Quattro lezioni [di Gaetano Salvemini] su Mazzini al Circolo di Filosofia di Firenze (6-16 maggio 1910)
In A. Galante Garrone, “Salvemini e Mazzini”, D’Anna, Messina-Firenze 1981, pp. 373-385.
(Dal «Bollettino della Biblioteca Filosofica», giugno 1910, pp. 293-304).
I. – 6 maggio. – La formazione del pensiero mazziniano
Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel 1805. Egli ricevette un’educazione religiosa severa. L’austerità della casa paterna, la morale retta del vecchio prete giansenista al quale fu affidata la sua prima istruzione, gli dettero il senso della serietà della vita, la coscienza imperiosa della responsabilità e del dovere che doveva sopravvivere alla fede cattolica dalla quale egli ben presto si staccò.
Dai Padri Somaschi, dove egli studiò dal 1817 al 1822, l’enorme apparato di disciplina e di bigottismo che era così lontano dalla religione interiore, moralmente rigida ma ritualmente molto larga alla quale egli era abituato, fu l’origine dei primi disgusti e delle prime ribellioni.
Nelle sue memorie egli ricorda i classici latini come quelli che primi gl’insegnarono l’odio per la tirannia, l’ammirazione per la repubblica. Egli ricorda pure i racconti che un vecchio amico di famiglia faceva talvolta della Rivoluzione francese, e i giornali girondini letti di nascosto, che insieme a un’opera di Volney, lo posero in contatto col grande pensiero razionalistico del secolo XVIII.
A sedici anni, nel 1821, egli è profondamente turbato dallo spettacolo dei vinti della rivoluzione piemontese, che fuggivano. Poco dopo le Lettere di Jacopo Ortis finiscono di sconvolgerlo. È il segnale della grande crisi in cui la sua fede religiosa crolla, lasciandolo disperato, disorientato.
Durante quattro anni, egli soffre, dubita, cerca. Egli racconta che a 17 anni portava in chiesa il Saggio sullo Spirito umano di Condorcet, invece dell’Uffizio della Vergine. La fede ottimistica del secolo XVIII nel progresso indefinito del genere umano, che Condorcet espone in quest’opera, sarà più tardi il punto centrale di tutto il sistema religioso, politico e sociale di Mazzini.
Nel 1822, terminati gli studi secondari, egli s’inscrive alla Facoltà di Diritto. Nel giugno del 1823, in seguito a una rivolta degli studenti, egli viene arrestato. Egli esce dal carcere in piena popolarità. Ha oramai amici, è ascoltato, amato. «Sono gli unici anni felici della mia vita», dirà egli più tardi. Anni fecondi di lavoro, di pensiero, in cui Dante, Alfieri, Foscolo, il romanticismo, per il suo valore morale, sociale e patriottico, lo animano, lo esaltano. Già nei suoi primi scritti, dal 1827 al 1830, lo troviamo tutto intero, col suo temperamento ardente, energico, colla sua violenza affermativa e poco critica, che sono propri non dello storico né del filosofo, ma dell’educatore, dell’apostolo, di chi è destinato a vivere e a morire martire della propria fede. Egli è da questo momento unitarista convinto, dichiara che la patria di un italiano è tutta l’Italia. Egli è repubblicano, vuole che la letteratura e l’arte siano legate a un fine di educazione civile dei popoli, e nel caso presente, che servano ad esprimere i dolori, gli odi, le speranze, della nuova Italia. Egli afferma la sua fede nel progresso indefinito del genere umano, verso l’unità morale.
Herder, Vico, Cousin e Guizot lo influenzano vivamente, talvolta sembrano trascinarlo fuori dal punto di vista italiano e patriottico, verso il pensiero di un grande internazionalismo umanitario.
Ma poi torna con nuovo vigore all’idea dominante: Mazzini non dimentica mai di affermare – senza preoccuparsi di dimostrarlo – che se la Natura non ha stabilito frontiere fra il pensiero dei popoli, le ha fatte tanto più insormontabili nel dominio politico. L’unità morale dei popoli non è possibile che colla loro indipendenza politica e fra popoli eguali. L’Italia deve dunque essere una, l’Italia deve dunque esser forte. Ciò è necessario non solo per lei, ma per l’Umanità. L’internazionalismo serve all’esaltazione e alla giustificazione del sentimento patriottico. Un grande entusiasmo ottimistico palpita e circola negli scritti di Mazzini fra il 1828 e il 1830. «Un popolo può ciò che vuole».
Se l’umanità ha un fine verso il quale tendono tutte le generazioni, che si trasmettono l’una all’altra il deposito della civiltà progressiva, come negare l’esistenza d’uno spirito preordinatore d’un tal fine? Mazzini che nel momento della grande crisi religiosa del suo diciassettesimo anno aveva perduto ogni credenza in Dio, vi ritorna progressivamente, a mano a mano che la legge del progresso si afferma nella sua coscienza. A poco a poco, nei suoi scritti, la terminologia materialistica e naturalistica si modifica. Nel 1830 egli oscilla fra i termini Dio e Natura, razza e umanità, adoperando se del caso, i due termini insieme. Ma Dio non è ancora in questo momento il centro delle sue idee.
Nella prigione di Savona, fra il cielo e il mare, - dove egli fu incarcerato dal Novembre 1830 al Febbraio 1831, per avere appartenuto alla Carboneria – egli abbandona definitivamente «la scuola straniera del materialismo» per ritornare all’«idealismo dei suoi padri», cioè a una concezione decisamente spiritualista, teista della vita. Colà pure egli delibera di uscire dalla Carboneria, che gli aveva dato amare delusioni, per tentare il rinnovamento dell’Italia per nuove vie.
Uscito di prigione il 2 febbraio 1831 egli emigra, sperando di tornar presto in patria, in seguito a una rivoluzione vittoriosa. A Lione, in Corsica, a Marsiglia, egli si dà interamente alla propaganda, all’agitazione rivoluzionaria, entra in contatto immediato colle grandi correnti del pensiero democratico e umanitario francese: egli conosce il San-Simonismo.
Alcune idee fondamentali del San-Simonismo: l’umanità è un essere collettivo che progredisce indefinitamente verso un’associazione sempre più perfetta di tutte le sue forze, sostituendo i diritti della capacità ai diritti della proprietà; - noi siamo vicini alla vigilia di una nuova rivelazione religiosa che aprirà un periodo organico nuovo nella storia dell’umanità – nell’era nuova l’umanità darà a sé stessa una gerarchia religiosa che coordinerà tutti gli sforzi verso il raggiungimento dell’Associazione universale; - tutte queste idee si adattano perfettamente alle tendenze proprie di Mazzini. Ma egli non accetta che quelle. Egli ammette l’internazionalismo, ma come federazione di tutte le nazionalità libere ed eguali, non come negazione delle nazionalità; egli nega la parte eccezionale attribuita dai San-Simonisti alla Francia: quella parte egli la riserva all’Italia.
Egli non adotta il San-Simonismo che fino al punto in cui gli sembra particolarmente atto a provare che l’Unità d’Italia è un’opera divina, frutto di tutta l’evoluzione umana.
Egli nega la gerarchia San-Simonista, indipendente dalla volontà popolare, e concilia il suo sogno di una nuova autorità legittima colle sue idee democratiche, e facendo del popolo, mediante il suffragio universale, il rivelatore ispirato da Dio, delle nuove verità religiose, l’indicatore infallibile degli individui più capaci e più degni.
Mazzini elabora lentamente il suo sistema religioso politico e sociale, attraverso 4 anni di dubbi e di lotte interiori; ma nessun dubbio sfiora mai l’idea prima ed indistruttibile, base di tutto il resto, la necessità del risorgimento e dell’Unità d’Italia, e vi lavora senza riposo.
Nel 1831 egli fonda la Giovane Italia. Sono due anni di lavoro gioioso, pieno di speranza durante i quali i suoi amici, che aumentano continuamente, si raggruppano intorno a lui, accettando spontaneamente la sua autorità; dandogli l’illusione che tutta l’Italia sia pronta a sollevarsi al suo appello, a mettersi con uno slancio alla testa del grande esercito dell’umanità ed in questo momento pure egli incontra Giuditta Sidoli, il grande amore della sua vita.
Ma nell’estate del 1833 tutto il suo sogno svanisce ad un tratto. A Torino ad Alessandria hanno luogo i primi arresti degli affiliati alla Giovane Italia, - e Jacopo Ruffini, l’amico, il compagno più caro di Mazzini, si suicida in carcere. Mazzini, ricercato dalla polizia, deve fuggire da Marsiglia a Ginevra, dove anche la Sidoli, richiamata in Italia dai suoi figliuoli, l’abbandona. Solo, isolato, esposto a tutte le calunnie, a tutte le accuse, egli passa la seconda metà del 1833 in uno stato orribile. Ma Mazzini non si dà per vinto.
Nell’Aprile del 1834, egli fonda la Giovane Europa. Sono 17 giovani di vari paesi, che si proclamano semplicemente i rappresentanti della Nuova Umanità. Essi hanno in cassa 7 franchi… Pretesa puerile ed eroica!
Per due anni Mazzini fa propaganda in Svizzera delle idee della Giovane Europa. Ma nella seconda metà del 1836 una nuova terribile crisi lo sorprende. Fu, come egli la chiama, la tempesta del dubbio.
Egli si domanda se ha il diritto di sacrificare tante vite alla sua idea, egli è preso dai rimorsi, anche la sua fede nella propria idea è scossa. In preda ad allucinazioni egli si sente impazzire. Quanto violento fu l’accesso altrettanto brusco fu lo scioglimento. Egli narra che un mattino si svegliò calmo, colla mente lucida, capace di correggere le fondamenta della sua fede. Egli riconosce che fino allora si era sbagliato cercando la felicità per sé e per gli altri; ciò che bisogna cercare invece, è l’adempimento del dovere senza temere il dolore. «La vera virtù è il sacrificio».
Così egli si distacca profondamente dall’utilitarismo della dottrina San-Simonista. Le linee fondamentali del suo pensiero sono oramai tracciate; esse rimarranno immutabili fino alla fine.
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