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    Predefinito G.K. Chesterton (1874-1936)

    G. K. Chesterton - La vita 1 - L'infanzia
    Autore: Platania, Marzia Curatore: Leonardi, Enrico
    Fonte: CulturaCattolica.it
    Biografia di uno dei più straordinari scrittori del Novecento.

    Gilbert Keith Chesterton nacque a Kensington, un quartiere di Londra, il 29 maggio 1874.
    Il padre, Edward, si era ritirato per motivi di salute dalla ditta di famiglia, un'agenzia immobiliare, e poté così dedicarsi pienamente ai propri tre figli (la maggiore, Beatrice, morì a soli otto anni). L'infanzia di Chesterton fu particolarmente serena anche grazie a questa presenza paterna. Dotato di un pacato senso dell'umorismo, dilettante felice, il padre coltivava innumerevoli passatempi:
    La sua versatilità, in tutte queste cose era sorprendente. La sua spelonca, o studio, era tutta tappezzata con alte stratificazioni di dieci o dodici giochi d'invenzione: pittura ad acquerello, e modellatura, e fotografia, e vetri dipinti, ed intaglio, e lanterne magiche e miniatura medioevale. (GKC, Autobiografia, pag. 43)
    Fra le meraviglie dello studio paterno fu il teatrino giocattolo quella che più entusiasmò il giovane Gilbert.
    Nella mia famiglia non si trattava di un passatempo, ma di cento passatempi, ammucchiati uno sull'altro. Per un accidente personale o forse per un gusto personale, il passatempo del teatrino è quello che si è attaccato alla mia memoria per tutta la vita. (GKC, Autobiografia, pag. 46). L'immagine del principe con la chiave, personaggio del teatrino paterno, è posta all'inizio dell’autobiografia di Chesterton come primo ricordo infantile e ritorna alla fine della stessa, come immagine del successore di Pietro, a segnare il definitivo approdo al cattolicesimo. La fine si ricollega così idealmente all'inizio. Per Chesterton infatti la sua compiuta filosofia non fu che l'esplicitarsi di una posizione originale, un chiarificarsi sotto l'urto degli avvenimenti e un venire alla luce di quanto già c'era; per questo chiamerà la sua filosofia "la filosofia del giardino delle fate", affermando di averla imparata fin da fanciullo sulle ginocchia della nutrice.
    Dalla madre Marie Louise Grosjean, di ascendenza in parte elvetica e in parte scozzese (dal cognome di questo ramo materno scozzese Chesterton prese il suo secondo nome, Keith) egli ereditò piuttosto l'intelligenza che il carattere, che era in lei deciso e quasi autoritario. Entrambi liberali, i genitori di Chesterton propendevano dal punto di vista religioso per un vago Unitarianesimo. I figli furono battezzati nella Chiesa Anglicana. Chesterton ebbe a dire nella sua autobiografia
    Lo sfondo generale di tutta la mia giovinezza era agnostico. I miei genitori erano quasi un’eccezione, perché, in mezzo a persone tanto intelligenti, credevano in un Dio personale e nell'immortalità personale. [...]Non propriamente la nostra generazione, ma molto di più la generazione precedente, era stata agnostica alla maniera di Huxley. [...] Il socialismo secondo lo stile di Bernard Shaw e dei Fabiani era una cosa che sorgeva. Ma l'agnosticismo era una cosa stabilita [...] V'era una uniformità di miscredenza, simile alla richiesta elisabettiana per l'uniformità di fede: non fra le persone eccentriche, ma semplicemente fra le persone istruite. (GKC, Autobiografia, pagg. 145-146)
    E concludeva
    Lo sfondo di tutto quel mondo, non era mero ateismo, ma ortodossia atea, e persino rispettabilità atea. (GKC, Autobiografia, pag. 147)
    Facevano eccezione a questo clima, come abbiamo visto, i suoi genitori: scettici nei confronti del sovrannaturale aderirono al culto unitariano, i cui capisaldi erano la credenza nella paternità di Dio, la fratellanza degli uomini, la non eternità del male e la salvezza finale delle anime. Cecil Chesterton descriverà la loro fede come una "vaga ma nobile teo-filantropia". Questo dato biografico è interessante in quanto sottolinea l'originalità del percorso filosofico del nostro autore, il suo pervenire alla religione per una via eminentemente logica, tanto più che ben poco della tradizione religiosa era a lui pervenuto attraverso l’educazione ricevuta
    Il membro della famiglia che più influenzò Chesterton fu, alquanto sorprendentemente l’appena citato Cecil, suo fratello, più giovane di cinque anni. Si raccontava in famiglia che Chesterton, il quale fin da piccolo amava recitare versi, all'annuncio di avere un fratello esclamò: "Ottimamente. Ora avrò sempre un pubblico ad ascoltarmi".
    Chesterton stesso, riportando l'aneddoto nella sua autobiografia, così commenta:
    Se ho parlato veramente così, mi sono sbagliato. Mio fratello non era punto disposto ad essere un semplice ascoltatore, e molte volte forzò me a fare la parte del pubblico. Più spesso ancora, forse, si diede il caso che ci fossero simultaneamente due oratori, senza pubblico. Discutemmo durante tutta la nostra adolescenza e giovinezza, fino a diventare la disperazione di tutti coloro con cui, socialmente, avevamo contatto. Gridavamo l'uno contro l'altro, attraverso la tavola, intorno a Parnell o al puritanesimo o alla testa di Carlo I, finché coloro che ci erano più vicini e più cari, scappavano al nostro avvicinarsi, e intorno a noi si faceva il deserto. [...] Sono piuttosto contento di avere discusso esaurientemente le nostre opinioni, su quasi tutti i problemi del mondo. Sono felice di pensare che, in tutti quegli anni, non abbiamo mai smesso di discutere, e mai, neppure una volta, abbiamo litigato. (GKC, Autobiografia, pagg. 198-199)
    Fu alla scuola di questo ininterrotto contraddittorio che Chesterton mise alla prova il rigore del suo pensiero, la solidità delle sue convinzioni, la forza dei suoi argomenti
    Ad ogni modo la nostra discussione non veniva interrotta se non quando cominciava a raggiungere debitamente la sua conclusione, che è la convinzione. [...]Penso sia stato un bene, per noi, mettere alla prova ogni anello della logica, martellandoci a vicenda. (GKC, Autobiografia, pag. 199). Cecil, dotato di temperamento più impetuoso e di una indomabile esigenza di chiarezza intellettuale, agì sul fratello Gilbert, sottolinea Yves Denis con un' immagine assai calzante, come un catalizzatore mettendo in moto una ricerca che doveva portarlo per un percorso di maturazione personale a condividere lo stesso approdo.(Y. Denis, Paradoxe et catholicisme. Etude sur la pensée de G. K. Chesterton, Université de Toulose le mirail, 1974, pag. 16).
    Anche dal punto di vista biografico, le vicende di Cecil furono fondamentali nella vita del fratello maggiore. Fu Cecil, approdato per primo al cattolicesimo, ad insinuare nella cerchia di amici di Chesterton personalità cattoliche che furono protagonisti nelle vicende della sua conversione, a partire da quel Padre O'Connor che fornì il primo spunto per il suo personaggio più intramontabile e famoso, Padre Brown. Fu il più combattivo Cecil, con il giornale da lui fondato "The Eye-Witness“ ad aprire definitivamente gli occhi del fratello sulla corruzione del potere politico, a proposito del caso Marconi soprattutto, che Chesterton considerava avvenimento più significativo della Grande Guerra stessa, meritevole più di quella di essere considerato uno spartiacque storico. Fu infine la triste realtà della sua morte durante la I guerra mondiale, sul fronte francese, a lasciare sulle spalle del fratello la direzione del giornale. Dovere che Chesterton, per l'ammirazione e l'affetto che lo legavano al fratello, non riuscì a risolversi a rifiutare e che molti, per prima sua moglie stessa giudicarono un peso troppo grande per lui. Il giornale ebbe infatti vita difficile, e rappresentò un drenaggio non solo di tempo e di energie, ma anche di denaro, correndo più volte il rischio della bancarotta. D'altra parte esso rappresentava anche per Chesterton un luogo dove esprimere in piena libertà le sue idee paradossali.
    Accontentiamoci però qui di dire che il fratello Cecil fu nei primi anni di vita di Gilbert il pubblico, l'avversario e lo specchio grazie al quale egli affinò le sue capacità.

    Link: CulturaCattolica.it - G. K. Chesterton: la vita, le opere, i personaggi

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    G. K. Chesterton – La vita 2 – Gli studi e la crisi
    Autore: Platania, Marzia Curatore: Leonardi, Enrico
    Fonte: CulturaCattolica.it

    La media borghesia inglese di fine Ottocento aveva le sue idiosincrasie, e di queste la più virulenta era l'importanza data alla corretta pronuncia e alla corretta ortografia, vere discriminanti che ai suoi occhi la distinguevano dalle classi inferiori. Di questo ebbe a profittare Chesterton:
    “Grazie a questa preoccupazione, mio padre conosceva a perfezione tutta la letteratura inglese, e gran parte di essa entrò nella mia memoria, molto prima di entrare nel mio intelletto”. (GKC, Autobiografia, pag.18)
    Letteratura e arte furono sempre i campi in cui più viva si manifestava la sua competenza. Dare un resoconto delle sue letture è però impresa ardua. Destò sempre meraviglia, in tutti quelli che lo conobbero, la sua straordinaria velocità di lettura e la sua prodigiosa memoria riguardo a ciò che leggeva. Sembrava avesse dedicato ad un testo solo una fugace attenzione e una scorsa veloce e si rivelava poi capace di citarlo a memoria, quando non giungeva a vederci qualcosa che nessun altro sarebbe stato capace di scorgervi. Aveva infatti anche questa dote singolare, che si potrebbe chiamare intuizione, per la quale egli coglieva con straordinaria esattezza il nocciolo di una opera o di una questione. Doti tanto più sorprendenti in lui, dal momento che per quanto riguardava la vita pratica, la sua smemoratezza e distrazione sarebbero ben presto divenute proverbiali. (Chesterton non smentì mai l'aneddoto secondo il quale egli avrebbe telegrafato alla moglie: "Sono a Market Haborough. Dove avrei dovuto essere?". La risposta della moglie fu un laconico: "A casa"). Malgrado le sue indubbie doti il suo esordio scolastico non brillò di eccessivo splendore, a causa soprattutto di quella che passava per distrazione ma era invece il suo contrario: Chesterton sembrava assente agli occhi di chi l'osservava, professori compresi, perché era tutto presente a sé stesso: era assorto nelle sue riflessioni o nell'immaginazione creatrice. Frequentò la St. Paul School da esterno, continuando a risiedere in famiglia. Fu notato dai suoi professori e soprattutto dal preside Walker solo verso la fine del suo corso di studi, grazie ai suoi contributi alla rivista dello Junior Debating Club, da lui fondato e presieduto. Si trattava di una libera aggregazioni di studenti che si riunivano a casa ora dell'uno, ora dell'altro, per discutere un argomento di carattere letterario. Chesterton vinse anche, con un componimento su S. Francesco Saverio, il premio Milton per la poesia, e finì così in gloria quel periodo che nella sua autobiografia, in un capitolo intitolato "Come essere un asino", definisce
    “Periodo durante il quale venivo istruito da qualcuno che non conoscevo, intorno a qualcosa che non desideravo conoscere”.
    Diverse strade si aprivano ora al giovane Chesterton. Tra i suoi molti talenti scelse il disegno e si iscrisse alla Slade School of Art. Dopo un infanzia particolarmente serena e felice, giunse la nemesi, sotto forma di un periodo di profonda crisi morale ed intellettuale che occupò tutto il periodo speso alla scuola d'arte. Dal punto di vista morale Chesterton era dominato da un intenso impulso di immaginazioni morbose, che si sostanziavano tra l'altro in disegni, di demoni o altro, tanto cupi che due suoi amici sfogliando il suo quaderno si chiesero preoccupati se non stesse diventando pazzo. Questa crisi, durante la quale Chesterton si immischiò anche in pratiche di spiritismo, lo lasciò per sempre persuaso della esistenza oggettiva del peccato e del diavolo. Da notare anche il giudizio che Borges diede su Chesterton, secondo il quale c'era in lui una vena di Poe, un'attrazione per il grottesco ed il macabro, solo a stento tenute a bada dalla lucidità del pensiero e dalla forza della fede (J. L. Borges, Altre Inquisizioni, Feltrinelli, pag 90: "Tali esempi, che sarebbe facile moltiplicare, provano che Chesterton si impedì di essere Edgar Allan Poe o Franz Kafka, ma che qualcosa nella creta del suo io inclinava all'incubo, qualcosa di segreto, e cieco e centrale.[...] Soltanto la "ragione" alla quale Chesterton sottomise la sua immaginazione non era precisamente la ragione, ma la fede cattolica.") Dal punto di vista intellettuale invece la crisi si manifestò come uno scetticismo cosi profondo da cadere nel solipsismo.
    “Un dubbio metafisico mi faceva sentire come se tutto fosse un sogno. [...] Tuttavia non ero pazzo, nel significato medico o fisico della parola, semplicemente spingevo lontano, fin dove voleva andare, lo scetticismo del mio tempo. E mi accorsi subito che voleva andare un bel po’ più in là di quanto andasse la maggior parte degli scettici. Quando gli atei sciocchi mi dicevano che non v’era nulla all'infuori della materia, io li ascoltavo con una specie di orrore calmo e superiore e con il sospetto che non ci fosse nulla all'infuori della mente. [...]. L'ateo mi diceva, pomposamente, che non credeva nell'esistenza di Dio, e v'erano momenti nei quali io non credevo neppure nell'esistenza dell'ateo". (GKC, Autobiografia, pag. 92).
    Il mondo che aveva attorno non lo aiutava certo ad uscire da quel "cieco suicidio spirituale". L'opinione pubblica e la temperie filosofica del tempo erano dominate dallo scetticismo, dal materialismo, dall'evoluzionismo, che non offrivano appigli ai suoi sforzi. Il mondo dell'arte che egli frequentava alla Slade School of Art era dominato dall'Impressionismo, e Chesterton leggeva anche l'Impressionismo come scetticismo.
    “Esso illustrava lo scetticismo nel senso di soggettivismo. Era suo principio che, se tutto quel che si poteva vedere di una mucca era una linea bianca e un’ombra porporina, si doveva riprodurre soltanto la linea e l'ombra: in un certo senso, si doveva credere soltanto nella linea e nell'ombra, piuttosto che nella mucca. [...] Quali che possano essere i meriti di quella maniera d'arte, è chiaro che come maniera di pensiero essa ha qualche cosa di altamente soggettivo e scettico. Si presta naturalmente all'insinuazione che le cose esistono solo come noi le percepiamo, o che le cose non esistono del tutto”. (GKC, Autobiografia, pag. 91).
    Pochi spunti si offrivano al giovane Chesterton per reagire contro questa sua crisi insieme esistenziale e filosofica: il primo fu l'amicizia che, come sottolinea Maisie Ward nella sua biografia, (M. Ward, G. K. Chesterton, Londra, 1945, pag. 16 e seguenti) Chesterton concepisce in questo frangente come una unione quasi mistica, che pone fra le più eccelse realtà della vita. Un secondo fattore fu la scoperta della poesia di W. Withman e il conforto di quei pochi altri autori di moda che non erano pessimisti, come Browning e Stevenson. La lettura di Withman folgorò Gilbert a tal punto che per un certo periodo i suoi scritti furono di puro stile withmaniano e rifletterono le tesi di questi, rifiutando la credenza nella positiva esistenza del male e abbracciando il suo entusiastico ottimismo. Tuttavia questo non poteva bastargli: l'ultima citazione mette in rilievo una caratteristica precipua di Chesterton. Egli non può fare a meno di riferire ogni cosa alla filosofia, alla concezione dell'uomo che essa sottende, alla visione del mondo che presuppone. Questa incapacità di separare il piano della vita concreta da quello della riflessione filosofica fu la grande forza di Chesterton. Per lui il pensiero informa l'azione e l'azione verifica la teoria. Per questo egli lottò per uscire dallo scetticismo che l'avviluppava: perché era una dottrina realmente e oggettivamente insostenibile, nel senso letterale che la vita non poteva reggere una simile posizione senza finire nella disperazione e nel suicidio. Ciò che egli poteva trarre da Withman era però solo un sentimento della vita opposto a questo, non delle ragioni per preferire l'uno all'altro. Il suo intelletto aveva bisogno di solide ragioni che giustificassero l'ottimismo di Withman, senza le quali non avrebbe potuto farlo proprio. Questa esigenza di chiarezza intellettuale fu il terzo e decisivo fattore che lo condusse fuori della crisi. La realtà positiva della amicizia e la diversa temperie spirituale riscontrabile in Withman, Browning e Stevenson non furono quindi che l'esile appiglio esterno che diede modo di esplicitarsi ad un movimento che era eminentemente interiore. Egli usava le parole di Withman per esprimere qualcosa che sentiva urgere dentro di sé, e che si ribellava violentemente allo scetticismo nell'attimo stesso in cui Chesterton era pienamente convinto, in tutta sincerità, che ciò che lo scetticismo proclamava fosse vero. A salvare Chesterton dal baratro del solipsismo fu l'estrema serietà con cui egli considerava sé stesso dal punto di vista filosofico, serietà grande almeno quanto la scherzosità con cui trattava la propria persona sotto altri riguardi. Egli scelse di andare a fondo di questa rivolta, di ascoltare ciò che essa suggeriva, di rintracciarne l'origine e la consistenza, di seguirne i risvolti e le implicazioni, fino ad elaborare una filosofia fondata su queste basi ed aggredire con l'arma da lui forgiata lo scetticismo che l'opprimeva. L'infelicità di questo periodo lo costrinse a prendere sul serio e a indagare su cosa poggiasse il desiderio di felicità dell'uomo e a elaborare quindi una teoria che rendesse conto e difendesse la possibilità per l'uomo, per ogni uomo di essere felice. Non semplicemente felice ma ragionevolmente e quindi solidamente felice.

    Link: CulturaCattolica.it - G. K. Chesterton: la vita, le opere, i personaggi

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    G. K. Chesterton – La vita 3 – Il matrimonio
    Autore: Platania, Marzia Curatore: Leonardi, Enrico
    Fonte: CulturaCattolica.it

    Dalle esigenze di felicità del cuore umano, dalle evidenze originarie della ragione nacque il suo sistema, una filosofia personale costruita pezzo dopo pezzo, che alla fine del suo itinerario Chesterton riconobbe essere semplicemente il cattolicesimo, l'ortodossia.
    “Sono io che ho scoperto con inaudito coraggio quel che era stato scoperto prima [...] Come tutti i ragazzi che si rispettino, ho voluto essere in anticipo sulla mia età. Come loro, ho voluto essere qualche decina di minuti in anticipo sulla verità. La conclusione è stata, che mi sono trovato in ritardo di diciotto secoli. Ho fatto uno sforzo per esagerare giovanilmente la voce dell'annunzio delle mie verità; e sono stato punito, come meritavo, nel modo più comico: le mie verità le ho conservate; sennonché ho scoperto, non che esse non erano verità, ma semplicemente che non erano mie. [...] Ho tentato di fondare di mia testa un'eresia; e quando stavo per dargli gli ultimi tocchi, ho capito che non era altro che l'ortodossia”. (GKC, Ortodossia, pagg. 17 e 18).
    Abbiamo anticipato così il termine della sua vicenda; il suo percorso non sarà che una chiarificazione continua della posizione originaria fino alla trasparenza totale emblematicamente riassunta come dicevamo nella figura del principe con la chiave che apre e conclude la sua autobiografia. E' un percorso che occuperà tutta la sua vita, ma per il tempo in cui, lasciata la scuola d'arte, Chesterton si apprestava a tuffarsi nel mondo della carta stampata egli sentiva già in sé “una nuova e focosa risoluzione di scrivere contro i decadenti ed i pessimisti che dettavano legge nella cultura di quel tempo”. (GKC, Autobiografia, pag. 95).
    Quattro sono gli eventi che segnano la vita adulta di Chesterton: il matrimonio, il caso Marconi, la Grande Guerra e la conversione.
    Innanzitutto lasciata la scuola d’arte nel l895 egli trovò impiego presso una casa editrice, e cominciò a frequentare alcuni circoli di discussione nei quali metteva in gioco i primi abbozzi delle sue idee, le stesse che confluivano negli articoli e romanzi che di sera scriveva. In uno di questi circoli di discussione, che si trovava a Bedford Park, nell'autunno del l896, conobbe la sua futura moglie, Francis Blogg. L'influenza di Francis fu fondamentale nell'esistenza di Chesterton. Fu infatti lei, anglo-cattolica fervente, a mettere in contatto Chesterton con una religione che non era soltanto professata, ma vissuta.
    “D’altra parte aveva una specie di appetito ingordo per tutto ciò che dava frutto, come i campi ed i giardini [...]. Secondo quel medesimo principio perverso, praticava di fatto una religione. Cosa assolutamente inesplicabile, sia per me, sia per tutta la rumorosa cultura in mezzo alla quale essa viveva. Moltissime persone parlavano di religioni, specialmente di religioni orientali, le analizzavano e ne discutevano, ma che si potesse considerare la religione come cosa pratica, simile alla coltivazione di un giardino, era per me cosa del tutto nuova e per i suoi vicini nuova ed incomprensibile. [... ] Per tutto quel mondo agnostico o mistico praticare una religione era cosa più difficile a capirsi che professarla”. (GKC, Autobiografia, pagg. 154-155).
    Essa fu un costante punto di riferimento per tutta la sua esistenza, anche secondo un altro aspetto: egli era del tutto incapace di occuparsi di sé stesso dal punto di vista pratico, la sua mente era sempre troppo assorta dai suoi pensieri. Era perciò Francis ad occuparsi di tutto: senza di lei Chesterton era letteralmente perso. Fu essa a farsi carico di tutta l'organizzazione della vita del marito, a partire dall'aspetto esteriore, fino alla gestione della sua vita professionale: ogni accordo che non la avesse come testimone sarebbe stato inevitabilmente dimenticato dallo svagato genio che aveva sposato. Faceva tutto ciò lietamente, orgogliosamente consapevole di contribuire a che il marito potesse dedicare le sue energie unicamente al lavoro intellettuale, che gli era più congeniale, piuttosto che ai noiosi dettagli di quale treno prendere e di che vestiti indossare. Malgrado l'assenza di bambini, che entrambi desideravano ed amavano molto, il loro fu un matrimonio singolarmente felice; ancora in vecchiaia a lei Chesterton dedicava poesie e i suoi capelli sfumati di rosso torneranno, in un delicato e discretissimo omaggio, in tutti i personaggi femminili dei suoi romanzi.
    Già prima del matrimonio, avvenuto nel l90l, Chesterton aveva iniziato a pubblicare alcune poesie e recensioni. Durante la guerra Anglo-Boera egli scoprì di trovarsi non solo nella minoranza di quelli che erano contrari alla guerra, ma in quella minoranza nella minoranza che era contraria alla guerra non per un generico pacifismo ma per un preciso giudizio su quella guerra in particolare. In generale egli rifiutava l'identificazione della guerra col male tout court perché avvertiva oscuramente che c'è nella lotta qualcosa di positivo. Questa sorta di esigenza di drammaticità sarà un'altra delle linee guida del suo pensiero. Tuttavia giudicava questa guerra in particolare ingiusta, in quanto si cercava di contrabbandare per patriottismo quello che non era altro che una difesa degli interessi dell'alta finanza, istituzione a suo vedere non particolarmente inglese. La minoranza pro boera del partito liberale (che nella maggioranza era favorevole alla guerra) accolse nel suo giornale i contributi di Chesterton alla causa. A partire da questa controversia la sua fama di giovane e promettente giornalista si andò ampliando finché la sua figura alta e via via più imponente diventò leggendaria in Fleet Street, la via londinese dei giornali, dove entrò a far parte, nel tempo, del folklore locale, fino ad esserne il maggior esponente.

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    G. K. Chesterton – La vita 4 – La polemiche e la conversione
    Autore: Platania, Marzia Curatore: Leonardi, Enrico
    Fonte: CulturaCattolica.it

    Il secondo evento fondamentale della vita di Chesterton fu lo scandalo Marconi che vide coinvolto il fratello Cecil nello scontro con i due fratelli Isaacs.
    Il caso Marconi occupa un intero capitolo della fondamentale biografia di Chesterton scritta da M. Ward; l'autrice stessa, data la complessità del caso, ricorse nella sua stesura all'aiuto del marito avvocato. Noi non ci addentreremo per ovvi motivi nei particolari: basterà dire che nel 1912 vi furono delle compravendite sospette di azioni della ditta Marconi, con la quale il governo britannico aveva appena stipulato un contratto, tra i due fratelli Isaacs, di cui uno era proprietario della azienda, l'altro Ministro. Il giornale di Cecil "The EyeWitness" aveva denunciato lo scandalo con toni molto duri, cadendo nell'eccesso di attacchi personali ed egli venne condannato per calunnia sebbene solo con una multa e non, come tutti temevano, con il carcere. La sua condanna nulla diceva, né poteva dire, sulla innocenza o colpevolezza dei due fratelli ebrei; lo scandalo non ebbe comunque per loro alcuna conseguenza: l'inchiesta parlamentare non trasse mai le sue conclusioni. L'evidente ingiustizia indignò Chesterton. Il caso Marconi fu fondamentale per Chesterton perché segnò la fine dell'illusione liberale, del tempo felice in cui credeva oltre che nel liberalismo anche nei liberali, e fu la riprova della verità del giudizio sulla politica inglese espresso dal suo grande amico Hilaire Belloc nel libro "Lo Stato Servile". Lo scandalo contribuì non poco al progressivo approfondirsi del pessimismo di Chesterton nei riguardi della politica
    In quegli stessi anni la fama di Chesterton gareggiava con quella di George Bernard Shaw. GBS e GKC erano le iniziali che il pubblico era abituato ormai a riconoscere quotidianamente sui giornali da cui, come da un pulpito, i due diffondevano le loro opposte visioni del mondo. Non c'era argomento sul quale essi non polemizzassero; ma è difficile dire quanto il pubblico capisse del loro dibattito. Nonostante la fama e la popolarità della controversia che oppose Shaw e Wells da un lato e Chesterton e Belloc dall'altro, nell'opinione del pubblico essi erano stranamente simili. Difatti uno strano destino li accomunava: tanto più essi ripetevano con sincera convinzione ciò in cui credevano, tanto più gli ascoltatori sembravano convinti che scherzassero; tanto più essi ribadivano le loro incrollabili convinzioni, tanto più venivano accusati di essere dei fabbricatori di paradossi, pronti a sostenere qualsiasi idea purché strana e sorprendente. Chesterton non perdeva comunque occasione per ribadire la visione del mondo che andava elaborando e precisando anche tramite questo continuo confronto polemico: sfornava libri nei più disparati campi, scriveva articoli, disegnava le illustrazioni per i libri di Belloc, teneva conferenze da un capo all'altro dell'isola, arrivando spesso in clamoroso ritardo e a volte non arrivando affatto, perché si era perduto. La sua salute però ne risentiva: il suo corpo riteneva i liquidi ed egli divenne famoso per la sua larga stazza, su cui tra l'altro era il primo a scherzare. Il peso però sovraffaticava tutto il fisico e a ciò si aggiungeva il superlavoro e lo strapazzo. In coincidenza con lo scoppio della prima guerra mondiale il suo fisico crollò. Cadde in un profondo stato di incoscienza e si temette per la sua vita. Nel delirio accennava ad un passo cui aveva già pensato ma che compì effettivamente molti anni più tardi, la conversione al cattolicesimo. Da tempo si era avvicinato sempre più alla Chiesa Cattolica. La sua ortodossia è già chiaramente visibile nella sua opera dallo stesso titolo e benché egli dica nel primo capitolo di riferirsi al cristianesimo in generale, riassunto sufficientemente nel Credo degli Apostoli, senza entrare nella polemica tra cattolici e protestanti, non sono pochi i passi i cui contenuti dottrinali sono riferibili soltanto al cattolicesimo in senso stretto (cfr. Y. Denis, Paradoxe et catholicisme. Etude sur la pensée de G. K. Chesterton, Université de Toulose le mirail, 1974, pag. 43 e pag. 60 e segg.). Superata la crisi tuttavia dovette passare ancora molto tempo prima che il passo meditato e in spirito già pressoché compiuto fosse compiuto anche esteriormente. Ciò che lo tratteneva era in gran parte la sua riluttanza a fare qualsiasi cosa senza sua moglie e il timore di offendere colei che con la sua fede lo aveva condotto fino alle soglie della conversione. La Chiesa Alta non gli sembrava che la copia sbiadita del cattolicesimo, ma temeva che questo giudizio offendesse la fede di Francis. Più tardi ebbe a dire che l'Anglo Cattolicesimo era come un portico: un portico può essere anche molto bello ma non è una casa; il portico è fatto per introdurre alla casa e un portico tutto solo in un campo, senza casa, è decisamente un'assurdità. Tuttavia egli aspettò a lungo la moglie che pure lo seguirà più tardi e il passo decisivo fu compiuto solo nel l922.

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    G. K. Chesterton – La vita 5 – Defensor Fidei
    Autore: Platania, Marzia Curatore: Leonardi, Enrico
    Fonte: CulturaCattolica.it

    La conseguenza più importante del conflitto fu però, come avevamo anticipato, la morte del fratello Cecil. Fu un colpo gravissimo per Chesterton, tanto da muoverlo a scrivere e pubblicare una lettera, indirizzata ad uno dei fratelli Isaacs, dai toni durissimi ed assai insoliti per lui. Tutti quelli che lo conoscevano erano concordi nel riconoscere nella cordialità il suo tratto più caratteristico, e per quanto graffianti fossero le sue satire, esse sempre e quasi istintivamente seguivano la massima cattolica di colpire il peccato e non il peccatore.
    Ci sembra il caso di inserire qui alcune parole su quello che viene definito l’antisemitismo di Chesterton. Molti hanno cercato di lavarlo da questa accusa, un po' semplicisticamente, affermando che era sentire comune ai tempi in cui viveva. Molti hanno cercato di farlo ancora più semplicemente attribuendolo alla nefasta influenza di Hilaire Belloc. In effetti l'amicizia tra i due durava dall'infanzia e la loro collaborazione intellettuale era tale, che Shaw prese a parlare del Chesterbelloc come di un essere unico, un animale favoloso con quattro gambe e quattro braccia, in cui la scalpitante parte anteriore era Belloc, e la restia parte posteriore era Chesterton. E' vero che Chesterton, ferratissimo quando si trattava di letteratura o di arte, nei suoi giudizi storici si lasciava spesso guidare dal più esperto amico, così come nel campo della politica. E' anche vero che se di antisemitismo si trattava, era una sorta di antisemitismo impersonale, poiché nella vita privata egli aveva molti amici ebrei. Personalmente non credo che si trattasse di un odio razzista quanto del congiungersi di due fattori, un giudizio sociologico che era forse in parte un pregiudizio, e un giudizio storico, che si dimostrò orribilmente esatto. Il suo giudizio dal punto di vista sociologico si basava sull'evidenza della diversità tra il popolo ebraico e quello inglese. Diversità priva di connotazione positive o negative; egli non faceva propria nessuna delle teorie che motivavano l'avversione agli ebrei con questa o quella causa storica: riandando ai tempi della scuola in cui si era fatto paladino dei ragazzi ebrei perseguitati dai compagni di scuola, osservava che nessun ragazzino, all'oscuro di storia, economia e sociologia, aveva mai avuto la minima difficoltà a distinguere tra ragazzini inglesi e ragazzini ebrei. Gli ebrei formavano, nel suo giudizio, un corpo riconoscibile all'interno del più vasto organismo nazionale; un corpo che aveva inoltre più affinità con gli altri analoghi, sparsi nelle varie nazioni, di quanto ne avesse con la nazione che abitava. Questa situazione rappresentava un pericolo, non solo o non tanto per la nazione inglese, quanto per gli stessi ebrei.
    In qualsiasi momento questa distinzione, riconosciuta ma non ammessa, poteva sfociare in una aperta persecuzione, questo era il giudizio storico che si rivelò esatto. Se non si voleva la persecuzione occorreva che fosse chiara e ammessa la distinzione e chiari i motivi della convivenza: occorreva una politica di privilegi in Inghilterra, secondo la versione di Belloc; occorreva che gli ebrei avessero una loro nazione, era la soluzione di Chesterton. Non si può negare che le parole di Chesterton fossero a volte pesanti, specie quando il problema della presenza degli ebrei nella società si confondeva con il problema del predominio dell'alta finanza, in cui accadeva che fossero implicati molti ebrei. Ancor più, quando gli ebrei erano rappresentati dai fratelli Isaacs, coi quali fu effettivamente quasi feroce. La questione è complessa, ma certo è paradossale chiamare antisemita un uomo che avvisava del pericolo che di lì a poco, in modo orribile, si sarebbe rovesciato sul popolo ebreo. Chesterton non poté vedere l'enormità della tragedia, morendo nel 1936; ma mentre il mondo sembrava intenzionato a chiudere gli occhi, era l'"antisemita" Chesterton che scriveva
    “Sono agghiacciato dalle atrocità hitleriane. Alle loro spalle non vi è alcun motivo né alcuna logica. Si tratta, con tutta evidenza, dell’espediente di un uomo che dovendo cercare un capro espiatorio, ha trovato con sollievo il più famoso capro espiatorio della storia europea: il popolo ebraico. Sono più che convinto che, adesso, Belloc e io moriremo difendendo l'ultimo ebreo d'Europa”. (M. Finch, G.K Chesterton, Ed. Paoline, Milano, 1990, pag. 361).
    La morte del fratello significò anche per Chesterton assumersi la direzione della rivista, lavoro che lo occuperà per il resto della vita. Dalla costola della rivista di Cecil e poi sua, “The Eye Witness” poi "The New Witness", che diventerà infine, con grande angoscia di Chesterton, "G.K.'s Weekly". nacque la lega distributista, un associazione che vedeva nella redistribuzione delle terre, confiscate dai latifondisti all'epoca delle "Enclosures", la salvezza dall'epoca industriale. Essa cercava di tradurre in pratica i principi della enciclica papale "Rerum Novarum". Tuttavia non c'era accordo tra i suoi membri su quale strada si dovesse seguire e la lega di cui il giornale era divenuto portavoce sembrava esaurirsi in stizzose e inconcludenti contrapposizioni interne, mentre il suo capo, Chesterton, non cessava di occuparsi esclusivamente dell’aspetto teorico, lasciando ai suoi seguaci di stabilire la rotta dal punto di vista pratico. La lega ebbe un certo successo soprattutto negli USA e in Canada, ma non sopravvisse al suo fondatore. Nel frattempo i Chesterton viaggiavano: giri di conferenze li condussero in Canada, due volte negli Stati Uniti, ove Chesterton era popolarissimo, in Irlanda, in Polonia, in Palestina e a Roma. Questi viaggi si traducevano in libri e articoli. Intanto Chesterton andava riflettendo su quel passo a lungo meditato. Per lungo tempo aveva tentato di convincere sua moglie; ma essa che pur lo seguirà nella fede cattolica, aveva i suoi tempi e non poteva certo cambiare fede solo per compiacere il marito. Tuttavia il confronto con lei chiariva a Chesterton i termini della questione ed infine nel 1922 egli compì il grande passo. La sua conversione al cattolicesimo segna tuttavia non tanto un cambiamento, quanto una definitiva sanzione di un processo insensibile che ha portato Chesterton sempre più vicino alla religione del successore di Pietro, tanto che poche differenze si possono trovare nei suoi scritti anteriori o posteriori a tale data. Non fu tuttavia un avvenimento indolore: ma la fase di entusiasmo e di raffreddamento dell'entusiasmo, le gioie e i pericoli che ogni convertito deve affrontare furono avvenimento personalissimo, che ebbe scarso influsso nella sfera del pensiero, nella quale già da tempo Chesterton si trovava in pieno accordo con l'ortodossia cattolica. Gli ultimi anni furono spesi in battaglie politiche e nello snervante sforzo di mantenere in vita il giornale, oltre che nella stesura di opere di più chiaro intento apologetico. Quando si spense il 14 giugno 1936, i giornali inglesi che ne dettero l'annuncio non vollero pubblicare per esteso il telegramma di condoglianze del Santo Padre perché in esso si attribuiva a Chesterton un titolo, quello di Difensore della Fede, che in Inghilterra spetta unicamente al re.

    Link: CulturaCattolica.it - G. K. Chesterton: la vita, le opere, i personaggi

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    Quando la gente chiede a me o a qualsiasi altro: ‘Perché vi siete uniti alla Chiesa di Roma?’, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: ‘Per liberarmi dai miei peccati’. Perché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo, come se non avesse mai peccato. (…) Dio lo ha fatto veramente a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. È un esperimento nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta nella luce bianca dell’inizio pieno di dignità della vita di un uomo. L’accumularsi di tempo non può più spaventare. L’uomo può essere grigio e gottoso, ma è vecchio solo di cinque minuti. L’idea cioè di accettare le cose con gratitudine, e non di prenderle senza curarsene. Così il Sacramento della Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive: ma non lo fa come lo fanno gli ottimisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono viene fatto ad un prezzo ed è condizionato alla confessione. Ho detto che questa religione, rozza e primitiva, di gratitudine, non mi salvò dall’ingratitudine del peccato, che per me è orribile al massimo grado, forse perché è ingratitudine. Ho trovato soltanto una religione che osasse scendere con me nella profondità di me stesso. (Autobiografia)


    Ancora ogni generazione cerca per istinto il suo santo. Ed egli è non ciò che la gente vuole, ma piuttosto colui del quale la gente ha bisogno (...). Da ciò il paradosso della storia che ciascuna generazione è convertita dal santo che la contraddice maggiormente. (San Francesco d'Assisi)


    Per litigare occorre essere in tre. È necessaria la presenza del paciere. Non si può raggiungere il potenziale pieno della furia umana senza l'intervento strategico di un amico di ambo le parti. (La Chiesa viva)


    La misura di ogni felicità è la riconoscenza. Tutte le mie convinzioni sono rappresentate da un indovinello che mi colpì fin da bambino. L'indovinello dice: "Che disse il primo ranocchio?" La risposta è questa: "Signore come mi fai saltare bene". In succinto c'è tutto quello che sto dicendo io. Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio è contento di saltellare. (Ortodossia)


    Un uomo non può possedere una religione privata più di quanto riesca a possedere un sole o una luna privati.


    Dio ama la gente comune perché ne ha fatta tanta.


    Tutte le scienze, compresa quella divina, non sono che racconti polizieschi, con la differenza che essa non opera ricerche poliziesche sul come sia morto un uomo, ma intorno al più oscuro mistero del perché egli sia vivo.


    Nulla di più comune, per esempio, che trovare un critico moderno che scriva cose di questo genere: 'Il Cristianesimo fu soprattutto un movimento ascetico, una corsa al deserto, un rifugio nel chiostro, una rinuncia alla vita e alla felicità; esso non fu che parte di una fosca e inumana reazione contro la natura stessa, un odio pel corpo, un aborrimento dell'universo materiale, una specie di suicidio universale dei sensi e anche dell'individuo. Derivava da un fanatismo orientale come quello dei fachiri, ed era basato su un pessimismo orientale che considerava l'esistenza stessa come un male'. In tutto questoa cosa straordinaria è che tutto è verissimo; vero in ogni particolare, con la sola differenza che è attribuito erroneamente a chi non ci ha niente a che vedere. Non è vero della Chiesa; è vero delle eresie condannate dalla Chiesa. È come se uno fosse obbligato a scrivere un'analisi degli errori e del malgoverno dei ministri di Giorgio III, con la piccola inesattezza che tutto il racconto si riferisse a Giorgio Washington; o come se uno facesse un elenco dei delitti dei bolscevichi con la sola variante di attribuirli allo zar. La Chiesa primitiva fu, sì, ascetica, ma in dipendenza di una filosofia totalmente diversa da quella di una guerra alla vita e alla natura; la quale realmente esistette nel mondo, e basterebbe che i critici sapessero dove andare a cercarla. (L'Uomo Eterno)


    Per i cattolici è dogma fondamentale di fede che ogni essere umano senza eccezione alcuna viene particolarmente fatto, formato e aguzzato come freccia lucente allo scopo di colpire nel centro della Beatitudine. (La Chiesa Viva)


    Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell'ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono e di sicuro. Non c'è invece, niente di così pericoloso e di così eccitante come l'ortodossia: l'ortodossia è la saggezza, e l'esser saggi è più drammatico che l'esser pazzi; è l'equilibrio di un uomo dietro cavalli che corrono a precipizio, che pare si chini da una parte, si spenzoli da quell'altra, e pure, in ogni atteggiamento, conserva la grazia della statuaria e la precisione dell'aritmetica. (Ortodossia)


    La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. E' una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. E' una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l'incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto". (Eretici)


    Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti. (The Uses of Diversity)


    La fatale metafora del progresso, che significa lasciare le cose dietro di noi, ha assolutamente oscurato la vera idea di crescita, che significa lasciare le cose dentro di noi. (Fancies versus Fads)


    Tradizione non significa che i vivi sono morti ma che i morti sono vivi.


    Trovare e combattere il male è il principio di ogni allegria.


    Coloro che usano la ragione non la venerano, la conoscono troppo bene; coloro che la venerano non la usano.


    La Chiesa non scelse mai le strade battute, né accettò i luoghi comuni, non fu mai rispettabile. (Ortodossia)


    Spesso ho preferito chiamarmi ottimista per evitare la troppo evidente bestemmia del pessimismo. Ma tutto l'ottimismo dell'epoca è stato falso e scoraggiante, per questa ragione: che ha sempre cercato di provare che noi siamo fatti per il mondo. L'ottimismo cristiano invece è basato sul fatto che noi non siamo fatti per il mondo. (Ortodossia)


    La vera contentezza è una cosa attiva come l'agricoltura. E' la capacità di tirar fuori da una situazione tutto quello che contiene. E' difficile ed è rara.


    La dura realtà è che i popoli che venerano la salute non riescono a rimanere sani. (San Francesco d'Assisi)


    (...) Io sono incurabilmente convinto che lo scopo dell'aprire la mente, come dell’aprire la bocca, sia di chiuderla di nuovo su qualcosa di solido. (Autobiografia)


    Benché possa suonare strano, questo è il metodo inglese per mantenere il terrore. I latini, quando lo mantengono, lo fanno con l'inflessibilità, noi lo facciamo con la rilassatezza. In parole semplici, noi aumentiamo il terrore della legge coll'aggiungervi tutti i terrori dell'arbitrio. (Autobiografia)



    Quando un cristiano è contento, è contento (nel senso più esatto) terribilmente. (Ortodossia)

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    Gli aforismi sono tratta dal blog della società chestertoniana italiana: G. K. Chesterton - Il blog dell'Uomo Vivo

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)




    I saggi hanno cento mappe che disegnano universi fitti come alberi, scuotono la ragione con mille setacci che accantonano la sabbia e lasciano filtrare l’oro; per me tutto ciò vale meno della polvere perché il mio nome è Lazzaro e sono vivo. (G.K. Chesterton, nel giorno della sua conversione al cattolicesimo)

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    ...se qualcuno fosse in grado di rendere visibile l'immagine...

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    Predefinito Riferimento: G.K. Chesterton (1874-1936)

    La nostra civiltà ha deciso, molto giustamente, che stabilire l'innocenza o la colpevolezza delle persone è troppo importante per essere affidata a uomini istruiti allo scopo. Quando la nostra civiltà vuole essere illuminata su questa angosciosa questione, si rivolge a persone che in materia di legge non ne sanno più di me, ma che sono capaci di sentire quel che io ho sentito sul banco dei giurati. Quando la nostra società vuole catalogare i libri di una biblioteca, scoprire il sistema solare, o altre minuzie del genere, si serve dei suoi specialisti. Ma quando vuol fare qualcosa di veramente serio riunisce 12 uomini comuni. Se ben ricordo, il Fondatore del Cristianesimo fece lo stesso.

    Se c'è qualcosa di peggio dell'odierno indebolirsi dei grandi principi morali, è l'odierno irrigidirsi dei piccoli principi morali.

    L'ideale cristiano non è stato messo alla prova e trovato manchevole: è stato giudicato difficile, e non ci si è mai provati ad applicarlo.

    Tutta la differenza fra costruzione e creazione è esattamente questa: una cosa costruita si può amare solo dopo che è stata costruita; ma una cosa creata si ama prima che esista.

    Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto.

    A mio avviso il golf è un modo costoso di giocare alle biglie.

    C'è un grande uomo che fa sentire ogni uomo piccolo. Ma il vero grande uomo è colui che fa sentire tutti grandi.

    I bambini sono innocenti e amano la giustizia, mentre la maggior parte degli adulti è malvagia e preferisce la misericordia.

    Il temperamento artistico è una malattia che affligge i dilettanti.

    Il vero modo per amare qualsiasi cosa consiste nel renderci conto che la potremmo perdere.

    L'istruzione è un periodo durante il quale si viene istruiti da qualcuno che non si conosce su qualcosa che non si vuole conoscere.

    La gente litiga perché non sa discutere.

    La musica a cena è un insulto sia per il cuoco che per il violinista.

    Non abbattere mai una palizzata prima di conoscere la ragione per cui fu costruita.

    Una nuova filosofia in generale significa in pratica l'espressione di qualche vecchio vizio.

    È una cosa pericolosa che un uomo, per un attimo di secondo, creda di capire la morte.

    Il matrimonio è un duello all'ultimo sangue, che nessun uomo d'onore dovrebbe declinare.

    I veri mistici non nascondono i misteri, li rivelano. Pongono una cosa nella piena luce del giorno e, quando l'avete vista, essa è ancora un mistero. Ma i mistagoghi nascondono una cosa nell'oscurità e nel segreto e, quando la scoprite, è un'insulsaggine.

    La cosa più incredibile dei miracoli è che accadono.

    Ah, io non posso concepire né tollerare alcuna utopia che non mi lasci la libertà che mi è più cara: la libertà di vincolare me stesso.

    L'oggetto è un oggetto; può esistere ed esiste infatti al di fuori dalla mente, o in assenza della mente. E perciò allarga la mente di cui diviene parte. La mente conquista una nuova provincia, come un imperatore; ma solo perché ha risposto al suono di un campanello, come un servitore. La mente [...] è se stessa per questo nutrirsi di fatti, [...] questo cibarsi della strana, dura carne della realtà.

    La guerra, nel suo significato moderno più ampio, è possibile non perché più uomini sono in disaccordo, ma perché più uomini sono d'accordo. Sotto i mezzi di coercizioni peculiarmente moderni quali l'istruzione e la coscrizione obbligatoria, vi sono aree pacifiche talmente ampie, che tutti quanti possono essere d'accordo sulla guerra. A quel tempo [nel Medioevo] gli uomini erano in disaccordo perfino sulla guerra; e la pace poteva scoppiare dappertutto.

 

 
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