di Cosimo Ceccuti – In «Nuova Antologia», fasc. 2132, ottobre-dicembre 1979, Le Monnier, Firenze, pp. 301-316.
Questo testo rappresenta una breve anticipazione del volume dedicato agli scritti a carattere politico di Piero Fossi (con articoli e carteggi inediti conservati nell’archivio della famiglia Fossi), che rientra a sua volta nell’ambito più generale di studi e ricerche che l’autore ha condotto sul movimento repubblicano in Italia nel secondo dopoguerra. Quegli studi che hanno già portato all’ampio saggio sulla Ricostruzione del PRI in Toscana fra 1944 e 1948 in corso di stampa nel volume inerente al Comitato toscano di liberazione nazionale e i partiti in Toscana, nel quadro della ricerca su «Il sistema delle autonomie: rapporti fra Stato e società civile», promossa dal Consiglio regionale della Toscana in occasione del trentennale della Costituzione.
«Durante il periodo della dominazione fascista e tedesca, anni ’42, ’43, ’44, fra le intraprese di coloro che lottavano per l’avvento di una nuova libertà, vi fu anche quella di preparare un periodico di argomenti sociali e politici, da pubblicarsi a liberazione avvenuta». Così Piero Fossi, spirito critico del movimento repubblicano negli anni del secondo dopoguerra, ricordava in un articolo sul «Corriere del Mattino» dell’11 gennaio 1945 quei primi incontri fra uomini di cultura che cercavano di organizzare e coordinare le forze per un impegno politico e civile da portare avanti una volta caduto il regime: educare ai princìpi di democrazia e di libertà al rinascente nazione.
Il periodico ipotizzato avrebbe dovuto discutere i maggiori problemi del paese davanti all’opinione pubblica italiana; il titolo era già pronto: «Il Vaglio», cioè scelta fra i problemi da risolvere, costante ricerca di un’equa soluzione. I promotori si riunivano all’ultimo piano di un vecchio palazzo romano, in via del Gesù, in un appartamento «mobiliato ma disabitato, signorile, spirante un’aura di calma grazia settecentesca, sopra i tetti della vecchia città, dove i raggi del sole al tramonto creavano uno strano contrasto con i volti chiusi e severi degli uomini che vi si riunivano; uomini di pensiero, provenienti dalle diverse regioni italiane». Fra questi, Guido De Ruggiero, Carlo Antoni, Umberto Morra, Pietro Pancrazi.
«Il Vaglio» non uscirà mai. Ma con alcuni di quegli stessi intellettuali e altri giunti più tardi era nato, in Roma liberata, un settimanale politico che faceva proprie non poche delle primitive idee di quel circolo ricordato da Fossi, La Nuova Europa.
Piero Fossi non ha alle spalle esperienza di militante. È uomo di studi, di profonda meditazione. Negli anni oscuri del fascismo ha approfondito le indagini sul pensiero filosofico di Benedetto Croce e volto l’attenzione di studioso al Risorgimento, al cattolicesimo liberale, o meglio, al «liberalismo cattolico» di Manzoni e Rosmini, di Capponi, di Tommaseo, di Lambruschini. I profili di tali personaggi, presentati in un ciclo di lezioni tenute all’Istituto di Studi Italiani della Facoltà di Lettere della Sorbona, nella primavera del ’38 («Le correnti del pensiero liberale in Italia nel XIX secolo»), verranno poi raccolti in volume[1].
Sono anni in cui si agitano fra gli studiosi grosse questioni interpretative, si sviluppano polemiche alle quali Piero Fossi intensamente partecipa, col contributo critico del suo pensiero. Il fitto carteggio con Luigi Russo, gli scambi epistolari con Benedetto Croce, i rapporti con Walter Maturi[2] sono un capitolo nella storia della critica ancora da scrivere.
Stimolato dalla necessità di un’opera di ricostruzione morale del paese, in una visione della politica intesa non come quotidiana, ordinaria routine, ma come superiore interesse della collettività, come indicazione della via della libertà a una nazione giovane, quale nesce da un ventennio di abbrutimento e di totale assenza di esercizio critico del potere, Fossi infrange l’isolamento negli studi, la «torre d’avorio» della propria meditazione e si pone «al servizio dello Stato», con un preciso, vibrante impegno politico e civile.
Chiamato a dirigere fin dal numero iniziale il «Corriere di Firenze» (poi «Corriere del Mattino» e infine «Nuovo Corriere»), pubblica, il 28 settembre 1944, il suo primo editoriale, Necessità della fiducia: un appello agli italiani – in un paese ancora occupato militarmente e diviso dal protrarsi del conflitto – indicando loro il primo dovere, cioè «la fiducia della ricostruzione politica nella libertà».
Un grande quotidiano di informazione, «libero, serio, obiettivo, ben fatto, capace di guidare l’opinione pubblica per la difesa dei fondamentali istituti liberali e democratici», portavoce dell’indirizzo liberale, democratico e repubblicano nel quale egli si riconosce, resta a lungo, per Fossi, una delle maggiori preoccupazioni. Gli sono vicini, nella iniziativa, che comincia a delinearsi con contorni più definiti nel 1946, Luigi Salvatorelli e Carlo Ludovico Ragghianti, Alberto Carocci e Mario Vinciguerra, Torraca e Cifarelli. Vinciguerra, nel marzo del ’46, è indicato come più probabile direttore[3].
È un progetto che si evolve, mano a mano, con l’evolversi del quadro politico in Italia. In quegli anni, Fossi ripete da vicino l’itinerario politico di Ugo La Malfa e di Ferruccio Parri: è nel partito d’azione, quindi nel gruppo di «Democrazia repubblicana», infine confluisce nel partito repubblicano. «Proprio in questi giorni – scrive il 5 ottobre 1946 ad un’amica negli Stati Uniti – il mio gruppo della Democrazia Repubblicana con Salvatorelli, Parri, La Malfa, Vinciguerra ecc. e il gruppo dei liberali di sinistra, con Brosio, Calvi, Granata ecc. si sono fusi con il Partito Repubblicano Italiano di Pacciardi, Facchinetti, Conti, per riunire in una sola formazione politica, in un unico partito (il Partito Repubblicano) tutte le forze democratiche di centro, nello schieramento politico italiano». L’importanza e l’obiettivo di tale posizione politica, precisa nella stessa lettera, una posizione volta a garantire nel paese gli istituti democratici e la vita stessa della Repubblica, è quello di «evitare il cozzo fra le sinistre marxiste e le destre nazionaliste, sempre più inclini ad un risorgente fascismo».
Proprio allora si fa più presente la necessità di una testata che diffonda le idee del «centro repubblicano e democratico», che appare privo dell’elemento basilare per lo sviluppo, cioè la stampa. Ci sono è vero «La Voce repubblicana» e «La tribuna del popolo», che mantengono «una schietta posizione democratica», ma sono organi privi di mezzi e di bassa tiratura, non in grado di «influire veramente» sulla formazione dell’opinione pubblica[4]. Il modello, nella mente di Fossi e in quella degli amici repubblicani, è «Il Corriere della sera» di Luigi Albertini.
Il pessimismo di Fossi sulla situazione generale del paese era tutt’altro che isolato. «Ho avuto contatti con gli amici che stanno mettendosi al lavoro per tentar di fondare un giornale: Torraca, Vinciguerra, Cifarelli, ecc. ecc. – gli aveva confidato il 17 settembre Alberto Carocci -. La situazione della stampa è veramente tragica. Non resta più in vita un solo giornale, all’infuori di quelli dei partiti, che sia in mano a uomini della democrazia. Tutta la stampa è tornata in mano ai fascisti. Ora i nostri amici dicono che, se per un giornale democratico non è possibile chieder denaro ai ricchi non c’è che da chiederlo ai poveri. Perciò vorrebbero raccogliere i fondi necessari a piccole quote di 10.000 lire ciascuna, o anche meno (salvo naturalmente che vi sarà qualcuno che sottoscriverà più quote) mobilitando a questo scopo tutti gli amici che sono sulla nostra posizione politica e morale: dai socialisti ai liberali, usciti o ‘uscituri’ dal PLI. Mi han chiesto a chi sarebbe possibile far capo a Firenze, come centro di propaganda e irradiamento per questa raccolta dei capitali. Ho suggerito te, e Ragghianti, e Boniforti».
Quante figure di azionisti amici di Fossi! C’è Michele Cifarelli, che ha portato lo spirito azionista nel PRI; c’è Vincenzo Torraca, scomparso in questi giorni, fino all’ultimo legato a Ugo La Malfa, ultranovantenne testimone di un’epoca.
Non è dunque un problema di uomini, ma di mezzi. «Per fare una cosa seria – rileva Fossi in una lettera sollecitante sottoscrittori – occorrono venti milioni in partenza… si propone la formazione di una società finanziatrice, che sia libera da interessi particolari e guidata dal programma politico di difesa delle libertà democratiche».
È un’impresa che non verrà realizzata, nonostante i tentativi e la ricerca di sottoscrittori fra gli italiani all’estero, e il ricorso al nome pur prestigioso e rassicurante del conte Sforza. «Bisognerebbe parlare attraverso la voce di un gran giornale – scrive lo stesso Sforza a Fossi in una lettera della seconda metà del ’47, qui riportata, fra irritazione e amarezza – ma i milioni necessari vanno solo ai consci (sinistra) o inconsci (destra) fautori di rivoluzioni».
(...)
[1] P. FOSSI, Italiani dell’Ottocento, Firenze, 1941.
[2] A proposito dei limiti dell’influenza del giansenismo in Alessandro Manzoni, così gli scriveva da Napoli Walter Maturi, il 27 dicembre 1931: «Mi sembra che si sia d’accordo nella sostanza e me ne compiaccio. Non si può negare che Manzoni nella rigida coerenza della sua vita morale, nell’intenso raccoglimento religioso interiore conservasse traccia di caratteristici stati d’animo giansenisti, ma queste tracce si fondevano in lui con altri motivi, che gli venivano dalla propria esperienza religiosa e da altri filoni del pensiero cattolico e finirono col trovare un certo appagamento teoretico nella filosofia di Rosmini, che non è riducibile al minimo comune denominatore giansenista, come fa il Ruffini». E con un tono aspramente polemico aggiungeva: «E c’è da mettersi le mani nei capelli, quando si vede Ruffini derivare dal giansenismo tutte o quasi le caratteristiche del Manzoni (l’avversione per gli antichi, l’anti-temporalismo ecc.). Purtroppo, e me ne duole, il Benedetto e l’Omodeo parteggiano risolutamente per il Ruffini, seguendo piuttosto le logica delle passioni che quella della verità. Ma per me amicus Plato, sed magis amica veritas».
[3] Così scrive Alberto Carocci a Fossi, in data 20 marzo 1946: «Carissimo, né La Malfa né Parri sono a Roma, purtroppo. Forse La Malfa rientra stasera dalla Sicilia.
Parlerò con ambedue delle nostre faccende, e delle tue in particolare per quanto attiene al lavoro presso l’Ufficio Stampa.
Ho parlato con Vinciguerra, il quale sarebbe disposto a venire a Firenze a dirigere il ‘Corriere’, o altro giornale che venisse da noi messo in piedi. Naturalmente la cosa non potrebbe entrare in una fase concreta altro che il giorno in cui fosse possibile fargli delle proposte concrete. Ma insomma, egli è molto ben disposto. Dillo anche a Ragghianti, e gli altri».
[4] «Le sinistre marxiste – scriveva Fossi – hanno i loro grandi quotidiani di partito, l’ ‘Unità’ e l’ ‘Avanti!’, le destre, con i fondi degli industriali e con gli interessi delle vecchie clientele fasciste, hanno ripreso gran parte dei grandi quotidiani di informazione e fra gli altri il ‘Corriere della sera’, nel quale ogni giorno più traspare il rinnovato spirito fascista. (Gran perdita queste del ‘Corriere della sera’ per il nostro indirizzo politico!). Tutti gli altri giornali sono in mani cattoliche e vaticane e guidati ai fini di interessi confessionali».