Sardegna 2000
NOTA DI AGGIORNAMENTO
Mozione presentata da Mario Carboni (vicesegretario aggiunto), sottoscritta da Fernando Abis, Carlo Monni, Antonio Monni (PULA); Roberto Cardia, Sebastiano Disi, Lorenzo Marratzu, Antonio Melis, Francesca Mercu, Gonario Rocca (NUORO); Battista Diez, Antonio Mura (ITTIRI); Attilio Meloni (SORSO); Pietro Pintori, Gianni Ruggeri (CAGLIARI); Graziano Deledda, Pietro Secchi (OLIENA); Elio Casu (BUDONI); Cosimo Cualbu (OLBIA); Pinuccio Pinna (GHILARZA).
Questa mozione è stata presentata esattamente un anno fa. Da allora la situazione politica, interna alla Sardegna ed allo Stato di cui facciamo parte, ha registrato delle mutazioni.
Sopratutto l'esito elettorale che ha posto il Psd'az all'opposizione, di un quadro di maggioranza omologo a quello governativo parlamentare, consiglia una rivisitazione delle tesi esposte in Sardegna 2.000.
Durante quest'anno abbiamo anche assistito ad una vera rivoluzione nei rapporti fra gli stati ed all'interno degli stati componenti il Patto di Varsavia, tanto da costituire il primo vero colpo agli accordi di Yalta che hanno condizionato la vita dei popoli europei compreso il popolo sardo.
La democratizzazione in Polonia ed in Ungheria, la concreta caduta del muro di Berlino, la condanna del patto Hitler-Stalin con il quale vennero annessi all'URSS i Paesi Baltici e la Bielorussia, la crisi interna alla Iugoslavia ed all'Unione Sovietica, hanno posto ancora una volta all'attenzione mondiale i problemi delle nazionalità e del loro diritto all'autodecisione. La stessa prospettiva di Unione Europea si è dilatata tanto da far intravvedere un processo unitario che vada finalmente dell'Atlantico agli Urali:
I fatti hanno confermato le tesi espresse nella mozione ed hanno dimostrato la funzione d'avanguardia del sardismo nell'elaborazione di strategie per il futuro.
Per questo la mozione Sardegna 2.000 viene riconfermata come una delle basi per l'elaborazione di linee politiche e d'azione tattiche da proporre per il presente.
Il comportamento dei partiti italiani nella gestione del dopo elezioni è stato caratterizzato da un atteggiamento conservatore e restauratore di una realtà politica ormai scomparsa ed improponibile.
Una realtà che prescinde dal fatto che la Sardegna sia ormai parte importante del processo di liberazione delle nazionalità europee non riconosciute o colonizzate e della loro volontà di contribuire alla costruzione di una Europa unita secondo uno schema che non è più quello degli stati e dei governi legittimati da Yalta.
Le questioni della sovranità, del ripristino delle lingue nazionali, del recupero dell'identità che diviene una forza materiale tanto potente da far muovere le masse in una reazione a catena che ridisegna l'Europa è stata esorcizzata dai partiti italiani in Sardegna, per non vedere che la presenza sardista non consente più la riproposizione di un passato ormai morto ed irripetibile.
Il sardismo non è più solo, o meglio è rafforzato enormemente dall'impatto dei recenti fatti internazionali nell'opinione pubblica.
Per questo il potenziale sardista non può essere svenduto o comprato, per un piatto di lenticchie legato alla mera divisione del potere assessoriale, ma ogni ipotesi di coinvolgimento sardista nel governo della Sardegna deve essere ancorato all'attuazione del Pacchetto autonomistico presentato dal Partito alle altre forze politiche ed all'opinione pubblica.
Si tratta d'uscire da una logica di schieramento preconcetta ed ideologica per riaffermare la centralità del sardismo, basata tutta sulla sua egemonia culturale e politica legata essenzialmente al fatto di esprimere l'unica forza politica che rappresenti la nazionalità sarda e non gruppi di potere, comitati d'affari, lobbie, intermediari dei colonialismo e succursali di partiti italiani.
Del resto la proposta del Pacchetto autonomistico si impone come l'unica idea politica che possa consentire una svolta nelle condizioni subalterne del popolo sardo.
Sul piano teorico, il sardismo ha prodotto molto, mentre insufficiente è il dinamismo del Partito, la sua unicità direzionale e la sua coesione coordinata verso l'esterno.
Insufficiente al limite dell'inesistenza è l'articolazione del Partito negli organismi di massa (sindacati, cooperative, associazioni artigianali, professionali ed imprenditoriali, culturali ecc.).
La presenza sardista, emerge qualche volta, grazie al solitario impegno di personalità particolari che però scontano, in definitiva, una subalternità nelle decisioni finali coerente con l'assenza di un intervento organico del Partito.
Senza una maggiore partecipazione dei sardisti alle varie attività organizzate nella società, senza la possibilità di valere compiutamente secondo le proprie capacità e secondo il peso politico collettivo del sardismo, non è possibile per il Psd'az adempiere completamente alla sua vocazione per la selezione e promozione di classe dirigente. La quasi totale proiezione dei sardisti nella esclusiva sfera d'attività politica, legata sopratutto alla partecipazione alle amministrazioni pubbliche elettive, genera il fenomeno noto come "todos caballeros" e una conflittualità interna ingiustificata e dannosa.
La suddivisione quasi feudale delle sfere d'influenza provinciali e sub provinciali diventa un ostacolo al processo d'unificazione nazionale portato avanti dal sardismo e un ritardo nell'attuazione e nello sviluppo del sardismo stesso.
Non esiste coordinamento dell'attività politica dei nostri rappresentanti, dal Parlamento al più piccolo comune, generando a volte frustrazioni e personalismi e sopratutto rendendo l'intervento dei sardisti di buona volontà scarsamente produttivo ed inferiore all'effettiva potenzialità del Psd'az.
Spesso il sardismo viene suonato ad orecchio e se suonare ad orecchio può produrre musiche a volte pregevoli ed essere espressione di un libertarismo a cui noi sardisti teniamo molto, nelle condizioni presenti è necessario fare sardismo almeno interpretando lo spartito della linea del Psd'az, sopratutto negli Enti locali.
Indispensabile è realizzare un cambio generazionale ed il passaggio del testimone, spesso enfaticamente proposto quanto inattuato nella sostanza. E' pur vero che ricambio generazionale non vuole dire sempre che i vecchi dirigenti lascino il passo ai più giovani ma in generale il ricambio generazionale esiste veramente quando i giovani, che hanno davanti a loro un futuro da costruire, finalmente possono gestire i destini del partito ricoprendo le cariche determinanti per operatività e rappresentanza.
Evitare questo ricambio, pensando che dopo i vecchi dirigenti ci sia il diluvio è antistorico, conservatore e sopratutto velleitario. Il sardismo ha realizzato le sue più grandi conquiste quando il problema del ricambio generazionale non si poneva neppure quando i giovani della brigata Sassari furono il motore del rifiorimento politico della Sardegna.
Rinnovamento generazionale non significa neppure gettare a mare nessuno, anzi significa valorizzazione ancora maggiore dell'esperienza e della saggezza dei dirigenti che lasciano il passo ai giovani.
Il sardismo si trova ad affrontare il problema del gruppo dirigente che lo guiderà oltre il 2.000, questo è il vero nodo che deciderà le sorti del nazionalismo sardo.
Motti che nel Partito esprimono critica verso il ritardo di un ricambio compiuto, incolpano di questo la vecchia dirigenza che, pur tenendo saldo, ma nell'immobilismo, il potere del Partito, esprime ad ogni pie' sospinto la sua disponibilità al ricambio.
Sarebbe più corretto invece dare la responsabilità completa di questo ritardo alle nuove generazioni o più precisamente a quel gruppo di dirigenti reali, i cosiddetti quarantenni, che non riescono a definire una alternativa seria al vecchio gruppo dirigente e a disegnare una nuova leadership. Infatti definire nuovi assetti di comando democratico a partire dalla segreteria nazionale arrivando alle proiezioni elettorali dei singoli, richiederebbe riconoscimenti di capacità dirigenziale e ridimensionamenti di aspirazioni non giustificate, eccessive o non mature.
Se i giovani dirigenti sardisti, trovassero una coesione, una divisione dei ruoli ed una volontà unitaria per dare al Partito quell'impulso e quella nuova immagine richiesta dai sardi, il rinnovamento generazionale sarebbe già cosa fatta.
In definitiva anche se la volontà di cambiamento del cosiddetto gruppo dirigente storico è necessaria se non indispensabile, indispensabile è la volontà e la maturità del nuovo gruppo dirigente.
Se il nuovo gruppo dirigente si manifestasse tanto maturo da decidere i ruoli ed i compiti dei suoi componenti si conquisterebbe sul campo la legittimità a dirigere il Partito senza costituire per esso un pericoloso salto nel buio come qualche vecchio dirigente teme.
Fondamentale in tutto questo discorso è la questione morale.
Questione morale che soprattutto significa: non rubare, ma che si evolve e si dipana nel rapporto dei sardisti col potere e con la gestione della cosa pubblica.
Questione morale è per i sardisti questione di vita o di morte.
Il solo sospetto di immoralità politica per uno solo dei nostri dirigenti si traduce immediatamente nel crollo dei consensi e dei voti. Questione morale è operare anche ottenendo riconoscimenti e gratificazioni ma sopratutto lavorare per il bene comune e per la collettività.
Questione morale è non abiurare mai ai principi sardisti che ancora oggi sono molto scomodi per chi li professa con fede e determinazione.
Questione morale è non creare clientele e camarille di basso profilo o privilegiare l'appartenenza ad organizzazioni riservate rispetto al Partito e favorirne indebite intromissioni.
Questione morale è non accumulare cariche e prebende senza assolvere compiutamente a tutte le responsabilità o accettare, come uomini di paglia di altri, responsabilità alle quali non si è preparati culturalmente o professionalmente.
Questione morale è anche avere un atteggiamento etnicista rispetto ai valori della politica senza accettare l'omologazione culturale ma senza rinunciare all'arricchimento dello scambio fra uguali.
Questione morale è anche fraternità all'interno del Partito ed accettazione della diversità e delle differenti potenzialità che sono la base dell'unità d'azione. Ma se qualcosa in questi anni è stato lasciato in ombra nell'elaborazione teorica e nella prassi sardista è proprio l'azionismo.
Un azionismo che non può essere come qualcuno ha affermato, in campagna elettorale, più fatti e non parole, ma un'articolata applicazione, nella società, della complessa teoria sardista. Azionismo che è connaturato alla psicologia del popolo sardo e che si deve esprimere in molteplici attività esterne ai palazzi del potere, raggiungendo e operando con la gente nei diversi campi nei quali si esprimono i bisogni dei sardi.
Manifestazioni di organizzazione, di volontà, di protesta, di proposta, d'agitazione e di propaganda dovrebbero essere accentuate, arrivando talvolta a forme di disobbedienza civile in casi come l'inquinamento nucleare, la colonizzazione culturale dei nostri figli, la distruzione dell'ecosistema, l'occupazione militare, la droga, le zone interne, il degrado delle grandi aree urbane, il turismo di rapina, i trasporti, etc.
Se il sardismo continuerà la propria lotta rinnovandosi e con coraggio, non passerà molto tempo che anche da noi il movimento nazionale prenderà connotazioni di massa analoghi a quelli che registriamo nei Paesi baltici e nel resto d'Europa ottenendo non briciole di potere "che canes suta de mesa" offerte oggi dai partiti italiani ma una reale influenza sui fatti politici che in definitiva decidono se la Sardegna sarà colonia o libera, con uno statuto di sovranità, con la zona franca, il bilinguismo, la continuità territoriale, con una qualità della vita che ci soddisfi in un ecosistema risanato e vitale.
Per ottenere tutto questo bisogna però che il Partito oltre ad esercitare una egemonia politica e culturale deve assolutamente aumentare il suo consenso elettorale per raggiungere quella massa critica indispensabile per aver la forza di cambiare la realtà.
Infatti l'esperienza delle forze politiche nazionalitarie che determinano avanzamenti storici sulla via dell'Indipendenza possibile, come in Catalogna, nel Sud Tirolo, ci indica che bisogna aumentare di molto le percentuali di consenso elettorale per rendere irreversibile la presa di coscienza nazionale del popolo sardo e la traduzione pratica delle sue aspirazioni nel governo della Sardegna.
Aggiustamenti e modifiche dovrebbero essere praticati allo statuto del Partito per cui viene proposta la ripresentazione al Congresso della proposta di modifica elaborata dall'apposita commissione e stravolta nel Congresso di Quartu ed in subordine l'affidamento al Consiglio nazionale che emergerà nel 23' Congresso dell'elaborazione del nuovo statuto da approvare in un successivo Congresso straordinario tutto dedicato all'organizzazione interna.