di Ignazio DessìCon la carica di simpatia che lo contraddistingue non lesina battute forti e sul caso Unicredit-Profumo gioca d’anticipo: “La prima osservazione che voglio fare è che siamo tornati indietro di quarant’anni”. Per Giuseppe Turani, giornalista, esperto economico di Repubblica, e prima ancora del Corriere della Sera, L’Espresso, Capital, L’Europeo e Il Mondo, non c’è molto da discutere, “era dai tempi della vecchia Dc che un partito non faceva fuori un banchiere”. Dopo di che c’è poco da dire: la “Lega, grande e forte, ha fatto cacciare il più bravo banchiere italiano dalla più grande banca italiana”.Un elemento di mistero è semmai che “Unicredit è più presente in Lombardia che nel Veneto”, eppure all’ombra della Madonnina “nessuno si è alzato ad agitare il pugno contro l’ad nato a Genova, mentre a Verona il sindaco Tosi è insorto con veemenza, costringendo ora Bossi a invitare le Fondazioni bancarie a difendere Unicredit dai tedeschi. La verità è che “Tosi, vero talebano in camicia verde, è “un leghista perfetto, quindi convinto che avendo la maggioranza, tutto quello che c’è nella sua città appartiene al Carroccio, bar, scuole, parrocchie e banche comprese”. Dopo di che nella vicenda “non sono certo i libici ad aver rotto le p…” e la morale della favola – come deve aver capito il Senatur – è che “se non stiamo attenti l’Unicredit se la portano via i tedeschi”. Sarebbe davvero un bel capolavoro: “noi compriamo una loro banca (Opa sulla HypoVereinsbank AG, HVB-Group ndr), la rimettiamo a posto, per questo ci ciucciamo le perdite, infine arriva Tosi con lo spadone di Alberto da Giussano e viene fuori (magari) che i teutonici hanno il 15% variamente distribuito e comandano loro. Bisogna stare davvero attenti alle operazioni insensate".Quanto ai libici, in tutti gli anni che son stati azionisti, “non hanno mai dato fastidio o chiesto niente a nessuno”. I connazionali di Gheddafi "rompono a livello politico" ma quando si tratta di affari sono dei “banchieri inglesi”. L’esperto economico di Repubblica, inoltre, non è convinto che dietro la cacciata dell'ad di Unicredit ci sia l’asse Berlusconi-Geronzi. Allora a chi pestava i calli Profumo? In verità il banchiere “era scomodo a chiunque”, perché “quando c’è lui lo spazio per gli altri si restringe”. E’ chiaro che questo modo di gestire, molto decisionista, può risultare intollerabile a chi, come i leghisti di Verona, vorrebbe che si rifacesse la Cassa di risparmio veronese per poter telefonare tranquillamente al presidente e chiedere l’intervento a favore del primo artigiano che accampa bisogno. Ovvio che uno come Profumo, restio a questo genere di gestione, venga percepito come fumo negli occhi.ll nodo dell'intolleranza "al Profumo" (sia consentita la piccola battuta) sta tutto qui, secondo Turani, e il presunto asse Berlusconi-Geronzi è cosa tutta da verificare. “Il premier – sostiene il giornalista – ha già il Parlamento, le televisioni, i giornali e tanto altro e non credo abbia voglia di infilarsi anche lì per diventare il padrone della finanza italiana”. A ben vedere una delle ragioni di malessere è stata alimentata dalla “diminuzione degli utili delle fondazioni, veri mostri (non c’è l’equivalente in nessun paese del mondo) che servono a dare denaro agli enti locali”. Sono soggetti senza azionisti che “non rispondono a nessuno, se non a una logica politico-clientelare”. Quest’anno questi mostri “sono rimasti a secco ed è venuta meno la possibilità di accontentare la bocciofila, la squadra di pallone, quella di atletica e l’associazione di studi vari” . Qualcuno ha dato così la colpa di tutto a Profumo, dimenticando che "senza Profumo l’Unicredit non esisterebbe nemmeno”, visto che prima era solo una accozzaglia di “banche e banchette senza senso”.Ora il "banchiere" se ne va, con una dote non certo insignificante di 40 milioni di euro, e già si accettano puntate su quale sarà il nuovo incarico che gli verrà offerto. Una cosa comunque è certa, secondo Turani, non si tratterà della segreteria da “papa straniero” del Pd, ipotizzata per lui da qualcuno. “E’ una scemenza, stiamo parlando di uno dei due o tre banchieri più bravi d’Europa e uno così può trovare una collocazione ovunque. Che vada a imbarcarsi in un vascello incasinato come quello del Pd non lo credo proprio”. Anche se, di questi strani tempi, mai dire mai. “A meno che non abbia voglia, presa la sua liquidazione milionaria, di smettere di lavorare e divertirsi un po’ in politica”, sospira Turani, e poi aggiunge: “Ma non sarebbe certo un mediatore, perché è uno che al primo scontro manda tutti a quel paese”. Il raffronto con Prodi è inevitabile. “Lui sì, andava bene per mettere insieme l’Ulivo. Era un 'cattolico sofferente', mediatore nato, capace di passare dodici giorni a mettere d’accordo cinque persone”. Profumo invece - è notorio - è tipo da non voler perdere tre minuti in "bazzeccole" di tal fatta. Per cui, “secondo me, non ha voglia di impiegare tempo in quel campo”.Un altro aspetto controverso è quello della sua successione. “Non so chi metteranno al suo posto. Si parla di Matteo Arpe, ma allora è la conferma che Geronzi non è dietro l’operazione, perché è uno che se vede Arpe si fa prestare lo spadone da Tosi e lo infilza, visto che, a suo tempo, l'altro ha brigato per soffiargli Capitalia”. In ogni caso raccogliere l’eredità di Profumo non sarà semplice. “Qualcuno si pentirà, anche se non gliene fregherà niente”. E la ragione di ciò è semplice, il boccone è grosso e appetitoso: “Lo Sato non ha più soldi, le Regioni non hanno più soldi, le Province e i Comuni non hanno più soldi, restano solo quelli delle banche, ovvero i miei, i suoi, i nostri. Non per nulla la Lega da tempo dice 'vogliamo le banche', l’unico posto rimasto in Italia dove i soldi ci sono”. Peccato siano - appunto - quelli dei risparmiatori.
Caso Profumo, Giuseppe Turani: "Era dai tempi della Dc che un partito non faceva fuori un banchiere" | tiscali.notizie