Dall’opposizione mazziniana al PRI di oggi. Il percorso di un partito nella storia d’Italia (1984)
di Paolo Bonetti – In “Nuova Antologia”, fasc. 2150, aprile-giugno 1984, Le Monnier, Firenze, pp. 401-410.
1. Dal «non expedit» laico all’avvento del fascismo
«All’indomani dell’unità – ha scritto Giovanni Spadolini – l’intransigenza dei mazziniani superò quella di Mazzini. Quando, nell’aprile del 1866, si celebrò a Parma il congresso nazionale della Federazione delle associazioni democratiche italiane (embrione e nucleo di quello che sarà il partito dell’edera) la posizione ‘interventista’ e ‘collaborazionista’ del profeta fu messa in minoranza e prevalse la corrente degli intransigenti assoluti e degli astensionisti irriducibili». I gruppi e le società repubblicane del decennio ’60-’70 mantenevano, nei confronti della monarchia, una pregiudiziale assoluta e confidavano soltanto nella iniziativa popolare e nella revisione istituzionale.
Questo rigido non expedit elettorale, che apparteneva, su sponde opposte, cattolici e repubblicani, se costringeva i seguaci di Mazzini all’isolamento politico, costituiva d’altra parte, come osserva Spadolini, «il fermento e il lievito messianico che non abbandonerà mai le file repubblicane, anche nei momenti di sconforto, di delusione o di sbandamento».
Fu attraverso le «Società operaie», nate prima dell’Unità per tutelare i lavoratori artigiani, che i repubblicani intransigenti fecero politica, scontrandosi, ben presto, su questo terreno, con il sovversivismo clericale e con l’internazionalismo anarchico di Bakunin.
Le «Società operaie» si trasformarono, almeno a partire dal XII congresso di Roma del novembre 1871, in strumenti di lotta e di iniziativa politica: il Patto di Fratellanza, che fu votato dall’assemblea romana, ribadiva tutti i grandi temi della dottrina mazziniana: il principio d’associazione fra le classi agricole, la creazione di scuole operaie e l’apertura di biblioteche, l’espansione del credito agrario, la colonizzazione delle terre incolte, la disciplina dell’emigrazione, lo sviluppo dei contratti agrari di tipo mezzadrile, la richiesta di compartecipazione agli utili, derivante dall’associazione di capitale e lavoro, iniziative in materia di assistenza e di legislazione previdenziale; all’impostazione economicistica dell’operaismo e del socialismo, si risponde sottolineando la funzione morale ed educativa dello Stato, la necessità di un riscatto e di una trasformazione delle coscienze.
In questo modo, «almeno fino al 1893, le sorti del partito repubblicano si identificheranno con quelle società operaie, e la lotta politica in senso antimonarchico si combatterà al coperto delle formule cooperativistiche ed associazionistiche, nel chiuso di quelle sedute che erano volte a discutere problemi di salario e di igiene e di cooperazione, ma guardavano sempre a un obiettivo più lontano e più alto»: tuttavia, la rigida pregiudiziale politica dell’ortodossia repubblicana, l’intransigenza verso le istituzioni monarchico-liberali, finiranno per indebolire, nei confronti del socialismo evoluzionista e riformista, la posizione delle società operaie legate al Patto di Fratellanza, e condurranno i repubblicani alla ricerca di una nuova identità e organizzazione politica.
All’indomani della morte di Mazzini (1872), le correnti fondamentali del repubblicanesimo sono almeno quattro: accanto ai mazziniani puri, che sfiorano spesso il dogmatismo e il fideismo, ci sono i repubblicani intransigenti alla Alberto Mario, «fedeli ugualmente all’astensionismo mazziniano», ma che «si apriranno via via alla lotta politica, si avvicineranno alla realtà psicologica del paese, agli orientamenti dell’opinione pubblica»; e ci sono anche i «repubblicani transigenti alla Bertani, sollecitati ed attratti dalla partecipazione alle battaglie elettorali, alle competizioni parlamentari, alle lotte organizzate»: e, infine, «i repubblicani alla Garibaldi», che «formano una razza a sé, un mondo tutto particolare, con venature socialiste, indulgenze internazionaliste, professioni pacifiste, con qualche nostalgia della dittatura popolare e molti residui dell’anticlericalismo paesano».
Neppure l’avvento al potere nel 1876, della Sinistra di Depretis, valse ad ammorbidire l’intransigenza del gruppo repubblicano, mentre la nascita, in alcune regioni italiane, di un proletariato industriale, e il crescente successo della propaganda socialista, ponevano ai seguaci di Mazzini problemi di non facile soluzione all’interno di una dottrina politica che tendeva a sclerotizzarsi; di fronte alla progressiva perdita della vecchia base sociale, corrosa dal progresso economico e dall’avanzata socialista, «indizi e princìpi di vita nuova – sono ancora osservazioni di Giovanni Spadolini – si cominciano a sentire nel partito; accanto a Mazzini, si approfondisce e si allarga l’indagine di Cattaneo; Alberto Mario rappresenta il trait d’union fra la pregiudiziale unitaria e la protesta federalista; il concretismo, l’empirismo e il pragmatismo del lombardo correggono le astrazioni e le impostazioni fideistiche e messianiche del genovese. Nasce nel 1879 la ‘Rivista Repubblicana’ di Arcangelo Ghisleri, il giovane geografo che avrà tanta parte nella ripresa e nella rinnovazione dei temi ideali del mazzinianesimo».
Ma i pericoli per l’associazionismo mazziniano non venivano solo da sinistra, dal socialismo sempre più legalitario e riformista; a destra, nel 1890, col Patto di Roma, i radicali si costituiscono in gruppo autonomo, e cominciano ad attirare i consensi dei repubblicani più moderati, che non disdegnano il riformismo nell’ambito della legalità statutaria. Il risultato di questa duplice, inesorabile disgregazione dell’antico nucleo repubblicano, è, al congresso di Bologna del 1893, lo scioglimento del Patto di Fratellanza. Ma la ripresa dei repubblicani non tarderà a manifestarsi, anche se su nuove basi sociali e con un diverso impegno programmatico: «non più nel campo del proletariato, della classe operaia, ormai attratta e ancorata al socialismo; non più sul piano del vecchio profetismo e millenarismo mazziniano; non più con le armi del solo cooperativismo e del solo associazionismo; non più con le intolleranze retoriche e le minacce verbali dell’astensionismo. Chi ricostruisce il partito, che, anzi, lo costruisce come tale, è l’ala dei giovani, gli esponenti della nuova generazione, il gruppo degli homines novi, De Andreis e Chiesa e Taroni e Federici e Gustavo Chiesi e Arcangelo Ghisleri e Giuseppe Gaudenzi, che ha assistito al decadere e al corrompersi del ‘Patto di Fratellanza’ e al retoricizzarsi e fossilizzarsi delle ‘Società artigiane’ e alla degenerazione verbalistica, esteriore e ritualistica della democrazia tutta gesti, comizi e cortei. Gente nuova, che viene dalla provincia, dalle piccole città, dai centri silenziosi e appartati (Ghisleri ha fondato a Savona la rivista ‘Cuore e Critica’ che cederà a Filippo Turati), che ha potuto seguire e giudicare gli avvenimenti, formarsi un giudizio, una valutazione propria, soprattutto un abito nuovo, una nuova mentalità. Più che Mazzini, hanno studiato Cattaneo; risentono con un interesse e un’acutezza nuova i problemi della fondazione dello Stato, l’ordinamento regionale, la questione meridionale, la riforma della burocrazia, la ricostituzione della magistratura, la revisione tributaria, la lotta contro il protezionismo e il monopolismo, il rinnovamento degli enti locali, l’ampliamento della vita comunale e municipale» (Spadolini).
Nei convegni di Milano del 1894 e del 1895 si procede alla riunificazione dei gruppi repubblicani sopravvissuti alla diaspora del 1893, e presenti specialmente in Romagna, nelle Marche, in Toscana, a Genova, a Roma, nella campagna laziale; il settimanale diretto da Gaudenzi, «Il Pensiero romagnolo» (nato l’8 agosto 1894), diviene l’organo ufficiale del partito, mentre il PRI si costituisce ufficialmente il 21 aprile 1895, anniversario della fondazione di Roma; nel secondo convegno di Milano (aprile 1895), quello costitutivo del partito, si decide la partecipazione alle lotte elettorali, che vede contrario solo il gruppo minoritario di Felice Albani, il quale decide di dar vita a un «partito mazziniano».
Col successivo congresso di Bologna del novembre 1895, i repubblicani definiscono, di fronte a socialisti e radicali, le ragioni della loro peculiare identità politica: ai socialisti vengono rimproverati l’agnosticismo istituzionale e le tendenze economistiche; ai radicali il collaborazionismo con la monarchia. Ma per fronteggiare questi nuovi avversari, l’astensionismo non basta più: a Bologna si delibera la partecipazione condizionata degli iscritti alle lotte amministrative e a quelle politiche, e si dedica attenzione ai problemi della propaganda, della stampa, delle relazioni internazionali.
Nel secondo congresso nazionale (Firenze, 27-28 maggio 1897), il partito si articola in confederazioni regionali, riconferma la partecipazione alle competizioni elettorali, ma rifiuta ogni blocco con le altre forze dell’Estrema Sinistra, per puntare, invece, sul «salutare risveglio della coscienza pubblica» e sullo «slancio generoso del popolo». Ad evitare confusioni, sempre nel 1897, il gruppo parlamentare repubblicano si organizza da solo, facendo proprio il motto di Bovio: «definirsi o sparire». Il nuovo stile repubblicano, la cultura più moderna e pragmatica, si manifestano nella maggiore incisività dell’azione politica del partito, e in una pubblicistica capace di accogliere voci anticonformiste ed antiretoriche come quelle di Gaetano Salvemini, Vilfredo Pareto, Giuseppe Rensi.
I fatti del ’98 e la dura repressione monarchica sembrarono confermare l’inconciliabilità fra le istituzioni e una ragionevole politica di riforme; parve tornare d’attualità la tattica dell’intransigenza repubblicana, con i vecchi motivi risorgimentali della cospirazione e della lotta clandestina: a causa delle limitazioni alla libertà di riunione poste dal governo Pelloux, venne convocato, nel ’99, un congresso straordinario a Lugano, in cui «fu deciso all’unanimità di proseguire sulla strada della fermezza ideologica e della lotta a oltranza, combattendo sì in Parlamento la battaglia ostruzionistica ma solo al fine di salvare le garanzie di libertà, e di riaffermare poi il programma massimo».
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