“Questo referendum ha legittimato il razzismo latente di una parte della popolazione. Ha detto ‘è okay essere razzisti e mostrare il proprio scorretto senso di superiorità da post-impero’. Questo referendum ha fatto uscire i demoni più nascosti di una parte della popolazione, gli stessi che escono violentemente in altre manifestazioni nazionalistiche. Devo dire che la cosa non mi sorprende tanto”. A parlare è Leonardo Rizzi, scrittore, traduttore e docente, che lavora a cavallo tra l’Italia, dove è nato, e Londra, dove vive da 8 anni. A pochi giorni dal voto sulla Brexit, sono già stati segnalati centinaia di episodi di razzismo. “Molti di questi casi sono avvenuti non a Londra, ma nel resto dell’Inghilterra e non in Scozia, nell’Irlanda del Nord (che hanno votato per restare nell’Ue, ndr) – precisa Rizzi – Sono casi isolati, ma spaventosi perché segnalano un grande smottamento culturale. Sono convinto che non porteranno alla violenza ma frattureranno ancora di più la società. Per noi europei la questione è diversa: avremo ancora voglia di restare qui con una cultura tanto cambiata?”.
E riporta un esempio di cosa può significare essere uno straniero oggi in Gran Bretagna: “L’altra sera ero in stazione e ho chiesto un’informazione a un dipendente delle ferrovie – racconta – Devo aver parlato in maniera incomprensibile perché lui mi ha risposto con una rabbia fuori luogo. Gli ho chiesto perché, lui ha detto di non essere arrabbiato con me e che mi sbagliavo. Alla fine ha sorriso e la cosa si è risolta”. Una delle tante esperienze di alienazione urbana? “All’inizio ne ero convinto, poi durante il viaggio ha iniziato a frullarmi in testa un altro pensiero: che mi avesse aggredito perché non ero inglese, per il mio essere straniero – spiega Rizzi – Ora è assolutamente possibile che quel tipo avesse i suoi problemi, magari in un altro momento non avrei fatto caso a quello che aveva detto, ma in questi giorni difficili noi stranieri siamo diventati più sensibili sulla questione”.
Il giorno del referendum Rizzi si è trasferito con la sua compagna nella nuova casa appena acquistata, “pronti a un nuovo inizio”, racconta. “Ci siamo svegliati la mattina dopo, in quella casa mezza finita e piena di aspettative, e abbiamo letto su Internet quello che era successo – continua – La sensazione è stata quella di un pugno nello stomaco, di quelli che lasciano senza fiato. Il terreno che vola via, la nostra nuova casetta che ci viene sfilata da sotto i piedi. Anche se i nostri diritti non verranno lesi, le paure più nere, quelle nascoste nel profondo, sono uscite in un attimo. Ed è stato faticoso mandarle via”. Pochi giorni dopo il voto, ha partecipato a una festa con amici inglesi: “Mi immaginavo già marginalizzato, poco interessato a parlare con loro, per quanto sappia che sono europeisti convinti ed è stato sorprendente ritrovarci con le stesse paure e angosce, il loro senso di futuro sottratto, specie tra i più giovani – racconta – Ognuno poi ha le sue teorie e scommette in maniera diversa sul futuro, ma ognuno sente di aver perso qualcosa. C’erano rabbia e frustrazione, lacrime. E qualcuno scherzava sull’ultima volta che avremmo potuto mangiare Camembert in queste regioni. C’era chi era arrabbiato contro ‘gli ignoranti’ e chi aveva capito che i Brexiter, con "la provincia del Middle England che ha votato per lasciare l’Ue e che hanno una visione totalmente strampalata della Gran Bretagna postcoloniale, sono i più spaventati di tutti anche se si sentono di nuovo leoni, liberi di scegliere il loro destino ovunque li porti”.
Residente e iscritto all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero, ndr), Rizzi si sente londinese, “se consideriamo Londra come il cuore culturale dell’Europa e non la capitale della Gran Bretagna”, ammette. E ha votato per le elezioni locali e cittadine, come quelle per il sindaco di Londra, ma non per le questioni nazionali, come il referendum sulla Brexit. “Da un certo punto di vista, trovo che sia giusto – dice – L’errore è stato un altro: considerarsi europei nella grande bolla che è Londra, una città europeista con una vocazione internazionale, la capitale del sogno europeo, e ora sentire la diversità di un Paese tanto complesso, diverso dal nostro”. E sul voto: “Gli elettori del Leave hanno le loro ragioni in questo colossale voto di protesta, protesta non contro l’Europa ma piuttosto contro 40 anni di incertezze, di deindustrializzazione, che hanno impoverito certe regioni per arricchire Londra – spiega – Come dicono i nostri amici delle province più povere, appartenenti alle working class, ci sono zone in Inghilterra che offrono solo ‘l’indennità di disoccupazione e l’eroina’ e che vivono con rabbia e frustrazione la visione di questo mondo apparentemente felice, ricco e spensierato. I media più popolari hanno incoraggiato questa visione e hanno indirizzato tutte le colpe verso gli ‘eurocrati non eletti della Ue’, il grande capro espiatorio di una politica difficile”.
E la destra ha cavalcato il sentimento antieuropeista per motivi elettorali. “Lo stesso Jeremy Corbin non era convinto di quello che faceva e David Cameron invece di elogiare ciò che di buono stava facendo l’Ue, pur con tutti i suoi problemi, e promettere di cambiarla dall’interno, ha fatto una campagna basata sulla paura di ciò che si sarebbe perso perdendo l’Europa – spiega – Ma se vuoi proiettare la paura che tutto cambi, devi assicurarti che agli elettori lo status quo vada bene, altrimenti voteranno per cambiarlo. Cameron non ha mai avuto contatti con il Paese reale, da bravo londinese ha dimenticato la Cornovaglia, il Derbyshire e Hull e Durham, e i sostenitori del Leave sono stati bravissimi a dire che la fazione del Remain sapeva solo disseminare paura e non dava speranza”.
E ora? “C’è chi dice che non cambierà nulla anche perché il cambiamento è nell’interesse di pochissime persone, si cercherà un modo per salvare la faccia e anche l’economia europea e mondiale, riparando a un errore colossale – conclude Rizzi – Certo è che il tradimento lo abbiamo sentito tutti e non è facile da perdonare”.
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