di Vittorio Frosini – In “Nuova Antologia”, fasc. 2151, luglio-settembre 1984, Le Monnier, Firenze, pp. 93-100.
1. Cento anni or sono, e precisamente il 17 aprile 1883, un giovanotto palermitano, che aveva da pochi giorni compiuto i suoi venticinque anni, poneva termine alla sua opera intitolata Teorica dei governi e governo parlamentare, che venne stampata a Palermo nello stesso anno, e pubblicata in quello successivo da un editore torinese[1]. L’autore, Gaetano Mosca, raccontava nel Proemio premesso al volume che «negli anni della mia fanciullezza e nei primi dell’adolescenza, fui sempre liberale, democratico e repubblicano»; ma la sua maturità intellettuale aveva coinciso con una sua conversione politica, ed era divenuto monarchico. Il penultimo paragrafo del libro, che è dedicato a «I repubblicani in Italia», chiarisce bene tuttavia, che quel mutamento di opinioni corrispondeva ad uno spostamento di piani: da quello emotivo a quello intellettuale, dall’idealismo morale al realismo politico, dalla poesia alla prosa della vita. Come scrive Mosca, «per noi il re non è che una formula politica, né più né meno come la volontà popolare, un ente, un’idea in nome della quale si esercita il potere della classe politica» (512); e nel tempo in cui scrive, «la prima cosa da fare è il non mettere più in discussione la formula politica in vigore, qualunque essa sia» (515).
In queste frasi, davvero emblematiche, è compendiata nei suoi elementi essenziali la «scienza politica» di Gaetano Mosca con i richiami alle sue espressioni più nuove e significative. Viene invocata la giustificazione della «formula politica», ossia «di quel principio religioso o semplicemente morale, di quell’insieme di sentimenti, di abitudini mentali e di convinzioni, che forniscono la base morale a tutte le grandi organizzazioni statali, senza che corrispondano ad una verità effettiva» (195). Il termine coniato da Mosca è oggi sostituito da quello corrente di «ideologia politica», ma Mosca pone l’accento sul carattere morale ed anzi religioso, e cioè profondo, sorgivo, e non strumentale e meramente politico della «formula», anche se essa corrisponde ad una falsa coscienza della realtà. Vi è poi l’altra espressione, anch’essa divenuta famosa, quella della «classe politica», così da lui definita: «in ogni tempo e in ogni luogo, tutto ciò che nel governo è parte dispositiva, esercizio d’autorità, ed implica comando e responsabilità, è sempre l’attribuzione di una classe speciale, i cui elementi di formazione, secondo il secolo ed il paese, possono variare, è vero, moltissimo, ma che, in qualunque modo sia composta, sempre forma, davanti alla massa dei governati ai quali s’impone, una sparuta minoranza. Questa classe speciale noi chiameremo classe politica» (207).
Basterà mettere in rilievo i due punti indicati, per intendere come la dottrina esposta nel libro di Mosca rappresenti una immagine speculare, e cioè perfettamente antitetica, di quella esposta in una operetta pubblicata un quarto di secolo innanzi, nel 1860, intitolata Doveri dell’uomo e scritta da Giuseppe Mazzini, tutta fervorosa di passione morale e animata da un potente soffio di ispirazione democratica. Sembra così ripresentarsi il contrasto fra la predicazione di fra’ Girolamo Savonarola e la parola tagliente di Niccolò Machiavelli, fra il portatore di una profezia politica e il costruttore di una teoria del realismo politico. Nel paragrafo del suo libro dedicato all’esame della dottrina repubblicana nel suo tempo, Gaetano Mosca riconosce infatti ai suoi avversari «una posizione morale superiore e un’influenza materiale ragguardevole»; essi anzi, com’egli precisa, «hanno un’alterigia insolente di linguaggio, una speranza sicura nell’avvenire del partito, che fanno loro acquistare un ascendente grandissimo, molto superiore alle loro forze reali» (507). Ed aggiunge, riferendosi ai vecchi repubblicani, agli antichi discepoli e compagni di Mazzini, che «qualunque idea di propaganda nel loro campo ci pare perciò assurda; e quanto a noi personalmente, se un voto riguardo ad essi facciamo, è che a nessuno di loro capiti in mano questo volume; perché la lettura di esso non sarebbe loro piacevole, e noi non amiamo contristare inutilmente delle persone rispettabili» (510). Sicché anche il contrasto fra Mazzini e Mosca, al pari di quello fra Savonarola e Machiavelli, considerati come pensatori politici, sembra deciso e insuperabile: due figure, due mentalità, due prospettive contrapposte fra loro.
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[1] G. MOSCA, Scritti politici, a cura di G. Sola, UTET, Torino, 1982, voll. 2. Le citazioni dalle opere di Mosca (salvo l’indicazione della nota 7) si riferiscono a questa edizione; i numeri delle pagine vengono riportati fra parentesi nel testo. Su Mosca, v. E.A. ALBERTONI, Gaetano Mosca. Storia di una dottrina politica, Giuffrè, Milano, 1978, con bibliografia.