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  1. #21
    Lo spirito del '22
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Non c'era bisogno che lo dicesse Visco, francamente.

    La vedo molto male.

  2. #22
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Mes, eurobond e SURE: uno scontro tutto interno alle elite europee



    di Thomas Fazi - La Fionda

    Mentre in Italia continua la drammatica conta quotidiana dei morti, l’Unione europea e i nostri “partner” continentali sembrano avere una sola preoccupazione: come approfittare della tragica situazione in cui versa il nostro paese per stringerci ulteriormente il cappio del debito attorno al collo. Pare infatti che Francia e Germania abbiano trovato un accordo in vista dell’Eurogruppo di martedì prossimo (7 aprile), basato sull’attivazione del Meccanismo europeo di stabilità (MES) a “condizionalità limitate”, sul potenziamento delle linee di credito della Banca europea per gli investimenti (BEI) e sul nuovo fondo “anti-disoccupazione” SURE.


    Come volevasi dimostrare, insomma, alla prima occasione la Francia si è sfilata dal cosiddetto fronte “anti-rigore”, che in realtà vedeva opposti due nemici delle classi popolari: da un lato le classi dirigenti della Germania e dei paesi del nord che maggiormente beneficiano dall’attuale architettura europea – e che ritengono di avere sufficienti “cartucce” a disposizione per rispondere autonomamente alla crisi provocata dal COVID-19 – e dunque premono per mantenere sostanzialmente inalterata tale architettura; dall’altro le classi dirigenti dei paesi del sud (e fino a poco fa della Francia stessa), Italia in testa, che invece ravvedono nel collasso socioeconomico provocato dal COVID-19 una minaccia per la loro stessa sopravvivenza e dunque spingono per l’introduzione di nuovi strumenti – eurobond” et similia – che garantirebbero un po’ di ossigeno alle loro economie (e a loro stessi) ma nei fatti rafforzerebbero il carattere oligarchico della UE, accentrando ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea, senza apportare alcun beneficio concreto per le classi lavoratrici e popolari dei paesi del sud.


    In poche parole, siamo di fronte a uno scontro tutto interno alle élite europee, che con ogni probabilità, comunque, si risolverà ancora una volta a favore della diarchia franco-tedesca, nella misura in cui le borghesie “vendidore” dei paesi del sud, per quanto vacillanti nel loro fervore europeista, non paiono ancora pronte a contemplare una fuoriuscita dalla moneta unica. E dunque finiranno per capitolare.


    Ma veniamo al merito della proposta franco-tedesca e a quello che significa per l’Italia. Al primo punto, come detto, troviamo la sottoscrizione di un prestito del MES a “condizionalità limitate”, una soluzione che, a quanto pare, incontrerebbe il favore di Gualtieri e dei tecnici del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF). La soluzione che verrà discussa martedì, infatti, è stata redatta dall’Eurogroup Working Group (EGW), composto dai dirigenti dei ministeri delle Finanze di tutti i paesi UE, ed ha dunque ricevuto il via libera anche del MEF, nella figura di Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro e noto fedayìn europeista.


    Di tutte le opzioni sul tavolo, questa sarebbe di gran lunga la peggiore. Non solo ci indebiteremmo nei confronti di un’istituzione che agisce a tutti gli effetti come una banca privata – e che difatti è collocata al di fuori dell’assetto istituzionale dell’Unione –, a cui saremmo costretti a rimborsare ogni singolo centesimo, assurdità tutta europea, giacché è assodato che in tutti paesi “normali” (ovverosia che dispongono di una loro valuta) le spese per far fronte all’emergenza saranno monetizzate, de facto o de jure, dalle loro rispettive banche centrali – cioè non prevedranno alcun rimborso futuro –, come ammesso persino da Federico Fubini sulle pagine del Corriere della Sera.


    Ma, cosa ancor più grave, è assolutamente menzognera l’idea che l’Italia possa sottrarsi indefinitamente alle condizionalità del MES. Difatti, anche se nel breve gli Stati membri trovassero un accordo per aggirare la «rigorosa condizionalità» prevista dall’articolo 136(3) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), su cui si basa il MES, magari accordandosi su una forma “leggera” di condizionalità, le condizioni a cui è soggetta l’assistenza finanziaria nell’ambito del MES possono essere modificate unilateralmente dalle istituzioni europee, come prevede l’art. 7(5) del regolamento 472/2013. Quest’ultimo, infatti, recita che: «La Commissione, d’intesa con la BCE e, se del caso, con l’FMI, esamina insieme allo Stato membro interessato le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico […] Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare a tale programma».


    Sarebbe a dire che i creditori, in qualunque momento, potranno cambiare le condizionalità dei prestiti concessi, avendo dalla parte loro la forza di un trattato europeo. Come scrivono Floriana Cerniglia e Francesco Saraceno sul Sole 24 Ore: «Si può prevedere che, non appena la tempesta sarà passata, il MES (il cui Consiglio dei governatori è composto dai ministri dell’Economia dei paesi membri) pretenderà dai debitori condizioni ben diverse, e si tornerà a parlare di piani di rientro, avanzi primari e così via». Su questo il vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, è stato molto chiaro: passata l’emergenza i paesi dovranno rientrare del debito e del deficit accumulati per gestire la crisi, assieme agli squilibri pregressi.


    Inoltre, come notano i giuristi Marco Dani e Agustín José Menéndez, «il fatto che l’assistenza finanziaria sia erogata “a rate” garantisce che per tutta la durata del prestito i creditori abbiano non solo il potere giuridico, ma anche quello economico di variare le condizioni con cadenza semestrale». In altre parole, non si tratta solo di persuadere Angela Merkel e Mark Rutte, «ma di continuare a convincere per anni ciascuno dei loro successori della bontà del prestito MES a condizionalità leggera. Qualcosa che, chiaramente, è poco realistico».


    C’è poi un altro punto, sottolineato sempre da Dani e Menéndez: il MES prevede che i debiti contratti con esso siano sottoposti al diritto di Lussemburgo. L’obiettivo di questa pratica è evitare che il debitore modifichi le condizioni o la consistenza delle proprie obbligazioni nell’esercizio della propria sovranità monetaria. «La conseguenza di questa pratica – scrivono i due giuristi – è che ogni stato che ricorre al MES vede diminuita la possibilità di un recupero della propria sovranità monetaria anche se decide di lasciare l’eurozona, dato che in tal caso affronterebbe una montagna di debito in valuta estera senza la possibilità di ridenominarla in futuro».


    Infine, c’è la questione della limitatezza delle risorse del MES: 440 miliardi di euro per tutta l’eurozona, una cifra che è assolutamente incapace di assicurare il rifinanziamento del debito pubblico italiano, per non parlare di quello complessivo dell’eurozona. Il risultato è che in un secondo momento, per garantire la solvibilità dell’Italia e metterla al riparo dalla speculazione, si paventerebbe senz’altro la necessità di un intervento diretto della BCE sui mercati dei titoli sovrani italiani. Tuttavia, in base alle regole attuali, un intervento mirato e illimitato della BCE a favore di singoli paesi attraverso il programma OMT (Outright Monetary Transactions) è sottoposto anch’esso a rigorose condizionalità e dunque rappresenterebbe un’ulteriore arma nelle mani dei creditori per imporre una stretta ai paesi debitori, o comunque aprirebbe un nuovo fronte politico, esponendo nel frattempo l’Italia alla furia degli speculatori. In tal senso, il recente invito della banca tedesca Commerzbank a vendere i BTP italiani, lungi dal rappresentare un “complotto” ai danni del nostro paese, appare del tutto giustificato. Preoccupa piuttosto che i nostri politici non vedano – o facciano finta di vedere – i rischi fotografati dalla banca tedesca.


    Veniamo ora alle due altre due architravi del piano franco-tedesco: il potenziamento delle linee di credito della Banca europea per gli investimenti (BEI) e il nuovo fondo “anti-disoccupazione” SURE. Sul primo c’è poco da dire: non si tratta di fondi che andranno agli Stati ma di prestiti che la BEI metterà a disposizione delle imprese europee. La vera beffa, però, è rappresentata dal “grande piano di aiuti” (stampa italiana dixit) messo in campo dalla Commissione europea, il SURE, un fondo di circa 100 miliardi di euro finalizzato in teoria ad aiutare i paesi europei a sostenere i costi della cassa integrazione. A prima vista sembrerebbe una misura positiva. Ma il diavolo, come sempre, è nei dettagli. Innanzitutto le risorse eventualmente trasferite allo Stato richiedente sono un prestito e dunque andranno ad aggiungersi al debito pubblico (esattamente come i prestiti del MES). Ma c’è di più. Come sottolinea Stefano Fassina:


    Ciascuno Stato dell’UE deve dare garanzie irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili alla Commissione affinché la Commissione possa emettere sul mercato i titoli necessari a raccogliere le risorse da prestare agli Stati in difficoltà. Nella narrazione, è poi saltato che la partecipazione al programma è su basi volontarie e che il programma parte soltanto quando tutti gli Stati membri mettono a disposizione della Commissione le garanzie necessarie. Inoltre, l’astuta terminologia «fino a 100 miliardi» copre la possibilità di arrivare a un ammontare di risorse disponibili decisamente inferiore, poiché dipendente dalle garanzie volontariamente messe a disposizione da ciascuno degli Stati UE e dai limiti annui di impegno contenuti nelle norme istitutive: per avere a disposizione 100 miliardi da distribuire, sono necessarie garanzie per 25 miliardi; il massimo utilizzo complessivo annuo, per tutti gli Stati richiedenti, può essere soltanto il 10 per cento delle risorse mobilizzabili dal Fondo.


    Dunque, nel breve termine – cioè nella fase più acuta della crisi economica e sanitaria – l’Italia potrà realisticamente avere a disposizione al massimo qualche centinaio di milioni in prestito, ma solo dopo aver impegnato due o tre miliardi in garanzie «irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili». In sintesi, tutte le misure proposte dall’Europa si inquadrano saldamente nella logica disciplinatoria del debito su cui si fonda l’Unione europea. Possono essere definiti “aiuti” nella stessa misura in cui può definirsi “aiuto” il prestito di uno strozzino ad una famiglia in difficoltà.


    Veniamo infine all’opzione auspicata di recente da Mario Draghi sulle colonne del Financial Times e caldeggiata dal Movimento 5 Stelle: quella di reperire i soldi sui mercati, aumentando significativamente il deficit, approfittando del “potenziamento” del programma di quantitative easing (QE) annunciato dalla BCE. Nel breve periodo questo rappresenterebbe indubbiamente il male minore nella cornice dell’euro. Tuttavia a un certo punto si riproporrà lo scenario evocato poc’anzi: dato il suo crescente rapporto debito/PIL, che potrebbe portare anche a un declassamento da parte delle agenzie di rating, arriverà il momento in cui l’Italia non sarà più in grado di rifinanziarsi sui mercati e dunque necessiterà di un intervento continuativo e illimitato della BCE sul proprio mercato dei titoli sovrani, il che sarà pressoché impossibile ottenere senza la sottoscrizione di un programma del MES, come detto sopra.


    È una misura, insomma, che non risolverebbe nessuno dei problemi strutturali della moneta unica ma che permetterebbe al sistema di guadagnare un po’ di tempo, scaricando l’onere dell’aggiustamento – o dell’assunzione di scelte più drastiche – su chi verrà dopo. Che poi è quello che hanno sempre fatto le nostre classi dirigenti pur di non assumersi le loro responsabilità di fronte alla storia. La realtà dei fatti è che non esiste soluzione alla crisi pluridecennale dell’Italia nella cornice dell’architettura europea e prima o poi saremo costretti a fare i conti con questa verità. Purtroppo più tempo passa e più deboli arriveremo a quell’appuntamento inevitabile con la storia.

    Notizia del: 06/04/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...e/33535_34080/
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  3. #23
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Lidia Undiemi: "Il Mes con condizionalità affievolite è una trappola. Parliamo del prelievo forzoso."



    Si va verso un "Mes senza condizionalità". In una lettera congiunta, i ministri tedeschi Heiko Maas (Affari esteri) e Olaf Scholz (Finanze) hanno spiegato che «i Paesi più duramente colpiti dalla crisi del coronavirus devono essere stabilizzati a livello finanziario in modo rapidissimo, non complicato e in misura sufficiente». E ancora: «I mezzi finanziari non devono essere vincolati a condizioni inutili che equivarrebbero a una ricaduta nella politica dell'austerità» post-crisi finanziaria. I due ministri socialdemocratici si dicono convinti che il Meccanismo europeo di Stabilità debba concedere generosi prestiti ai governi in difficoltà senza condizioni particolari. "Senza troika", sottolineano i ministri tedeschi.



    Si tratta di un passaggio epocale per il nostro paese e "una trappola" come spiega bene in questo video Lidia Undiemi.

    per visualizzare il video: https://www.lantidiplomatico.it/dett...zoso/11_34069/
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  4. #24
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    CONTEDVCE sta per regalarci una inculata di quelle storiche, checché ne dica la propaganda del governo.

  5. #25
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Citazione Originariamente Scritto da Sparviero Visualizza Messaggio
    CONTEDVCE sta per regalarci una inculata di quelle storiche, checché ne dica la propaganda del governo.
    Poco ma sicuro.
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  6. #26
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Eurogruppo rimandato a domani. Il mito degli eurobond e perché comunque vada non ci sarà da gioire



    di Thomas Fazi


    Ancora nessun accordo all'interno dell'Eurogruppo, le negoziazioni continueranno nella giornata di domani. Ma il problema non è questo. Il problema è che, comunque andrà, non ci sarà nulla da gioire.



    Ciò che mi preoccupa, infatti, non è che Olanda e Germania si continuino a opporre agli euro-corona-bond, chiamateli un po' come volete. Ciò che mi preoccupa è vedere tanta gente che plaude ai suddetti euro-corona-bond come se fossero la manna dal cielo che risolverà tutti i nostri problemi, senza comprendere realmente le implicazioni di tale strumento.


    Di fatto, l'introduzione di uno strumento di debito europeo rappresenterebbe un'ulteriore cessione di sovranità all'Europa. Come scrive sul "Sole 24 Ore" Isabella Bufacchi, vicecaporedattore del quotidiano, «per un vero eurobond, i 19 devono mettere sul piatto una fetta più o meno grande della sovranità fiscale nazionale».


    Questo perché i singoli paesi sarebbero tenuti ad effettuare prelievi fiscali finalizzati al rimborso dei suddetti titoli (e ad un loro eventuale non rimborso da parte di uno o più paesi terzi) senza però che i singoli parlamenti nazionali abbiano voce in capitolo sull'utilizzo delle risorse, che verrebbe deciso a livello sovranazionale o al massimo intergovernativo. Nella migliore delle ipotesi sarebbe ipotizzabile il coinvolgimento del Parlamento europeo, la cui legittimità democratica, tuttavia, non è neanche lontanamente paragonabile a quella dei parlamenti nazionali. Questa è la ragione di fondo dell'opposizione della Germania, come ho spiegato altrove.


    Insomma, lo "scontro epico" attualmente in corso nella migliore delle ipotesi si ridurrà a una misura che garantirà un po' di ossigeno all'economia italiana ma nei fatti rafforzerà il carattere oligarchico della UE e dell'euro, accentrando ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea, senza apportare alcun beneficio concreto per le classi lavoratrici e popolari dei paesi del sud.


    No, Conte, la storia non sta dalla tua parte. La storia sta dalla parte di chi si batte per uscire da questa gabbia, non di chi si batte per rafforzarla.

    Notizia del: 08/04/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...e/33535_34109/
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  7. #27
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Munchau (FT): "L'accordo con l'Eurogruppo non è positivo per l'Italia"



    "Non è un buon accordo per l'Italia e per l'Europa del sud". Con queste parole Wolfgang Munchau, editorialista del Financial Times e direttore di eurointelligence.com commenta su twitter l'accordo di ieri raggiunto (imposto) dal Nord Europa al Sud.


    "L'accordo con l'Eurogruppo non è positivo per l'Italia e l'Europa meridionale. Come spesso accade, abbiamo visto un ministro delle finanze italiano che accetta un accordo che alla fine non è nel migliore interesse del suo paese. Il momento per i coronabonds sta svanendo..."



    Wolfgang Munchau
    @EuroBriefing
    Eurogroup deal is not good for Italy and southern Europe. As so often before, we see an Italian finance minister agreeing to a deal that is ultimately not in his country’s best interest. Momentum for coronabonds is fading. Eurointelligence - Public

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    14 PM - Apr 10, 2020
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    Segue la traduzione di ampi stralci dell'articolo di eurointelligence di Munchau:

    [...]

    Ciò che ci interessa sono gli effetti economici generali di ciò che è stato concordato, al contrario dei titoli dei giornali.

    L'unico strumento che potrebbe avere un impatto macroeconomico potrebbe essere il recovery fund. I ministri hanno però posticipato la questione al Consiglio europeo, che in precedenza lo aveva scaricato a loro. Il testo menziona strumenti finanziari innovativi, ma non ha fornito dettagli su quello che potrebbe significare nel dettaglio. La discussione sugli eurobond non è finita, ma i sostenitori sicuramente hanno perso il momento più importante, poiché lo slancio si era accumulato nelle discussioni. Pensiamo che questo slancio si stia sbiadendo.

    Ciò che è stato concordato ieri è ben al di sotto della rilevanza macroeconomica. Il testo afferma che le misure discrezionali degli Stati membri finora rappresentano il 3% del PIL. Siamo categoricamente contrari a quel numero. Sospettiamo che riunisca misure in varie fasi del gasdotto fiscale.

    Ma l'esperienza mostra che alla fine arriverà solo una parte di ciò che è destinato. La quantità di spesa fiscale discrezionale scatenata nella zona euro finora è molto bassa rispetto a quella degli Stati Uniti e del Regno Unito. Gli stabilizzatori automatici saranno più elevati, quindi alla fine dobbiamo esaminare l'effetto fiscale totale.

    Le misure concordate ieri sono le seguenti.

    • Una struttura di sostegno d'emergenza di 2,7 miliardi di euro dalle risorse del bilancio dell'UE, pari allo 0,03% (!) Del PIL.

    • Un istituto di prestito della BEI per 25 miliardi di euro. Questa è una buona notizia, ma esortiamo i lettori a non fare acquisti, in particolare i moltiplicatori di grandi dimensioni. La BCE ha innalzato molto il sostegno al credito. L'impatto del programma BEI sarà quello di sostenere i flussi di credito, ma l'effetto marginale sarà molto più piccolo di quanto sarebbe in tempi normali.

    • Una linea di credito a condizioni migliorate del MES fino al 2% del PIL degli Stati membri come parametro di riferimento. Il 2% non è un numero accidentale. Riflette la dimensione dei fondi rimanenti nel MES. Il testo fa riferimento a termini standardizzati, il che implica condizionalità a nostro avviso e dà la decisione agli organi di governo del MES e alle istituzioni dell'UE. Tutti coloro che ne chiedono uno lo riceveranno, purché promettano di spendere soldi per problemi relativi all'assistenza sanitaria. Pensiamo che questa struttura, e tutto il clamore creato intorno ad essa, sia in definitiva irrilevante. Il programma di acquisti di emergenza pandemici della BCE rende molto improbabile una compressione della liquidità quest'anno. Il PEPP sostituisce l'OMT e, come continuiamo a sottolineare, i vari limiti, persino la chiave maiuscola, sono irrilevanti in caso di emergenza. Inoltre, la politica italiana preclude un programma ESM.

    • Un programma di credito temporaneo della Commissione europea a sostegno dei sistemi nazionali di collocamento, con l'acronimo di Sure. La dimensione massima è di € 100 miliardi. Ancora una volta, questi sono crediti.

    Questo è quanto è stato concordato. Principalmente prestiti e supporto ai prestiti.

    Non vogliamo essere completamente negativi. La struttura sicuramente aiuterà in particolare gli Stati membri con sistemi assicurativi di disoccupazione deboli, come l'Italia, e quelli con disposizioni insufficienti a finanziare i lavoratori licenziati o i programmi di lavoro a breve termine. L'UE colma importanti lacune nel sistema. Ma non dovremmo illuderci che tutto ciò sia macroeconomicamente rilevante.

    Quindi, tutto questo lascia al cosiddetto fondo di recupero ancora totalmente da definire il compito di fare praticamente tutto il lavoro pesante, oppure non farlo. Temiamo che Jacob Kierkegaard abbia ragione nella sua aspettativa che questo fondo alla fine verrà inserito nel bilancio dell'UE. Dove, però - e su questo non siamo d'accordo con lui - non può essere sfruttato per raggiungere una scala macroeconomica. Il bilancio dell'UE è dell'ordine dell'1% del PIL, la maggior parte dei quali è destinata ai programmi non discrezionali.

    Ricordiamo che l'ultima volta che l'UE ha pensato di poter sfruttare le sue risorse: il famigerato fondo di investimento Juncker. Si è trattato di una tigre di carta che rimescolava principalmente gli investimenti esistenti in diverse categorie. Non vi è stato alcun impatto percepibile sugli investimenti aggregati a livello dell'UE. Prevediamo che il fondo di risanamento rientrerà nella stessa categoria: un tentativo dell'UE di dimostrare la sua rilevanza, ma senza effetti concreti. Qual è la linea di fondo? Pensiamo che gli italiani si siano piegati. La battaglia per l'Eurobond è persa. La rinazionalizzazione della politica è in pieno vigore. E siamo presto pronti per un'altra crisi finanziaria, quando l'impatto di Covid-19 sulla sostenibilità del debito degli Stati membri diventerà fin troppo chiaro.
    Notizia del: 10/04/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...alia/11_34167/
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  8. #28
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    L'accordo con l'Eurogruppo non è positivo per l'Italia
    eufemismo!

  9. #29
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Alberto Bradanini - Il leviatano dell’Unione Europea e l’attacco alla democrazia



    "Cruciale rimane la distinzione tra chi punta alla demolizione di questa Europa a favore di politiche nazionali egualmente liberiste e di classe, e chi invece si batte per il recupero della sovranità quale presupposto per una democratica attuazione di politiche di coesione, piena occupazione e investimenti sociali."


    di Alberto Bradanini per l'AntiDiplomatico

    13 aprile 2020


    In questa funesta congiuntura, viviamo tutti tempi duri, ma per disoccupati, inoccupati, precari, e in generali tutti gli esclusi, i tempi sono drammatici, e sfiorano la soglia della sopravvivenza. Molti hanno perso il lavoro, regolare o a nero, e non hanno di che vivere, ancor meno immaginare un futuro per sé e per i loro figli.


    Nella mistica dei luoghi comuni le distorsioni di senso costituiscono una barriera formidabile a una corretta decifratura degli accadimenti. Un esempio clamoroso di raggiro terminologico è costituito dal termine Unione Europa (sottolineo il termine Unione). È verosimile ritenere che la maggioranza dei cittadini europei faccia uso di questa definizione senza riflettere, nel presupposto inconscio che essa possieda, anche se in forma non ottimale, minime caratteristiche di democrazia, equità e solidarietà. Alcuni suppongono che l’Ue sia uno Stato Confederale (senza capire che in tal caso i paesi partecipanti avrebbero conservato l’essenziale della loro sovranità istituzionale e monetaria), altri si spingono a pensare che l’Ue sia invece uno Stato Federale, con un governo, un’Assemblea Parlamentare, una Banca Centrale e magari un esercito comune. Altri ancora sanno che nell’odierna Unione Europea non v’è nulla di federale o confederale, ma pensano che si stia lavorando a un progetto ambizioso, la costruzione degli Stati Uniti d’Europa, o qualcosa di simile. Nessuna di tali congetture risponde al vero, tuttavia. La prospettiva di giungere un giorno a uno Stato Europeo Federale simile agli Usa non è mai stata considerata dai Trattati, tantomeno inserita in alcun testo o dichiarazione politica europea dal 1955 (conferenza di Messina) ad oggi, per la banale ragione che i paesi-guida (Germania e Francia) l’hanno sempre aborrita, intuendone persino la ragione, poiché non esiste il sottostante, un popolo europeo. Sin dalla genesi del progetto europeo l’Italia invece si è lasciata infantilmente sedurre dal fascino di questa chimera, subendo passivamente l’iniziativa politico-istituzionale nord-europea, nell’incapacità di disegnare un’autonoma teleologia centrata sui suoi legittimi interessi.

    Vale la pena ribadire che l’Unione è oggi un’istituzione non-democratica, priva di un governo, amministrata da funzionari non eletti, la cui carriera e stipendi stellari dipendono dalla sopravvivenza di un Leviatano fondato su norme incomprensibili a un cittadino europeo mediamente colto. Reputo che pochi abbiano mai trovato il coraggio di scorrere le norme costituzionali europee, vale a dire il Trattato sull’Unione Europea (TUE, Trattato di Maastricht), il Trattato che modifica il trattato sull'Unione Europea (TFUE, Trattato di Lisbona) sul funzionamento dell’Unione europea o il TCEE (il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea). Si tratta di testi - che da una norma rinviano a un’altra o ad addendum reperibili solo dopo lunghe ricerche. Senza iperbole, essi possono definirsi incomprendibili, un labirinto fabbricato per nascondere significati giuridici e obiettivi politici, dirottando l’attenzione di sudditi chiamati a obbedire senza capire.

    In occasione della tragedia del virus, non v’è stato bisogno di molte parole per acquisire la conferma che l’Unione meriterebbe invece il titolo di Disunione, una costruzione artificiale dove prevale la legge della giungla, quella del più forte, non certo quello spirito di solidarietà di cui sono piene le pagine dei Trattati e il lessico mistificatore dei suoi funzionari, oltre a quello dei politici italiani ad essa soggiogati. Nel momento in cui la violenza del virus soffiava più forte sul martoriato territorio italiano, i nostri partner europei (certo non amici) ci negavano persino le mascherine di protezione legalmente acquistate o in transito.

    Ma vediamo come si è giunti a tanto. Con la caduta del Muro di Berlino e il dissolversi dell’Unione Sovietica nel 1991, si assiste a un’accelerazione del processo di ristrutturazione economico-istituzionale dell’Europa che il mainstream chiama processo di costruzione europea (occorre dunque costruirla l’Europa, non esistendo essa in natura!). A piccoli passi, in quegli anni cruciali la democrazia viene sottratta al livello statuale e affidata a una tecnocrazia ultra-statuale non-elettiva al servizio delle élite finanziaria euro-transnazionale. La pretesa legittimità di tale autoritarismo preter-costituzionale viene giustificata con un’inesistenza volontà democratica dei popoli europei, molti dei quali non vengono nemmeno consultati (ad esempio quello italiano), mentre i parlamenti nazionali vengono defraudati delle prerogative costituzionali conquistate attraverso secoli di lotte. Tale neo-costituzionalismo tecnocratico ha costituito l’impalcatura tecno-giuridico per imporre politiche anti-sociali tramite i noti organismi usurpatori: la Banca Centrale Europea, veicolo di trasferimento di ricchezza pubblica a banche private e di cui media asserviti e governi improvvisati continuano irresponsabilmente a difendere l’indipendenza; la Commissione Europea, i cui membri si dichiarano umili servitori degli interessi comuni europei; o un finto Parlamento privo di quel potere che nei paesi democratici ne caratterizza l’essenza, il potere di iniziativa legislativa. Sia sufficiente riflettere sulla circostanza che la legge più importante approvata ogni anno dal Parlamento italiano, la legge finanziaria, deve essere sottoposta al via libera della Commissione Europea prima di essere discussa e approvata in sede nazionale.

    Le leggi europee, che hanno prevalenza su quelle approvate dai parlamenti nazionali, vengono preparate da funzionari sotto la quotidiana pressione delle lobby industriali che affollano le strade di Bruxelles. Fatte proprie dalla non-eletta Commissione e dopo un rapido passaggio all’Euro-Parlamento, le leggi sono quindi definitivamente approvate dal Consiglio, dove le decisioni possono essere adottate a maggioranza, e dunque sempre e solo se la Germania è d’accordo. In buona sostanza, un cumulo di oltraggi.

    Il pesante deficit democratico nell’Ue ha portato alla mortificazione del mondo del lavoro e al degrado dei servizi sociali, al massacro delle economie del Sud Europa, alla criminalizzazione del ruolo dello Stato in economia, alla sottomissione alle oligarchie nord-europee mondializzate (con la complicità, va detto, di quelle del Sud, comprese quelle italiane, sempre in posizione gregaria).

    Nel 1992, con il Trattato di Maastricht – adottato senza un serio dibattito e tantomeno una consultazione popolare – inizia dunque il percorso verso la destrutturazione istituzionale della statualità democratica dei paesi membri. Strumento cruciale di tale processo è la moneta comune, troppo debole per la Germania e troppo forte per i paesi del Sud, che senza un governo redistributore avrebbe arricchito il Nord depauperando l’Italia e gli altri pigs. Con la moneta unica F. Mitterrand intendeva imbrigliare nel solco europeo il sempre incombente nazionalismo tedesco. Diversamente dagli intenti mitterandiani - la storia insegna che azioni intenzionali possono generare conseguenze non intenzionali – l’euro ha portato invece all’egemonia economica, e ormai politica, della Germania in Europa. Nel XX secolo l’Europa aveva un problema e il suo nome era Germania. Nel XXI secolo – sotto un cielo diverso, certo - non sembra che la scena sia molto diversa.

    A partire da Maastricht i paesi europei perdono la facoltà di emettere moneta, di imporre limiti alla circolazione dei capitali a tutela dell’interesse pubblico, di legiferare su temi economici e finanziari senza la luce verde di Bruxelles-Berlino, di stipulare trattati commerciali con paesi terzi, di proteggere le frontiere secondo leggi democraticamente approvate. La riunificazione delle due Germanie, seguita al crollo sovietico, ha rappresentato una tappa cruciale verso il traguardo di un’Europa a guida tedesca all’insegna del cosmopolitismo delle élite (da non confondersi con l’internazionalismo, che costituisce l’alleanza tra ceti subalterni di nazioni diverse). In quegli anni, nella complicità di media e accademici distratti o assoldati, s’impone l’egemonia della subalternità al mondialismo da parte dello Stato (o delle sue spoglie), contro i populismi (un termine che accumuna in verità poveri, disoccupati, sottoccupati, inoccupati e una classe media falcidiata) e i sovranismi, sostantivo dalla duplice accezione, una di stampo reazionario che mira a un capitalismo rapace di profilo nazionale, un’altra democratico-sociale, partigiana del risveglio dello Stato, non contro altri stati come vorrebbe la strumentale ermeneutica di mainstream, ma a baluardo degli interessi dei ceti dominati e a bilanciamento della bulimica mano invisibile dei mercati, perennemente affamati di profitto. La strategia di dominio del capitale finanziario multinazionale assegna all’Unione Europea il compito di demolire lo stato indipendente, il solo contenitore che a determinate condizioni consentirebbe ai ceti subalterni di opporre una significativa resistenza. È essenziale, se non vuole morire da sprovveduti a tutela di interessi altrui, che l’Italia recuperi l’iniziativa politica, monetaria e fiscale, cogliendo questa straordinaria occasione di ridefinizione dei rapporti di potere in Europa.

    Oltre alla scarsa indignazione popolare, impedita però dall’oscuramento mediatico e dalla cecità dei governi in carica, sconcerta l’inerzia del nostro mondo intellettuale incapace di dar vita a un minimo di rappresentanza politica alternativa.

    È appena il caso di rilevare che una presa di distanza dalla tecnocrazia liberista-euro-mondialista non equivarrebbe a negare i profondi legami, storici, culturali ed economici che uniscono tra loro le nazioni europee. In un alternativo percorso confederativo tra stati sovrani, tutt’altra cosa rispetto alla realtà odierna, la recuperata sovranità costituzionale (nulla a che vedere, è appena il caso di rilevare, con nazionalismo), essenza connaturata a qualsivoglia entità statuale, consentirebbe anche ai paesi minori un’adeguata tutela dei loro interessi davanti alle grandi nazioni e alle corporazioni transnazionali.

    Che un’Europa socialmente umiliata e con tale deficit democratico, sfugga allo sguardo critico del pensiero politico di sinistra resta uno dei misteri dolorosi ancora irrisolti (o meglio risolvibili, ma non in questa sede). È inoltre strumentale – come affermano i sostenitori ab aeternum dell’attuale tecnostruttura - attribuire il merito del mantenimento della pace in Europa negli ultimi 74 anni al processo di costruzione europea. La pace infatti è stata garantita, e nemmeno ovunque (basti gettare lo sguardo sull’ex-Jugoslavia) dall’equilibrio del Terrore, con la Nato da una parte e il Patto di Varsavia dall’altra, e non certo da un vivificante processo unionista tra nazioni le quali, tranne il Regno Unito, erano uscite tutte umiliate dal secondo conflitto mondiale, ed erano dunque alla mercé del disegno egemonico americano, a favore sin dall’origine dell’unificazione europea la quale avrebbe semplificato il controllo americano sui paesi europei in funzione anti-sovietica.

    Eccoci tornati in Italia, dove la sinistra parla da anni di diritti invece che di bisogni, di cittadini invece che di lavoratori, di elettori invece che di popolo. Servizi sociali, salariati e classe media pagano tuttora un prezzo altissimo sull’altare del falso mito dell’unificazione europea, che con la retorica del vincolo esterno ha piegato le resistenze domestiche sulla strada della destrutturazione dello Stato, vilmente accusato di corruzione generalizzata e acritica dissipazione di risorse pubbliche. Oggi gli elettori e le élite di sinistra vivono nei quartieri-bene, mentre salariati e disoccupati sono relegati nelle lontane periferie e non a caso fanno scelte reazionarie.

    Cruciale rimane beninteso la distinzione tra chi punta alla demolizione di questa Europa a favore di politiche nazionali egualmente liberiste e di classe, e chi invece si batte per il recupero della sovranità costituzionale e dell’indipendenza monetaria-fiscale dello Stato quale presupposto per una democratica attuazione di politiche di coesione, piena occupazione e investimenti sociali.


    * Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i molti incarichi ricoperto, è stato anche Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.
    Notizia del: 13/04/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...azia/82_34224/
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    NO AL MES, MA SOPRATTUTTO NO ALL’UNIONE EUROPEA




    L’accordicchio raggiunto alla riunione dell’Eurogruppo non risolve alcun problema, tantomeno quello delle risorse necessarie ad affrontare la crisi attuale. Giunta al momento della verità, l’Unione europea si mostra impotente, pasticciona, divisa e dominata dal blocco del nord incentrato sulla Germania. Una prova in più della sua assoluta non riformabilità.

    A fronte di un tracollo economico che si annuncia drammatico, che richiederebbe un piano di intervento di almeno duemila miliardi, l’Eurogruppo ne annuncia mille. Ma il vero problema è che questo annuncio è una bufala.

    I 200 miliardi di prestiti alle imprese della Bei (per l’intera UE) rientrano nella normale attività di questa banca. Non si tratta dunque di risorse aggiuntive, salvo i 25 miliardi messi a garanzia. I 100 miliardi del fondo per la disoccupazione (Sure) semplicemente non esistono, visto che al massimo se ne potranno utilizzare 10 all’anno (sempre per tutta l’UE). Per l’Italia una cifra intorno al miliardo, ma da restituire a lorsignori.

    Del Mes conosciamo la sua inaccettabilità, causa i vincoli che (contrariamente a quel che si dice) restano anche nella nuova versione. Ma anche se il governo italiano – contrariamente a quanto affermato da Conte – decidesse sciaguratamente di mettersi la troika in casa, dal Mes arriverebbero al massimo 36 miliardi, anch’essi ovviamente da restituire.

    Questo è il quadro della cosiddetta “solidarietà europea”. Ma gli euroinomani di casa nostra, a partire dall’indecente Gualtieri, ci raccontano la favola del “quarto pilastro”, quel fondo anti Covid 19 al quale il documento dell’Eurogruppo accenna in termini del tutto generici (se ne parlerà forse tra qualche mese), ma solo per dirci che verrà finanziato attraverso il bilancio europeo. Dunque, ammesso e non concesso che questo fondo nasca in futuro, esso sarebbe finanziato pro-quota dai singoli stati e non porterebbe in alcun modo risorse aggiuntive per affrontare l’emergenza economica.

    Siamo dunque di fronte ad un’autentica presa in giro. Ad annunci propagandistici privi di ogni sostanza. La verità è che ogni Stato dovrà affrontare la crisi da solo, come dimostra il no tedesco agli eurobond.

    E’ grave che il governo italiano non si sia opposto al pacchetto dell’Eurogruppo. Ma mentre ribadiamo con forza il no al Mes, mentre chiediamo al parlamento di opporsi alla sua attivazione, un no più complessivo va pronunciato sull’intero pacchetto. Le risorse previste sono una miseria, tutte a debito, se non addirittura propedeutiche (come nel caso del Mes) al commissariamento del Paese.

    Inoltre il governo Conte ha dimostrato di essere, purtroppo, del tutto in linea con la mentalità e la prassi neo-liberista che governa l’Unione Europea. I 400 miliardi di euro promessi da Conte, al di là dei proclami di facciata, si tradurranno in una serie di garanzie date alle banche, obbligando negozianti e piccoli imprenditori ad indebitarsi sempre più, col rischio che molti di essi non riescano più a riaprire la loro attività.

    Giunti a questo punto, se non vogliamo sprofondare nel baratro di una crisi e di una sudditanza senza fine, c’è solo un’alternativa: quella dell’uscita dall’euro e dall’UE, della riconquista della sovranità nazionale a partire da quella monetaria.

    Liberiamo l’Italia fa quindi appello a tutti coloro che si riconoscono in questo obiettivo di liberazione affinché si uniscano al più presto tutte le forze disponibili.

    No all’accordo raggiunto nell’Eurogruppo.
    Il governo italiano si impegni immediatamente a non ricorrere al Mes. In caso contrario si dimetta e si vada immediatamente a nuove elezioni.
    Stop all’UE. Finiamola con l’Unione europea e con l’euro.
    Ricostruiamo l’Italia con un piano di rinascita che attivi tutte le forze migliori del Paese.

    Fonte: Liberiamo l’Italia

    https://www.sollevazione.it/2020/04/...e-europea.html
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

 

 
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