farci dimenticare che Hitler non avrebbe mai scatenato la guerra senza l'alleanza con l'Urss che, per spartirsi la Polonia, scese in campo nel '39 con i nazisti. E furono i sovietici che, liberando il Führer dalla minaccia del doppio fronte, gli permisero, dopo Varsavia, di volgersi verso Parigi. Sino al "tradimento" di Hitler dell'estate del 1941, per ben 22 mesi, le materie prime russe sostennero lo sforzo germanico. I motori dei carri nazisti del Blitz in Polonia e in Francia e degli aerei della battaglia per l'Inghilterra girarono con il petrolio della sovietica Bakù. Sino a quella data, nei Paesi occupati, come la Francia, i comunisti locali - ossequienti alle direttive di Mosca - stavano dalla parte dei nazisti, non da quella della resistenza.

    Questi fatti valgano per decenni di sbandieramento di "decisivi meriti anti-fascisti" del comunismo internazionale, così pronto a definire i cattolici (i "clerico-fascisti") manutengoli della grande tragedia. Non meriti, quelli comunisti, bensì responsabilità gravissime. Il nazismo non fu certo vinto per iniziativa di Stalin il quale, al contrario, si sentì tradito dall'improvviso attacco dell'alleata Berlino. Né fu vinto dalla resistenza, di cui poi il marxismo cercò di appropriarsi ogni merito, ma a cui si decise tardivamente, costrettovi dal voltafaccia tedesco.

    Il nazismo fu vinto dall'ostinazione dell'Inghilterra che riuscì ad attirare dietro a sé la potenza industriale americana e che, seguendo la sua politica tradizionale più che motivazioni ideali (lo stesso Churchill era stato ammiratore di Mussolini e aveva avuto parole di stima e di elogio per Hitler; nell'isola raccoglieva simpatie e consensi il locale partito fascista), mai aveva sopportato una potenza egemone nell'Europa continentale. Così era stato anche per Napoleone e per la discesa in campo nel 1914: non guerra di principi ma di strategia imperiale. Contro i Boeri sudafricani, al principio del secolo, la Gran Bretagna vittoriana non era stata molto dissimile, per scopi e metodi, dalla Germania hitleriana. Purtroppo, in politica (e in quella sua continuazione che è la guerra), non esistono i paladini immacolati dell'ideale.

    Per tornare all'ascesa di Hitler: anche le decisive elezioni del marzo del '33 gli diedero la maggioranza nei Länder protestanti, ma lo mantennero in minoranza nelle zone cattoliche. Il presidente Hindenburg, rispettando la volontà della maggioranza degli elettori, affidò a quel quarantaquattrenne austriaco di origini oscure (forse addirittura almeno in parte ebraiche, secondo alcuni storici), la Cancelleria. Il 21 marzo, giorno della prima seduta del Parlamento del Terzo Reich, fu proclamato da Goebbels "Giornata della riscossa nazionale". Le solenni cerimonie furono aperte con un servizio religioso nel tempio luterano di Potsdam, antica residenza prussiana.

    Scrive il biografo di Hitler, Joachim Fest: "Al servizio religioso (luterano) nella chiesa dei santi Pietro e Paolo, i deputati del Zentrum cattolico avevano avuto il permesso, in segno di dileggio e di vendetta, di accedere soltanto per un ingresso laterale. Hitler e i gerarchi nazisti non si fecero vedere "a causa" dissero 'dell'atteggiamento ostile dell'episcopato cattolico"". Sui gradini del tempio protestante, fu scattata la famosa foto di Hindenburg che stringe la mano a un Hitler in marsina. "Subito dopo - scrive Fest - l'organo intonò l'inno di Lutero: Nun danket alle Gott, e ora tutti lodino Dio". Era l'inizio di una tragedia che avrebbe visto anche 4.000 tra preti e religiosi cattolici uccisi solo in quanto tali.

    Quanto alla Chiesa luterana, sin dal 1930 i Deutsche Christen (i Cristiani Tedeschi) si erano organizzati, sul modello del partito nazista, nella "Chiesa del Rekh" che accettava solo battezzati "ariani". Dopo le elezioni del '33, Martin Niemoller, il teologo passato poi all'opposizione, "a nome - scrisse - di oltre 2500 pastori luterani pur non appartenenti alla "Chiesa del Reich"", inviò a Hitler un telegramma: "Noi salutiamo il nostro Führer, rendendo grazie per la virile azione e le chiare parole che hanno restituito l'onore alla Germania. Noi, pastori evangelici, assicuriamo fedeltà assoluta e preghiere ardenti"

    Storia lunga e penosa ché, ancora nel luglio del '44, dopo il fallito attentato a Hitler, mentre ciò che restava della Chiesa cattolica tedesca manteneva uno stretto silenzio, dai capi della Chiesa luterana giunse un altro telegramma: "In tutti i nostri templi si esprime oggi nella preghiera la gratitudine per la benigna protezione di Dio e la sua visibile salvaguardia". Una passività, lo vedremo, non casuale.

    La storia non fa sconti: magari ci mette secoli, ma alla lunga non dimentica niente, porta al pettine ogni nodo. In essa tout se tient: compreso un rapporto diretto tra riforma luterana e, prima, arrendevolezza tedesca davanti all'ascesa del nazionalsocialismo; e, poi, fedeltà assoluta a quel regime sino alla fine, malgrado qualche eroica quanto isolata eccezione.

    Ricordavamo come, sin dal 1930, i protestanti si fossero organizzati nella "Chiesa del Reich" dei Deutsche Christen, i "Cristiani Tedeschi", che avevano come motto: "Una Nazione, una Razza, un Führer". Il loro grido: "La Germania è la nostra missione, Cristo la nostra forza". Lo statuto della Chiesa fu modellato su quello del partito nazista, compreso il cosiddetto "paragrafo ariano" che interdiceva l'ordinazione di pastori non di "razza pura" e dettava restrizioni per l'accesso al battesimo di chi non avesse buoni requisiti di sangue.

    Ecco - tra gli altri documenti che devono far riflettere tutti i cristiani, ma in modo particolarissimo i fratelli protestanti - il servizio inviato dal corrispondente in Germania dell'autorevole giornale americano Time e pubblicato nel numero che porta la data del 17 aprile 1933, cioè un paio di mesi dopo l'ascesa al cancellierato di Hitler: "Il grande Congresso dei "Cristiani Germanici e stato tenuto nell'antico palazzo della Dieta prussiana per presentare le linee delle Chiese evangeliche in Germania nel nuovo clima portato dal nazionalsocialismo. Il pastore Hossenfelder ha cominciato annunciando: "Lutero ha detto che un contadino può essere più pio mentre ara la terra di una suora mentre prega. Noi diciamo che un nazista dei Gruppi d'Assalto è più vicino alla volontà di Dio mentre combatte, che una Chiesa che non si unisce al giubilo per il Terzo Reich" (allusione polemica alla Gerarchia cattolica che si era rifiutata di "unirsi al giubilo", ndr).

    Continuava Time: "Il pastore dottor Wieneke-Soldin ha aggiunto: "La croce a forma di svastica e la croce cristiana sono una cosa sola. Se Gesù dovesse apparire oggi tra noi sarebbe il leader della nostra lotta contro il marxismo e contro il cosmopolitismo antinazionale". L'idea basilare dì questo cristianesimo riformato è che l'Antico Testamento, essendo un libro ebraico, debba essere proibito nel culto e nelle scuole di catechismo domenicali. Il Congresso ha infine adottato questi due principi: 1) "Dio mi ha creato tedesco. Essere tedesco è un dono del Signore. Dio vuole che mi batta per il mio germanesimo"; 2) "Servire in guerra non è una violazione della coscienza cristiana ma obbedienza a Dio".


    Non fu, quella dei Deutsche Christen, la penosa bizzarria di un gruppetto di minoranza, ma l'espressione della maggioranza dei luterani: alle elezioni ecclesiastiche del luglio del 1933 i "Cristo-nazisti" ottenevano oltre il 75 per cento di suffragi da parte di quegli stessi protestanti i quali, alle elezioni politiche, a differenza dei cattolici, avevano assicurato la maggioranza parlamentare alla NSDAP (il Partito Nazional-Socialista del Lavoratori Tedeschi).

    Tutto questo (lo anticipavamo) non è casuale, risponde a una logica storica e teologica. Come dice un bavarese che nel 1945 aveva diciott'anni ed era inquadrato nella Flak, l'artiglieria contraerea del Reich, il cardinale Joseph Ratzinger: "Il fenomeno dei "Cristiani Tedeschi" mette in luce il tipico pericolo al quale si trovava esposto il protestantesimo nei confronti dei nazisti. La concezione luterana dì un cristianesimo nazionale, germanico, anti-latino, offrì a Hitler un buon punto di aggancio, alla pari della tradizione di una Chiesa di Stato e della fortissima sottolineatura dell'obbedienza nei confronti dell'autorità politica, che è di casa presso i seguaci di Lutero. Proprio per questi aspetti il protestantesimo tedesco fu molto più esposto del cattolicesimo alle lusinghe di Hitler. Un movimento aberrante come i Deutsche Christen non si sarebbe potuto formare nell'ambito del concetto cattolico di Chiesa. All'interno di quest'ultima, i fedeli si trovarono ben più facilitati a resistere alle dottrine naziste. Si vide anche allora ciò che la storia ha sempre confermato: come male minore, la Chiesa cattolica può venire tatticamente a patti con i sistemi statali anche oppressivi, ma alla fine si rivela una difesa per tutti contro le degenerazioni del totalitarismo. Non può, infatti, per sua natura - a differenza delle Chiese nate dalla Riforma - confondersi con lo Stato, deve opporsi necessariamente a un governo che voglia costringere i battezzati in una sola visione del mondo".

    In effetti, il tipico dualismo luterano per cui il mondo è diviso in due Regni (quello "profano" affidato solo al Principe, e quello "religioso" di competenza della Chiesa, ma della quale lo stesso Principe è il Moderatore, il Protettore, se non il Capo in terra), proprio quel dualismo giustificò anche il lealismo al tiranno. Un lealismo che per la maggioranza dei quadri della Chiesa protestante si spinse sino alla fine: abbiamo visto quale fosse il messaggio inviato al Führer dopo che, scampato all'attentato nel luglio del 1944, ordinava che la congiura (dovuta, tra l'altro, anche a ufficiali della vecchia aristocrazia e alta borghesia cattoliche) fosse annegata nel sangue.

    Se nel periodo dell'ascesa al potere del nazismo non ci furono resistenze apprezzabili, già nel 1934 una minoranza protestante (riunita peraltro attorno non a un tedesco, ma a uno svizzero, Karl Barth) prendeva le distanze dai Deutsche Christen e si organizzava poi nel movimento della "Chiesa confessante" che ebbe i suoi martiri, tra i quali il celebre teologo Dietrich Bonhöffer. Tuttavia, come osserva ancora Ratzinger, "proprio perché la Chiesa luterana ufficiale e la sua tradizionale obbedienza all'autorità, quale che sia, andavano verso l'ossequio al governo e all'impegno per servirlo anche nella guerra, a un protestante era richiesto un coraggio maggiore e più personale che a un cattolico per resistere a Hitler". Un'eccezione, insomma, la resistenza; un fatto individuale, di minoranza, che "spiega perché gli evangelici", continua il cardinale, "hanno potuto vantare personalità di grande rilievo nell'opposizione al nazismo". Ci volevano grandi caratteri, riserve enormi di coraggio, chiarezza inusuale per resistere, proprio perché si trattava di andare contro la maggioranza dei fedeli e lo stesso insegnamento della propria Chiesa.

    Naturalmente, poiché la storia della Chiesa cattolica è storia anche delle incoerenze, dei cedimenti, degli errori del "personale ecclesiastico", non fu tutto un brillio di oro neppure da parte di qualche membro di questa gerarchia né da parte di qualche religioso e fedele laico.

    Molto si è discusso, ad esempio, sull'opportunità di firmare, sin dal luglio del 1933, un Concordato tra il Vaticano e il nuovo Reich. Già vi accennammo, ma vale la pena di ritornarci, così come ritornano di continuo le accuse, proprio per questo, alla Chiesa.

    Innanzitutto, va osservato - e questo valga naturalmente per tutti i cristiani, cattolici come protestanti - che si era a pochi mesi soltanto dall'avvio del Cancellierato di un Adolf Hitler che non aveva ancora assunto tutti i poteri e non aveva dunque svelato per intero il volto del regime che soltanto in seguito realizzerà. Si ricordi che, sino al '39, il premier inglese Chamberlain sosteneva la necessità di una conciliazione con Hitler e che lo stesso Winston Churchill scrisse (e la cosa, con imbarazzo degli Alleati, fu ricordata dagli imputati al processo di Norimberga): "Se un giorno la mia patria dovesse cadere in angustie come la Germania, io pregherei Dio di darle un uomo dalla fattiva energia di Hitler"

    Joseph Lortz, storico cattolico della Chiesa che, nella sua Germania, visse quegli anni: "Non si dimentichi mai che per lungo tempo, e in maniera raffinatamente menzognera, il nazionalsocialismo celò i suoi fini sotto formule che potevano apparire plausibili". Noi, ora, giudichiamo quegli anni sulla base della terribile documentazione che è emersa: ma soltanto dopo. Come fu provato allo stesso processo di Norimberga, soltanto pochissimi nelle altissime sfere sapevano quel che davvero succedeva nei campi di concentramento (per ebrei; ma anche per zingari, omosessuali, dissidenti o prigionieri comuni, soprattutto slavi). Gli ordini per la "soluzione finale del problema giudaico" furono talmente riservati che di essi non abbiamo alcuna traccia scritta, tanto da spingere gli storici "revisionisti" a mettere in dubbio che siano mai stati dati.

    In ogni caso, quanto al Concordato del '33, va pur detto che non era poi un testo così impresentabile se, con qualche adattamento, è ancora oggi in vigore nella Repubblica Federale Tedesca, e limitandosi quasi a ripetere gli accordi da lungo tempo firmati con gli Stati della Germania democratica pre-nazista. Va poi ricordato come nel 1936, meno di tre anni dopo la stipula, la Santa Sede avesse già inoltrato al governo del Reich ben 34 note di protesta per violazione del Concordato medesimo. Proprio come culmine di quelle violazioni continue, l'anno seguente, nel 1937, Pio XI scriveva la celebre enciclica Mit brennender Sorge.

    Ma poi, andando alla radice: i contestatori di ogni Concordato, non vedono come questi siano possibili in base a una concezione di Chiesa che è preziosa, soprattutto in tempi drammatici come furono quelli. È la concezione cattolica, cioè, di una Chiesa come società autonoma, indipendente, che ha le sue strutture, la sua organizzazione, il suo Vicario terreno e il solo vero Capo e Legislatore in Gesù Cristo.

    Una prospettiva, insomma, che prende davvero sul serio l'inaudita parola del Vangelo: "Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio". È straordinariamente importante il solo fatto che un governo (e soprattutto uno come quello del Führer), accetti di venire a patti con la Chiesa, stabilendo diritti e doveri reciproci: è il riconoscimento che, per l'uomo, ci sono anche doveri verso Dio, non soltanto verso lo Stato. È l'affermazione che Cesare non è tutto, come - con la sua soffocante creazione delle "Chiese di Stato" - il protestantesimo rischia di affermare, almeno nei fatti. Malgrado i suoi inconvenienti, malgrado (come nel caso del nazismo) non sempre sia rispettato, un Concordato riafferma però, per il solo fatto di esistere, che c'è un altro potere in grado di resistere e vincere, alla lunga, il potere del mondo.

    Certo, soprattutto a guerra scoppiata, il Concordato del '33 fu, per Berlino, poco più che carta straccia. Tuttavia, ai credenti perseguitati, ricordò che nell'Europa non c'era soltanto, unico e onnipotente, il Terzo Reich. Ma che c'era anche la Chiesa romana, disarmata eppure temibile persino per il tiranno il quale, difatti, sfidò il mondo intero ma non osò chiedere ai suoi paracadutisti, nella Roma da cui il governo italiano era fuggito, di varcare i confini del colle vaticano.



    Dittatori e dittature - Cristiani e nazisti
    Ultima modifica di Avamposto; 20-09-10 alle 10:30

 

 

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