Brexit, lo studio di Goldman Sachs: “Il Regno Unito ha perso 5 punti di Pil dopo il referendum del 2016”
La banca d’investimento americana: “Dal 2016 l’economia britannica ha avuto una performance inferiore rispetto agli altri Paesi avanzati”. E giovedì Londra potrebbe entrare in recessione
LONDRA - “Sinora la Brexit ha fatto perdere cinque punti di Pil al Regno Unito”. A sostenerlo è uno studio di Goldman Sachs pubblicato in questi giorni, che stima questo deficit di Londra - nei confronti di altri Paesi simili - perché provocato dalla riduzione della crescita e dall’alta inflazione legati all’addio del Regno Unito alla Ue, sancito dal referendum del 23 giugno 2016.
Secondo l’economista Sven Jari Stehn e gli altri autori della ricerca della banca d’investimenti americana, da quasi otto anni a questa parte il Regno Unito ha sofferto di un commercio internazionale ridotto, investimenti deboli e un calo dell’arrivo di migranti. Attenzione, non di stranieri in generale: anzi, negli ultimi due anni il Regno Unito ha fatto registrare record consecutivi di oltre 500mila persone in migrazione netta (ossia coloro che si trasferiscono oltremanica meno quelli che lasciano il Regno). Goldman Sachs si riferisce invece al contributo dei migranti europei, ossia “dal blocco con il quale il Regno Unito ha più rapporti commerciali". Poco più di un anno fa, Huw Pill, il capo economista della Banca d’Inghilterra, aveva detto che “alcune delle carenze occupazionali che abbiamo adesso, in passato venivano ricoperte dal flusso costante di lavoratori europei, su base flessibile. Questa opportunità ora non c’è più” dopo la Brexit.
"Performance inferiore”
“Tutti gli indizi portano alle conseguenze, a lungo termine, della Brexit”, nota il report di Goldman Sachs, “dal 2016 l’economia del Regno Unito ha avuto una performance inferiore rispetto alle altre economie avanzate”. Tuttavia, come ricorda Bloomberg, nello stesso studio si spiega come la Brexit non sia l’unico dei mali del Regno Unito. A contribuire ci sono infatti anche le conseguenze della guerra in Ucraina e del Covid (che però hanno interessato tutti gli altri Paesi).
Curiosamente, la stima del 5% di Pil in meno quasi coincide con un’altra previsione, quella dell’organismo semi-governativo Obr (Office for Budget Responsibility), una sorte di Conte dei Conti britannica. Che, dopo il referendum del 2016, aveva quantificato in almeno il 4% di Pil in meno le conseguenze negative della Brexit sul commercio britannico entro il 2026. Un anno fa, uno studio del "Centre for Economic Performance" della London School of Economics (Lse) sosteneva come la Brexit sia costata sinora sei miliardi in più ai britannici in termini di spesa alimentare. Insomma, oltre all’inflazione impazzita, ogni famiglia ha pagato almeno altre 210 sterline in più, per comprare gli stessi alimenti, a causa dell’uscita di Londra dall’Ue e dei costi doganali. Secondo la Lse, “la Brexit ha contribuito a innalzare il costo del cibo nel Regno Unito del 3% all’anno, per un totale del 6% nel 2022”. In tutto, si erano calcolati 5,84 miliardi di sterline in costi supplementari nel carrello dei cittadini britannici (circa 6,8 miliardi di euro), pari a circa 250 euro a famiglia.
Spettro recessione
Intanto, giovedì il Regno Unito potrebbe entrare in recessione. Questo perché diversi analisti si aspettano che anche nel quarto trimestre 2023 il Pil britannico risulterà negativo. Visto che lo stesso è capitato nel terzo trimestre (contrazione dello 0,1%), allora si tratterebbe tecnicamente di una recessione. Ma il governatore della Banca d’Inghilterra, Andrew Bailey, ha avvertito di “non dare troppa importanza a questi dati" perché la recessione dovrebbe essere breve. Mentre il Tesoro britannico risponde: “Il Regno Unito è cresciuto più della Germania dopo l’uscita della Ue e presto il governo godrà delle libertà della Brexit, per esempio annullando le leggi sui servizi finanziari ereditate dalla Ue che possono innescare investimenti per 100 miliardi di sterline nei prossimi 10 anni”.