In «Nuova Antologia», fasc. 2137, gennaio-marzo 1981, Le Monnier, Firenze, pp. 3-19.
La crisi morale è in primo luogo crisi delle istituzioni, e viceversa. Abbiamo riunito in questa ideale tavola rotonda tre delle più alte conoscenze civili e morali del nostro paese, Norberto Bobbio, Arturo Carlo Jemolo, Alessandro Galante Garrone, proprio nel fascicolo della «Nuova Antologia» che in larga parte è destinato a festeggiare i novant’anni di Jemolo.
Attraverso le tre testimonianze degli amici – riassuntive di posizioni già assunte sulla stampa, anzi, specificamente, sulla «Stampa» di Torino – si leva netto il grido di allarme per la salvezza della Repubblica attraverso la sua rigenerazione: grido di allarme che unisce tutti i credenti nel sistema democratico e nel sistema dei partiti, sottoposti ad attacchi convergenti in cui si uniscono fermenti qualunquisti e fremiti eversivi, strettamente intrecciati e quasi inseparabili.
Norberto Bobbio
1. Fisiologia e patologia del potere: il suo «sottobosco»
Da qualche tempo si è scoperto e si è cominciato ad analizzare il fenomeno del potere diffuso (mi riferisco in particolare alla micro-fisica del potere di Foucault). L’idea tradizionale che il Potere risieda in una persona, in una ristretta classe politica, in determinate istituzioni poste al centro del sistema sociale, è ingannevole. Il potere è dappertutto, come l’aria che si respira. Non si capisce nulla della struttura e del movimento di un sistema sociale se non ci si rende conto che esso è costituito da una fitta e intricatissima (e perciò difficile da districare) interrelazione di poteri. Ma il potere non è soltanto diffuso. È anche disposto a strati, che si distinguono l’uno dall’altro per il diverso grado di «visibilità». Voglio dire che un’analisi completa del potere sociale non deve limitarsi a esplorarlo nella sua ampiezza, ma deve cercare anche di scandagliarlo nella sua profondità.
La distinzione delle diverse forme del potere in base al criterio della loro diversa visibilità acquista una particolare rilevanza in un sistema democratico perché la democrazia è idealmente il governo del potere visibile, cioè del potere che si esercita o si dovrebbe esercitare sempre in pubblico, come se si trattasse di uno spettacolo cui sono chiamati ad assistere, per acclamare o zittire, tutti i cittadini. Più di duemila anni fa Platone, per designare, se pure con una connotazione nelle sue intenzioni negativa, il governo democratico, aveva coniato il termine «teatrocrazia».
Il sistema politico italiano si presta benissimo a questo scandaglio. Rispetto agli strati che lo compongono e nei quali può essere utilmente scomposto per un’analisi in profondità, esso può essere distinto, in base al criterio del diverso grado di visibilità, in tre fasce che chiamerò del potere emergente o pubblico, che è quello del governo propriamente detto, del potere semi-sommerso o semi-pubblico, che è quello del sottogoverno, e del potere sommerso o occulto o invisibile, per il quale non c’è ancora il nome (ma c’è, e come!, la cosa), e si potrebbe adottare il nome di cripto-governo. Rinviando il tema di questo terzo stato a un prossimo articolo, mi occupo in questo del secondo: il sottogoverno.
Con «sottogoverno» s’intende designare il vastissimo spazio occupato dagli enti pubblici o d’interesse pubblico attraverso cui passa gran parte della politica economica o del governo dell’economia, uno spazio che si è andato smisuratamente dilatando in questi ultimi trent’anni via via che sono state attribuite allo Stato sempre nuove funzioni sociali estranee allo Stato liberale classico.
Che per designare quest’area e le azioni che vi si riferiscono sia stato adottato il termine «sottogoverno» e già di per se stesso significativo. Significa che l’azione che vi si svolge è strettamente connessa con quella del vero e proprio governo. Il legame è duplice perché passa sia attraverso il personale dirigente di questi enti, designato o direttamente nominato dai partiti di governo col sistema della lottizzazione, sia attraverso la funzione «latente» che a esso viene attribuita di provvedere al finanziamento «occulto» dei partiti, ovvero di procurare ai partiti le risorse finanziarie di cui hanno bisogno per provvedere al proprio sostentamento e per acquistare consensi (anche il consenso è una merce che si compra come tutte le altre).
La formazione di una parola col prefisso sotto- può suggerire due idee diverse: l’idea della dipendenza come nelle parole «sottocommissione» o «sottospecie»: o quella del sostegno, come nelle parole «sottofondo» o «sottocoppa». Mi pare che il termine «sottogoverno» contenga entrambi i suggerimenti: gli enti del sottogoverno dipendono dal governo e insieme lo sostengono. Ne sono insieme una sottospecie e il sottofondo. Arrischierei anche l’ipotesi che col passar degli anni il secondo significato sia andato prevalendo sul primo, corrispondentemente all’aumento del numero, della dimensione e conseguentemente del peso politico, di questi enti. Tanto che oggi nessuna descrizione del sistema politico italiano può fare a meno di tener conto di questo duplice strato di cui è composto (prescindendo per ora dal terzo strato, quello del potere occulto, per il quale il secondo costituisce talora una via d’accesso, come lo scandalo dei petroli rivela).
Solo tenendone conto si riesce a svelare il segreto della cosiddetta governabilità (della governabilità italiana, ben s’intende). Oggi non c’è più nessuno che creda risolto il problema della governabilità per il solo fatto che una coalizione di governo succeda a un’altra, al posto di una coalizione di due partiti ce ne sia una di tre o quattro o cinque, il ministro di una corrente venga sostituito dal ministro di un’altra. Il segreto della governabilità sta nell’esistenza e nella robusta vitalità del sottogoverno. Il bosco muore senza il sottobosco.
È solo un paradosso. Ma si potrebbe dire che il nostro paese non ha bisogno di essere governato perché è sottogovernato, perché è governato di sotto, perché esiste un governo sottostante al governo sovrastante, una solida sottostruttura che sorregge una struttura labile, fragile, soggetta a rapidi, apparentemente capricciosi, mutamenti. I governi passano, il sottogoverno resta. Per questo le crisi di governo, tanto frequenti quanto apparentemente inconcludenti, tanto più lunghe quanto più dànno vita a governi di breve durata, non hanno ancora ammazzato il sistema. Il sottogoverno non è mai in crisi, anzi le crisi di governo lo fanno diventare sempre più rigoglioso. Il sottogoverno costituisce una struttura di potere stabile, permanente, con un personale meno soggetto a cambiamenti, meno controllabile, e anche meno controllato (specie da parte della pubblica opinione al cui sguardo si sottrae molto più facilmente), e rappresenta la continuità del potere, specie del potere democristiano, assai più che gli effimeri governi succedutisi in questi trent’anni.
Qualche cifra che traggo dalla ricerca, a cura di Franco Cazzola, Anatomia del potere DC (De Donato, 1979), un libro da tenere sempre alla portata di mano. Negli enti di previdenza e assistenza su poco più di ottomila «posti annui» (intendendosi per «posto annuo» il posto occupato da un singolo soggetto in un singolo ente per un anno), di cui si è riusciti a individuare l’appartenenza al partito, circa cinquemila appartengono alla DC, seguita a grande distanza dal PSDI con 784. Limitatamente ai presidenti la cui appartenenza partitica è stata individuata, su 853 sono democristiani 603, anche in questo caso seguiti a distanza dai socialdemocratici, che sono 103. Com’era prevedibile, il grande «balzo in avanti» è avvenuto nel periodo 1948-1954 (da 28 a 105) e nel periodo successivo dei governi centristi (da 105 a 170), con una diminuzione leggera negli anni del centro-sinistra (da 170 a 166) e una più sensibile nel quinquennio 1970-1975 (da 166 a 134).
Che cosa significhino queste cifre per una valutazione del potere democristiano, è evidente. Ma si tratta di andare al di là di questa semplice constatazione e riconoscere che, se il nostro sistema politico dura oltre ogni ragionevole previsione nonostante i governi traballanti, gli irresponsabili scioglimenti anticipati delle Camere, l’inefficienza catastrofica degli organi di governo, dipende dal consolidamento progressivo di un sistema di sottopoteri che le crisi ricorrenti non scalfiscono, gli scioglimenti non turbano, l’inefficienza dei governanti non indebolisce, anzi rende più robusto, esigente e minaccioso.
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