Pittore francese di epoca barocca, l'opera di Georges de La Tour è, nell’ambito della storia dell’arte, una scoperta recente. Ignorato fino agli inizi del Novecento, nel 1915 lo storico dell’arte Hermann Voss gli dedicò un articolo e associò il suo nome, fino a quel momento senza opere, ad alcuni dipinti. Da qui nacque negli anni seguenti un movimento critico sempre più intenso, finché il Louvre comprò il primo quadro di de La Tour nel 1926, l’Adorazione dei Pastori (1644), questo:
Alcune sue opere comparvero, dodici anni dopo, in una mostra francese dedicata al Seicento e solo nel 1972 arrivò, in Francia, la prima esposizione di carattere monografico dedicata al pittore... fino alla consacrazione vera e propria, sempre a Parigi, nel 1997. In Italia la fama di De la Tour è ancora più recente, dato che la prima mostra monografica a lui dedicata è quella in corso al Palazzo Reale di Milano in questo periodo: "Georges de La Tour. L'Europa della luce". Inaugurata il 7 febbraio 2020 e chiusa poco dopo causa Covid-19, la mostra - che avrebbe dovuto concludersi il 7 giugno - è stata invece prolungata fino al 29 settembre 2020.
Più che di "pittore della luce" sarebbe corretto, in questo caso, parlare di "pittore dell'oscurità", dato che tutti i quadri di de La Tour sono avvolti dal buio: la sua è un’arte delle ombre, di studi di bagliori, di lumi, di riflessi del fuoco o della fiamma di una candela. Proprio per questo suo stile così particolare, oltre che per la scelta dei soggetti, è stato definito da alcuni critici "il Caravaggio francese", anche se non ci sono prove che nel corso della sua vita abbia compiuto viaggi in Italia.
In effetti, il sostantivo che definisce la sua opera calza a pennello anche alla sua biografia, quanto mai scarna. Sappiamo giusto l’anno e il luogo di nascita: il 1593, a Vic-sur-Seille, in Lorena, e pochissimo altro. Il suo nome appare qua e là in un centinaio di documenti dell'epoca che riguardano questioni burocratiche: l'affitto di una casa, la nascita di un figlio, la cessione di una rendita... ma nessuna lettera, nessuna confidenza di un amico o testimonianza di un appassionato d'arte. Nulla di nulla. L'unica descrizione da parte dei contemporanei che abbiamo di lui è il giudizio (tutt'altro che lusinghiero) di un vicino di casa, che oltre a definirlo «arrogante e avido», rincara la dose aggiungendo che «si rende odioso alla gente per la quantità di cani che alleva, tanto levrieri quanto épagneuls, come se fosse il signore del luogo; caccia le lepri fra le messi, rovinandole e schiacciandole...».
Possiamo solo immaginarlo mentre passeggia - superbo e circondato dai suoi cani - per le strade di Lunéville, piccolo centro distante da Nancy una trentina di chilometri, dove si era trasferito dopo il matrimonio. Tra le scarne notizie che di lui ci sono giunte, c'è quella che visse e lavorò a Parigi per un certo periodo, apprezzato dal re Luigi XIII. Molto meno sicuro che sia stato anche in Italia: mancano le prove documentali, anche se lo stile pittorico sembra suggerirlo. Nonostante gli studi sulla sua vita, sempre più numerosi a partire dalla seconda metà del Novecento, i misteri rimangono... anzi, aumentano.
Per Francesca Cappelletti, storica dell’arte e curatrice della mostra di Milano, il pittore è «un meteorite». Una figura «inspiegabile nel contesto della pittura barocca del ’600». Insomma, un enigma.