User Tag List

Pagina 1 di 14 1211 ... UltimaUltima
Risultati da 1 a 10 di 135

Discussione: Focus Cina

  1. #1
    Tringeadeuroppa
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Messaggi
    8,350
     Likes dati
    1
     Like avuti
    36
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Focus Cina

    G20: CINA, UNA POTENZA GLOBALE INSODDISFATTA / ANSA
    UN BEST SELLER RIVELA INSICUREZZA E VOLONTA' DI RIVALSA
    (di Beniamino Natale)
    (ANSA) - PECHINO, 2 APR - Tutti i giornali cinesi aprono
    oggi con la foto del numero uno cinese, Hu Jintao, che stringe
    la mano al presidente americano Barack Obama in quello che tutti
    sono d'accordo nel definire l' incontro bilaterale piu'
    importante del vertice di Londra del G20. Il quotidiano
    britannico Guardian scrive: ''oggi, 2 aprile 2009, puo' essere
    segnato come il giorno nel quale, attraverso il catalizzatore
    della crisi economica globale, la Cina e' emersa definitivamente
    come una potenza del 21esimo secolo''. Il New York Times titola:
    ''La Cina sul palcoscenico come potenza economica globale''.
    Ma oggi, 2 aprile 2009, uno dei libri piu' venduti in Cina e'
    ''Zhongguo bu gaoxing'' (La Cina non e' felice), una collezione
    di saggi dalla quale emergono un forte complesso d' inferiorita'
    e una non ben specificata volonta' di rivalsa. Per scriverlo si
    sono uniti cinque intellettuali sui quarant'anni, gia' autori
    dieci anni fa di un altro saggio di successo dal titolo ''La
    Cina puo' dire no''.
    Il Paese - sostiene uno degli autori, il sociologo Wang
    Xiaodong - e' nel Consiglio di Sicurezza dell' Onu ed e'
    associato in modo permanente al G8 ma ''non conta abbastanza,
    perche' l' atteggiamento dell' Occidente verso la Cina non e'
    cambiato''. Wang e gli altri autori, come gran parte dell'
    opinione pubblica cinese, in particolare quella giovanile, sono
    convinti che Usa ed Europa non vogliano riconoscere ''i
    risultati ottenuti dal popolo cinese nel corso della sua
    storia''. Al contrario, sono convinti che facciano di tutto per
    ridimensionare ed indebolire la Cina. Cosi' gli autori di 'La
    Cina non e' felice' spiegano, per esempio, la popolarita' della
    quale gode in Occidente il Dalai Lama, il leader tibetano in
    esilio. Nessun accenno alla diffusione del buddismo ad opera di
    altri maestri tibetani a partire dagli anni cinquanta e che ha
    influenzato due generazioni di intellettuali ed artisti
    occidentali, o al fascino esercitato fin dall' inizio del secolo
    dal Tibet sull' immaginazione occidentale e che ha prodotto
    studiosi come l' italiano Giuseppe Tucci e l'olandese Alexandra
    David-Neel.
    Wang e i suoi coautori Song Qiang, giornalista e autore di
    programmi televisivi e Liu Yang, studioso dei mezzi di
    comunicazione di massa, fanno altri due esempi per dimostrare la
    volonta' dell' Occidente di ''contenere'' la Cina con qualsiasi
    mezzo: l' esistenza di un accordo tra i Paesi occidentali
    conosciuto come Wasseer Arrangement per il controllo delle
    esportazioni di tecnologia sofisticata che, sostengono, ha la
    Cina come unico obiettivo; e la collaborazione nel campo della
    difesa tra gli Usa ed i Paesi vicini alla Cina come Giappone,
    Corea del Sud e Taiwan.
    Gli autori del best-seller hanno un atteggiamento ambiguo
    verso il governo ed il Partito Comunista Cinese. Affermano di
    non essere ''oppositori'' del governo di Pechino ma di avere
    ''opinioni diverse'' dall' attuale gruppo dirigente. Per
    esempio, non apprezzano il sistema che viene chiamato
    ''socialismo con caratteristiche cinesi'' ma sostengono che al
    suo posto andrebbe creato un ''nuovo sistema'' che fonda le
    tradizioni cinesi del confuncianesimo e del legalismo con alcune
    caratteristiche delle democrazie occidentali. La ricetta degli
    autori di ''La Cina non e' felice'' per migliorare la posizione
    internazionale del loro Paese e' aumentare le spese per gli
    armamenti e perseguire una politica estera piu' aggressiva,
    quello che chiamano ''usare la spada per proteggere gli
    affari''.
    (ANSA).

  2. #2
    Tringeadeuroppa
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Messaggi
    8,350
     Likes dati
    1
     Like avuti
    36
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Cina, Russia, America Latina

    di Sergio Ricaldone

    su altre testate del 28/03/2009


    Il titolo di cui sopra è quello del libro edito dall'Editrice Aurora di Milano, Autori Vari, pag. 160, 12 euro. Così presentato può creare qualche malinteso. Il soggetto centrale del libro è infatti la Cina. La Russia, l'America Latina (cui vanno aggiunti l'Africa e i Paesi del Patto di Shangai), di cui ovviamente si parla, rappresentano la proiezione planetaria della politica estera di Pechino e rendono l'idea delle sue dimensioni economiche, politiche e militari.

    Per quanto sia difficile replicare con la fionda all'incessante bombardamento mediatico anticinese, i vari saggi che compongono il libro sono un tentativo controcorrente di riproporre, senza ipocrisie e senza pretese storiografiche, il nesso esistente tra l'identità del potere politico che governa la Cina e la sua straordinaria crescita economica, ricordando sommariamente i vari passaggi che stanno cadenzando la fase attuale di sviluppo definita "socialismo di mercato".

    L'uscita del libro ha coinciso, per puro caso, con gli effetti devastanti che la crisi economica mondiale sta provocando ovunque. Ci stiamo però accorgendo, col passare dei giorni, che il peso della parola "ovunque" assume un rilievo diverso a seconda del luogo : i dati e i numeri che giungono dall'epicentro del maremoto, Wall Street, e da quelli euronipponici, strettamente correlati con la casa madre di New York, sono pessimi e mostrano la tendenza al peggioramento, mentre quelli provenienti da Pechino - a giudizio di chi pur non amando la Cina la conosce molto bene - sono di segno diverso. Scrive Federico Rampini su Repubblica del 5 marzo 2009 : " C'è voluta un'assemblea di dirigenti comunisti cinesi per ridare un barlume di speranza ai mercati finanziari mondiali. (...) Confortati dalla ripresa degli ordini d'acquisto dei manager industriali cinesi, i mercati hanno voluto scommettere che la Repubblica Popolare potrà svolgere un ruolo di locomotiva nella ripresa mondiale". E'curioso notarlo ma la crisi globale piazza nuovamente la Cina in pole position mediatica. Ora sembra che sia il mondo ad avere bisogno del suo aiuto per uscire dalla catastrofe.

    Sviluppo economico e potere politico in Cina : buono il primo, cattivo il secondo.

    La percezione e il giudizio sulla Cina di oggi è assai contradditorio, almeno in questa parte del mondo che ama definirsi di capitalismo avanzato : Confindustria e destra guardano, discretamente intimoriti ma con rassegnato realismo, al dragone asiatico, all'efficienza delle sue forze produttive, alla dimensione del suo enorme mercato e alla capacità espansiva del suo modello di sviluppo e dei suoi prodotti in ogni angolo del pianeta. Detestano e condannano invece, senza appello, il suo regime politico, senza però mettere a rischio affari e investimenti. Ma è soprattutto da parte della sinistra "radicale", già apologa di Mao e del libretto rosso ed ora nemica ad oltranza dello "sviluppismo" altrui, che il disprezzo anticinese raggiunge spesso toni da crociata lamaista. Il paradosso di queste due condanne è che entrambe, pur con intenti opposti, giudicano incompatibili modello di sviluppo e partito al potere.

    In entrambi i casi si trascura il piccolo dettaglio che quando si giudica un sistema economico, qualunque esso sia, è difficile ignorare identità e finalità strategiche della forza politica che lo gestisce. Nel caso della Cina questa distinzione tra economia e politica, come si fa tra buoni e cattivi, diventa uno strappo al buon senso poiché, come tutti sanno, nel caso specifico, si tratta di una coppia inseparabile. Il modello di sviluppo cinese è figlio legittimo di una delle più grandi rivoluzioni del secolo ventesimo, guidata da un partito che si chiamava e si chiama tuttora partito comunista. Per quanto sgomento possa suscitare nelle anime belle che lo detestano, è difficile separare questo terribile aggettivo "comunista" da tutto quello che è successo in Cina (e nel mondo) negli ultimi ottant'anni.

    Una importante chiave di lettura ci viene squadernata in questo libro dal quadro analitico, ben argomentato, che Bruno Casati ci propone nel suo saggio, sul come la Cina stia edificando il suo sistema ecomico-sociale, dentro un sistema di governo e di potere politico, esercitato sempre dal partito comunista, ma assai diverso dai sistemi sperimentati in precedenza dalla stessa Cina e da quelli di altri paesi socialisti, come ad esempio L'Unione Sovietica. Dunque un percorso nuovo, non privo di contraddizioni e di incognite, sia rispetto ai contenuti che ai tempi necessari per compierlo, ma in continuità con quello iniziato quasi un secolo prima dal movimento comunista e segnato da passi avanti e passi indietro, da vittorie e sconfitte, da successi e fallimenti, ossia da una dialettica che rientra nella assoluta normalità di qualsiasi passaggio storico.

    Dal "modello" sovietico al "modello" cinese, la "lunga marcia" verso il socialismo.

    E' stato acutamente osservato che preparare un rivoluzione è già di per sé un impresa molto difficile. Decidere poi di dare l'assalto al vecchio potere e vincerla è ancora più difficile, ma le vere, enormi difficoltà di una rivoluzione cominciano dopo, quando devi costruirla una società nuova e soddisfare i bisogni e le aspettative del popolo che ti ha sostenuto nell'impresa. E siccome hai imboccato una strada verso un futuro che non conosci e non disponi di un modello compiuto, collaudato, chiavi in mano, devi avere la volontà, il coraggio e anche la modestia, di fermarti e di correggere, le scelte superate. Nell'Urss di Krusciov e Breznev questa lungimiranza è mancata. Hanno continuato a prevalere, fuori tempo massimo, gli impulsi del cosidetto "comunismo di guerra", che nei decenni precedenti era stato necessario per evitare all'URSS assediata di essere travolta dalla potenza soverchiante di una prevedibile aggressione militare imperialista. Ma poi ?

    A Mosca, negli anni 60, finito ormai da tempo il periodo eroico, l'URSS era all'apice del suo sviluppo industriale e scientifico e il mondo guardava sbalordito alle imprese spaziali sovietiche. Però di riforme neanche l'ombra. Anche se lo volevi, non potevi aprire una bottega da idraulico. Il lavoro artigiano non era contemplato dal sistema sovietico. Se il rubinetto di casa tua perdeva il problema te lo doveva risolvere lo Stato. Ossia nessuno. Persino i modesti tentativi di riforma economica di Kossigin sono stati subito soffocati dai solerti pompieri della burocrazia kruscioviana.
    Nella Cina di oggi, invece, oltre a poter fare l'idraulico, puoi anche fondare una banca. Detta in modo grossolano la differenza tra l'ortodossia tardo sovietica dei piani quinquennali e il socialismo di mercato alla cinese è tutta quì. A distanza di tempo si è riscoperta che, l'esigenza di compromessi con il capitale nella fase di transizione, era stata prevista, nel movimento comunista, fin dall'inizio della sua storia. Era già ben presente nella NEP leniniana ed esposta in maniera esemplare dal leader bolscevico, in una lettera dell'aprile 1921 ai comunisti del Caucaso (Lenin, Opere scelte, vol. 2°, pag. 675) Quando questa esigenza è stata ignorata la storia ha giocato brutti scherzi. Sappiamo tutti come è finita in Unione Sovietica.

    Però, dopo il crollo del Muro, quando sembrava che il capitalismo avesse vinto la storica contesa contro il socialismo aperta dai bolscevichi ottant'anni prima, la Cina ha riaperto la sfida. Ma a differenza di Gorbaciov che ha segato il ramo su cui stava seduto, i comunisti cinesi non sono mai stati sfiorati dall'idea di portare in discarica il partito che ha guidato la Lunga Marcia e la rivoluzione né, tanto meno, il "grande timoniere". Hanno guardato in faccia la realtà e hanno preso atto che occorreva una radicale correzione di rotta per trascinare il paese oltre e fuori dal "socialismo della povertà" praticato dei decenni precedenti nel più completo isolamento internazionale.

    Con la svolta denghista, i cinesi hanno ricuperato e aggiornato ai nostri tempi, le nozioni della NEP leninista, e rimodellato l'asse centrale della loro sfida. Anziché sul terreno della competizione militare, che ha dissanguato l'economia sovietica, hanno scelto il terreno della competizione economica. Sicuramente molto aggressiva ma assolutamente pacifica. E in sintonia con la tesi confuciana scritta nel IV secolo a.c. da Sun Tzu e Sun Pin nel celebre trattato sulla guerra : la vittoria militare più importante è quella che si vince senza combattere.

    Non potendo negare i risultati ottenuti dalla Cina, "totalitaria e comunista", la propaganda anticinese affianca spesso, o contrappone, quelli ottenuti dall'India, "la più grande democrazia al mondo". Conosciamo tutti gli enormi sforzi che entrambi i giganti asiatici hanno compiuto e compiono per uscire dal terzo mondo, ma le dinamiche della crescita, governate da differenti sistemi politici, erano e rimangono molto diverse. Se alle chiacchiere sui "diritti umani" si antepongono i dati insospettabili della Banca Mondiale e del FMI la presunta parità di sviluppo appare più che discutibile : dal 1980 al 2006 il PIL, calcolato a parità di potere d'acquisto per abitante, è cresciuto di sedici volte in Cina, di cinque in India. Lo stesso dicasi del loro rapporto con il PIL mondiale : la Cina è passata dal 3,3% al 14%, l'India dal 3,3% al 6%.

    Pace e prosperità economica : questa la sfida antimperialista dei comunisti cinesi.

    Credo che nessuna persona sana di mente possa negare l'entità dei risultati raggiunti che hanno cambiato la vita di centinaia di milioni di cinesi.
    Molto rimane ancora da fare, ma intanto, nel giro di due decenni la Cina, è diventata un gigante della politica mondiale ed ha concorso, con il pesante tonnellaggio del suo PIL, a cambiare i rapporti di forza (non solo economici) tra l'imperialismo nord atlantico e il resto del mondo.

    Molti ricorderanno la tabella di marcia tracciata, nel 1997, dal più lucido teorico dell'imperialismo moderno, Z. Brezdzinski, nel suo famoso libro "La grande scacchiera", in cui venivano squadernate con arrogante semplicità le varie tappe che avrebbero permesso all'America di assumere il controllo politico e miliare dell'intero pianeta. Prima Clinton con la Nato, poi Bush a testa bassa, ci hanno provato. La guerra balcanica per il famoso canale 8, poi l'Afganistan e l'Iraq . Il tentativo di smembrare la Russia, di colonizzare l'intera Asia centrale post sovietica, le pesanti minaccie contro i paesi dell'Asse del Male. Con lo scopo finale di accerchiare militarmente la Cina (considerata il principale nemico strategico) e tenere la Russia sotto il tiro dello scudo spaziale. Un progetto grandioso con cui l'elite politica di Washington sperava di marchiare il 2000 come il nuovo secolo americano.

    Ma già all'epoca le voci di pochi autorevoli storici di area liberal e marxisti (Paul Kennedy, Emanuel Todd, Berberoglu, Jan Ziegler, Heinz Holtz ed altri ) avevano già segnalato, osservando le dinamiche di sviluppo di Cina e Russia, le tracce di un possibile declino della superpotenza americana. Oggi, quelle poche voci sono diventate un coro scaligero e di quella tabella di marcia bonapartista non c'è più traccia. E benché Washington abbia continuato a mantenere il dito sul grilletto del proprio soverchiante arsenale militare, il prestigio dell'America è colato a picco.

    Trent'anni fa gli Stati Uniti producevano il quaranta per cento del PIL mondiale. Oggi, prima del cataclisma delle Borse e al netto di imbrogli finanziari, (il dato continua peraltro a peggiorare), producono solo il 10% delle merci circolanti sul pianeta, cioè meno della Germania, ma ne consumano più del 30%, ossia più dell'Europa intera. E' vero che l'America ha difeso il suo status di superpotenza dilatando al massimo il suo budget militare e la sua aggressività. Ma decine di basi militari dislocate in ogni parte del mondo e mezzo milione soldati a presidiarle non sono bastati a mantenere il primato e a vincere due guerre contro due insignificanti nani militari come l'Afganistan e l'Iraq. Anzi, questa politica ha trascinato l'America in un colossale fallimento economico e militare. In molti sperano che con Barak Obama le cose potrebbero cambiare. Restiamo in prudente attesa di sapere quale dimensione saprà dare, anche in politica estera, alla magica parola "change".

    Nel frattempo la tanto odiata Cina ha concorso con le sue scelte economiche, la sua politica estera e senza mai spostare un soldato fuori dalle sue frontiere, a cambiare i rapporti di forza e le relazioni tra gli Stati sconvolgendo ancora una volta gli assetti geopolitici del pianeta. Queste sono le credenziali con cui la Cina si presenta oggi sulla scena politica mondiale insieme ad altri paesi emergenti coma la Russia, l'India, il Brasile e il Sudafrica.

    La Cina e l'Africa : modello di relazioni paritarie.

    Nel capitolo dedicato alla politica internazionale della Cina abbiamo dato largo spazio ai rapporti economici sempre più stretti che la Cina sta stringendo con l'Africa. Specie dopo il Forum di cooperazione Cina-Africa svoltosi a Pechino nel novembre del 2006 cui hanno partecipato 48 Stati africani su 52. L'importanza di questo rapporto l'abbiamo colto qualche giorno dopo, in quel di Kinshasa, nel discorso pronunciato dal neo presidente eletto Joseph Kabila davanti al parlamento congolese : "Il nostro modello di sviluppo è quello cinese: con il potenziale di risorse naturali di cui disponiamo in Congo possiamo aspirare a diventare, per l'Africa, la Cina di domani". Dal che si deduce che le elite politiche nazionaliste al potere in molti paesi africani hanno capito che costruendo relazioni economiche privilegiate con Pechino, possono accumulare una massa critica di
    forze produttive necessaria per liberarsi dal cappio al collo del debito estero imposto dal neo colonialismo e completare il lungo processo di liberazione rimasto finora incompiuto.

    Chi conosce l'Africa sa che, prima ancora di qualsiasi risultato materiale l'approccio scelto dalla Cina sta cambiando la mentalità degli africani inculcata da cinque secoli di dominio coloniale. Una volta la Cina esportava ideologia in Africa. Oggi sono il suo potenziale industriale e i suoi capitali che alimentano in misura crescente e a tasso zero la costruzione di infrastrutture. Grandi cantieri sono aperti ovunque, soprattutto in Africa australe. Si costruiscono strade, ferrovie, dighe, centrali elettriche, scuole, ospedali, nuove città. Si perforano pozzi, si riaprono miniere.

    Per Paesi indebitati fino al collo e ricattati dal FMI si apre una diversa prospettiva. Le loro risorse minerarie, energetiche e la produzione agricola cambiano le antiche destinazioni e trovano nel mercato cinese una fonte di sbocco che li sottrae alle condizioni iugulatorie delle multinazionali occidentali e del FMI. L'interscambio commerciale con la Cina dei paesi in via di sviluppo cambia la vecchia natura predatoria , neocoloniale, e si fonda invece su basi eque, reciprocamente vantaggiose. Il che induce automaticamente popoli e governi a riflettere anche sulle idee politiche che alimentano quel modello. Non a caso, molti giornali africani, giudicano questa fase di rapporti costruttivi con la Cina come l'avvio di una seconda liberazione dal colonialismo.

    Le dinamiche dello sviluppo cinese stanno imprimendo una straordinaria rapidità al processo di modernizzazione delle regioni più popolate del mondo in Africa, Asia, America Latina. La potenza delle sue forze produttive sta cambiando radicalmente le gerarchie nate dopo il crollo dell'URSS ed è l'inizio di una nuova ristrutturazione policentrica del mondo che vede emergere come attori primari popoli e paesi rimasti secoli sotto il dominio imperialista. Abituati per troppo tempo a considerarci il centro del pensiero innovatore della sinistra no global, non sarebbe male se, anziché sostenere le pulsioni teocratiche di stampo medioevale del Dalai Lama, guardassimo con meno pregiudizi e maggiore obbiettività al nuovo mondo plurale che sta nascendo altrove, fuori dalle nostre cittadelle bianche di capitalismo avanzato.

  3. #3
    Baron Samedi
    Data Registrazione
    01 Apr 2009
    Messaggi
    5,600
     Likes dati
    14
     Like avuti
    196
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Citazione Originariamente Scritto da Spetaktor Visualizza Messaggio
    Gli autori del best-seller hanno un atteggiamento ambiguo
    verso il governo ed il Partito Comunista Cinese. Affermano di
    non essere ''oppositori'' del governo di Pechino ma di avere
    ''opinioni diverse'' dall' attuale gruppo dirigente. Per
    esempio, non apprezzano il sistema che viene chiamato
    ''socialismo con caratteristiche cinesi'' ma sostengono che al
    suo posto andrebbe creato un ''nuovo sistema'' che fonda le
    tradizioni cinesi del confuncianesimo e del legalismo con alcune
    caratteristiche delle democrazie occidentali. La ricetta degli
    autori di ''La Cina non e' felice'' per migliorare la posizione
    internazionale del loro Paese e' aumentare le spese per gli
    armamenti e perseguire una politica estera piu' aggressiva,
    quello che chiamano ''usare la spada per proteggere gli
    affari''.
    (ANSA).
    Sara, ma sulle traduzione fatte dalle agenzie di stampa italiane, ce ne sarebbe da ridire.Gia il fatto che si parli di nuovo sistema con caratteristiche occidentali, lascia molti dubbi in proposito........

  4. #4
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Mosca e Pechino, il sole sorge sempre più ad Est
    agosto 5, 2008



    L’ asse strategico tra Mosca e Pechino si rafforza e l’ Europa resta a guardare. In realta’ la situazione e’ molto piu’ complessa di quella che emerge da una lettura superficiale degli eventi piu’ recenti sulla scena internazionale. Ma risulta inevitabile che una notizia come quella dell’ accordo sui confini tra Cina e Russia del 23 luglio scorso, dopo circa ottanta anni di controversie, lascia veramente stupiti per le conseguenze che potra’ avere nel prossimo futuro sullo scacchiere geopolitico mondiale. Mentre i presidenti e i capi di governo europei si mostrano ancora titubanti sulla loro partecipazione alla cerimonia d’ inaugurazione dei prossimi Giochi Olimpici, Mosca si conferma solidale con Pechino inviando il ministro degli Esteri Sergey Lavrov a firmare, insieme al collega cinese Yang Jiechi (insieme nella foto), la ripartizione dei 327 chilometri quadrati contesi dal 1929.



    La portata dell’ accordo raggiunto, che secondo le prime indiscrezioni riconsegna alla Cina l’ isola di Yinling e meta’ di quella di Heixiazi, e’ soprattutto politica. Per dirla con le parole del capo della diplomazia del Cremlino, crea ulteriori opportunita’ di amicizia e cooperazione tra i due paesi, in un contesto di rapporti bilaterali gia’ positivi. Nei primi cinque mesi del 2008, infatti, gli scambi commerciali sono cresciuti del 60% e la firma dell’ intesa e’ propedeutica alla realizzazione di una zona di libero scambio nell’ estremo nord della Repubblica Popolare dove la Russia vantera’ una sorta di diritto di precedenza sul nascente mercato cinese, mentre la Cina rafforzera’ la sua prelazione per quanto riguarda l’ acquisto delle abbondanti risorse energetiche del vicino. Mai come in questo periodo i due colossi del XXI secolo sono stati cosi’ in sintonia dal punto di vista economico e politico. Cio’ e’ in gran parte il frutto di un’ intuizione diplomatica asiatico-centrica che si e’ dimostrata molto felice. La Shanghai cooperation organisation (cui aderiscono Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tajikistan e Uzbekistan) e’ nata nel 2001 su impulso cinese con l’ obiettivo di rafforzare la sinergia tra i paesi del centro e del nord Asia, con Cina e Russia a farla da padroni. Ad un iniziativa di questa portata, che ha dato il via ad una serie di progetti di sicurezza, intelligence e di coordinamento economico non di poco conto, l’ Unione Europea non ha saputo reagire con altrettanta incisivita’ politica in tutte le organizzazioni di collegamento che la vedono seduta accanto ai due competitor piu’ importanti sul nuovo scenario planetario. In questi sette anni, grazie anche ad un canale privilegiato di dialogo, Mosca e Pechino hanno approfondito relazioni commerciali e strategiche che hanno portato ad un interscambio notevole in termini di energia e tecnologia militare, ad esercitazioni comuni tra i due eserciti, nonche’ ad assumere posizioni comuni in politica estera, a cominciare da quella che le vede concordi nel non forzare i tempi con l’ Iran, braccato dalla comunita’ internazionale per la questione atomica. Attraverso il Gruppo di Shanghai, Cina e Russia hanno stabilito relazioni con diverse organizzazioni internazionali, prime tra tutte le Nazioni Unite e l’ Associazione delle nazioni del sudest asiatico (Asean). Sinora, i Paesi membri della Sco hanno siglato 127 programmi di cooperazione e costituito sette gruppi di lavoro per promuovere la cooperazione in diversi settori, dal commercio all’ energia, dalle telecomunicazioni ai trasporti.


    Il quadrante geopolitico asiatico e’ in grande fermento anche in conseguenza di una politica statunitense a dir poco scellerata (come afferma nel suo L’ ultima chance l’ autorevole Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la Sicurezza nazionale dell amministrazione Carter) visto che negli ultimi sette anni ha avuto come immediata conseguenza in Estremo Oriente l’ incremento del senso di insicurezza da parte dei giapponesi, che ha convinto il governo di Tokyo ad elevare la propria capacita’ militare per contrastare la crescente forza della Cina. Da cio’ e’ scaturito un effetto domino pericoloso per gli Usa, ma anche per l’ Unione Europea, che ha di fatto ha avvicinato Mosca e Pechino. Anche in virtu’ di questa special relationship, oltre all’ accresciuta importanza dell’ India ed il consolidato ruolo internazionale di Giappone e Corea del Sud, il peso politico dell’ Asia sta cambiando gli equilibri sullo scenario mondiale. Troppo irrigidita su stessa e forte del suo appeal verso i paesi asiatici, che comunque non smettono di dimostrare interesse verso i prodotti, le culture ed i capitali europei, Bruxelles manca di quell’ inerzia diplomatica capace di ristabilire una visione meno sbilanciata delle relazioni internazionali. Soprattutto oggi che gli Stati Uniti d’ America vivono un’ amplissima crisi di consenso diplomatico, l’ Europa dovrebbe farsi promotrice di una politica estera comune molto piu’ incisiva con lo scopo di impedire che l’ asse orientale esautori il Vecchio Continente del ruolo di mediatore che la storia recente le ha riconosciuto. Per fare cio’ e’ necessario, con tutta probabilita’, riacquisire una buona dose di realpolitik ed iniziare a mostrarsi piu’ accondiscendente verso temi sensibili per la Cina quali l’ eliminazione dell’ embargo all’acquisto di armi, nuovi accordi commerciali vantaggiosi ed una posizione univoca rispetto alla questione Taiwan. Solo cosi’ sar possibile incidere sull’ evoluzione, anche interna, della politica cinese, accusata di essere, a seconda dei casi, fin troppo muscolare ed imbavagliata. D’ altronde e’ ormai evidente che l’ atteggiamento del muro contro muro, con una Cina tanto forte economicamente, vede perdenti proprio gli europei che dovrebbero far valere di piu’ l’ approccio conciliante. Senza dimenticarsi pero’ che la crescita economica e commerciale dell’ ex Impero di Mezzo, nell’ era del mercato globalizzato, e’ garantita in maniera inscindibile dall’ afflusso di capitali stranieri nell’ impianto produttivo cinese, e dall’ acquisto da parte degli occidentali dei prodotti made in China.

    Autore: Roberto Coramusi

    Fonte: www.geopolitica.info

  5. #5
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Secondo l'agenzia iraniana IRNA di oggi 12 luglio, dietro i disordini nella provincia cinese dello Xinjiang ci sarebbero gli Usa, che avrebbero promosso una "rivoluzione di velluto" contro Pechino.
    L'Agenzia afferma che "Washington ha usato le divergenze razziali e religiose nella provincia per farne un secondo Tibet e portare un colpo alla Cina".

    dal sito www.rivista-eurasia.org

  6. #6
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Credo che anche quest'articolo non sia stato postato nel forum. Lo inserisco in questa discussione sulla Cina:

    Xinjiang e Tibet: dal simile allo stesso
    :::: 10 Luglio 2009 :::: 4:25 T.U. :::: Analisi - Cina :::: Jean-Paul Desimpelaere
    di Jean-Paul Desimpelaere*


    Domenica 5 luglio 2009, violenti scontri hanno scosso le strade di Urumqi, capitale della provincia cinese dello Xinjiang. Sono state uccise 156 persone e ferite più di mille altre. Queste cifre sono di molto superiori a quelle dei disordini a Lhasa, nel marzo 2008.

    Ma gli aspetti dei disordini sono simili: bande di persone scese per le strade che sfasciano e incendiano negozi e picchiano persone. Secondo la polizia cinese, circa 1.500 persone sono state arrestate. Non si nega che ci siano tensioni sociali e etniche in Cina, ma sono utilizzate in un gioco geostrategico internazionale, ciò è raramente menzionato dai nostri media. Ecco alcuni pensieri su questo tema, e più precisamente al "fronte unito Dalai Lama - Xinjiang.

    In molte interviste (anche nel suo discorso al Parlamento europeo in data 4 aprile 2008), il 14.mo Dalai Lama si è detto preoccupato per 'la lotta degli uiguri dello Xinjiang.’ Ha definito questa zona "Turkestan orientale" che dovrebbe diventare indipendente. Nel corso degli ultimi dieci anni, molte associazioni per la difesa per l'indipendenza della "Turkestan orientale" sono nate in Occidente. Il comitato centrale è chiamato "Congresso del Mondo Uigurico con sede a Monaco di Baviera, in Germania (**). La loro presidentessa vive negli Stati Uniti ed è orgogliosa di annunciare che il loro movimento s’è sviluppato con il sostegno della National Endowment for Democracy (NED), la sorella gemella della CIA, ma dedita alle operazioni "di pace".

    Nel bilancio finanziario della NED, sono elencate quattro organizzazioni dell’opposizione uighur in Cina, che insieme hanno ufficialmente ricevuto più di $ 500.000 nel 2008. Ecco il legame con il Dalai Lama, hanno lo stesso sponsor. Inoltre, si coordinano tra loro: la prima conferenza dell’"alleanza" (Tibet, Turkestan orientale, Mongolia meridionale) ha avuto luogo a New York il 16 ottobre 1998 e fu frequentata dai monaci della amministrazione Clinton, dai rappresentanti del Dalai Lama, degli uiguri e dei mongoli. Per l'occasione, il Dalai Lama ha scritto questo messaggio: "I nostri tre popoli hanno forti legami storici, ora si sono uniti nella lotta contro l'occupazione cinese. L'impero sovietico s’è disintegrato e le persone hanno riacquistato la loro libertà. Inoltre, io sono ottimista circa il futuro delle nostre rispettive nazioni."

    Lo scopo di tutto questo sembra abbastanza chiaro: accendere e sponsorizzare conflitti etnici che regolarmente esplodono nelle diverse regioni della Cina, al fine di disintegrarla come l'Unione Sovietica.

    *http://www.tibetdoc.eu/spip/spip.php?article129 08 luglio 2009


    ** Dove ha sede l’Associazione dei Popoli Minacciati (APM), che ha portato avanti le istanze separatiste dell’UCK e, tuttora, sostenie le istanze separatiste delle minoranze in Myanmar, Balcani, Caucaso, America Latina, ecc. L’APM è legata agli ambienti atlantisti straussiani (Franz Joseph Strauss) della CSU. Alcuni sue propaggini operano anche in Italia. NdT.



    Traduzione di Alessandro Lattanzio
    http://www.aurora03.da.ru
    http://www.bollettinoaurora.da.ru
    http://sitoaurora.narod.ru
    http://sitoaurora.altervista.org
    http://eurasia.splinder.com

  7. #7
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Attenzione, Xinjiang!
    :::: 25 Luglio 2009 :::: 11:00 T.U. :::: Analisi :::: Roman Tomberg
    di Roman Tomberg* Strategic Culture Foundation Strategic Culture Foundation 20.07.2009


    Dal 5 luglio, l'attenzione di tutto il mondo si è concentrata sull'ordine del giorno del prossimo vertice G8, che aveva tutte le possibilità di diventare l’evento culminante del mese. Eppure, le principali notizie sono arrivate in gran numero non da L'Aquila, in Italia, ma da Urumqi, in Cina. I disordini scoppiati in città hanno provocato 184 morti e 1.680 feriti, oltre a più di 260 autovetture incendiate e circa 200 negozi saccheggiati. Nel corso dei tre giorni di disordini che inizialmente hanno preso di mira la popolazione cinese, e poi quella Uigura, della regione autonoma dello Xinjiang, i problemi della provincia cinese hanno attirato l'attenzione di Pechino, dei vicini della Cina in Asia centrale, e del resto del mondo.
    Considerando che i disordini in Tibet, lo scorso anno sono stati, evidentemente, sincronizzati con l'apertura delle Olimpiadi di Pechino, la coincidenza temporale dei disordini nella regione autonoma dello Xinjiang e del vertice del G8 non sembra casuale.
    Senza dubbio, la situazione nello Xinjiang sta per essere utilizzata per offuscare l'immagine della Cina e per ridurre la sua influenza nella politica internazionale. Gli eventi di Urumqi forniscono all'Occidente un pretesto per mettere un governo legittimo di un paese sovrano sotto pressione, così come è stato precedentemente fatto nel caso della Jugoslavia, in Cecenia e in Iraq. Ora sarà possibile interpretare la lotta al terrorismo delle forze di sicurezza della Cina, come una pulizia etnica e un genocidio contro la popolazione Uigura. In realtà, è in gran parte il risultato delle attività internazionali delle "vittime delle torture da parte del governo" tra le fila della setta Falun Gong, se la situazione dei diritti umani in Cina è diventata il bersaglio di critiche permanenti, che sono state leggermente smorzate negli ultimi anni, solo a causa della interdipendenza delle economie degli Stati Uniti e della Cina.
    Molto probabilmente, gli avvenimenti nella regione autonoma Uigura dello Xinjiang avrà un effetto negativo sulla capacità della Cina di attrarre investimenti esteri, il che sarebbe un duro colpo per la sua enorme economia nel tentativo di sottrarsi alla crisi globale. Pochi giorni fa, la politica della Cina di acquistare in tutto il mondo risorse naturali ha incontrato il primo serio ostacolo, gli azionisti di Rio Tinto, una grande azienda metallurgia l'anglo-australiana, ha invocato considerazioni di sicurezza nazionale ed ha rifiutato di vendere una quota 7,2 miliardi di dollari alla società della Cina Chinalco. Sebbene l'accordo generale sull’affare è stato raggiunto nel febbraio 2008, Rio Tinto se ne è allontanata seguito di un suggerimento avanzato dall’Australia's Foreign Investments Review Board.
    Attualmente, la regione autonoma Uigura dello Xinjiang è la più grande unità amministrativo-territoriale della Cina, con una superficie di 1.660.000 km quadrati (superiore a quella di Germania, Francia, Spagna e combinata), o 1/6 della superficie totale della Cina. Gli Uiguri nella regione sono un gruppo etnico che conta circa 12 mln di persone (la popolazione totale della regione è di circa 20 mln). Nel complesso, la regione è abitata da 47 gruppi etnici. La Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang ed il Tibet sono le solo regioni della Cina con una popolazione prevalentemente non cinese. Va osservato che attualmente gli Uiguri sono l'unica grande nazione di lingua turca in Asia centrale, che rimane senza uno stato.
    Lo Xianjiang è stato inserito nell’orbita della Cina relativamente di recente - nel 1760 sotto la dinastia Manciù. Gli Uiguri non ha accolto con favore i cinesi e i loro metodi dell’amministrazione e, spesso, si ribellarono. Quando la Cina si riprese lo Xinjiang nel 1949, la leadership cinese ha tenuto in considerazione l'esperienza passata e prevedibilmente ha concluso che la popolazione d'etnia cinese Han sarebbe stata molto più fedele rispetto a nativi turchi e musulmani. Le famiglie cinesi sono state trasferite in gran numero dalla province orientali della Cina alla regione sotto il controllo della Xianjiang Production and Construction Corp., considerando che i cinesi costituivano solo il 5% della popolazione della regione Xianjiang al momento in cui esso è stato accolto in Cina. Attualmente la cifra ha raggiunto il 41% o 7,5 milioni di persone, la maggior parte di questa popolazione è urbana.
    In particolare, Pechino non stimola la migrazione di tali proporzioni in qualsiasi altra regione della Cina. Ad esempio, solo 160.000 cinesi risiedono in Tibet (su un totale della popolazione di 2,4 mln), ma in nessun caso si è avuto un afflusso massiccio di cinesi nella regione. La spiegazione risiede nell’importanza strategica dello Xianjiang per la Cina.
    In primo luogo, la Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang è ricca di risorse naturali quali petrolio, gas naturale, carbone e uranio. Lo Xinjiang è stato il secondo più grande produttore di petrolio in Cina nel 2008, con una produzione di 27,4 mln di tonnellate di greggio (14% del totale nazionale). Oltre, 1/3 del gas naturale prodotto in Cina proviene dallo Xinjiang, 24,1 Barili pompati annualmente alle province della Cina orientale, attraverso il gasdotto Ovest-Est costruito nel 2005. Lo Xinjiang è al primo posto tra le regioni minerarie carbonifere della Cina (il carbone è il principale tipo di carburante in Cina) col 40% di partecipazione delle riserve di carbone del paese. L'anno scorso, il più grande deposito di uranio della Cina - 10.000 tonnellate - è stato scoperto nel bacino del fiume Ili.
    In secondo luogo, questa regione della Cina occidentale ha tradizionalmente servito come sede segreta delle attività di ricerca strategiche. Lop Nur, la più grande base di test di armi nucleari della Cina, con una superficie di 100.000 km quadrati, si trova nello Xinjiang. E’ stata utilizzata per i test nucleari negli anni ‘60 e attualmente serve per testare i missili balistici. Un’altra struttura segreta è situata nello Xinjiang, è il centro di ricerca per la Fisica Nucleare, il Malan Research Institute.
    In terzo luogo, lo Xinjiang confina con sette paesi - Russia, Afghanistan, Kazakistan, Kirghizistan, Mongolia, Pakistan e Tagikistan - e quindi gioca il ruolo della porta della Cina verso la Grande Asia centrale, che è stata a lungo tra le priorità della politica estera di Pechino. La vicinanza geografica all’Iran, il paese con cui la Cina prevede di rafforzare un partenariato strategico, contribuisce anch’esso all'importanza dello Xinjiang.
    L'instabilità nello Xinjiang pone una serie di minacce alla Cina, soprattutto quelle del terrorismo e del separatismo. Un certo numero di gruppi Uiguri - il movimento di indipendenza del Turkestan orientale, l'Organizzazione di liberazione islamica del Turkestan orientale, la Conferenza Mondiale della Gioventù Uigura e il Centro di Informazione del Turkestan orientale – sono impegnati in attività anti-governative e, in alcuni casi, in attività terroristiche. Alcuni di essi sono sospettati di essere legati ad Al Qaeda.

    I problemi incontrati dallo Xinjiang riceve una grande copertura mediatica internazionale, soprattutto grazie agli sforzi compiuti dal Congresso Mondiale Uiguro, che agisce come valvola di sfogo della popolazione locale della regione. Inoltre, le espressioni di sostegno al movimento di indipendenza Uiguro sono stati ascoltati nei circoli politici di Gran Bretagna, Paesi Bassi, e persino nel vicino Kazakistan. Il Primo Ministro turco Erdogan ha presentato una dichiarazione forte, sulla scia degli scontri di Urumqi (la Turchia è un giocatore chiave nell’Asia centrale). Ha chiamato il dramma in Urumqi genocidio e ha promesso che il tema sarebbe stato messo all'ordine del giorno del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
    Lo Xinjiang è uno dei principali hub di transito regionale. Il gasdotto Atasu-Alashankou che collega Cina e Kazakistan attraversa la regione autonoma Figura dello Xinjiang. Nel prossimo futuro, si prevede di costruire un ulteriore tappa della pipeline che aprirà l'accesso al Mar Caspio della Cina. Un’altra importante infrastruttura situata nella regione è il gasdotto che collega ai giacimenti di gas del Turkmenistan e Kazakistan, e sarà presto aggiornato per raggiungere l'Uzbekistan. Perciò, l'instabilità nello Xinjiang rappresenta una minaccia per la sicurezza energetica di tutta l'Asia centrale.
    L'energia non è l'unico settore che affronta potenziali minacce a causa degli sviluppi nello Xinjiang. L'avanzata del separatismo nello Xinjiang comporta il rischio della creazione di una rete terroristica che va dalla valle di Fergana a quella di Turfan. Il probabile effetto parallelo sarebbe la creazione di un corridoio per il traffico di droga e di armi, nonché dell'immigrazione clandestina, soprattutto sul versante dell'Afghanistan e del Pakistan. La possibilità di simultanei disordini Uiguri tra le popolazioni delle vicine repubbliche, soprattutto Kazakistan e Kirghizistan, non può essere esclusa. L'instabilità nello Xinjiang è un problema di scala regionale, e un meccanismo di indirizzo dovrebbe funzionare con un’organizzazione a livello regionale. Il corpo corrispondente è la Shanghai Cooperation Organization, che ha pianificato misure volte a contrastare il terrorismo, il separatismo, l'estremismo e, dal 2001, lo svolgimento di esercitazioni congiunte delle forze armate dei suoi paesi membri, nei territori della Russia, la Cina e in Asia centrale ed orientale, come le missioni anti-terrorismo e di pace. In circostanze attuali, l'aspetto militare della Shanghai Cooperation Organization può essere non meno importante per la Cina di quello economico. Più ampie esercitazioni militari, nel quadro della Shanghai Cooperation Organization, dovrebbero essere previste in futuro.
    Sarebbe un errore credere che lo Xinjiang è solo mal di testa della Cina. Si tratta di un nuovo, o meglio, un alquanto trascurato fattore di rischio che caratterizza l'intera Asia centrale.

    *Strategic Culture Foundation Strategic Culture Foundation 20.07.2009


    Traduzione di Alessandro Lattanzio
    Aurora
    Bollettino Aurora
    Aurora - Index
    Aurora - Index
    Eurasia

  8. #8
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Gli Uiguri tra l'Impero e il separatismo
    :::: 20 Luglio 2009 :::: 49 T.U. :::: Eurasia :::: Claudio Mutti
    di Claudio Mutti


    Gli Uiguri in Mongolia

    Volendo dare un'idea della "mobilitazione contrastiva della storia" prodotta dallo scontro fra le tendenze separatiste riapparse nello Xinjiang e la rivendicazione cinese della legittima sovranità della Repubblica Popolare sulla regione, il generale Fabio Mini ha osservato: "Gli uiguri di oggi ricorrono volentieri alla storia per legittimare le loro rivendicazioni di indipendenza, evocando la rappresentazione di una nazione e di uno Stato unitario travolto dalla dominazione cinese alla fine del secolo scorso. Un'oppressione senza scrupoli contro la quale una fiera resistenza avrebbe combattuto e combatte ancora" (1). Da parte sua, la prospettiva geopolitica cinese si ricollega ad una concezione imperiale, poiché replica più o meno in questi termini: "il dominio imperiale, esercitato per vie diplomatiche o per controllo diretto o per conquiste militari o per cosiddetti 'protettorati', era comunque assoluto. Le dinastie, anche barbare, che nei secoli avevano acquisito il controllo del Xinjiang, erano comunque espressioni legittime del potere cinese. Il loro dominio era incontrastato e veniva materializzato dal rapporto di tributo" (2).
    Le rappresentazioni messe recentemente in circolazione dalla grancassa mediatica occidentale rivelano il loro carattere strumentale e inconsistente qualora ci si sforzi di passare in rassegna, anche in maniera sintetica e sommaria, le vicende storiche degli Uiguri e della regione nella quale essi andarono a insediarsi in un certo momento della loro storia.
    Tale rassegna può iniziare dal 744 dell'era volgare, allorché l'impero dei "Turchi Celesti" (Kök Türk), che era sorto in Mongolia nel 552 e all'apice della sua fortuna aveva dominato lo spazio compreso tra il Mar Giallo e il Mar Nero, crollò a causa della ribellione di alcune tribù turciche vassalle, tra le quali quella degli Uiguri.
    Il capo degli Uiguri, inviata alla corte imperiale cinese la testa mozzata dell'ultimo qagan turco, assunse a sua volta la dignità di qagan. Nacque così un vasto regno che, estendendosi dal Fiume Giallo al fiume Yili, subentrò ai Turchi Celesti nel dominio della steppa. "Il rapporto che si sviluppò tra gli Uiguri e i Cinesi fu di reciproco beneficio: per non indebolire la dinastia cinese i primi fornirono un notevole sostegno militare, mentre ricevettero dalla Cina un immenso guadagno e una posizione privilegiata nel commercio. Si trattava di un rapporto simbiotico, poiché gli Uiguri erano fedeli alleati, che riconoscevano che non era nel loro interesse permettere che la dinastia Tang fosse rovesciata" (3).
    A quell'epoca gli Uiguri parlavano una lingua del gruppo uiguro-oguz (sottogruppo uiguro-tukius), appartenente a sua volta al ramo unno-orientale del gruppo turco. Questa lingua, che possiamo chiamare antico uiguro e che non è molto diversa da quella delle epigrafi dell'Orkhon dei secoli VII-X, si differenzia dalle lingue uigure del gruppo karluk, ossia dall'uiguro dei secc. X-XI, formatosi in seguito all'interazione con l'arabo e col persiano, nonché dall'uiguro dei secc. XI-XIV, costituitosi per effetto dell'invasione mongola. L'alfabeto con cui essa veniva comunemente scritta, detto 'uigurico', era "una variante dell'alfabeto sogdiano, derivato a sua volta dall'alfabeto aramaico, cosa ben comprensibile se si pensa al ruolo di diffusori di civiltà espletato dai sogdiani, popolo di intraprendenti commercianti" (4). Dell'uiguro antico si servì, nell'iscrizione runica di una cinquantina di righe rimasta a Shine Usu, il secondo qagan degli Uiguri, El Etmish, per enumerare gli eventi che si erano susseguiti dal 743 al 750.
    In un'altra epigrafe (quella di Qarabalghasun, in turco, cinese e sogdiano) è attestata la conversione degli Uiguri al manicheismo. Il 20 novembre del 762 il qagan uiguro El Tutmish aveva espugnato Lo-yang, liberandola dal generale ribelle An Lushan e restituendola all'imperatore cinese Suzong in cambio di un pagamento annuo di 20.000 rotoli di seta e delle nozze con una principessa tang; ma in quella circostanza il qagan aveva incontrato alcuni missionari manichei che lo avevano indotto ad abbracciare la loro fede. Nel testo cinese dell'epigrafe si legge: "Il paese dai costumi barbari e fumante di sangue si mutò in un paese in cui ci si nutre di legumi; il paese in cui si uccideva, in un paese in cui si incoraggia al bene" (5).
    Il manicheismo divenne così la religione ufficiale del regno uiguro e gli Uiguri diventarono i protettori ufficiali delle missioni manichee in Cina. "La protezione del qagan costringe l'imperatore cinese ad accordare ai manichei per due volte - nel 768 e nel 771 - l'autorizzazione a istituire dei 'templi' in diverse località. Per due volte ugualmente - nell'806 e nell'817 -, dei manichei vengono accreditati come ambasciatori presso la corte di Cina" (6).
    Da parte loro, gli Uiguri intrapresero periodiche campagne militari al servizio dell'impero cinese, esigendo in cambio gravosi pagamenti. "Alcune di queste entrate provenivano dall'esorbitante prezzo che facevano pagare per i cavalli, scambiati con la seta. Un viaggiatore arabo che visitò la capitale uigura [presso Qarabalghasun] riferì che il khaghan riceveva pagamenti annuali di mezzo milione di pezze di seta dalla Cina" (7).

    La migrazione uigura nell'attuale Xinjiang

    L'egemonia uigura sulla Mongolia durò circa un secolo, finché nell'840 le tribù chirghise provenienti dal nord si impadronirono della capitale, costringendo gli Uiguri a trasferirsi nel Gansu e nel bacino del Tarim, regioni che essi avevano già in parte conquistate verso l'800. Mentre il Gansu venne conquistato dalla tribù tibetana dei Tanguti, la valle del Tarim, nel Turkestan orientale, restò in possesso degli Uiguri, i quali fissarono le residenze invernale ed estiva dei sovrani rispettivamente a Qocio (Kuča), nell'odierna oasi di Turfan, ed a Beshbalïq, a nord del T'ien Shan, presso l'odierna Ürümqi.
    Il Turkestan orientale era un paese di antica civiltà: lo rivelò, negli ultimi anni dell'Ottocento, il ritrovamento di una serie di manoscritti risalenti ai secoli V-IX d.C., contenenti testi non solo in cinese, mongolo e sanscrito, ma anche in una lingua indoeuropea fino allora sconosciuta: il tocario. secondo un'ipotesi accreditata presso la maggioranza degli archeologi e dei linguisti, i Tocari avrebbero fatto parte della cosiddetta migrazione pontica e si sarebbero insediati nella regione intorno ai secoli IX-VIII a.C.
    All'epoca dell'immigrazione uigura, "nelle principali città carovaniere, al tempo stesso centri di vita sedentaria, vivevano popolazioni parlanti lingue indoeuropee quali il sogdiano e il sacio (appartenenti al gruppo iranico) e il tocario. Presso queste popolazioni si erano affermate una letteratura religiosa in massima parte di ispirazione buddhistica, per il resto manicaica o nestoriana, e un'arte composita in cui si fondevano elementi dell'arte indiana (greco-romano-buddhistica e gupta), iranica e cinese. Gli uiguri assimilarono la civiltà preesistente alla loro venuta, e ne prolungarono l'esistenza con propri contributi (...) La caleidoscopica civiltà degli uiguri, fatta piuttosto di echi che di sintesi o di originali sviluppi, si spense sul posto, dopo l'invasione mongola" (8).
    Alla morte di Gengis Khan, nel 1227, la maggior parte degli Uiguri venne a trovarsi nell'ulus di Ciagatai, che nella partizione dei domini paterni aveva ricevuto la Kashgaria, l'attuale Xinjiang, i territori ad est del lago Balkash, la Transoxiana e la Semireche. Il contributo che gli Uiguri diedero all'organizzazione degli Stati turco-mongoli fu enorme: i figli di Gengis Khan impararono a leggere e a scrivere la scrittura uigurica, mentre agli Uiguri "venne affidata l'amministrazione delle province conquistate, ed essi, mandati soprattutto in Cina, competevano vantaggiosamente anche con i funzionari del paese, quanto a capacità e destrezza; il cristiano Cingai fu messo a capo di tutta l'amministrazione dell'impero" (9).
    Nel periodo mongolo, infatti, gli Uiguri erano in gran parte cristiani (10), essendo stati da tempo evangelizzati dagli zelanti missionari nestoriani. Più sopra si è detto della loro conversione al manicheismo, avvenuta nell'VIII secolo; ma nel bacino del Tarim aveva avuto larga diffusione il buddhismo mahâyâna, tanto che nel 981 la capitale uigura possedeva un solo tempio manicheo, a fronte di una cinquantina di templi buddhisti. Alla predicazione buddhista era poi subentrata quella nestoriana. In questo paesaggio religioso variegato e fluido, in cui manicheismo, buddhismo, cristianesimo nestoriano "coesistevano in una certa tolleranza o indifferenza per le credenze e le pratiche sciamaniste ancestrali" (11), i Turchi introdussero l'Islam, che grazie alla Pax Mongolica si era d'altronde già diffuso da tempo nei territori cinesi.

    Gli Uiguri e l'Islam

    La graduale islamizzazione degli Uiguri giunse ad uno stadio decisivo allorché Tarmashirîrîn Khân (1326-1334), sovrano dell'ulus ciagataico, abbandonò il buddhismo ed abbracciò l'Islam, diventando sultano col nome di ‘Alâ'oddîn; un ulteriore impulso alla diffusione dell'Islam nella regione venne dato da Tughluq Timur Khan (1343-1363).
    Mentre in Cina l'epoca Ming (1368-1644) vedeva nascere e consolidarsi, attraverso un processo di sinizzazione dell'Islam, quell'etnia hui che, costituita di Han convertiti all'Islam, è la più numerosa tra le etnie musulmane della Cina, gli Uiguri condividevano le sorti delle tribù ciagataiche. La tradizione colta rappresentata dal linguaggio amministrativo degli Uiguri fu una componente determinante della cultura ciagataica nei domini di Tamerlano e, in particolare, nelle corti timuridi di Samarcanda, di Herat, di Shiraz. Intanto, a partire dal XVI e ancor più dal XVII secolo, nel Turkestan orientale e in altri territori della Cina nordoccidentale (Gansu, Qinghai, Ninxia) si andavano costituendo i nuclei di quattro confraternite sufiche: la Qadiriyya, la Khufiyya, la Jahiriyya e la Naqshbandiyya; a quest'ultima, in particolare, appartenevano i Khwa^ja, discendenti dello shaykh Makhdûm-i Azam (morto nel 1540 a Kashgar), che in seguito alla frantumazione del chanato ciagataico governarono la Kashgaria dal 1678 al 1757. Con la caduta della dinastia dei Khwâja, il Turkestan orientale venne chiamato Huijiang ("Provincia islamica") ed annesso in maniera stabile al Celeste Impero, alla guida del quale s'era insediata nel 1644 la dinastia sino-mancese dei Qing. "I cinesi consideravano il Turkestan orientale una loro naturale regione d'influenza, al punto che gli scambi commerciali che essi intrattenevano con le popolazioni che lo abitavano erano visti come una forma di tributo offerto da costoro. L'annessione di queste regioni, per il discorso che qui più c'interessa, si risolse in un importante evento: l'inglobamento di un considerevole numero di musulmani non sinizzati (e dei loro centri devozionali) entro i confini dell'Impero. Il Turkestan - che dal lato occidentale era assediato dall'espansionismo russo - venne governato grazie all'ausilio di capi musulmani locali (beg), che in cambio d'assegnazioni fondiarie collaboravano con gli amministratori Han protetti da guarnigioni cinesi stanziate a Ürümqi, Kashgar, Khotan ed altri centri" (12).
    Ma dal loro rifugio di Kokand (Qo'qon) i Khwâja detronizzati di Kashgar attendevano che si presentassero le circostanze favorevoli per una riconquista del potere perduto. Sotto la spinta del movimento eterodosso Xin jiao ("Nuova dottrina"), che nel 1781 aveva animato una rivolta di Hui nel Gansu, a partire dal 1820 i Khwâja organizzarono una serie di incursioni in territorio cinese e tra il 1826 e il 1827 suscitarono una sommossa nel Turkestan orientale. Una nuova ribellione scoppiò una ventina d'anni più tardi, nello stesso anno in cui il potere centrale riusciva finalmente a domare la grande rivolta contadina del Taiping Tianguo: in seguito all'insurrezione degli Hui guidata nello Shanxi e nel Gansu da Ma Huolang, capo della confraternita Jahiriyya, nel 1864 gli Uiguri si sollevarono sotto la guida del tagico Yaqub Beg (1820-1877), edificando un'effimera entità politica (il "regno della Kashgaria") che trovò sostegno presso i Britannici e i Russi e venne riconosciuta dal sultano ottomano. Alla repressione di questa rivolta, avvenuta nel biennio 1877-1878 ad opera del generale cinese Zuo Zong-tang (1812-1885), seguì, nel 1884, la riorganizzazione del Turkestan orientale, che andò a costituire una nuova provincia cinese e ricevette il nome di Xinjiang ("Nuovo Territorio").

    Il separatismo uiguro

    Nel primo periodo repubblicano (1911-1949) lo Xinjiang fu teatro di nuove insurrezioni, le quali però presentavano "una peculiarità rispetto a quelle della seconda metà dell'Ottocento: da una caratterizzazione più marcatamente 'islamica', ora l'accento viene posto gradualmente sul fattore etnico, con l'Islam che fornisce per così dire la 'bandiera' ai separatisti-indipendentisti" (13). Si cominciò nel 1931, con la rivolta capeggiata dal khwâja Niyâz Hajji, che il 12 dicembre 1933 approdò alla proclamazione di una "Repubblica Islamica Turca del Turkestan Orientale" che nel giro di un anno venne abbattuta dall'esercito nazionalista cinese; il secondo atto ebbe luogo nel 1937 col movimento guidato da ‘Abdallâh an-Niyâz; nel 1940 scoppiò la rivolta di ‘Uthmân Batûr, che fu repressa nel 1943; nel 1944 la rivolta della valle dello Yili si concluse con la proclamazione di una nuova "Repubblica del Turkestan Orientale" che, sostenuta dalle truppe sovietiche, durò fino al 1949, quando Stalin, essendo ormai certa la vittoria di Mao Tse-tung, impose al governo uiguro la riconciliazione con la Cina.
    La Repubblica Popolare Cinese istituì, il 1 ottobre 1955, la Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, all'interno della quale nacquero due prefetture (chou) autonome (una khalkha ed una hui), nonché due distretti (hsien) autonomi (uno hui ed uno tagico). In base alla Costituzione del 1949, la lingua ufficiale della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang era l'uiguro basato sui dialetti del sud e scritto in lettere arabe (mentre l'uiguro parlato in Kazakistan, Kirghizistan, Uzbechistan e Turkmenistan, formatosi sulla base dei dialetti del nord, utilizzava l'alfabeto cirillico) (14).
    La pratica dell'Islam, che la Costituzione garantiva agli Uiguri così come alle altre nove "nazionalità" (minzu) musulmane della Cina, trovò un valido sostegno nell'Associazione Islamica Cinese, la quale, sorta nel 1953, "si occupò di pellegrinaggi alla Mecca, di rapporti con personalità religiose straniere, di formazione degli addetti al culto ed in generale del coordinamento delle attività religiose e sociali" (15). L'attività dell'Associazione, interrotta nel periodo della Rivoluzione Culturale, riprese nel 1978, dopo la caduta della "Banda dei Quattro".
    Per assistere ad una ripresa del movimento separatista uiguro, bisogna arrivare agli anni Novanta, quando nello Xinjiang avvengono scontri di piazza ed atti di terrorismo. La condanna a morte di una trentina di attivisti provocò, il 5 febbraio 1997, la dimostrazione di Ghulja, duramente repressa dalla polizia; a ciò fece seguito, venti giorni dopo, la strage di Ürümqi, dove saltarono per aria tre autobus di linea.
    Anche se il Movimento Islamico del Turkestan Orientale, del quale sono stati denunciati gl'immancabili "legami con Al-Qaeda", è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, non è certamente l'Islam a costituire la motivazione più forte dell'attuale movimento separatista. "La spinta ideologica della resistenza si avvale di un blando integralismo religioso" (16), per cui il movimento può richiamarsi senza troppe difficoltà ai principi cardinali del sistema occidentale: Democrazia e Diritti Umani. E senza difficoltà il National Endowment for Democracy ha potuto stanziare, nel 2008, più di 500.000 dollari a favore di quattro organizzazione separatiste che agiscono nello Xinjiang. D'altronde i dirigenti del separatismo uiguro hanno le loro centrali in Occidente: mentre il Congresso Mondiale Uiguro ha sede a Monaco di Baviera, la sua principale esponente, Rebiya Kadeer, grazie all'interessamento diplomatico di Condoleeza Rice si è potuta trasferire da Pechino agli Stati Uniti.








    (1) Fabio Mini, Xinjiang o Turkestan orientale?, "Limes", 1/1999, p. 85.
    (2) Fabio Mini, Xinjiang o Turkestan orientale?, cit., ibidem.
    (3) J. A. G. Roberts, Storia della Cina, Newton & Compton, Roma 2002, p. 150.
    (4) Alessio Bombaci, La letteratura turca, Sansoni-Accademia, Milano 1969, p. 33.
    (5) "Journal Asiatique", 1913, p. 194.
    (6) Henri-Charles Puech, Il manicheismo, in: Storia delle religioni, a cura di H.-Ch. Puech, 8. Gnosticismo e manicheismo, Laterza, Bari 1977, pp. 182-183.
    (7) J. A. G. Roberts, Storia della Cina, Newton & Compton, Roma 2002, p. 151.
    (8) Alessio Bombaci, La letteratura turca, cit., p. 32.
    (9) Giuseppe Messina, Cristianesimo buddhismo manicheismo nell'Asia antica, Nicola Ruffolo, Roma 1947, p. 143.
    (10) Sull'attività degli Uiguri nel periodo mongolo cfr. W. Barthold, Turkestan down to Mongol invasion, in Gibb M. S., New series V, Oxford 1928, p. 386 ss.
    (11) Claude Cahen, L'Islamismo. I. Dalle origini all'inizio dell'Impero ottomano, Feltrinelli, Milano 1969, p. 283.
    (12) Enrico Galoppini, Il Celeste Impero e la Mezzaluna, "Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici”, a. III, n. 1, genn.-marzo 2006, pp. 92-93.
    (13) Enrico Galoppini, Il Celeste Impero e la Mezzaluna, cit., p. 94.
    (14) "La formazione della lingua letteraria risale al secolo X e rappresenta il risultato dell'interazione delle lingue turciche di occidente e di oriente con la lingua tagica e con altre lingue iraniche. Il periodo moderno della lingua letteraria inizia nel secolo XVII, quando si avvicina lentamente alla lingua viva del popolo. Il vocabolario della lingua uigurica è molto ricco di prestiti arabi (33%), meno di persiani (7%). Tali prestiti sono molto antichi. Si spiegano coi rapporti economici tra Uiguri, Arabi e Persiani fin dal secolo X" (Lucia Wald - Elena Slave, Ce limbi se vorbesc pe glob, Editura ştiintifică, Bucureşti 1968, p. 149).
    (15) Piero Corradini, L'Islàm in Cina oggi, "Islàm. Storia e civiltà", a. I, n. 1, ott.-dic. 1982, p. 16.
    (16) Fabio Mini, Xinjiang o Turkestan orientale?, cit., p. 94.


    www.rivista-eurasia.org

  9. #9
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Teatro di ombre nello Xinjiang
    :::: 14 Luglio 2009 :::: 11:21 T.U. :::: Analisi - Cina - Xinjiang :::: M. Saadoune
    di M. Saadoune*


    La questione delle nazionalità sarebbe il tallone d’achille della Repubblica Popolare Cinese?
    Alcuni lo pensano e lo dicono.
    I disordini nello Xinjiang, che seguono a quelli che hanno scosso il Tibet qualche mese fa, ne sarebbero la prova indiscutibile.
    Il trattamento mediatico occidentale è tuttavia molto differente.
    Il governo centrale cinese è certo vilipeso e accusato di tutti i mali, ma la rappresentazione degli eventi si caratterizza per una certa prudenza.
    E’ vero che a differenza dei Tibetani, buddisti, gli Uighuri che popolano la provincia dello Xinjiang sono dei musulmani sunniti turcofoni.
    E dopo l’11 settembre, le rivendicazioni espresse dai musulmani sono trattate con – è un eufemismo – una grande prudenza. Ciò non impedisce che si sfrutti l’occasione. Cosa importano i fatti – un’oscura storia di violazioni seguita da morti -, degli esperti sorti dal nulla mediatico spiegano saggiamente che questi disordini sono l’espressione di un fenomeno di resistenza all’ “imperialismo cinese”. Lo Xinjiang sarebbe a poco a poco sommerso dall’arrivo degli Han, l’etnia cinese largamente maggioritaria.
    Il conflitto dunque opporrebbe dei musulmani a dei Cinesi comunisti.
    Pochi esperti menzionano il fatto che lo Xinjiang ospiti gli Hui, un altro popolo musulmano di etnia Han, le cui popolazioni non sono implicate nei moti in corso. I Cinesi hanno fatto molti progressi in economia, continuano però ad affrontare molto male la gestione mediatica delle crisi. Talmente male che questo permette ai geo-etnologi di servizio di occultare l’estrema importanza strategica di questa provincia nel cuore di tutti i transiti energetici dell’Asia centrale. Lo Xinjiang è il punto terminale di numerose pipelines in attività o in progetto, destinate a rispondere alla domanda crescente della Cina. Gli Uighuri fanno da sponda, da molti anni, alla sollecitudine interessata dei gruppi d’influenza americani.
    Il Congresso mondiale uiguro, gruppo d’opposizione con base a Washington, è generosamente finanziato dal braccio secolare dell’Amministrazione statunitense, il National Endowment for Democracy (NED), che elargisce diverse centinaia di migliaia di dollari ogni anno.
    Il NED, un organizzazione ufficialmente non governativa, è lo strumento tradizionale d’azione dei servizi specializzati americani. Esso ha finanziato e organizzato tutte le “rivoluzioni colorate” o di “velluto” volte ad installare dappertutto o dove ciò sia possibile dei governi pro-occidentali.
    Il NED ha operato nell’Europa dell’Est, nel Caucaso e può essere, recentemente in Iran.
    I disordini in questa regione essenziale dell’Asia centrale, limitrofa al Kazakhistan, riserva energetica del futuro, sono ben inteso un’opportunità per indebolire la Cina e appannare la sua immagine internazionale.
    E’ anche un’opportunità ideale per tentare di creare un cuneo tra i paesi della regione, la maggior parte dei quali appartiene all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (OCS).
    Gli Americani sono preoccupati della crescita di potenza di questa struttura che raggruppa la Cina, la Russia, il Kazakhistan, l’Uzbekistan, il Kirghizistan, il Tagikistan, e alla quale sono associati, in quanto osservatori, l’Iran, il Pakistan, l’India e la Mongolia.
    Altrettanti elementi che invitano ad una lettura meno sommaria di ciò che succede nello Xinjiang …

    *Le quotidien d’Oran 13/07/09

    Traduzione di Stefano Vernole




    www.rivista-eurasia.org

  10. #10
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: focus Cina

    Cina e Russia lanciano esercitazioni di guerra su vasta scala
    :::: 24 Luglio 2009 :::: 102 T.U. :::: Informazione :::: Russia Today
    Russia Today 22 luglio 2009

    ‘Questa è la terza esercitazione ‘Missione di Pace’. Per il comando militare dell'Estremo Oriente della Russia sarà il più grande movimento di truppe aldilà delle frontiere nazionali, dalla campagna contro il Giappone nel 1945.


    Le forze militari Russe e cinesi parteciperanno a un periodo di cinque giorni di esercitazioni congiunte, uno delle più grandi del genere.
    L’esercitazione ‘Missione di Pace 2009’ è stata ufficialmente avviata Mercoledì, nella città russa in Estremo Oriente di Khabarovsk, dal Capo di stato maggiore Generale Nikolay Makarov e dal suo omologo cinese Chen Bingde.
    Circa 3.000 militari e personale delle forze aeree, 300 veicoli corazzati e 45 aerei prenderanno parte alle manovre militari della serie Taonan, in Cina. Lo scenario dell’esercitazione si basa su un folto gruppo di terroristi che ha conquistato una città e vi ha provocato massicci disordini. La forza comune deve sconfiggere i militanti e sedare la rivolta.
    I media cinesi dicono che lo scenario è simile agli scontri sanguinosi nella provincia dello Xinjiang dell'inizio di questo mese, anche se i piani per l'evento erano stati annunciato molto tempo prima. "In una certa misura, la sommossa del 5 luglio nello Xinjiang ha spinto la cooperazione tra la Cina e la Russia nella lotta contro il terrorismo", China Daily ha citato il Maggiore Wang Haiyun, un ex addetto militare cinese in Russia.
    ‘Questa è la terza esercitazione ‘Missione di Pace’. Per il comando militare dell'Estremo Oriente della Russia sarà il più grande movimento di truppe aldilà delle frontiere nazionali, dalla campagna contro il Giappone nel 1945.
    "Questo non è routine, ma un concreto progresso nella preparazione dei nostri militari delle forze congiunte per contrastare le minacce alla sicurezza nella regione", ha detto il Generale Makarov ai media.
    Ha aggiunto che l’esercitazione è ancora più importante nel contesto della una militarizzazione in corso in Giappone e Corea del Sud, dopo il test nucleare della Corea del Nord nel maggio e la successiva serie di lanci di missili.
    Secondo Makarov, l'esercito russo ha molte cose da imparare dai suoi partner cinesi, che hanno garantito la sicurezza durante i Giochi olimpici a Pechino, nell’agosto scorso. La loro consulenza sarà utile nel 2014, quando la Russia ospiterà le Olimpiadi invernali a Sochi.
    Il Generale Chen Bingde ha lodato le tradizionali manovre e ha sottolineato che "non sono dirette contro terzi, e non sono una minaccia per le altre nazioni".


    Traduzione di Alessandro Lattanzio
    Aurora
    Bollettino Aurora
    Aurora - Index
    Aurora - Index
    Eurasia

 

 
Pagina 1 di 14 1211 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Focus KPRF
    Di Stalinator nel forum Marxismo Leninismo
    Risposte: 42
    Ultimo Messaggio: 17-07-11, 14:30
  2. Focus KPRF
    Di Stalinator nel forum Sinistra Italiana
    Risposte: 8
    Ultimo Messaggio: 07-04-10, 12:47
  3. Focus Air
    Di Zanna1982 nel forum Aviazione Civile
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 19-02-07, 19:55
  4. Habemus Focus
    Di asburgico nel forum Auto & Moto
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 24-09-03, 13:02

Tag per Questa Discussione

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito