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Risultati da 1 a 8 di 8
  1. #1
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    Predefinito Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    https://it.wikipedia.org/wiki/Algernon_Swinburne







    Algernon Charles Swinburne (Londra, 5 aprile 1837 – Putney, 10 aprile 1909) è stato un poeta e drammaturgo britannico, di epoca vittoriana.

    Di nobile famiglia originaria dell'Isola di Wight, dove è sepolto, attivo nella cerchia estetista, romantica e poi decadente, conobbe Oscar Wilde e altri celebri intellettuali e artisti dello stesso ambiente, frequentando la confraternita dei Preraffaelliti e stringendo amicizia con Dante Gabriel Rossetti (fu tra gli strani compagni d'arte del genio pittorico che lo convinsero a riesumare la moglie Elizabeth Siddal per poter pubblicare le poesie sepolte con lei). Personalità eccentrica, forse bisessuale (secondo Wilde l'omosessualita' era solo una provocazione per farsi pubblicità e tale era forse considerato nella comunità gay frequentata da Oscar) con un forte gusto della provocazione artistica, ispirato da letterati come il marchese de Sade, Percy Bysshe Shelley e Charles Baudelaire, ai suoi tempi la sua poesia fu molto controversa, per via dei suoi temi (sadomasochismo, tematica del suicidio, lesbismo, irreligiosità); la sua lirica è inoltre caratterizzata da originali soluzioni versificatorie e dal culto del Medioevo e della libertà assoluta. Dal 1903 al 1909 fu costantemente candidato al Premio Nobel per la Letteratura.[1] Con Alfred Edward Housman, Robert Browning, Alfred Tennyson, Ernest Dowson e William Butler Yeats, è considerato uno dei poeti lirici più rappresentativi della letteratura vittoriana.

    Sostenne la causa italiana con diverse poesie tra cui Canto d'Italia e Ode a Mazzini, il quale lo nomino' aedo d'Italia.
    Purtroppo non si trova molto in italiano. Sua è la definizione di "giardino di Proserpina dato a Sicilia e Calabria, che Swinburne amò molto ma che non poté vedere mai. Viaggiò molto poco a causa di malattie e del suo alcolismo. Visse sotto tutela del suo avvocato negli ultimi 30 anni di vita, divenendo quasi astemio e salvandosi la vita. Viaggiò una volta in Francia per conoscere l'anziano Victor Hugo. Dopo i 60 anni divenne sordo, accentuando il suo isolamento sociale che perdurava da anni su iniziativa della madre e dell' amico curatore. Morì d influenza assistito dalla famiglia dell'avvocato nella loro tenuta, oggi inglobata in Londra, a 72 anni.

  2. #2
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    Predefinito Re: Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    Qua ci sono moltissime poesie in inglese

    https://mypoeticside.com/poets/alger...winburne-poems

  3. #3
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    Predefinito Re: Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    Era già stata postata in un altro topic

    Traduzione ritmica. Da non confondere con l'Inno a Proserpina o con Il giardino di Prosperina
    Il tema non è il Sud Italia ma l'aldila' pagano, l'ade, dove regnano Ade/Plutone fratello di Zeus e sua moglie Proserpina/Persefone.

    Il giardino di Proserpina

    Qua, dove il mondo non è che languore,
    dove ogni affanno in una rissa affonda
    di esausti venti ed ogni onda muore
    in sogno che in incerto sogno esonda,
    io crescere guardo il verde dei campi
    per chi seminando o mietendo stampi
    qua le orme, senza che il sole avvampi,
    di correnti una plaga sonnibonda.

    Sono stanco di lacrime e di risa,
    stanco di chi che sia in riso o in pianto,
    come degli uomini, cui il fato ha arriso,
    che gettan seme per averne tanto.
    Sono stanco dei giorni e delle ore,
    di gemma in boccio o di sterile fiore,
    di sogni e desideri e di vigore,
    di tutto a cui il letargo non fa manto.

    Qua la vita ha la morte per amica,
    lungi da occhi e orecchi umido vento
    insieme al flutto cereo si affatica,
    spiriti vanno in frale bastimento
    alla deriva e ignorano la forza
    che li spinge: ogni onda qua si smorza,
    ogni cosa che cresce non fa scorza…
    Vanno dove non sanno, senza vento.

    Qua cespuglio non cresce né brughiera,
    né la vigna né l’erica fiorisce,
    ma Proserpina ha verdi vigne a schiera,
    il papavero in boccio si avvilisce,
    coltre di giunchi flessuosa, grigia,
    dove foglia non spunta e arrossa, stigia,
    se non questa dalla quale ella pigia
    ai morti un morto vino, che sfinisce.

    Pallidi, senza numero né nome,
    per i campi mai di spighe fecondi
    vanno e tra loro chinano le chiome e
    si accasciano in sonno, finché non sgrondi
    un albore, e com’è senza compagna
    un’anima negl’inferi, ristagna
    fra nubi e brume una luce terragna
    nella foschia, con raggi vagabondi.

    Se di sette tu avessi anche il vigore,
    pur le soglie varcherai della morte,
    né con ali ti desterai al chiarore
    dei cieli, né tormenti avrai per sorte;
    anche se la bellezza hai di una rosa,
    svanirà come nube sfarsi acquosa,
    anche se un amore con te riposa,
    nessun bene alla fine resta forte.

    Pallida, oltre il portico e il portale,
    d’inerti foglie incoronata, siede
    colei che coglie ogni cosa mortale
    con fredde mani immortali, e non cede;
    più soavi ha le labbra di languore
    che non son quelle offerte per amore,
    che la teme, per chi le rende onore
    e in tempi e in luoghi vari ebbe egli sede.

    Ella attende chiunque e mai non serra
    la sua maestà a chi è nato, ch’ella attende;
    la sua madre dimentica, la Terra,
    la spiga che si erge e il frutto che pende,
    la rondine e il seme che a primavera
    volano a lei, dove non è foriera
    di canti mai l’estate e sempre è sera,
    dove, vi fosse, ogni fiore si arrende.

    Là se ne vanno gli amori appassiti,
    quei vecchi amori con le ali pesanti,
    là tutti gli anni che sono finiti,
    ogni cosa che il disastro ha davanti;
    morti sogni di giorni abbandonati,
    boccioli dalla neve castigati,
    fogliami dai venti ai boschi strappati,
    di verdi fasti rossi stracci erranti.

    Del dolore non siamo mai sicuri
    e sicuri nemmeno della gioia;
    i dì presenti non saran futuri;
    delle umane lusinghe il tempo ha noia;
    e l’amore, irritabile e ormai fiacco,
    sospira senza rimpianti un distacco,
    con occhi smemorati di ogni scacco
    piange, e si chiede perché presto muoia.

    Da un amore eccessivo per la vita,
    da speranze e timori liberati,
    con un rapido grazie dipartita
    prendiamo dagli Dei, noti o ignorati,
    perché vita non c’è che sempre duri,
    perché i morti non tornan perituri,
    perché anche il fiume che di più perduri
    scioglie al mare i meandri suoi spossati.

    Allora più né stella né più aurora
    ci desterà, né di luce il cangiare,
    né il rumorio d’acque croscianti, allora,
    né altro mai da vedere o da ascoltare;
    foglie non più a primavera o d’inverno,
    né di giorni e di notti il gioco alterno;
    solo un sopore eterno, in un eterno
    non luogo, straniero, crepuscolare.

    Algernon Charles Swinburne


    Il testo originale:

    The Garden of Proserpine

    Here, where the world is quiet;
    Here, where all trouble seems
    Dead winds’ and spent waves’ riot
    In doubtful dreams of dreams;
    I watch the green field growing
    For reaping folk and sowing,
    For harvest-time and mowing,
    A sleepy world of streams.
    I am tired of tears and laughter,
    And men that laugh and weep;
    Of what may come hereafter
    For men that sow to reap:
    I am weary of days and hours,
    Blown buds of barren flowers,
    Desires and dreams and powers
    And everything but sleep.
    Here life has death for neighbour,
    And far from eye or ear
    Wan waves and wet winds labour,
    Weak ships and spirits steer;
    They drive adrift, and whither
    They wot not who make thither;
    And no such things grow here.
    No growth of moor or coppice,
    No heather-flower or vine,
    But bloomless buds of poppies,
    Green grapes of Proserpine,
    Pale beds of blowing rushes
    Where no leaf blooms or blushes
    Save this whereout she crushes
    For dead men deadly wine.
    Pale, without name or number,
    In fruitless fields of corn,
    They bow themselves and slumber
    All night till light is born;
    And like a soul belated,
    In hell and heaven unmated,
    By cloud and mist abated
    Comes out of darkness morn.
    Though one were strong as seven,
    He too with death shall dwell,
    Nor wake with wings in heaven,
    Nor weep for pains in hell;
    Though one were fair as roses,
    His beauty clouds and closes;
    And well though love reposes,
    In the end it is not well.
    Pale, beyond porch and portal,
    Crowned with calm leaves, she stands
    Who gathers all things mortal
    With cold immortal hands;
    Her languid lips are sweeter
    Than love’s who fears to greet her
    To men that mix and meet her
    From many times and lands.
    She waits for each and other,
    She waits for all men born;
    Forgets the earth her mother,
    The life of fruits and corn;
    And spring and seed and swallow
    Take wing for her and follow
    Where summer song rings hollow
    And flowers are put to scorn.
    There go the loves that wither,
    The old loves with wearier wings;
    And all dead years draw thither,
    And all disastrous things;
    Dead dreams of days forsaken,
    Blind buds that snows have shaken,
    Wild leaves that winds have taken,
    Red strays of ruined springs.
    We are not sure of sorrow,
    And joy was never sure;
    To-day will die to-morrow;
    Time stoops to no man’s lure;
    And love, grown faint and fretful,
    With lips but half regretful
    Sighs, and with eyes forgetful
    Weeps that no loves endure.
    From too much love of living,
    From hope and fear set free,
    Whe thank with brief thanksgiving
    Whatever gods may be
    That no life lives for ever;
    That dead men rise up never;
    That even the weariest river
    Winds somewhere safe to sea.
    Then star nor sun shall waken,
    Nor any change of light:
    Nor sound of waters shaken,
    Nor any sound or sight:
    Nor wintry leaves nor vernal,
    Nor days nor things diurnal;
    Only the sleep eternal
    In an eternal night.

  4. #4
    Super Troll
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    Predefinito Re: Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    Purtroppo @mary ann si perderà il 3d @Maria Vittoria

    Non vedrà nemmeno il tag

  5. #5
    Super Troll
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    Predefinito Re: Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    Secondo questo forum gothic e affini @Florian
    https://darkgothiclolita.forumcommun.../m/?t=61300843
    e altri, la traduzione è di una certa Antonietta Cozza

  6. #6
    Super Troll
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    Predefinito Re: Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    Non fu italiano ma come Nietzsche e Pound, un europeo (Pound origini inglesi) scelse l'Italia come oggetto d'amore e Patria spirituale pur non venendoci, questo lo rende meritevole assai politicamente.

    Parlava inoltre correttamente francese e italiano e discorreva con gli esuli come Mazzini e gli italoinglesi come Jessie White Mario nella lingua del Belpaese.

  7. #7
    in silenzio
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    Predefinito Re: Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    Citazione Originariamente Scritto da Herr Doktor Visualizza Messaggio
    Purtroppo @mary ann si perderà il 3d @Maria Vittoria

    Non vedrà nemmeno il tag
    Why did You mention me, Herr Doktor ?
    di necessità virtù

  8. #8
    in silenzio
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    Predefinito Re: Algernon Swinburne (poeta decadente vittoriano)

    Qualche anglofono può consigliarmi una versione de "La nube non-conoscenza" fedele all'originale e con commenti plausibili ?

    Finora ho trovato solo una traduzione italiana del testo trecentesco benedettino (la cui prima versione a stampa fu "The divine cloud", 1871, Rev.Henry Collins).
    di necessità virtù

 

 

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