In Giovanni Spadolini, “Autunno del Risorgimento. Miti e contraddizioni dell’unità”, Edizioni della Cassa di Risparmio di Firenze, 1986, pp. 171-186.
1. Un partito per la democrazia italiana
Un ricordo. A Savona il 27 settembre 1981, celebro insieme con Sandro Pertini presidente della Repubblica, un socialista che non ha mai dimenticato Mazzini, i centocinquant’anni della «ideazione» della «Giovine Italia», la nuova associazione mazziniana destinata a chiudere all’inizio degli anni trenta dell’altro secolo l’epoca delle sette, ed aprire la stagione dei partiti moderni.
L’omaggio di Savona alla memoria di Mazzini costituisce, in un giorno così inconsueto, così sottratto ai riflettori della retorica, l’omaggio di una città sempre consapevole di una storia complessa in cui si intrecciano repubblicanesimo e socialismo: una storia in cui la polemica Marx-Mazzini non appare separabile dai momenti di innesto o di congiunzione fra i due massimi filoni del movimento operaio nella storia dell’Ottocento italiano, appunto il filone mazziniano e quello socialista.
«Ideazione», non fondazione della «Giovine Italia». È nei quattro mesi che trascorre nel forte savonese di Priamar, fra novembre 1830 e febbraio 1831, che Mazzini elabora la sua teoria politica, concepisce e definisce l’associazione politica che sarà lanciata qualche mese più tardi, da Marsiglia.
Fra quelle mura si rafforza, nel cuore del profeta, il principio che è alla base della sua predicazione, che spiegherà l’influenza religiosa del suo messaggio, la necessità di educare gli italiani per portarli a comprendere la missione che da Dio è stata loro affidata: l’unità nazionale come momento preparatorio di un’unità universale nel segno della democrazia. Patria e umanità. Dio e popolo.
«Giovine Italia». Già il nome da solo basta ad evocare la distanza enorme che separa il movimento di Mazzini – balenato in quel carcere savonese, prima della scelta consapevole della via dell’esilio, in alternativa al domicilio coatto – dalle angustie della cospirazione carbonara (un abito troppo stretto per Mazzini), dal viluppo e dall’intrico delle sette, in cui si era mosso per pochi anni, e con crescente disagio.
I vecchi schemi, falliti alla prova, non bastano più. «Coi moti italiani del 1831 – scrive Mazzini nel Manifesto della Giovine Italia – s’è consumato il divorzio fra la Giovine Italia e gli uomini del passato». Ecco l’impegno costante di tutta una vita che colloca Mazzini, anche con quella sua carica utopica e mistica, fra i grandi animatori del progresso storico, fra i creatori di una storia vivente, tale da rivivere ancora un secolo dopo: con la sua potenza educatrice e fascinatrice (ed ecco la Mazzini Society nella seconda guerra mondiale, ecco l’influenza del mazzinianesimo su «Giustizia e libertà» e sul partito d’azione).
Giunto a Marsiglia dopo la breve sosta a Ginevra e quella che il mio amico Galante Garrone ha definito il «vano accorrere» prima a Lione e poi in Corsica in vista di una spedizione insurrezionale presto fallita, Mazzini si pone alacremente all’opera. La forza di espansione della «Giovine Italia» ha del prodigioso. Costituita nel giugno del ’31, il mese successivo ha già consegnato una prima consistenza organizzativa, embrione di ciò che sarebbe presto diventato il primo partito politico italiano in senso moderno.
Partito di «quadri» certamente, come è stato osservato, ma pur sempre partito, con una rete organizzativa capillare, con un sistema meticoloso, di iscrizioni e di finanziamenti, anzi di autofinanziamenti, un’opera intensa di propaganda, di proselitismo, di «apostolato», come si diceva nel linguaggio del tempo, carico di alte motivazioni etiche e civili. E soprattutto con un programma politico ben definito, contenente in nuce tutti i capisaldi del pensiero e dell’azione del grande ligure.
Primo. «La Giovine Italia» è «la fratellanza degli italiani credenti in una legge di progresso e di dovere», recita il primo paragrafo dell’Istruzione generale per gli affratellati nella «Giovine Italia»: dove il concetto di dovere già si affianca a quello di progresso, nella indeclinabile convinzione che quest’ultimo non sia ipotizzabile, che nessun avanzamento civile sia realizzabile, qualora non sia corretto da un profondo sentimento dei doveri che legano ciascuno alla propria comunità nazionale e, per quella via, all’umanità intera.
Secondo. «La Giovine Italia» è «associazione tendente anzitutto a scopo d’insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno». Educazione: ecco un termine che tante polemiche e tante riserve susciterà fra quanti vi hanno scorto, noi crediamo a torto, un principio illiberale o di autoritarismo paternalistico, in realtà educazione contestuale all’azione, la «rivoluzione incivilitrice» in cui brillano un po’ Saint-Simon e un po’ di Buonarroti.
Terzo. «La Giovine Italia» è «repubblicana e unitaria». Repubblica e unità: un binomio inscindibile, nel disegno di Mazzini, che prenderà forma secondo tempi e modalità ben diversi da quelli prefigurati dal grande rivoluzionario, ma con uno sbocco finale, dal primo al secondo Risorgimento, che riporterà all’intuizione originaria di Mazzini.
«Mazzini possedeva la fede che muove le montagne. Mazzini fu un mistico. Ma sono i mistici e non gli scettici, che muovono il mondo». Sono alcuni dei bellissimi frammenti di argomento mazziniano che Galante Garrone ha raccolto dalle carte salveminiane in materia, a lui tutte donate.
Ricordo un giudizio che Salvemini dette di Mazzini all’università di Firenze a fine novembre 1949 quando tenne la prima lezione post-liberazione nella vecchia facoltà di Lettere di Piazza San Marco. «Mazzini non fu né un uomo di Stato né un filosofo. Fu un mistico. Chiunque vive non per se stesso ma per gli altri è un mistico anche se è un ateo».
E quella «terra promessa», cui alludeva Francesco De Sanctis (quando parlava del «Mosè dell’unità») costituiva solo il punto di partenza per incontrare l’Europa. Il patriota ligure l’aveva compreso fin dal primo momento.
Dalla Giovine Italia alla Giovine Europa: il nesso non è solo cronologico, è spirituale. Ed è un nesso intimo. «Il concetto della Giovine Europa – sono parole di Mazzini, raccolte nell’Epistolario – io l’avevo già da gran tempo: da quando io cacciavo le basi della Giovine Italia».
Nel corso di quell’itinerario che dalla «Giovine Italia» condurrà alla «Giovine Europa» il movimento democratico e repubblicano non ha mai separato il patriottismo dall’europeismo rifiutando costantemente ogni suggestione autoctona nazionale, o peggio ancora di enfasi o di boria nazionalista.
Il futuro della «nuova Italia», dell’autodeterminazione politica e della solidarietà sociale, nasce tutto nel quadro di quella «nuova Europa» di cui Mazzini è stato definito, e non solo in Italia, il «profeta».
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