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    Predefinito Quattro lezioni di Salvemini su Mazzini (1910)

    Quattro lezioni [di Gaetano Salvemini] su Mazzini al Circolo di Filosofia di Firenze (6-16 maggio 1910)




    In A. Galante Garrone, “Salvemini e Mazzini”, D’Anna, Messina-Firenze 1981, pp. 373-385.


    (Dal «Bollettino della Biblioteca Filosofica», giugno 1910, pp. 293-304).


    I. – 6 maggio. – La formazione del pensiero mazziniano

    Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel 1805. Egli ricevette un’educazione religiosa severa. L’austerità della casa paterna, la morale retta del vecchio prete giansenista al quale fu affidata la sua prima istruzione, gli dettero il senso della serietà della vita, la coscienza imperiosa della responsabilità e del dovere che doveva sopravvivere alla fede cattolica dalla quale egli ben presto si staccò.
    Dai Padri Somaschi, dove egli studiò dal 1817 al 1822, l’enorme apparato di disciplina e di bigottismo che era così lontano dalla religione interiore, moralmente rigida ma ritualmente molto larga alla quale egli era abituato, fu l’origine dei primi disgusti e delle prime ribellioni.
    Nelle sue memorie egli ricorda i classici latini come quelli che primi gl’insegnarono l’odio per la tirannia, l’ammirazione per la repubblica. Egli ricorda pure i racconti che un vecchio amico di famiglia faceva talvolta della Rivoluzione francese, e i giornali girondini letti di nascosto, che insieme a un’opera di Volney, lo posero in contatto col grande pensiero razionalistico del secolo XVIII.
    A sedici anni, nel 1821, egli è profondamente turbato dallo spettacolo dei vinti della rivoluzione piemontese, che fuggivano. Poco dopo le Lettere di Jacopo Ortis finiscono di sconvolgerlo. È il segnale della grande crisi in cui la sua fede religiosa crolla, lasciandolo disperato, disorientato.
    Durante quattro anni, egli soffre, dubita, cerca. Egli racconta che a 17 anni portava in chiesa il Saggio sullo Spirito umano di Condorcet, invece dell’Uffizio della Vergine. La fede ottimistica del secolo XVIII nel progresso indefinito del genere umano, che Condorcet espone in quest’opera, sarà più tardi il punto centrale di tutto il sistema religioso, politico e sociale di Mazzini.
    Nel 1822, terminati gli studi secondari, egli s’inscrive alla Facoltà di Diritto. Nel giugno del 1823, in seguito a una rivolta degli studenti, egli viene arrestato. Egli esce dal carcere in piena popolarità. Ha oramai amici, è ascoltato, amato. «Sono gli unici anni felici della mia vita», dirà egli più tardi. Anni fecondi di lavoro, di pensiero, in cui Dante, Alfieri, Foscolo, il romanticismo, per il suo valore morale, sociale e patriottico, lo animano, lo esaltano. Già nei suoi primi scritti, dal 1827 al 1830, lo troviamo tutto intero, col suo temperamento ardente, energico, colla sua violenza affermativa e poco critica, che sono propri non dello storico né del filosofo, ma dell’educatore, dell’apostolo, di chi è destinato a vivere e a morire martire della propria fede. Egli è da questo momento unitarista convinto, dichiara che la patria di un italiano è tutta l’Italia. Egli è repubblicano, vuole che la letteratura e l’arte siano legate a un fine di educazione civile dei popoli, e nel caso presente, che servano ad esprimere i dolori, gli odi, le speranze, della nuova Italia. Egli afferma la sua fede nel progresso indefinito del genere umano, verso l’unità morale.
    Herder, Vico, Cousin e Guizot lo influenzano vivamente, talvolta sembrano trascinarlo fuori dal punto di vista italiano e patriottico, verso il pensiero di un grande internazionalismo umanitario.
    Ma poi torna con nuovo vigore all’idea dominante: Mazzini non dimentica mai di affermare – senza preoccuparsi di dimostrarlo – che se la Natura non ha stabilito frontiere fra il pensiero dei popoli, le ha fatte tanto più insormontabili nel dominio politico. L’unità morale dei popoli non è possibile che colla loro indipendenza politica e fra popoli eguali. L’Italia deve dunque essere una, l’Italia deve dunque esser forte. Ciò è necessario non solo per lei, ma per l’Umanità. L’internazionalismo serve all’esaltazione e alla giustificazione del sentimento patriottico. Un grande entusiasmo ottimistico palpita e circola negli scritti di Mazzini fra il 1828 e il 1830. «Un popolo può ciò che vuole».
    Se l’umanità ha un fine verso il quale tendono tutte le generazioni, che si trasmettono l’una all’altra il deposito della civiltà progressiva, come negare l’esistenza d’uno spirito preordinatore d’un tal fine? Mazzini che nel momento della grande crisi religiosa del suo diciassettesimo anno aveva perduto ogni credenza in Dio, vi ritorna progressivamente, a mano a mano che la legge del progresso si afferma nella sua coscienza. A poco a poco, nei suoi scritti, la terminologia materialistica e naturalistica si modifica. Nel 1830 egli oscilla fra i termini Dio e Natura, razza e umanità, adoperando se del caso, i due termini insieme. Ma Dio non è ancora in questo momento il centro delle sue idee.
    Nella prigione di Savona, fra il cielo e il mare, - dove egli fu incarcerato dal Novembre 1830 al Febbraio 1831, per avere appartenuto alla Carboneria – egli abbandona definitivamente «la scuola straniera del materialismo» per ritornare all’«idealismo dei suoi padri», cioè a una concezione decisamente spiritualista, teista della vita. Colà pure egli delibera di uscire dalla Carboneria, che gli aveva dato amare delusioni, per tentare il rinnovamento dell’Italia per nuove vie.
    Uscito di prigione il 2 febbraio 1831 egli emigra, sperando di tornar presto in patria, in seguito a una rivoluzione vittoriosa. A Lione, in Corsica, a Marsiglia, egli si dà interamente alla propaganda, all’agitazione rivoluzionaria, entra in contatto immediato colle grandi correnti del pensiero democratico e umanitario francese: egli conosce il San-Simonismo.
    Alcune idee fondamentali del San-Simonismo: l’umanità è un essere collettivo che progredisce indefinitamente verso un’associazione sempre più perfetta di tutte le sue forze, sostituendo i diritti della capacità ai diritti della proprietà; - noi siamo vicini alla vigilia di una nuova rivelazione religiosa che aprirà un periodo organico nuovo nella storia dell’umanità – nell’era nuova l’umanità darà a sé stessa una gerarchia religiosa che coordinerà tutti gli sforzi verso il raggiungimento dell’Associazione universale; - tutte queste idee si adattano perfettamente alle tendenze proprie di Mazzini. Ma egli non accetta che quelle. Egli ammette l’internazionalismo, ma come federazione di tutte le nazionalità libere ed eguali, non come negazione delle nazionalità; egli nega la parte eccezionale attribuita dai San-Simonisti alla Francia: quella parte egli la riserva all’Italia.
    Egli non adotta il San-Simonismo che fino al punto in cui gli sembra particolarmente atto a provare che l’Unità d’Italia è un’opera divina, frutto di tutta l’evoluzione umana.
    Egli nega la gerarchia San-Simonista, indipendente dalla volontà popolare, e concilia il suo sogno di una nuova autorità legittima colle sue idee democratiche, e facendo del popolo, mediante il suffragio universale, il rivelatore ispirato da Dio, delle nuove verità religiose, l’indicatore infallibile degli individui più capaci e più degni.
    Mazzini elabora lentamente il suo sistema religioso politico e sociale, attraverso 4 anni di dubbi e di lotte interiori; ma nessun dubbio sfiora mai l’idea prima ed indistruttibile, base di tutto il resto, la necessità del risorgimento e dell’Unità d’Italia, e vi lavora senza riposo.
    Nel 1831 egli fonda la Giovane Italia. Sono due anni di lavoro gioioso, pieno di speranza durante i quali i suoi amici, che aumentano continuamente, si raggruppano intorno a lui, accettando spontaneamente la sua autorità; dandogli l’illusione che tutta l’Italia sia pronta a sollevarsi al suo appello, a mettersi con uno slancio alla testa del grande esercito dell’umanità ed in questo momento pure egli incontra Giuditta Sidoli, il grande amore della sua vita.
    Ma nell’estate del 1833 tutto il suo sogno svanisce ad un tratto. A Torino ad Alessandria hanno luogo i primi arresti degli affiliati alla Giovane Italia, - e Jacopo Ruffini, l’amico, il compagno più caro di Mazzini, si suicida in carcere. Mazzini, ricercato dalla polizia, deve fuggire da Marsiglia a Ginevra, dove anche la Sidoli, richiamata in Italia dai suoi figliuoli, l’abbandona. Solo, isolato, esposto a tutte le calunnie, a tutte le accuse, egli passa la seconda metà del 1833 in uno stato orribile. Ma Mazzini non si dà per vinto.
    Nell’Aprile del 1834, egli fonda la Giovane Europa. Sono 17 giovani di vari paesi, che si proclamano semplicemente i rappresentanti della Nuova Umanità. Essi hanno in cassa 7 franchi… Pretesa puerile ed eroica!
    Per due anni Mazzini fa propaganda in Svizzera delle idee della Giovane Europa. Ma nella seconda metà del 1836 una nuova terribile crisi lo sorprende. Fu, come egli la chiama, la tempesta del dubbio.
    Egli si domanda se ha il diritto di sacrificare tante vite alla sua idea, egli è preso dai rimorsi, anche la sua fede nella propria idea è scossa. In preda ad allucinazioni egli si sente impazzire. Quanto violento fu l’accesso altrettanto brusco fu lo scioglimento. Egli narra che un mattino si svegliò calmo, colla mente lucida, capace di correggere le fondamenta della sua fede. Egli riconosce che fino allora si era sbagliato cercando la felicità per sé e per gli altri; ciò che bisogna cercare invece, è l’adempimento del dovere senza temere il dolore. «La vera virtù è il sacrificio».
    Così egli si distacca profondamente dall’utilitarismo della dottrina San-Simonista. Le linee fondamentali del suo pensiero sono oramai tracciate; esse rimarranno immutabili fino alla fine.

    (...)
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    Predefinito Re: Quattro lezioni di Salvemini su Mazzini (1910)

    II. – 9 maggio. – Il sistema religioso di Giuseppe Mazzini

    Quantunque Mazzini abbia creduto di avere un sistema non solo religioso, ma filosofico, noi non troviamo in lui alcuna discussione metodica dei problemi implicati nelle sue affermazioni. Egli procede sempre dogmaticamente.
    Il criterio della verità è dato, secondo lui, dall’intuizione della coscienza confrontata col consenso dell’umanità, tale e quale è contenuto nella tradizione storica. Tuttavia, quando Mazzini è costretto a rendere conto dei fondamenti della sua fede, egli mette quasi sempre da parte la tradizione, per fare appello «ai momenti quasi inesplicabili dell’ispirazione» in cui si sente in sé «una certa necessità prepotente… direttrice di tutte le azioni e avente natura di stimolo religioso». Posizione antintellettualistica e mistica, analoga a quella di uno dei suoi contemporanei, il Cardinal Newman, precursore del modernismo cattolico.
    Le verità fondamentali che ci rivela l’intuizione della coscienza, sostenuta dalla tradizione del genere umano sono:
    l’esistenza di Dio, che non ha bisogno di dimostrazione: «tentarlo sarebbe bestemmia, negarlo follia»;
    l’unità del genere umano considerato come un essere collettivo, formato dalle generazioni passate, presenti e future, e che migliora incessantemente;
    la legge del progresso indefinito;
    l’associazione universale, scopo e istrumento del progresso che si sostituisce sempre più agli sforzi isolati.
    Nel suo cammino progressivo verso l’Associazione Universale, l’Umanità è guidata da rivelazioni religiose sempre più complete.
    Ogni epoca della storia dell’Umanità è caratterizzata da una nuova rivelazione religiosa, annunciata dagli uomini di genio che sono «gli angeli di Dio sulla terra».
    Quando la loro predicazione ha convinto le folle essa scatena la rivoluzione, rovescia le vecchie autorità, ne suscita di nuove, la cui missione è di comprendere e di effettuare, regolarmente e progressivamente, le conseguenze sociali, politiche e giuridiche, contenute implicitamente nel nuovo principio.
    Fra l’antica e la nuova rivelazione vi è sempre un periodo d’incertezza e d’anarchia durante il quale la forza morale delle vecchie autorità è esaurita e l’unità morale distrutta. Noi siamo attualmente, dichiarò Mazzini, in uno di questi periodi critici e sulla soglia d’un nuovo periodo organico. Il Cristianesimo dopo aver portato fino alla perfezione il principio individualista dichiarando tutti gli uomini eguali davanti a Dio, è stato completato dalla filosofia del secolo XVIII che li ha dichiarati eguali di diritti.
    Attualmente il suo valore è esaurito: spirito, cuore, tradizione e coscienza lo respingono. La libertà e l’eguaglianza, non più dirette da un principio superiore, sono divenute fonte di anarchia.
    Mazzini non osa dichiararsi il precursore della nuove fede, della quale il genere umano non può fare a meno. Egli afferma però che i dogmi fondamentali di essa saranno Dio, l’Umanità, il Progresso, l’Associazione.
    La nuova morale assorbendo la morale individualista del Cristianesimo, vi aggiungerà il nuovo principio, nato dal dogma dell’Umanità e dell’Associazione, il Dovere. «La vita è una missione». Non è e non può essere la ricerca della felicità. Solo dopo aver compiuto la propria missione, l’uomo dopo questa vita, e forse delle vite intermedie, troverà il riposo e la felicità. Il dovere presente è quello di cercare la verità di cui la rivelazione è promessa all’epoca nostra, e, avendola trovata, di realizzarla. «Predicare, combattere, agire».
    Il nuovo dovere essendo l’Associazione, Mazzini ne deduce tutta l’organizzazione della Società Futura. Non più guerre, rese impossibili dall’esistenza d’una fede, d’una missione comuni.
    L’Umanità è l’Associazione delle Patrie. Ogni patria deve avere la sua propria esistenza, ogni patria è essa stessa un’associazione fra uomini uniti non solo da condizioni geografiche e da interessi comuni, ma soprattutto dal sentimento della comune opera specifica che la Provvidenza ha assegnata al loro paese, nella divisione del lavoro universale.
    Quest’unità morale della nazione non può sussistere senza l’unità politica. In ogni paese, un potere centrale si occuperà delle forze militari, dell’unità delle leggi, del miglioramento delle classi inferiori, farà convergere il progresso nazionale col progresso dell’Umanità. Esso sarà formato dai migliori individui eletti nella nostra nazione. Tutti gli individui della nazione saranno eguali in diritti e in doveri. Dunque «la repubblica è l’unica forma legittima e logica di governo».
    Nella nuova umanità il potere politico sarà associato al potere religioso. Non si può separare «la morale dalla politica…, l’ideale dal reale, - Dio dalla terra». La separazione della Chiesa dallo Stato è attualmente un’arma di difesa contro una Chiesa morta, ma è un rimedio provvisorio. La Chiesa dalla società futura non avrà però né papa, né preti. Sarà la repubblica religiosa insieme alla repubblica politica. «Dio è Dio e l’Umanità è il suo profeta». I consigli e le assemblee costituenti, eletti dal suffragio universale, dirigeranno la vita politica e religiosa dei popoli.
    La famiglia sarà il primo nocciolo della nazione, essendo essa stessa un’associazione fra l’uomo e la donna politicamente, e civilmente eguali. Quando tutti i figli di Dio saranno liberi, eguali, fraternizzanti in una fede comune, la meta sarà raggiunta. La realizzazione di queste speranze deve essere ottenuta per mezzo dell’educazione. «Il problema attuale non è altro che un problema di educazione».
    Ma nei due terzi dell’Europa, questa educazione è impossibile: «Guardate l’Italia: Chi darà il Progresso a quel Popolo? Chi lo darà alla Polonia? Chi alla Germania?». La Rivoluzione è necessaria. Essa deve essere universale; deve essere non solo nazionale, ma sociale, poiché una rivoluzione che non unisce il progresso sociale al progresso politico e non migliora la condizione delle classi operaie, viola la legge di Dio.
    Se il Cristianesimo, religione individualista è stato rivelato da un uomo, la nuova rivelazione della religione umanitaria sarà opera d’un popolo. Ed è la missione del popolo italiano. Esso insorgerà in una grande Rivoluzione, distruggerà il Papato, rappresentante della vecchia fede religiosa, e l’Austria, nemica del nuovo principio di nazionalità, susciterà la rivoluzione in tutti gli altri paesi e convocherà a Roma il Concilio dell’Umanità. In questo Concilio, nuova Pentecoste, gli uomini migliori dell’Umanità, trasportati dallo spettacolo della Rivoluzione universale, avranno la nuova rivoluzione religiosa, e la proclameranno all’Umanità.

    (...)
    Ultima modifica di Frescobaldi; 02-04-20 alle 20:29
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    Predefinito Re: Quattro lezioni di Salvemini su Mazzini (1910)

    III. – 13 maggio. – Il mazzinianismo politico.

    Il sistema mazziniano contiene molte idee democratiche di oggi, incastrate in una di quelle teorie teocratiche utopiste che produceva così abbondantemente la scolastica medievale: è la fusione del De Monarchia di Dante, del Contrat Social di Rousseau e delle teorie San-Simoniste, operata da un italiano del secolo XIX.
    Sarebbe facile il rovinare questo sistema dimostrando le sue numerose contraddizioni logiche e la debolezza dei fondamenti storici sui quali esso è costituito. Delle affermazioni di Mazzini, parecchie sono arbitrarie o indimostrabili; e quelle che, prese in sé, corrisponderebbero a fatti e a tendenze storiche reali, sono, nel sistema di Mazzini, dedotte da principi discutibili, rientrano in una interpretazione discutibile dei fatti, diventando perciò discutibili esse stesse. Esse potranno essere giuste; ma per ragioni diverse da quelle che Mazzini loro attribuisce.
    Solamente, quando avremo adoperate tutte le nostre armi per combattere il sistema di Mazzini sul terreno filosofico e scientifico, troveremo d’aver fatto un’opera assai inutile: non ha detto egli stesso che «il libero pensiero è menzogna», che «la scienza non sorretta dalla fede è condannata a fraintendere i fatti», che «la verità va cercata in questi momenti quasi inesplicabili d’ispirazione?».
    In Mazzini non bisogna considerare il pensatore e il filosofo, ma il credente, l’apostolo, l’uomo d’azione. Dunque, dato il contenuto della sua fede religiosa, domandiamoci: quale diffusione ebbe questa fede: quale direzione dette essa all’azione di Mazzini e a quella dei suoi discepoli? Quale fu la sua parte pratica nella realtà storica?
    Posto così il problema, noi dobbiamo riconoscere che anche fra i più prossimi discepoli, ben pochi compresero e divisero la fede del Maestro.
    Una teoria così teocratica come quella di Mazzini, che fa del Popolo e dei rappresentanti eletti da questo Popolo, l’organo infallibile della volontà di Dio, poteva difficilmente essere accettata dai suoi contemporanei, allorquando da tutte le parti si lottava contro il diritto divino, si sognava di costruire gli stati nazionali su una base puramente laica.
    La borghesia credeva poco all’infallibilità del Popolo e non era tentata di farne il suo nuovo idolo. Mazzini, assorbito e trascinato dall’azione politica rivoluzionaria, aveva poco tempo da consacrare alla propaganda delle sue idee religiose. A queste diverse cause è dovuta senza dubbio, la sterilità effettiva della religione mazziniana.
    Ma se le idee religiose propriamente dette di Mazzini ebbero poca influenza, ciò non avvenne della sua predicazione morale. Allora, come adesso, le idee di dovere, di solidarietà sociale e internazionale, messe a base della vita, corrispondevano ai bisogni di molti spiriti. Fra gli uomini del secolo XIX, nessuno colle parole e cogli atti, ha affermato questi principi più sinceramente, più fortemente di lui. «Era egli stesso – diceva Nietzsche – il tragico personaggio che accetta le più dure sofferenze per compiere l’atto ideale». La sua influenza è stata e resta profonda, sebbene sia difficile il precisarla.
    È più facile il determinare l’influenza che ha avuto la parte del sistema mazziniano che riguarda particolarmente l’Italia.
    Mazzini è fermamente convinto che per ottenere la rinnuovazione religiosa, sociale, politica e morale dell’umanità, bisogna creare la leva indispensabile creando l’unità repubblicana e democratica del Popolo Messia; e per creare quest’unità sociale e religiosa, bisogna nell’azione pratica far passare in prima linea l’unità politica dell’Italia. «Non credo alla realizzazione d’una riforma religiosa prima della riforma politica.»
    Nei momenti in cui non ha speranza di azione, Mazzini afferma in blocco tutte le sue idee. Ma, appena può intravedere una possibilità di giungere all’unità nazionale, anche senza rinnovamento religioso, anche senza democrazia, egli trova nella sua fede indistruttibile la forza di non esser più intransigente; e persuaso che l’avvenire realizzerà intero il suo programma, egli concentra tutte le forze verso la conquista dell’unità d’Italia, con Roma capitale.
    Assai a torto si è rimproverato a Mazzini d’avere nel 1848 seguito la processione a Milano, d’avere, essendo triunviro della repubblica romana nel ’48, accettato il cattolicesimo come religione di Stato, e di aver voluto in certe occasioni che fosse rispettato. Fu in grazia del sacrifizio momentaneo che egli fece del suo ideale anticattolico, ch’egli mantenne l’accordo di tutti e rese possibili gli eroismi della difesa di Roma.
    Nello stesso modo egli lascia in seconda linea l’ideale democratico. «Non sperate, dice egli agli operai, di realizzare, prima di esservi conquistata una patria, la vostra emancipazione da una condizione sociale ingiusta».
    Finalmente la repubblica, ch’egli però crede l’unico mezzo per arrivare all’unità, è da lui sacrificata quando crede di poter ottenere questa unità coll’aiuto di un principe. «Noi siamo prima di tutto unitari», dice egli.
    Ma anche quando sacrifica all’unità politica, che è il minimum delle sue esigenze attuali, tutte le altre parti del suo programma, Mazzini ha sempre cura di riservarsi la più completa libertà d’azione per l’avvenire. L’unità d’Italia è il primo passo; dopo di quello gli altri verranno.
    Ma i discepoli e i semplici militanti del partito che, molto spesso non conoscevano neppure il sistema generale del capo, non erano intransigenti a quel punto; non erano repubblicani che per disperazione.
    E appena la monarchia di Savoia fece adesione al programma nazionale, un disgregamento completo si produsse nell’organizzazione mazziniana: la maggioranza dimenticò il programma repubblicano e accettò la monarchia.
    «Volendo dieci, abbiamo prodotto due» così Mazzini ha valutato una volta gli effetti della sua opera.
    Questo due è stato l’unità politica d’Italia a produrre la quale hanno contribuito certo altre forze estranee al pensiero e all’azione del Mazzini. Ma nessuno potrà mai negare che fra queste forze si trova in primissima linea quella che si è sprigionata dalla personalità del Mazzini.
    Il quale ha voluto l’unità d’Italia con animo ostinato, quando i più la reputavano puerilità, sogno di scolaretti.
    E l’ha predicata con pertinacia non mai rallentata, attraverso agli scherni, le delusioni, le sconfitte. Ed ha comunicato la propria fede agli altri, non con altro mezzo, se non con essere tanto più incrollabile quanto più i fatti sembravano dargli torto.
    Ed ha ostacolato ogni altra soluzione del problema nazionale, persistendo disperato nella propria idea, anche nelle ore in cui ogni cosa sembrava consigliare desideri più pratici e più limitati. Così egli ha popolarizzata in Italia l’idea dell’unità politica.
    Ha creata quella preparazione psicologica donde scaturirono nel 1859 le annessioni dell’Italia centrale, nel 1860 la meravigliosa spedizione dei Mille, nel 1862 e 1867 Aspromonte e Mentana; donde è scaturita in una parola l’unità d’Italia.
    E spetta bene al Mazzini di avere alimentata lui, nella storia d’Italia, con la teoria dell’unità, un’idea-forza, della quale tutte le altre han dovuto, attraverso alle multiformi e miracolose vicende della nostra formazione nazionale, diventare subordinate e tributarie.

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    Predefinito Re: Quattro lezioni di Salvemini su Mazzini (1910)

    IV. – 16 maggio. – Il mazzinianismo sociale

    Mentre in Italia, paese economicamente e politicamente arretrato, si dibatteva il problema della formazione nazionale, fuori d’Italia, in Francia soprattutto, ardevano le prime lotte di classe, e i germi delle teorie socialista lasciati dalla filosofia umanitaria del XVIII secolo si sviluppavano potentemente.
    In Italia, a dispetto della polizia e della censura, delle idee comuniste e socialiste circolarono egualmente, fra il 1814 e il 1870. I documenti di quel tempo conservano numerose tracce di questa propaganda.
    A questa propaganda si oppose a lungo, energica e vittoriosa, la propaganda mazziniana.
    Le idee mazziniane, certamente, non contraddicono l’insieme di quelle concezioni economiche, sociali, morali che noi conosciamo sotto il nome di socialismo. Le due teorie hanno in comune l’affermazione che la classe operaia è il principale elemento nuovo della storia; che i lavoratori hanno interessi specifici da difendere, per mezzo di un’organizzazione politica e professionale autonoma.
    E quando si confrontano le idee che hanno avuto Pellico, Carcano, Cantù e altri scrittori della scuola moderata sulla questione sociale, con le idee di Mazzini, non si può che constatare quanto l’ispirazione del mazzinianismo sia la stessa di quella del socialismo. Anche la critica fatta da Mazzini del diritto di proprietà è nettamente socialista, derivante d’altronde dal Simonismo. Dicendo che la proprietà è il frutto del lavoro compiuto da altri, - che la classe capitalista resta libera di concedere e di rifiutare il lavoro, mentre la classe operaia non può aspettare, deve per forza accettare le condizioni che le son fatte; - che perciò il salario è determinato dal rapporto fra la popolazione operaia e il capitale; che la popolazione tende ad aumentare più rapidamente di quello che aumenti il capitale; - che date queste condizioni, il salario tende a diminuire mentre il profitto del capitale aumenta, Mazzini afferma delle teorie che si ritrovano sviluppate in Marx e Lasalle e in tutte le opere socialiste. Egli vuole che la proprietà sia il frutto del lavoro -: «il segno visibile della nostra parte nelle trasformazioni del mondo esterno». E perciò respinge il comunismo, sia sotto la forma che assegna a tutti gli individui una parte eguale su tutti i prodotti del lavoro comune, sia sotto la forma che assegna ad ognuno la parte corrispondente ai suoi bisogni. Egli respinge pure la teoria che darebbe al governo la proprietà e l’amministrazione delle ferrovie e di alcune altre grandi imprese nazionali.

    ***

    Il suolo e i capitali devono essere posseduti da libere associazioni, aventi per base la indivisibilità e la perpetuità della ricchezza comune – queste associazioni di produttori-consumatori, dopo aver assicurato a tutti i soci una retribuzione rispondente alle prime necessità della vita, ripartiranno gli utili a seconda della quantità e della qualità del lavoro di ciascuno. È del socialismo corporalista e federalista, quale sembra sia voluto dai sindacalisti d’oggi.
    Eppure la vita di Mazzini è stata specialmente negli ultimi vent’anni una battaglia continua contro il socialismo. Per Mazzini il centro di ogni pensiero era la lotta nazionale per la unificazione d’Italia. Egli arriva bensì ad ammettere che in un avvenire lontano la patria possa sparire nell’umanità; ma per il momento l’idea patriottica predomina su tutte: essa è la missione fondamentale del secolo XIX. I socialisti, invece, di qualunque scuola, consideravano come problema attuale il problema sociale e trascuravano i problemi nazionali. Il mazzinianismo è una teoria religiosa e morale. Il socialismo è una teoria economica e politica. Il mazzinianismo presuppone la filosofia della libertà e la morale del dovere; il socialismo nasce dalla filosofia della necessità e dalla morale dell’utilità.
    Finalmente, il socialismo, dopo il 1848, specialmente sotto la influenza di Marx e di Blanqui ha adottato il metodo della lotta di classe. Per il Mazzini invece il metodo del progresso è l’associazione; e la lotta di classe è il più grave dei delitti sociali.
    Mentre sul terreno politico Mazzini predica continuamente l’insurrezione e non rifugge neanche dal regicidio, sul terreno sociale egli condanna ogni pensiero di ribellione e vorrebbe non vedere adoprata neanche la parola democrazia, perché in essa è contenuta un’idea di ribellione contraria a quel pensiero di associazione che è la via dell’epoca.
    La emancipazione delle classi inferiori deve avvenire per gli sforzi concordi di esse e delle classi superiori. Il capitale delle associazioni libere deve essere costituito dallo stato.
    Queste teorie del Mazzini servirono ad immunizzare contro la propaganda socialista fra il 1830 e il 1870, e specialmente dopo il 1848, la gioventù studiosa, la piccola borghesia professionista, e i primi nuclei proletari, che si affacciavano alla coscienza politica.
    La predicazione antisocialista, fatta esclusivamente da uomini aderenti ai partiti conservatori, sarebbe apparsa sospetta ai giovani e agli operai. Venendo invece da un uomo che tutti erano avvezzi a considerare come il più grande rivoluzionario del secolo, riuscì più facilmente a sottrarre molte forze al movimento socialista, raccogliendole intorno a un programma che, pur proclamando la gravità e l’urgenza del problema sociale, affermava che anche più urgente era il problema nazionale e che tutte le classi dovevano unirsi per risolverlo. Così la propaganda antisocialista ma democratica e rivoluzionaria del Mazzini facilitò quella che era la maggior necessità della vita pubblica italiana, la concordia di tutti gli uomini d’azione contro i nemici interni ed esterni, per la conquista dell’unità.
    Risoluto il problema nazionale, il problema sociale rimaneva naturalmente in prima linea. Ben presto il mazzinianismo si manifestò incapace a servire come teoria del proletariato che si organizzava economicamente e politicamente sotto la protezione degli interessi di classe. Così avvenne che mentre i sopravvenenti delle classi medie, soddisfatti dell’unità, aderivano dopo il 1870 alla monarchia, i nuovi venuti delle classi inferiori adottavano i principî del socialismo.
    La missione del mazzinianismo era compiuta.

    Gaetano Salvemini
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

 

 

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