Gaetano Salvemni (Molfetta, Bari, 1873 - Sorrento, Napoli, 1957)
di Alessandro Galante Garrone – In «Nuova Antologia», fasc. 2133, gennaio-marzo 1980, Le Monnier, Firenze, pp. 78-101.
Si riproduce qui il testo della lettura tenuta il 17 dicembre 1979, in forma qua e là abbreviata, da Alessandro Galante Garrone su Salvemini e il Risorgimento, al gabinetto Vieusseux di Firenze, nel quadro di un ciclo promosso dalla società toscana per la storia del Risorgimento presieduta da Giovanni Spadolini. Fu Spadolini a rivolgere in quell’occasione un affettuoso saluto al collega ed amico Galante Garrone.
Queste pagine sono dedicate a un Salvemini in parte ancora sconosciuto. Ma prima vorrei sostare sul suo incontro con la storia del Risorgimento.
A quando risale questo primo incontro? Da qualcuno si è parlato di un suo precoce e istintivo «mazzinianesimo» fin dalla sua adolescenza a Molfetta. Non è così. C’era allora, in quel bollente ragazzo pugliese, solo un indistinto sentimento di protesta. Dirà in una lettera (inedita) del 1919 allo storico Ettore Rota:
«Arrivai a Firenze, nel settembre 1890, che ero imbrianista. L’imbrianismo fu la politica dei nove decimi dei pugliesi, rovinati dalla rottura del trattato di commercio colla Francia, dal 1887 al 1900, finché Imbriani non si ammalò e le miserie del periodo terribile 1887-1893 non cominciarono ad essere dimenticate. Era uno stato d’animo di protesta irritata contro il governo e la fame. Imbriani urlava alla Camera, e noi eravamo tutti imbrianisti. In quel furore di protesta non si inseriva nessuna idea politica determinata. Siccome Imbriani era repubblicano, avremmo fatto la repubblica anche noi, ma in fondo non eravamo ostili a re Umberto e ci sarebbe dispiaciuto dargli del dispiacere. Siccome Imbriani parlava di Trento e Trieste, noi eravamo irredentisti: ma dove fossero Trento e Trieste, non sapevamo. Eravamo, contro la Triplice, sì, violentemente, perché Crispi era l’uomo della Triplice e ci aveva rovinati colla rottura del trattato di commercio, e Imbriani era contro Crispi e contro la Triplice. Ma che cosa fosse la Triplice, giuro che non lo sapevo. Con queste idee arrivai a Firenze a diciassette anni. Non avevo mai letto un giornale […]. A Firenze cominciai a leggere i giornali. E diventai cavallottiano durante le elezioni del 1890. E da cavallottiano diventai socialista nel 1893».
In questo suo trapasso da Imbriani a Cavallotti, e da Cavallotti a Marx, non c’era posto per Mazzini, Cavour, Garibaldi. I «padri della patria» erano per lui, allora, soltanto dei nomi, delle figure scolastiche, retoriche, sfuocate.
A Firenze era diventato socialista, entusiasta di alcuni scritti di Marx. Ma, come è noto, alla base di questa sua conversione al socialismo non c’erano grandi approfondimenti teorici. Il suo era un marxismo grezzo, primitivo. Alla radice di queste sue prime scelte politiche, ideologiche, c’era soprattutto la passione di un giovane offeso dalle sofferenze e dalle ingiustizie della sua piccola patria.
Come ha detto bene Ernesta Sestan, fu probabilmente questo sentimento stesso a indirizzarlo subito verso la storia, al fiorentino Istituto di Studi superiori, che annoverava in quel campo illustri maestri, come Pasquale Villari. E lo stesso Sestan ci ha spiegato, in bellissime pagine, perché Salvemini scelse subito la storia medievale; e come nei suoi primi scritti medievistici, fino ai Magnati e popolani del 1899, fossero palesi le tracce della sua ardente fede di neofita del marxismo. L’idea marxiana della lotta delle classi era diventata un robusto canone di interpretazione storica.
Ma la passione politica doveva indurre questo giovane – già così splendidamente avviato nel campo della storia – ad affrontare momenti e problemi più vicini a lui nel tempo, a rispondere anche da storico (sono sue parole di quegli anni) a «una gran quantità di questioni sociali o morali scottanti ai nostri giorni». Nella già citata lettera a Rota, egli farà risalire questo inizio di svolta al 1899:
«Di Mazzini cominciai ad occuparmi a Lodi, nell’inverno del 1899. Avevo finito il lavoro su Magnati e popolani. Non sapevo niente di storia del risorgimento, salvo quel che avevo letto in qualche libro di testo. Un po’ la vergogna di non saper niente, un po’ il desiderio di riposarmi qualche mese dai Magnati, un po’ la curiosità di vedere se i fenomeni di classe della storia fiorentina si presentavano anche nella storia italiana del secolo XIX, mi indussero a cominciare le letture. A Lodi la biblioteca comunale è ricca specie di storia lombarda del Risorgimento. Allora conobbi Mazzini, Cattaneo, Ferrari. Fu una rivelazione. Eravamo nel 1899. Lotta contro i sonniniani per le legge eccezionali. Eravamo, allora, tutti repubblicani, contro Umberto, la cui opera era personalmente rovinosa. Diventai federalista».
(...)