di Leo Valiani – In “Nuova Antologia”, fasc. 2150, aprile-giugno 1984, Le Monnier, Firenze, pp. 93-115.
Relazione svolta al convegno sul «Partito d’azione dalle origini alla Resistenza armata» indetto dalla FIAP e dall’Istituto di studi Ugo La Malfa, a Bologna, 23-25 marzo 1984.
Sovente, negli anni ’60 e ’70, Ugo La Malfa mi confessava di desiderare che si riunisse un convegno di studi dedicato alla storia del partito d’azione. Egli era ormai il capo indiscusso del partito repubblicano ed era riuscito a fare di questo storico partito (uno dei primi partiti politici italiani se si guarda alla data della sua costituzione formale – 1895 – e di gran lunga il primo di tutti se lo si ricollega, come per certo va fatto, al movimento politico repubblicano creato da Mazzini ancora nella prima metà dell’’800 e da lui incessantemente ricostituito fino alla vigilia della sua morte) un partito di grande modernità di vedute.
Di questa modernità La Malfa aveva già data sicura prova nell’attività da lui svolta nel promuovere, nel 1942, la nascita del partito d’azione (che non a caso aveva ripreso, su proposta di Mario Vinciguerra, insigne studioso di storia, oltre che militante antifascista reduce dalle carceri del Tribunale speciale, il nome che Mazzini aveva dato, dopo la sconfitta dei moti del 1848-49, al suo partito) e poi, nel 1943-44, alla testa del partito d’azione medesimo.
A giudizio di La Malfa, il partito d’azione aveva avuto, al suo esordio, rapido e assai promettente successo politico, disperso poi a seguito della lotta di tendenze che l’introduzione in esso della proposta, formulata soprattutto da Emilio Lussu, ma non da lui soltanto, tant’è vero che alla fine risultò maggioritaria, di definirsi come partito socialista, aveva reso insanabile.
Diversamente da come i fautori di questa definizione avevano dapprima creduto, il vecchio partito socialista si era già ricostituito, sin dal 1943, con un seguito popolare vastissimo e robustamente crescente, sicché, dichiarandosi socialista, il partito d’azione diventava un doppione d’esso, alienandosi il seguito che altrimenti, con la sua originalità e modernità, avrebbe potuto conquistarsi, soprattutto nei numerosissimi ceti intermedi della società italiana.
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