Da dieci anni a questa parte, il modo in cui conosciamo e approcciamo nuovi partner (di una notte o per la vita) si è trasformato. L’arrivo nel 2012 di Tinder ha infatti gradualmente ma drasticamente cambiato le carte in tavola: prima della sua nascita, i classici siti per conoscere nuove persone – come Match, Meetic o OkCupid (tutti della società che nel 2017 si è fusa con Tinder) – erano considerati dei “servizi per cuori solitari che fanno fatica a fare conoscenza nel mondo reale”, per usare le parole della giornalista del Guardian Robyn Vinter.

Insomma, l’idea era che si trattasse di servizi destinati a persone un po’ disperate e dalla scarsa vita sociale, contribuendo così allo stigma che per tantissimo tempo ha circondato queste piattaforme. Con Tinder è stato subito diverso: non si trattava di una sorta di polverosa agenzia matrimoniale online, ma di un’app destinata a un pubblico giovane, spesso urbano, istruito e in cerca di ulteriori chance rispetto a quelle già offerte dal mondo offline.

L’interfaccia gamificata di Tinder (gli swipe per scartare al volo chi non ci interessa e i match che permettono di iniziare a chattare quando l’interesse è corrisposto) ha contribuito anzi a uno stigma opposto rispetto ai vari OkCupid e Meetic: quello cioè di essere una app esclusivamente per avventure da una notte.

Una nomea che ha a lungo circondato la app fondata da Sean Rad, con il risultato che il fatto di “essere su Tinder” era qualcosa che si confessava solo agli amici più intimi e di cui un po’ ci si vergognava. Col tempo, le cose sono cambiate: verso la fine degli anni Dieci (almeno per quella che è stata la mia esperienza personale), chiacchierare delle proprie esperienze su Tinder ha iniziato a diventare normale, contribuendo ulteriormente alla diffusione di questo servizio.

Per qualche tempo è sembrato che andasse tutto bene. Uno studio della Cornell University del 2018 mostrava addirittura come le relazioni nate online fossero in media più felici e durature di quelle nate offline, perché spesso basate su interessi condivisi invece che sul classico colpo di fulmine.

Il vero boom di Tinder – e delle altre dating app che nel frattempo iniziavano a sorgere (come Bumble o Hinge) – è però paradossalmente avvenuto durante il lockdown e la pandemia. Paradossalmente, ma non troppo: certo, incontrarsi di persona era più difficile e portava con sé qualche timore di contagio da Covid. Allo stesso tempo, chiacchierare con sconosciuti via app era un modo per ammazzare il tempo libero e l’unica via percorribile per conoscere persone nuove in una fase in cui eravamo tutti costretti in casa.

I numeri relativi a quel periodo sono inequivocabili: Tinder ha raggiunto 66 milioni di utenti e registrato il record di swipe nel mese di marzo 2020, toccando quota 3 miliardi in un singolo giorno proprio mentre il mondo intero entrava in lockdown. Nel terzo trimestre dello stesso anno, le otto applicazioni di incontri più diffuse hanno complessivamente fatto segnare – almeno negli Stati Uniti – un incremento medio del 12,6% nel numero di utenti attivi rispetto allo stesso periodo dell’ anno precedente. Il balzo maggiore l’ha compiuto Hinge, cresciuta addirittura del 52,8%.

Finito il lockdown, era opinione comune che queste app non avrebbero sofferto del ritorno alla normalità: il tabù era ormai caduto e il loro utilizzo diventato parte della quotidianità di millennials e Gen Z. Le cose, invece, sono andate diversamente: la maggior parte delle persone che conosco ha completamente lasciato perdere, alcuni (come il sottoscritto) fanno un giro sulle varie dating app solo una volta ogni tanto e chi continua a usarle regolarmente lo fa con scarsissimo entusiasmo.

Al di là dell’aneddotica personale, ci sono i dati: un recente sondaggio Axios ha mostrato come la percentuale di giovanissimi statunitensi che usa queste applicazioni è passato dal 50% circa del 2019 al 21% del 2023. Gli utenti di Tinder sono in effetti diminuiti anche stando ai dati di Sensor Tower, passando da 75 a 71 milioni negli ultimi due anni. A crescere sono invece le principali (anche se più piccole) concorrenti: Bumble ha toccato quota 29 milioni nel 2022 (rispetto ai 21 dell’anno precedente) e Hinge ha superato quota 11 milioni (rispetto a 8,4).

Attenzione, la crescita del numero complessivo di iscritti non indica necessariamente un aumento degli utenti, perché la maggior parte delle persone è presente su più di una app. Lo scemante entusiasmo è inoltre confermato da un altro dato: nel 2023, le dating app hanno fatto registrare la minor crescita di utenti iscritti dal 2018 a oggi. Ci sono poi i pessimi dati relativi alla soddisfazione degli utenti: secondo uno studio dell’agenzia YouthSight “più del 90 per cento dei giovanissimi prova frustrazione nei confronti delle dating app”.

A cosa è legata questa frustrazione? Prima di tutto c’è l’inquietante dato – contenuto in uno studio di Pew Research – secondo cui un terzo delle donne che utilizza queste applicazioni ha ricevuto almeno una volta un insulto, mentre la metà ha avuto esperienze con uomini che hanno continuato a cercarle online anche dopo aver ottenuto un rifiuto.

Ci sono poi problemi legati all’annosa questione della ratio: sulle dating app ci sono infatti molti più uomini che donne. Su Tinder l’80% dei presenti è uomo, contro solo il 20% di donne. Di conseguenza, da una parte (restando al mondo eterosessuale) ci sono donne alle prese con la “swipe fatigue” e con un numero difficilmente gestibile di match. Dall’altro lato della barricata, ci sono invece uomini che fanno spesso molta fatica a ottenere un match (anche perché, secondo alcuni dati, le donne sono molto più selettive nei loro swipe).

Ad aumentare ulteriormente il senso di frustrazione per entrambi i sessi c’è la facilità con cui le dating app incentivano una serie di comportamenti spiacevoli: ghosting (quando una persona, improvvisamente, non risponde più ai messaggi), benching (essere messi in panchina, in attesa di capire se si trova di meglio), breadcrumbing (tenere una persona legata offrendole solo le attenzioni minime necessarie). Inoltre, come mi ha raccontato un’amica, “sulle dating app hai sempre la sensazione che una persona ancora migliore di quella con cui sei uscita sia a un solo swipe di distanza, incentivando un comportamento da ‘collezionista’ invece che una relazione sana”.

Le dating app hanno insomma cambiato le dinamiche romantiche, rendendo più facile conoscere persone al di fuori della nostra cerchia, ma provocando – secondo quanto riporta Newsweek – “un accelerazione degli appuntamenti senza impegno e della cultura del rimorchio”. Una situazione che, a quanto pare, non soddisfa più gli utenti. Secondo Emily Rhodes dell’agenzia di consulenza Future Laboratory, “il cambiamento deve però venire dalle dating app stesse, perché sono loro ad aver cambiato così tanto la situazione”.

Effettivamente, alcuni tentativi sono stati fatti. Al di là delle varie funzionalità che continuano a venire aggiunte, sono le app stesse che cercano di diversificarsi: su Bumble solo le donne possono iniziare la conversazione (un modo per limitare le molestie), Hinge punta su chi è in cerca di una relazione duratura, Ilios usa l’astrologia per aiutarci a trovare la persona più adatta, Snack è basata sulle chat via video, Raya è per un pubblico d’élite e così via.

E se invece questa differenziazione – che ha lo scopo di attirare un pubblico stufo dei soliti “occhiali da sole e addominali” o “bikini sulla spiaggia” di Tinder – fosse inutile? Se semplicemente stessimo tornando a preferire gli incontri che avvengono nel mondo reale? È per questa ragione che una piattaforma relativamente nuova come Thursday sta cercando di combinare la socialità offline con l’abitudine ormai diffusa di utilizzare la dating app. Thursday rende infatti possibile ottenere i match e scriversi un solo giorno alla settimana (il giovedì, per l’appunto). Se non si approfitta subito dell’occasione, i match e i messaggi vengono cancellati e si perde ogni possibilità di conoscersi: un modo per incentivare le persone a passare all’azione, riducendo il tempo trascorso inutilmente su queste applicazioni.

Sempre Thursday ha inoltre iniziato a organizzare incontri dal vivo a cui partecipano solo persone single. Non si tratta di speed dating o altri eventi un po’ imbarazzanti, ma di serate in locali normali in cui, però, sono tutti single: “Non ci sono bizzarre attività per rompere il ghiaccio e nessuno incentiva a fare qualcosa”, spiega il CEO di Thursday Matt McNeill Love. “È semplicemente più facile approcciare qualcuno quando sai che si è tutti single e tutti lì per la stessa ragione”. E questo vale a maggior ragione in un periodo in cui, a torto o a ragione, molte persone affermano di sentirsi a disagio nel “provarci”, per il rischio di avere comportamenti sgraditi o considerati fuori luogo.

Gli eventi dal vivo per single di questo tipo stanno in effetti aumentando drasticamente: secondo la società di vendita biglietti Eventbrite, il numero nel Regno Unito è raddoppiato rispetto a prima della pandemia, e anche a Milano basta dare una rapidissima occhiata su Google per trovare chi organizza incontri per single.

Inevitabile, in una società, come quella occidentale, in cui le persone che vivono da sole sono in costante crescita (nelle grandi città hanno ormai doppiato il numero di coppie) e in cui sempre più persone preferiscono mantenere la propria autonomia invece di instaurare relazioni durature. Insomma, il panorama è in costante mutamento ma offre comunque una certezza: online, offline o in modalità ibrida, con scopi e desideri diversi, le persone continueranno a cercare modi per conoscersi. La relazione spesso frustrante, e quasi da collezionismo di figurine, che negli scorsi anni abbiamo instaurato con Tinder e le altre dating app sembra però, per molti, essere giunta al capolinea.

https://www.wired.it/article/tinder-...taXcdg-HzYXnbE