Colletti, Galli Della Loggia, Procacci, Romeo, Scoppola
In «Nuova Antologia», a. CXXI, fasc. 2159, luglio-settembre 1986, Le Monnier, Firenze, pp. 5-29.
A quarant’anni dalla nascita della Repubblica, possiamo ben dire che l’Italia è «laica»: durante i decenni che hanno visto il predominio (se non l’egemonia) del partito cattolico, si è paradossalmente compiuto il più radicale processo di secolarizzazione che la nostra società abbia mai attraversato.
L’unica vera «rivoluzione» che l’Italia abbia conosciuto, nel corso ormai ultrasecolare della sua storia unitaria, è quella che abbiamo visto scorrere sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno, mentre mutavano strutture produttive e abitudini di vita, si dissolvevano antiche classi e tradizionali rapporti sociali, e il volto naturale e umano del paese cambiava fino a rendersi per tanti aspetti irriconoscibile.
Da più parti, oggi, si sente dire che questa grande mutazione è il frutto quasi esclusivo della vitalità spontanea della nostra società, che poco o nulla hanno contato le decisioni politiche, e che si è anzi andato sempre più approfondendo, fino forse a diventare incolmabile, il divario fra classe politica e società civile.
Si tratta, in realtà, di una mezza verità che rischia, se non viene sottoposta ad una più approfondita analisi, di tradursi in un giudizio gravemente ingiusto, privo di quelle necessarie distinzioni che sono sempre parte essenziale di un sereno giudizio storico.
La «modernizzazione» della società italiana, la sua profonda trasformazione cultura e civile, non sono state il semplice frutto di una mitica spontaneità: sono state assunte, specialmente negli anni del primo dopoguerra, decisioni politiche di vertice (la dura lotta all’inflazione, la scelta dell’alleanza atlantica, la liberalizzazione degli scambi, una certa politica per il Mezzogiorno) che hanno determinato e accompagnato svolte irreversibili nella vita del nostro paese.
La riprova di questa importanza della politica sta nelle conseguenze negative degli errori compiuti, dei ritardi accumulati, delle occasioni perdute o sprecate.
Occorre, dunque, saper far storia del presente per individuare le linee lungo le quali bisogna procedere, e per spezzare risolutamente, invece, quei fili che ci legano a un recente passato di confusione e di irrazionalità.
Esiste una politica della ragione, che non è astratta e vana costruzione ideologica, ma volontà di costruire il futuro tenendo conto concretamente della realtà di fatto nella quale si opera, e valutando lucidamente i costi e i benefici di ogni decisione che si intende prendere.
In questa lucida concretezza, in questo disincanto senza cinismo, sta il più vero segno della «laicizzazione» della politica. Oggi che tutti si dicono «laici» (e, talvolta, si tratta di «laici» abusivi) non è presuntuoso né arrogante rivendicare la continuità e la coerenza di una tradizione.
Quelle che quarant’anni fa erano esigue minoranze illuminate sembrano oggi essere diventate sterminate e chiassose maggioranze. Idee e temi a lungo emarginati e perfino derisi sono ora il patrimonio di forze politiche per gran tempo prigioniere dei miti e dei dogmi della società pre-industriale. Tutto bene, purché dietro queste nuove e quasi totalitarie professioni di laicismo, non continuino ad annidarsi i vecchi equivoci di una società che aspira alla «modernità» senza avere il coraggio di accettarne fino in fondo le dure regole economiche e civili.
Su questo grande tema – Cattolici, laici e comunisti nell’Italia della laicizzazione politica – un tema che è etico-culturale prima ancora che politico, «Nuova Antologia» ha voluto sentire l’opinione di alcuni prestigiosi uomini di cultura che sono anche, su diversi fronti e in differenti modi, uomini civilmente impegnati.
A costoro (Lucio Colletti, Ernesto Galli Della Loggia, Giuliano Procacci, Rosario Romeo, Pietro Scoppola) abbiamo posto le seguenti domande:
1) In che misura si può parlare di una «laicizzazione» del partito comunista e di un suo pieno inserimento nel sistema politico liberaldemocratico? Il confronto con i comunisti presenta ancora caratteri «ideologici» o si svolge ormai esclusivamente su temi concreti di politica estera, economica, energetica, ecc.?
2) In che senso va intesa la «laicità» della democrazia cristiana, dopo la svolta impressa al partito da De Mita? Come è possibile conciliare, nel partito cattolico, la nuova cultura liberaldemocratica con l’eredità culturale e politica del «partito cristiano»?
3) Nella nostra società integralmente secolarizzata, in cui sembra trionfare un’idea del tutto «laica» della politica, quale può essere il ruolo effettivo dei partiti che appartengono storicamente all’area laica? In che modo bisogna operare – sul piano politico, culturale e istituzionale – affinché questo ruolo venga adeguatamente riconosciuto?
È evidente che la rivista registra tutte le opinioni, anche quelle che non condivide. Interprete da sempre della tradizione laica, la «Nuova Antologia» attribuisce alle forze di democrazia laica un ruolo maggiore e diverso da quello ipotizzato in taluni di questi interventi. La stessa storia della Repubblica, in questo quarantennio, non sarebbe quella che è stata senza l’apporto, decisivo ed essenziale, di partiti come il repubblicano. E non il repubblicano soltanto.
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