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    Predefinito Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine e approfondimenti

    Finalmente è finita l'isteria.
    Ognuno legga e giudichi.

    Scritti nel carcere di Oristano


    https://www.carmillaonline.com/categ...caso_battisti/

    29 settembre “…e non pensavo a te…”
    19 Ottobre 2019

    di Cesare Battisti

    “Se non esistono prove materiali della tua colpevolezza per i reati per cui sei stato condannato, è legittimo dichiararsi innocente”. Questo è quanto si usava dire negli ambienti amici, quelli a cui non ho mai nascosto la mia appartenenza ai PAC.

    Oltre alla spontanea solidarietà politica di movimenti e partiti coinvolti con la lotta di classe mondiale e, più in generale, al sostegno di pensatori impegnati per la libertà e la democrazia, anche il diritto alla presunzione di innocenza è stato un argomento ritenuto valido da tutti coloro che mi hanno sostenuto in questi anni.

    Perciò, al contrario di quanto si sforzano di voler dimostrare i soliti esorcisti della comunicazione, l’innocenza in sé non è mai stata l’argomento principale a uso di quelle persone e istituzioni che hanno difeso il mio statuto di esiliato politico, durante 38 anni all’estero.

    Questo punto, lo voglio sottolineare, ho cercato di renderlo il più chiaro possibile anche nel corso della mia prima, e unica intervista con un magistrato italiano dal 1981 fino a Oristano il 23 marzo 2019.

    Nessuno in tutti questi anni, tra amici, compagni e sostenitori (paradossalmente neanche un magistrato), mi ha mai chiesto se ero colpevole o innocente. Mai. Non era necessario, giacché i lunghi anni di guerriglia rivoluzionaria avevano profusamente fatto il giro del mondo. Le centinaia di morti da ambo i lati della barricata erano di dominio pubblico. Così come anche era noto a tutti il regime di democrazia compromessa in Italia, dove le solite “forze oscure” bombardavano le piazze pubbliche.

    Ma non voglio dilungarmi sulle ragioni che hanno provocato un conflitto armato ultradecennale. E’ già stato detto da chi ha più strumenti di me per fare un’esaustiva analisi storica di quel periodo. Neanche cerco di diminuire le mie ragioni politiche e le responsabilità penali prendendo a pretesto del mio agire le sole cosiddette “stragi di Stato”, perché anche queste, purtroppo, si inseriscono come fattore di terrore, seppure estremo, nella guerra sporca contro la lotta per la libertà, l’uguaglianza, la giustizia sociale. Insomma, un Paese non può da un lato piangere i morti, tutti, e dall’altro negare le ragioni che li hanno provocati.

    Non stiamo qui a dire a posteriori (non è questo il luogo e, per quanto mi riguarda, l’ho già fatto) se queste ragioni erano giuste o sbagliate, oppure quanto crudele sia sostenere l’una o l’altra cosa. Si tratta appena di ammettere che conflitto politico c’è stato e che nel seno d’un conflitto armato di queste proporzioni succedono violenze inaudite provocate sempre dalle parti in causa. Io ne facevo parte e oggi lo lamento.

    E già. Qual è però l’ultima volta che uno Stato, qualunque sia, ha spontaneamente riconosciuto di essersi sbagliato? “Ma noi eravamo un Paese democratico, con un parlamento eletto” si dice da sempre. Sappiamo, però, la storia e anche quella più recente ce lo insegna che, seppur necessario, il suffragio universale non basta, da solo, a garantire la democrazia. “Sì, ma adesso l’Italia è cambiata” si ripete da più parti.

    Va bene, ci vogliamo credere tutti, ma allora vuol dire che non è abbastanza solida da potersi assumere le proprie responsabilità, senza temere le conseguenze storiche, come invece, dall’altra parte, noi tutti abbiamo fatto da tempo, indistintamente dalle appartenenze di gruppo in seno alla sinistra rivoluzionaria.

    Checché se ne dica nelle sfere giornalistiche e politiche opportunamente colte da amnesia, questa è stata e sarà ancora la mia storia, la mia lotta. Possono cambiare i metodi ma il fine è lo stesso. E’ in questo concetto che bisogna ricercare la ragione vera dei 38 anni di solidarietà diffusa che mi è stata manifestata, e che mai è venuta meno. Malgrado l’inaudito dispiegamento della disinformazione e di dissuasione materiale e politica esercitata dallo Stato italiano, nei confronti di chiunque intralciasse il cammino della mia estradizione, neanche dopo la mia confessione, c’è da dirlo, nessuno ha ripudiato l’aiuto offertomi. E’ su questo che dovrebbero concentrarsi le autorità, invece di accanirsi per sminuirne l’importanza.

    Non è mia intenzione nemmeno quella di criticare, o addirittura darmi allo scandalo, per i metodi adottati dallo Stato italiano per riportarmi “a morire” nelle patrie galere (per ultimo il sequestro in Bolivia, camuffato con una espulsione illegale e legalizzato finalmente dalla Corte d’Assise di Milano, nel maggio scorso). Capisco benissimo come si voglia mettere la “ragione di Stato” al di sopra del diritto: del resto, non si scatena una guerra e poi ci si lamenta degli effetti più duri. Questo l’avevo capito allora, quando dovevamo difenderci dalle solite scivolate dell’uomo in divisa o dall’uso della tortura, e continuo a capirlo oggi, rinchiuso in una cella d’isolamento a Oristano.

    Se la smettessimo, però, di continuare a confondere deliberatamente il gioco delle regole con le regole del gioco (mi si perdoni la parola, so che non è la più adatta al nostro dramma). Se la finissimo di agitare spauracchi, ce n’è sempre uno, terrorismo, migranti…, per evitare di rimetterci su un cammino che non sia quello tracciato a discapito di altri, me per la dignità, per il diritto, per una maggiore nobiltà di spirito. Se la smettessimo di nasconderci dietro il dito e i nostri nipoti avessero la possibilità di farsi un’idea propria, leggere sui libri di storia quanto ha realmente e onestamente sofferto e soffre il loro Paese nella lunga lotta per la democrazia. Se ascoltassimo l’appello anche di quegli uomini di Stato, non ultimo l’ex magistrato Giuliano Turone, che chiamano a riunirsi tutti al tavolo della pacificazione, risanare la ferita sociale – parlo di pace e non di amnistia. Se provassimo a restituire all’Italia quella dignità internazionale oggi da più parti discussa…

    Non vale perché a dirlo c’è anche il “mostro-mito” Cesare Battisti?

    Vedete un po’ voi.

  2. #2
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine

    Gli amici di Bolsonaro

    di C. Battisti, 27-11-2019


    Battisti nella sua cella

    Così come lo Stato italiano, affiancato da media servizievoli – niente da obiettare – si è autorizzato tutti i mezzi disponibili, senza curarsi di cadere nell’illegalità, per riportarmi in Italia, io mi sono valso del diritto che la legge mi consentiva per evitarlo. Ma non era mia intenzione rifugiarmi qui dietro una supposta condotta legale da un lato e supposti abusi di potere dall’altro. Sappiamo che quando entra in campo la “ragione di Stato” diritto ed etica vanno in panchina. O vogliamo essere tanto ipocriti da negarlo? I moralisti d’occasione però non demordono, il linciaggio è il loro pane quotidiano. Dotati di una creatività di gusto discutibile, essi trovano sempre mille ragioni per improvvisarsi giudici e preti, assolvere o condannare anche quando nessuno glielo chiede, oppure quando non rimane più niente da dire: lo Stato mi ha scaricato a Oristano, ho ammesso le mie responsabilità, ho espresso la mia compassione per tutte le vittime senza distinzione.

    A questo punto io dovrei chiudere questa lettera. Si dà però il caso che finora a parlare siano sempre stati gli stessi, quelli chiamati ad assolvere gli uni e a condannare sempre gli altri. Succede allora che non sono poche le persone che oggi mi chiedono un parere su questo o quell’avvenimento consumatosi in Brasile. Sono soprattutto tre gli episodi che mi è stato chiesto di chiarire. Vorrei qui trattare solo due di questi. Il terzo e ultimo merita un capitolo a parte in seguito, se sarà ancora il caso. Tengo a precisare che tutte le informazioni qui riportate sono documentabili nei rispettivi luoghi di competenza. So che non posso dilungarmi, questione di spazio ma anche di opportunità. Devo comunque premettere alcune informazioni basilari sul mio stato civile in Brasile, altrimenti certi avvenimenti perderebbero senso.

    Dopo il decreto di non estradizione firmato dall’ex presidente Lula e la successiva conferma del Tribunale Supremo Federale nel 2011, ottenni un documento di residenza permanente in Brasile. Escluso quello di votare, questo documento mi conferiva tutti i diritti di un cittadino qualsiasi. Durante tutto il periodo brasiliano, oltre alla normale attività di scrittore, ho svolto diverse altre attività lavorative, tutte debitamente registrate, avendo così accesso come contribuente ai servizi prestati dallo Stato. Ho pubblicato alcuni romanzi, fatto traduzioni, militato in differenti situazioni politiche e socio-culturali, senza mai sconfinare nell’illegalità. Nel corso delle mie attività mi è capitato di visitare alcuni paesi confinanti col Brasile, come Uruguay, Argentina, Bolivia. Il documento rilasciatomi dall’autorità brasiliana mi consentiva di passare queste frontiere. Per finire, nel 2013 è nato mio figlio e nel 2015 mi sono sposato con la donna con cui convivevo dal 2004.

    Detto ciò, vorrei passare a spiegare per grandi linee, così mi è stato chiesto, come sono avvenuti i miei due arresti in Brasile: quello del 2015 a Embù das Artes, Sȃo Paulo, e l’ultimo nel 2018 alla frontiera con la Bolivia.

    I tentativi dello Stato italiano di strapparmi dal Brasile a ogni costo sono stati ininterrotti, e più efferati a ogni scacco inflitto dalla legge brasiliana. Era da tempo che apparati italiani in Brasile studiavano la possibilità, tra altre innominabili, di farmi ritirare la residenza e quindi ottenere l’espulsione. A questo proposito fu attivato un procuratore, noto magistrato di estrema destra, legato all’ambasciata italiana, tramite la lobby militarista che porterà Bolsonaro al potere.

    Costui, dopo alcuni tentativi abortiti sul nascere, tanto flagrante era la sua interpretazione delle leggi nazionali, finì con l’associarsi a una giudice federale del foro di Brasilia, anch’essa nella sfera d’influenza militare e quindi dell’ambasciata italiana. Si istruì in segreto un processo dove, in barba a tutte le norme giuridiche previste, non furono mai convocate le parti.

    Nel 2015 la sentenza della giudice federale Adverci Lates Mendes de Abreu, in una udienza da sottosuolo, mi revoca la residenza ordinando l’espulsione dal paese. Con l’intenzione di battere sul tempo gli avvocati difensori e le istanze superiori la giudice non fa pubblicare la sentenza, però ordina l’arresto e l’espulsione immediata. Il piano dell’ambasciata italiana con la lobby Bolsonaro sembrava ormai andato in porto.

    Un giorno del mese di marzo l’Interpol si presentò a casa mia. Con l’aria di scusarsi, gli agenti mi invitarono a seguirli, rimproverandomi la leggerezza di non avere contattato in tempo il mio avvocato. Sembravano sinceramente preoccupati per quello che stava succedendo. In quel momento io non sapevo ancora che c’era un aereo pronto a imbarcarmi all’aeroporto internazionale di Sȃo Paulo. Non so ancora chi abbia avvertito l’avvocato. So solo che qualche ora dopo uscii libero dalla questura. L’avvocato fece in tempo a far valere l’art. 63 dello Statuto: “Non si procederà a espulsione se questa metta in questione un’estradizione non ammessa dalla legge brasiliana”.

    Il 14 settembre 2015 la sesta sezione del Tribunale Regionale della Prima Regione (Sȃo Paulo) dichiarò illegittimo il mio arresto temporaneo avvenuto nel marzo 2015 in seguito alla sentenza di questa giudice. L’Italia reagì con la solita isteria (“Non avremo pace”, si urlò), come se imporre la propria volontà a un altro paese usando vie traverse fosse legittimo.

    Lo Stato italiano mantenne viva la sua promessa. Avvalendosi di ogni mezzo disponibile, con l’obiettivo di farmi terra bruciata intorno e annientarmi psicologicamente, nei tre anni successivi trasformò in un inferno la mia vita quotidiana e quella della mia famiglia. Nessuno dei vicini di casa, l’ambiente di lavoro e le istanze del movimento politico e culturale da me frequentato, è stato risparmiato dalle pressioni, dalle calunnie provocatorie e dall’assedio ininterrotto di media aggressivi.

    Nonostante la manovra di soffocamento, la solidarietà nei miei confronti si saldò, permettendomi di non rinunciare ai miei impegni familiari, professionali o di attività politica in seno ad alcuni movimenti sindacali e sociali, come l’MST (movimento di senza terra) e l’MTST (movimento di lavoratori senza tetto). Sono queste le istanze militanti che, negli anni precedenti, mi avevano consentito di allargare i contatti politico-culturali oltre frontiera. Fu il caso con alcuni membri del governo di Evo Morales e movimenti di lotta boliviani.

    Fu credo alla metà del 2018, quando approfittai del viaggio di due membri del sindacato della USP (Università di Sȃo Paulo), di cui uno era il legale, per recarmi in Bolivia. Era mia intenzione rinnovare alcuni contatti politici e culturali (lavoravo all’epoca a un progetto editoriale), ma anche per accertarmi della futura disponibilità di asilo in quel paese, in vista della scalata al potere di Bolsonaro.

    Partimmo da Sȃo Paulo. Ognuno di noi aveva con sé una modesta somma di denaro per coprire le spese di trasferta, e con il resto comprare nella zona franca qualche articolo d’informatica a prezzo ridotto. Giunti a circa 200 km dalla frontiera, fummo fermati a un posto di blocco. Si capiva subito che ci stavano aspettando. Dopo il controllo dei documenti, ci sottoposero a una perquisizione così accanita che durò ben due ore. Non si rassegnavano all’idea, era troppo evidente, che non fossimo in possesso di falsi documenti d’identità: erano stati dislocati apposta per eseguire un arresto con questa accusa.

    Quando furono costretti a rilasciarci e ci restituirono documenti e valori, ci accorgemmo che i nostri soldi erano stati mischiati in un’unica mazzetta. Non ci facemmo troppo caso, al riprendere il cammino li separammo, a ognuno il proprio. Contammo allora, tra dollari, euro e moneta nazionale un totale di 22.000 reais (l’equivalente di circa 5.500 euro, mentre il limite di esportazione di valuta per persona, ignorato da tutti, sarebbe di 10.000 reais).

    Al passo di Corumbà, Mato Grosso do Sul, ci attendeva un’altra sorpresa: il posto di frontiera, normalmente in disuso dopo la creazione del Mercosur, pullulava di polizia. Immaginammo subito che si fossero scomodati solo per noi, ma non avendo niente da recriminarci, tirammo dritto. Questa volta neanche finsero di controllare i bagagli o i documenti, erano interessati solo ai soldi. Al vedere che questi erano stati di nuovo separati si innervosirono. Cominciarono le intimidazioni, le minacce, poi mescolarono tutti i soldi su un tavolino e chiamarono un fotografo che gironzolava lì attorno, al quale dissero che la valuta era stata rinvenuta negli effetti personali di Battisti.

    A nulla valsero le nostre rimostranze, ci consegnarono tutti e tre a una squadra del DIP (Dipartimento di Intelligence di Polizia) fresca arrivata da Brasilia. Fummo trasferiti in questura, dove cominciarono a tartassare i miei amici, affinché mi accusassero di qualcosa. Precedentemente – abbiamo saputo dopo – l’ambasciata italiana aveva avviato la parte finale del piano. Ossia, attivato il giudice Odillon, reuccio dittatore del foro di quello Stato, terrore degli avvocati, nemico giurato dei “signori dei diritti umani”. Questo personaggio doveva essere l’asso nella manica dell’ambasciata italiana: famigerato giustiziere, figura scomoda anche per la giustizia federale, sarebbe andato in pensione proprio il giorno seguente al nostro arresto.

    In cambio di un’uscita gloriosa dalla carriera di magistrato e l’appoggio alla candidatura a governatore, il giudice Odillon si incaricò di mettermi ai ferri, costruire una falsa accusa di traffico di valuta (sic!), aggravata da nientedimeno che “lavaggio di denaro” – 22.000 reais in tre.

    Una volta di più, lo strafare dei soliti furbi non ha pagato. L’accusa fu tanto inverosimile che un giudice d’istanza superiore (di origine italiana e, a suo dire, dispiaciuto di farlo) ha dovuto ordinare l’immediato rilascio del sottoscritto, con una lavata di testa allo sfortunato giudice Odillon, che poi perderà anche le elezioni. Per l’ennesima volta, il solito aereo di Stato, sempre a disposizione di Cesare Battisti, dovette tornare in Italia senza il “mostro”.

    Per il prossimo capitolo posso anticipare questo aneddoto. Disse all’epoca dei fatti un ministro brasiliano di Giustizia, e grande amico di Bolsonaro: “Sono stati ingenui ad agire a quel modo. Io lo avrei lasciato passare in Bolivia, lì sarebbe stato presa facile”. Lo stesso ministro che ha impedito a Lula di presentarsi alle presidenziali, mantenendolo in prigione, firmò il 18 dicembre di quell’anno (casualmente il giorno del mio compleanno) l’autorizzazione per la mia estradizione.

  3. #3
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine

    Corsi e ricorsi

    31 Dicembre 2019, CarmillaOnLine

    di Cesare Battisti



    Non passa giorno in cui qualcuno non mi chieda: “Ma perché non te ne sei stato tranquillo in Brasile, invece di andare allo sbando in Bolivia?” Domanda legittima, quando non si hanno le informazioni necessarie per farsi un’idea delle trasformazioni nel tessuto sociale del Brasile, delle manipolazioni politiche della class dirigente, da almeno tre anni a questa parte. La risposta implicherebbe un’analisi seria del periodo ante e post Bolsonaro. La quale non può trovare spazio, né dovuta competenza, in una lettera, dove appena pretendo spiegare le mie ragioni personali. Ma se situarmi nel contesto politico del Brasile può interessare qualche lettore di Carmilla, mi sia concesso di schizzare in questo senso una lista degli avvenimenti più rilevanti che mi hanno messo sul cammino della Bolivia.

    I segnali che anche in Brasile fosse in atto il golpe judicial teleguidato dagli USA, già consumato nell’Honduras di Zelaya e nel Paraguay di Lugo, hanno trovato riscontro incontestabile nell’impeachment dell’ex presidente Dilma Rousseff.

    Ex guerrigliera della VPR-ALN, economista e integerrima militante della sinistra storica, Dilma Rousseff sembra avere tutte le carte in regola per prendere il posto del decaduto Ze Dirceu Valdéz, che sarebbe stato il naturale successore di Lula. Alle presidenziali del 2009, con Ze Dirceu fuori gioco, nessuno sa chi sarà il candidato del PT. La destra non ha dubbi, ripesca il solito José Serra, Questa volta i falchi filo USA si sentono già insediati nel Palazzo. Il PT rivela il nome del suo candidato all’ultimo momento.

    Ai primi sondaggi Dilma Rousseff, capo allora della Casa Civil e quasi sconosciuta al grande pubblico, riceve meno del 5% delle intenzioni di voto. La destra esulta, José Serra vincerà di sicuro. Gli USA appoggiano. Solo un grande trascinatore di masse come Lula poteva, in appena due mesi di campagna, ribaltare la tendenza, portando la sua candidata al 64% delle intenzioni di voto. La destra accusa il governo di manipolare i sondaggi. Nell’ottobre del 2009, Dilma Rousseff è eletta presidente.

    Al confronto del suo padrino Lula, innegabile guida popolare e abile negoziatore politico, Dilma Rousseff è una tecnica. Abituata a risolvere le questioni dell’amministrazione pubblica al riparo del suo ufficio. Durante il suo primo mandato, ella rimane oscurata dalla figura imponente di Lula, il quale non sempre sarà al suo fianco per correggerne gli errori. L’economia però è ancora sotto la spinta ereditata, il PT ancora in sella, nonostante la sbandata. Gli attacchi della destra, ma anche un certo malcontento dei movimenti sociali, non riusciranno a disarcionarla. Gli USA intanto incalzano. La destra si riorganizza intorno al nuovo campione, il mediatico governatore dello Stato di Minas de Gerais, Decio Neves.

    Sismo nel 2013, la crisi globale, ma anche qualche inabilità del governo, sta trascinando l’economia ai livelli preesistenti all’epoca del PT. Il malcontento popolare è visibile, soprattutto in seno alla classe media, sorta appunto sotto i governi Lula. Come ci hanno abituato i periodi di crisi, succede spesso che mentre conservatori e reazionari d’ogni risma si uniscano, le forze progressiste si frantumino.

    Gli USA, non più disposti a ripetere gli errori del passato, si adoperano da un lato a minare subdolamente ancor più l’economia del Brasile, dall’altro organizzano e finanziano una rete di provocatori (talvolta adescati dalle università statunitensi per poi essere addestrati dai servizi speciali, come è il caso di qualche noto magistrato). Se a questo panorama aggiungiamo il lassismo del governo Dilma, che per resistere deve appoggiarsi ai partiti più fraudolenti del Paese, abbiamo tutti gli ingredienti per un sonoro ribaltamento politico alle prossime presidenziali. Anche questa volta, il candidato della destra, Decio Neves, è dato per vincente. Quando ormai a sinistra non ci crede più nessuno, accade l’inatteso: Lula scende in campo elettorale, Dilma Rousseff vince le elezioni per un paio di milioni di voti di differenza.

    Apriti cielo.

    A partire da questo momento, tutti gli indugi sono rotti. La macchina da guerra capitanata da un settore della magistratura, ben oliato dagli USA, si mette in moto. La parola d’ordine è spazzare via il PT dal panorama politico nazionale, destituire Dilma Rousseff, creare le condizioni per installare un governo fedele agli Stati Uniti. Il 31 agosto 2016, il vicepresidente Michel Temer, affondato negli scandali di corruzione fino al collo, ma teleguidato dalle forze golpiste, sarà di fatto il nuovo presidente del Brasile. L’Italia passa all’incasso. Michel Temer promette immediatamente di riconsiderare la permanenza di Cesare Battisti sul territorio nazionale.

    Nel momento in cui Michel Temer fa questa dichiarazione, la decisione sulla mia estradizione non gli appartiene. Egli potrebbe tentare di annullare il decreto di Lula, ma la decisione finale spetta ancora al Supremo Tribunale Federale (STF). Sempre che il ministro dell’STF (i membri dell’STF sono equiparati a ministri) relatore del mio processo, Louis Fux, deliberasse di rimettere in discussione la decisione anteriore. In questo caso, assai improbabile, scatterebbe però la prescrizione nel frattempo intervenuta per le leggi brasiliane, ma soprattutto l’impedimento dettato da un articolo della Costituzione, secondo cui non si annulla un decreto presidenziale trascorsi cinque anni dall’emanazione. Pur avendo dato spesso prova di ambiguità e di carrierismo, Louis Fux dimostra fermezza di fronte alla pressione del governo. Bolsonaro è ancora lontano dal potere, gli avvocati sono sereni.

    La mia vita riprende il normale corso fino agli inizi del settembre 2017. Quando, da fonti attendibili, mi giunge notizia che il nuovo ministro della giustizia (certo De Morais, già segretario della Sicurezza Pubblica nello Stato di São Paulo, sospettato di avere coperto alcune carneficine delle forze dell’ordine) starebbe muovendo mari e monti per mettermi su un volo per l’Italia. Mi si consiglia di riparare al sicuro in un’ambasciata amica. Attraverso conoscenze in comune, mi reco invece a Montevideo, dove la senatrice Lucia, moglie di Pepe Mujica, starebbe trattando con il governo Tabaré Vargas per farmi avere il rifugio.

    Sembrava tutto sistemato quando, verosimilmente in seguito a una fuga di notizie, il ministro degli esteri uruguayano riesce a convincere il presidente a fare marcia indietro. Io mi trovavo già in territorio uruguayano, ma arrestarmi per consegnarmi all’Italia sottobanco, come farà poi la Bolivia, sarebbe stato un oltraggio imperdonabile a chi mi aveva accolto nel Paese.

    Il rifugio è stato rifiutato, però le autorità uruguayane non sono state così vigliacche e mi rimettono al sicuro oltre il confine brasiliano. In seguito a questo episodio, grazie a una sollecitazione fatta arrivare a José Serra, nel frattempo divenuto ministro degli esteri del Brasile, Michel Temer acconsente a sospendere ogni decisione sul mio caso.

    La tregua fu di corta durata. Sommerso da uno scandalo di corruzione, José Serra si dimette. Il ministro della giustizia, solito De Morais (poi promosso membro del STF) torna all’attacco. Ma incappa ancora nella reticenza di Louis Fux.

    La fermezza del STF, di fronte alle pressioni del governo, si riaffermerà in occasione del mio arresto alla frontiera con la Bolivia. Nel giugno 2018 – come già raccontato nella mia lettera Gli amici di Bolsonaro – dopo essere sfuggito, grazie all’intervento della magistratura, a una sporca trappola dell’ambasciata italiana, fu lo stesso Louis Fux a concedermi un Habeas Corpus preventivo, per garantirmi contro un altro possibile colpo di mano.

    Le presidenziali di ottobre però sono prossime. La poderosa macchina di propaganda al servizio di Bolsonaro, sulla scia di Trump, da mesi bombarda il Brasile di notizie false. Settori scelti della magistratura e la quasi totalità dei media di grande impatto si ingaggiano in un’operazione su vasta scala per scatenare la furia reazionaria populista. Le aziende che sostengono Bolsonaro si moltiplicano, quelle italiane in prima fila. Gli arresti e omicidi negli ambienti di sinistra sono all’ordine del giorno. Militanti del PT e di altri partiti che lo appoggiano sono aggrediti quotidianamente nelle piazze. Gruppi di estrema destra, fiancheggiati dalla polizia militare, provocano incidenti nei raduni, impediscono i comizi. A Lula viene impedita la candidatura con un’azione giudiziaria promossa dallo stesso Louis Fux. Il candidato di riserva del PT, Adad, sconosciuto a livello nazionale, riesce malgrado tutto a ottenere un eroico 43% al secondo turno. Gli USA e i loro complici latinoamericani esultano, hanno preso anche il Brasile. Tra le prime dichiarazioni di Bolsonaro, presidente eletto, c’è quella famosa frase: “Ho fatto una promessa all’Italia, adesso il regalo sta arrivando”. Non è più il momento di indugiare.

    Già all’epoca del mio tentativo in Uruguay, il governo di Evo Morales aveva accettato di accogliermi in Bolivia. Adesso si trattava solo di verificare se quella disponibilità dichiarata fosse ancora valida. Approfittando di un incontro a La Paz con il presidente Evo e altre autorità, un esponente di spicco della politica brasiliana si incaricò di ristabilire il contatto e organizzare una rete d’appoggio in quel Paese. In questa occasione, fu lo stesso Evo che si impegnò a ricevermi, garantendo le misure di sicurezza e la concessione dell’asilo politico.

    Cosciente dell’impatto internazionale che avrebbe provocato il mio asilo, presi tutte le precauzioni. Ricordo che aspettai con ansia il ritorno del “politico brasiliano” per essere sicuro circa la disposizione di Evo Morales nei miei confronti. La risposta da La Paz fu ferma e confortante.

    Ciononostante furono indette alcune riunioni di verifica e di ordine organizzativo, a cui parteciparono alcuni legali di movimento. Verso la metà di novembre 2018 i preparativi per la partenza erano ultimati. I compagni brasiliani si sarebbero occupati della logistica fino oltre la frontiera con la Bolivia. Di qui, sarei stato sotto la responsabilità del MAS, il partito di Evo Morales. Un’autorità del governo boliviano si sarebbe in seguito responsabilizzata per il mio soggiorno provvisorio a Santa Cruz de la Sierra.

    Le cose andarono esattamente come previsto. Dopo tre giorni di viaggio, passando da un gruppo all’altro, approdai a Santa Cruz. Ci fu un contrattempo quanto al luogo dove sarei rimasto ospite. Poi si decise che sarei restato qualche giorno in una pensione “amica”, in attesa di trovare una sistemazione ufficiale. Così fu. Non ricordo quanti giorni passai in quella posada, avevo con me un libro da correggere, tre persone si alternarono per accudire alle necessità di base. Come stabilito, fui in seguito trasferito in un edificio appartenente al Ministero degli interni, così mi fu detto. Si trattava di una casa anonima di un quartiere borghese che, però, ospitava un centro di monitoraggio segreto. Vale a dire, un laboratorio di informatica destinato a spiare ogni mossa dell’opposizione al governo.

    Qui mi era stata adibita una stanzetta con cucinino. Un tale, che mi disse rispondere direttamente al cancelliere, dispose la logistica e mi condusse personalmente a tutti gli incontri con le autorità competenti per avviare la procedura di rifugio. Il clima era di rispetto e solidarietà. Alcuni di loro venivano da antiche esperienze di guerriglia, sia in Bolivia come in Cile e in Perù, riciclati nel governo boliviano di Evo.

    Intanto, in Brasile, il ministro del STF Louis Fux, ormai passato nelle falangi di Bolsonaro, aveva revocato la mia residenza e concesso l’estradizione. Senza sottomettere la decisione al plenario della Corte o a una sezione, come avrebbe invece dovuto fare, evitando in questo modo l’applicazione della prescrizione e anche dell’articolo della Costituzione che impediva la revoca del decreto Lula,

    Certo che tutti questi movimenti non fossero passati inosservati agli spioni delle ambasciate brasiliana e italiana, non fui sorpreso di scoprire un’accresciuta sorveglianza al mio intorno; vedi pedinamenti, appostamenti ogni volta che uscivo dal centro di monitoraggio. Ne parlai al responsabile, il quale disse che non c’era da preoccuparsi, io mi trovavo sotto la protezione del governo. Da parte mia, male che vada, mi dicevo, mi arresteranno e ci sarà un normale processo di estradizione, che sarebbe stata negata per intervenuta prescrizione, secondo le leggi della Bolivia, e anche perché non è prevista nel trattato stipulato con l’Italia in caso di reati politici.

    È con queste certezze che quel pomeriggio del 12 gennaio 2019 mi lasciai ammanettare dall’Interpol boliviana, contando che la mia richiesta di asilo fosse in corso. Questo mi metteva in salvo da misure restrittive. Purtroppo le cose non sarebbero andate così. Oggi sappiamo come Evo Morales, tradendo la fiducia dei partners politici latinoamericani, negoziò con l’Italia il mio sequestro, grossolanamente coperto da un’espulsione legalmente impossibile.

    Nei locali dell’Interpol fui trattato bene. Gli stessi agenti non risparmiavano le critiche ai “politici venduti” del loro Paese. “Ti hanno scambiato con una fornitura di spaghetti” ebbe a dire una graziosa poliziotta. Intanto, in attesa dell’intervento del ministro che arrivava da La Paz, Italia e Brasile già cominciavano a disputarsi il bottino!

    Ancora oggi, non so cosa disse il ministro traditore alla stampa. So che nei giorni successivi il governo boliviano fu investito da critiche e proteste, provenienti da settori sociali e dallo stesso partito governativo. Dopo la conferenza stampa del ministro, venne da me un funzionario della dogana a notificarmi un ordine di espulsione:

    “Lei è entrato illegalmente nel Paese (a un richiedente asilo non sono mai contestati reati concernenti la sua entrata nel Paese richiesto). La sua domanda d’asilo è stata respinta. Poiché non le è stato ancora notificato il rigetto, lei ha diritto a tre giorni di tempo per fare ricorso. La risposta le sarà data al massimo cinque giorni dopo. Se fosse negativa, lei ha undici giorni per uscire dal Paese attraverso la stessa frontiera da cui è entrato.”

    Mi venne spontaneo chiedere se si riferisse al Brasile. La risposta fu affermativa e categorica. In ogni caso, questo è pressappoco ciò che figurava nel documento da me firmato davanti all’autorità di Migración. Mi cadeva il cuore. Ma, avendo una ventina di giorni a disposizione, in quel momento speravo ancora di poter ribaltare la situazione, o, al limite, consegnarmi alla magistratura per subire un regolare processo di estradizione.

    Non appena uscito il funzionario della dogana, la sequenza degli avvenimenti si fece frenetica. Un gruppo di poliziotti in assetto bellicoso mi prelevò, asserendo che saremmo andati a firmare altri documenti negli uffici di Migración. Non ci credetti un istante, ma non ebbi il tempo di obiettare. Fui portato di peso in un mezzo blindato e tradotto a tutta velocità all’aeroporto internazionale di Santa Cruz de la Sierra. Accedemmo a una sala la cui vetrata dava direttamente sulla pista. Vidi subito il turboelica della Policia Federal do Brasil che, a un cento metri sulla pista, si preparava al decollo. All’interno della sala un gruppo di agenti brasiliani, guidati da un delegato (commissario) col cartellino appeso al collo, sbrigava con gli ufficiali dell’aeronautica boliviana le pratiche d’imbarco.

    Quando fu tutto pronto, a un cenno del delegato gli agenti brasiliani, dopo essersi assicurati che non avrei reagito, mi fecero cerchio intorno e ci dirigemmo all’uscita. Pioveva, mi spinsero correndo verso l’aereo, dai motori accesi. Alcuni agenti mi precedettero a bordo, mentre altri aspettavano con me a mezza scaletta.

    In quell’istante venne correndo nella nostra direzione un ufficiale dell’aeronautica. Questi si appartò con il delegato di polizia brasiliano. Quando riapparve, ordinò a tutti di tornare nella sala. Si erano fatte le tre del pomeriggio. Iniziò una discussione tra boliviani e brasiliani, anche a colpi di telefonate che ognuna delle parti faceva, interpellando a distanza i rispettivi superiori. In quel momento sperai, chissà, in un contrordine da La Paz, la mia salvezza. La discussione si protrasse per quasi un’ora, Quando il delegato uscì con i suoi, salì sull’aereo, decollarono, credetti veramente che Evo Morales avesse mantenuto la sua promessa. Mi rilassai, gli energumeni di scorta mi guardarono sospettosi.

    Trascorsi così un’altra ora, cercando di captare il minimo segnale che mi aiutasse a capire cosa stava succedendo. Alle 16h50, una decina di persone con i colori della bandiera italiana cuciti al collo, entrarono nella sala. Consegnarono una busta a un colonnello dell’aeronautica, mi spinsero in un minibus. In fondo a una pista ci attendeva il jet di Stato italiano. Fu tanto e improvviso il peso del tradimento del governo boliviano che non mi restò più un filo d’energia per dire una parola.

    La Storia corre sempre avanti ai governi, ai faccendieri e al popolo ingannato. Oggi Evo Morales è esiliato in Messico, peccato che non sia stata una rivoluzione popolare a rovesciarlo, ma il solito colpo di Stato voluto dal nord del pianeta. Lula è tornato libero a lottare. Mezza Italia si trascina dietro all’ “uomo forte”, l’altra metà si muove in banchi come pesci nel mare. Io sono ancora in isolamento a Oristano. La Cassazione si è appena resa complice di un sequestro in Bolivia. Fate largo, non c’è niente da vedere.

  4. #4
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine e approfondimenti

    Lettera ai compagni
    7 Settembre 2019

    di Cesare Battisti



    [Riceviamo e pubblichiamo senza commenti, che lasciamo ai lettori.]

    Mi si chiede, era veramente necessario assumermi le responsabilità politiche e penali, insomma la dichiarazione al procuratore di Milano? Mi chiedo, quale necessità muove coloro che si pongono questa domanda? Perché, se io sapessi esattamente cosa ci si aspettava da me, mi sarebbe allora più facile calarmi al loro posto e magari trovarci qualche buona ragione, che sicuramente non manca, per dubitare dell’opportunità o meno della mia decisione.

    Ma quanti di questi, a cui vorrei sinceramente rispondere, non solo perché lo meritano, ma anche perché lo considero un dovere di compagno, possono veramente calarsi al mio posto? Ossia, come faccio a spiegare cosa mi succede adesso, senza poter dire che l’oggi è il risultato accumulato negli ultimi quarant’anni, soprattutto da febbraio 2004 in Francia fino al 23 marzo a Oristano?

    Prendiamo solo questi ultimi quindici anni. Sono stati un inferno continuo, tra anni di carcere, arresti rocamboleschi, enorme dispendio di energia personale e di forze solidali, in una persecuzione spietata, senza riserve e mai vista prima. Mi ha visto abbandonare più volte casa, famiglia, ripudiato nella pubblica via, scacciato dai posti di lavoro, quando ne trovavo uno, a causa di un’opinione pubblica avvelenata da una propaganda di media senza scrupoli, con lo scopo di disarcionarmi ogni volta che riuscivo ad aggrapparmi a una speranza di vita normale. Lasciamo perdere i gravi problemi finanziari, rischierei di essere patetico.

    Per questo, mi chiedo, sarà possibile che con una persecuzione simile, che ha superato in mezzi e durata l’immaginabile, è possibile, dico io, che quelle buone teste di compagni lungimiranti siano riuscite a resistere all’avvelenamento della disinformazione, che non si siano lasciate attingere anche loro, inconsciamente, in maniera moderata, come il martello che a forza di battere ha ragione del chiodo, da una tale organizzazione scientifica della menzogna? Perché, se così non fosse, come spiegare allora che alcuni compagni pretendano da me esattamente quello che da me si aspettano l’opinione pubblica, leggi, istituzioni?

    Il “mito Battisti” è stato creato per abbatterlo, questo si capisce ed ha una logica feroce; quello che non si capisce è il “mito” ripreso anche dai compagni, un buon “mito” da sventolare in nome della lotta rivoluzionaria. E succede che poco importa che quel “mito” sia fatto di carne e ossa, che non ne possa più di essere martirizzato – martire da agitare, secondo i gusti, da un lato o dall’altro della barricata.

    In fondo, chi avrei realmente danneggiato assumendo le mie responsabilità relative a un processo definitivo, archiviato, demonizzato? Non avrei dovuto dire del fallimento della lotta armata? E perché no? Giacché l’avevo sonoramente dichiarato nel 1981 e ripetuto. C’è qualcuno oggi che può onestamente dire che la lotta armata era da fare, che ne sia valsa la pena? (E non confondiamo Movimento con partiti combattenti). Ho preso questa decisione perché se non smitizzavo il mostro, se non dicevo che sono appena umano, allora sarebbe stato meglio se mi avessero scaraventato subito giù dall’aereo di Stato.

    Volete avere un’idea certa su ciò da cui dovevo liberarmi? Ebbene, chiedete pure agli amici di strada, parenti, conoscenti qualunque, colleghi, chiedete loro cosa pensano di Cesare Battisti e avrete la risposta su cosa era che mi toglieva il respiro. Ho confessato senza chiedere una riduzione di pena, è stata anzi la premessa e proprio in questi giorni avete assistito alla conferma dell’ergastolo da parte della Corte d’Assise di Milano, la quale ha grossolanamente legalizzato un sequestro di persona in Bolivia. Ergastolo, tra l’altro, unico al processo PAC!

    La domanda da porre sarebbe più concretamente questa: valeva la pena? Sì, indubbiamente (a parte le omissioni che ho lasciato passare al momento della firma, lamento la stanchezza), perché, nonostante il massacro, ho ancora voglia di avere un cervello tutto mio, una sedia e un tavolo per scrivere a voi, alla famiglia e a tutti quelli che ancora vogliono leggere.

    Ho scritto d’un sol getto, non farò correzioni e, se incoraggiato, posso raccontare in seguito i retroscena di Ciampino, immagino che i media ci abbiano vomitato su.

    Un abbraccio a chi lo vuole.

  5. #5
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine

    Notizie da Oristano
    8 Ottobre 2019
    di Cesare Battisti



    Il computer che avevo sollecitato da mesi mi è stato finalmente concesso. Ci sono installati Libre Office Writer e Wikipedia off line. Sono state tolte tutte le altre applicazioni ed estensioni fino a ridurlo a una macchina da scrivere. Poco importa, era quello che mi ci voleva per cominciare una stesura ordinata di qualche centinaio di fogli sparsi con le bozze del mio ultimo lavoro: un’auto fiction, come si suol dire, con l’intenzione di mettere in scena i conflitti sociali sorti con l’attuale “ondata nera” sudamericana.

    Ma dicevo di computer e di Wikipedia. Non è difficile da immaginare una situazione come la mia, dove le notizie dall’esterno sono inesistenti o filtrate da mille precauzioni. Se si esclude l’intossicazione generalizzata della televisione, per farmi un’idea approssimativa di quello che si dice o si fa “fuori” posso solo contare sul giornale Il manifesto, gentilmente offertomi dalla redazione, o sulla corrispondenza con gli amici. Questi, con tutte le cautele per non angustiarmi, non possono sempre evitare di riferirmi le dicerie che circolano sul mio conto, specialmente quando provengono anche da ambienti prossimi.

    Sapevo che la mia ammissione di responsabilità del 23 marzo scorso non era stata presa bene o non capita, se non chiaramente insultata da alcuni ambiti militanti. Certo, io non ho fatto molto per chiarire alcune imprudenze nei giudizi di valori, poi rese stridenti dal riassunto su carta della mia deposizione registrata. Non c’erano le condizioni per le spiegazioni pubbliche, qualsiasi cosa dicessi in quel periodo sarebbe stata distorta e usata contro di me. Ma da qui a dire che avrei corso il rischio di passare per un delatore, come pare qualcuno mormora, ce ne corre. Si tratta di un rumore debole, certo, ma meticolosamente appesantito dal sospetto che sia opportunamente funzionale all’impresa che vuole la distruzione del “mito”.

    Ma non sono in cerca di giustificazioni. Estenuato o no, quel documento io l’ho firmato e lo assumo, compreso qualche giudizio di carattere esclusivamente politico che avrei potuto evitare perché non era quello il luogo adatto.

    Anche così, non riuscivo a dare una ragione alle esagerate reazioni ostili di alcuni compagni nei miei confronti. Fino però ad avere sottomano un computer, quindi poter consultare Wikipedia off line (non ho altro) e vedere cosa bolle in pentola alla voce “Cesare Battisti, terrorista”, come ho appena fatto.

    Avessi avuto modo di consultarlo qualche mese prima, ancora impreparato agli attacchi amici, sarei saltato su dallo sgabello al tetto, tante sono le informazioni inverosimili, talvolta solo approssimative qui riportate. La più grave è senz’altro quella secondo cui avrei denunciato gli autori degli omicidi rivendicati dai PAC. Sfido chiunque a trovare la minima traccia di quanto si afferma in Wikipedia al proposito.

    Sono al corrente di una distorsione sbandierata dai media italiani, se non sbaglio all’epoca della mia prigione in Brasile, dove si asseriva che io avrei denunciato gli autori del delitto Torreggiani. A questo proposito, mi ricordo bene di una giornalista brasiliana che, incuriosita da tanto accanimento di Alberto Torreggiani contro di me, mi chiese cosa sapevo di quell’omicidio. Restando fedele alla mia scelta d’allora, cioè di negare ogni fatto specifico, dissi pressappoco: “Per quanto ne so io, quel fatto è stato giudicato dalla Corte d’Assise di Milano dove furono rese responsabili quattro persone”, e non che io le ritenessi responsabili. La giornalista in questione, o la sua redazione, pur riportandolo in virgolettato, mi pare di ricordare che cambiò l’ordine delle parole e forse aggiunse anche i nomi dei condannati. In seguito, i media italiani ci si sono buttati a capofitto stravolgendone il contenuto, nell’ottica che tutto è lecito per infangare Cesare Battisti. L’hanno fatto centinaia di volte, dovremmo saperlo tutti.

    Inutile continuare su questo terreno, stando a Wikipedia io avrei infamato tutti quanti (addirittura con dichiarazioni suppostamente rese alla giustizia brasiliana, che eppure non è mai entrata nel merito, i fatti specifici non sono di sua competenza). Insomma tutte queste fantasie, sporche, bisognerebbe dimostrarle, così come altre centinaia di falsità che, col passare del tempo e a forza di ripeterle, si finisce per prendere sul serio. Se dubbi dovessero persistere in questo senso, mi si dica, per favore, chi avrei denunciato, quando e in quale circostanza.

    Durante tutti questi anni ho subito l’assedio ininterrotto di squadracce di media, specialmente italiani, che con fare vergognosamente aggressivo, non solo nei miei confronti, ma anche con amici e familiari, si sono introdotti nella mia vita quotidiana, esercitando ogni tipo di provocazione, con l’evidente intenzione di spingermi a una reazione sconsiderata che corredasse l’immagine del “mostro”: hanno ripetutamente invaso la mia casa, filmato e importunato mio figlio di cinque anni con la mamma; si sono inventati crimini immondi per sventolarli nel vicinato, ai miei datori di lavoro… Quando non riuscivano ad avere l’immagine del “mostro” con la dovuta smorfia, ghigno, allora la provocavano a spintoni: una mia foto sul punto di cadere, espressione di dolore spacciata per cattiveria, è rimasta per anni in prima pagina.

    Ammetto che qualche volta, estenuato e imprudente, ho fatto qualche dichiarazione avventata, imprecisa, fors’anche provocatoria. Non ne potevo più, la diplomazia non è mai stata il mio forte. Ma di lì a scaricare le mie responsabilità su altri, mai.

    Ho letto su Wikipedia anche un sacco di stupidaggini sulla mia biografia, ma questo è meno importante. Non credo che valga la pena mettersi a fare i distinguo, sarebbe come dare valore a chi non ha altro da fare nella vita che mettersi a complicare quella altrui. Mi chiedo quante altre cose circolino sul mio conto, che io ignoro, ma che potrebbero avere provocato alcune delle reazioni esagerate nei miei confronti.

    Per esempio, ricordate quel giornalista che su “Il Giornale” scrisse qualcosa come: “Mai stato vittima di ingiustizie. Ho preso in giro tutti quelli che mi hanno aiutato. Ad alcuni di loro non c’è stato grande bisogno di mentire”? Proposito opportunamente attribuitomi affinché fosse ripreso dai media francesi, brasiliani, ma anche italiani per dire a tutti: “Guardate come vi ha raggirato il vostro mostro!”. Ecco, invece, il contenuto reale, verificabile su Internet, della mia risposta a una domanda precisa: “Non è stato necessario mentire a chi mi ha sostenuto, perché la questione, per loro, non era affatto innocente o colpevole. Ero piuttosto percepito come un militante della lotta armata negli anni di piombo”.

    Ma trovo inutile, comunque puerile, stare qui a difendermi e a dovermi giustificare per ogni idiozia che si è detta in giro. Il ruolo della vittima non mi è proprio. Dico solo che ci si dovrebbe limitare ai fatti, quelli seri e comprovati.

    Se qualche compagno volesse saperne di più, sottopormi altre questioni ancora in ombra sono a disposizione, non è il tempo che mi fa difetto. Dicono saggiamente i messicani: Hay más tiempo que vida, hombre.

    Un abbraccio

  6. #6
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine e approfondimenti

    ha ucciso innocenti che con questa guerra, vera o presunta che fosse, non avevano nulla a che vedere

    sabbadin e torreggiani cosa c' entravano? eh?
    «che giova ne la fata dar di cozzo?»

    “Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è ottima”

  7. #7
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine

    Disinformazione
    6 Novembre 2019

    di Cesare Battisti


    Il giornale La Repubblica, del 10 settembre 2013, ha voluto riprodurre parte della mia “lettera ai compagni”, diffusa da Carmilla in primo luogo. Voglio ringraziare la redazione de La Repubblica per l’attenzione, alcuni passaggi riportati corrispondono essenzialmente al messaggio che volevo divulgare. Mi sento però in obbligo di contraddire alcune informazioni contenute specialmente nel “commento” firmato dal signor Carlo Bonini. Mi dispiace dirlo, perché suona a polemica e io avrei preferito dialogare in un clima di comprensione, ma pare che il signor Bonini abbia qualche difficoltà a trattare il caso con la distanza e la serenità dovuta da chi, come lui, ha l’autorevole responsabilità di informare il pubblico, quindi creare opinione.

    Purtroppo, il signor Bonini non resiste alla tentazione di riprendere il “gioco al massacro” con l’uso dei soliti argomenti, frutto proprio di quelle distorsioni che hanno alimentato, durante tutti questi anni, la disinformazione a cui accennavo nella “lettera” e che lo ha fatto arrabbiare. Ora, è proprio di questo che si tratta nel commento da lui firmato.

    Mentre il signor Bonini mi tratta da narcisista – che c’entra poi – e menzognero, commette varie disinformazioni. Vediamo quali.

    Lui parla di 37 anni di “latitanza”. Avrebbe dovuto però dire, questione di etica, che è latitante colui che si ricerca e non si sa dove sia. Cesare Battisti invece, durante tutto il suo esilio, aveva un indirizzo dichiarato alle autorità del paese ospitante e dalle stesse trasmesso all’ambasciata d’Italia; aveva documenti rilasciati dalle autorità competenti; aveva famiglia, lavoro dichiarato, pagava le tasse, aveva attività pubblica alla quale gli stessi giornalisti de La Repubblica avevano avuto accesso a volontà.
    Continua a chiamarmi “il terrorista”. Sarà che non gli viene la particella EX (ammesso che sia questo l’appellativo più appropriato alla mia militanza armata), oppure lo fa intenzionalmente, non potendo egli resistere alla tentazione di alimentare i dubbi?
    Scrive inoltre “giudizio di comodo e postumo sulla lotta armata”. Postumo sì, ma perché omettere di specificare che già dall’81 io mi pronunciai contro la lotta armata – lo sanno tutti meno lui? Criticai allora la scelta armata del Movimento e continuai a ribadirlo in seguito in numerose interviste, nonché nel contenuto dei miei libri. Quindi non è un tantino tendenzioso questo suo appunto di “comodo”?
    Scrive anche che io sarei stato “reso alieno e trasversalmente detestabile… anche ai pochi che avevano continuato a sostenerlo nella latitanza…”. Mi viene da dire che questo signore ha la coda di paglia. Sennò perché tanto sforzo (i pochi che lui dice sarebbero invece centinaia tra partiti, associazioni, ecc.) per tentare di ritorcermi contro la mia lettera? Come se ci fosse stato qualcuno, tra tutti coloro che mi hanno sostenuto durante l’esilio – e non latitanza, ripeto – che mi abbia ripudiato pubblicamente. Ma da dove gli vengono questi giudizi? Io, al contrario, posso citare centinaia di situazioni politiche e sociali che mi manifestano tuttora apertamente appoggio incondizionato. Ciò perché l’innocenza non era assolutamente l’argomento principale per coloro che mi hanno dato asilo, malgrado la “disinformazione”.
    Si dice anche, nell’articolo, che avrei confessato nella speranza di accedere ai benefici. È falso. Non ci vuole molto a verificare che nella condanna all’ergastolo, più sei mesi di isolamento diurno, non figura assolutamente l’ostativo, ossia l’articolo che impedirebbe l’accesso ai benefici. Perché all’epoca, semplicemente, questa misura non esisteva e la retroattività negativa, se non sbaglio, è incostituzionale. Una svista anche questa, o è intenzionale?
    “La legittima estradizione dalla Bolivia”, scrive ancora il signor Bonini, senza dire ai suoi lettori dov’è il mandato di estradizione che l’Italia avrebbe inoltrato alla Bolivia. In alternativa potrebbe citare la sentenza della Corte d’Assise di Milano emessa il 17 maggio dell’anno in corso, dove apparirebbe la formula “estradato dalla Bolivia”? Non può, perché non esiste mandato, così come non c’è stata estradizione perché, se le cose fossero andate in questo senso, ci sarebbe stato un legale processo di estradizione, la quale sarebbe stata rifiutata perché la legge boliviana non la consente per reati politici e quando incorre prescrizione, come è il caso delle mie condanne. Ecco perché è sequestro. Ecco perché è stata raffazzonata un’espulsione illegale (vedasi legge boliviana in merito), fattomi scendere dall’aereo brasiliano per imbarcarmi in tutta fretta in quello italiano. Questa è la realtà documentata, e non frutto delle solite illazioni, dei non detti tanto cari a coloro che si incomodano con la parola “disinformazione”.
    Voglio concedere la buonafede ai giornalisti de La Repubblica, ai quali riconosco anche l’immediata denuncia dello squallido spettacolo all’aeroporto di Ciampino. Sicuramente questa volta non avevano le buone informazioni. Ma, perbacco, sono ben sei le “disinformazioni” contenute in un articolo che sta appena in una colonna!

  8. #8
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine e approfondimenti

    Citazione Originariamente Scritto da Indra88 Visualizza Messaggio
    ha ucciso innocenti che con questa guerra, vera o presunta che fosse, non avevano nulla a che vedere

    sabbadin e torreggiani cosa c' entravano? eh?
    Non credo che c'entrassero. Erano innocenti.

  9. #9
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine e approfondimenti

    Citazione Originariamente Scritto da Herr Doktor Visualizza Messaggio
    Non credo che c'entrassero. Erano innocenti.
    e allora sta bene ad oristano
    «che giova ne la fata dar di cozzo?»

    “Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è ottima”

  10. #10
    Super Troll
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    Predefinito Re: Articoli di Cesare Battisti su CarmillaOnLine e approfondimenti

    Citazione Originariamente Scritto da Indra88 Visualizza Messaggio
    e allora sta bene ad oristano
    Dovrebbe spiegare perché ha fatto il palo con Sabbadin e perché ha approvato Memeo con Torregiani.
    Ha preso 12 anni per T. e 30 per S.

    L'ergastolo gli è stato inflitto per avergli infligto

    Poi continua a dire di essersi dissociato nel 78 e allora perché ha firmato il foglio?

    Pensa di diventare un nuovo Sofri? ("sono innocente ma sono moralmente responsabile"?)
    I famosi pentiti hanno detto il vero? È giusto che il pentito abbia avuto solo 8 anni invece dell'ergastolo?
    Perché è stato dette che pasteggiava a ostriche e champagne con i francesi della rive gauche quando il suo lavoro era portinaio di condominio?

    Come mai non si è sentita la versione della figlia primogenita, ricercatrice di biologia per la Sorbona?

    Nessuno ha pensato a fare venire in Italia il figlio piccolo? Crescerà solo senza padre?

    Perché Mambro e Fioravanti hanno potuto vivere con la figlia e i brigatisti hanno avuto incontri famigliari?
    Hanno paura che gli portino una lima?

    Qual è l'effettivo valore (ricordare Carlotto) del Battisti romanziere? Ora che è dentro si potrebbe approfondire.

    Non è che è stato creato un mito nero tipo Pacciani, per un uomo che non era nemmeno un dirigente terrorista?
    Gli altri pac non hanno avuti ergastoli.
    Memeo ha ucciso 3-4 persone, ha sparato a Torregiani, però ha avuto 12 anni

    Pare che Battisti sia l'uomo più malvagio di tutti tempi mentre Priebke un santo...
    Sofri non ha secondo la legge fatto uccidere Calabresi? Come mai ha avuto un trattamento blando?

    Poteva il Brasile con un semplice giudice revocare la green card per ordine di Bolsonaro che ancora non era presidente, residenza permanente concessa dal Supremo Tribunale Federale e decreto presidenziale irrevocabile?
    Che prove avevano per dire che il suo matrimonio (non con l'attuale compagna e madre del figlio ma con la storica fidanzata brasileira?
    Perché Achille Lollo e Renato Curcio hanno avuto pene basse e perché Lollo non è stato mai estradato?

    Il caso Battisti potrebbe essere paragonato ad Assata Shakur/JoAnne Chesimard la pantera nera che vive a Cuba?

    Che avrebbe detto l'avvocato Jacques Verges?


    Domande che richiedono risposte di qualche giurista alla Ferrajoli.

 

 
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