La parte che non sopporta la persona al comando inizia il posizionamento in vista di quanto accadra' probabilmente in autunno, dopo le regionali.
La tecnica e' la solita derisione con senso di superiorita'.

https://m.huffingtonpost.it/entry/quel-gran-figo-di-bonaccini_it_5ef32491c5b663ecc8556668?utm_hp_ref=i t-homepage&ncid=other_homepage_tiwdk3gze&utm_campaign=mw_entry_recirc

Se è consentito citare un antico titolo giornalistico che giunge proprio dalla storia bolognese, sarà il caso di cominciare il nostro discorso con un Bonaccini, oh caro...

Che io sappia, tolto l’amico Simone Bruscia, inarrivabile agitatore culturale d’Emilia Romagna, tra le persone almeno a me note, nessuno ha mai visto a figura intera il presidente di quella benemerita regione, cioè esattamente Stefano Bonaccini. Tutti noi dobbiamo accontentarci infatti del suo mezzo busto elettorale formato poster, Stefano “massiccio” come un bersagliere, lì sui manifesti o nei talk d’occasione, visconte governatore dimezzato della Riviera politica Adriatica.

Ripeto, qui trattiamo del modenese Stefano Bonaccini, provetto amministratore che, politicamente parlando, ha affrontato ogni tipo di “fil rouge” del post-comunismo emiliano. Non sembri una battuta, ma nell’attesa di vederlo in formato completo, occorre attenersi all’immagine parziale in denim e t-shirt bianca, l’aria di chi non deve chiedere mai, un po’ simile all’omino Gibaud che brilla nelle vetrine di articoli medicali. In realtà, sembra che inizialmente il nostro somigliasse, giurano i testimoni autoctoni, a Winnie de Pooh.

Diversamente da Pierluigi Bersani, di cui, ingiustamente, gli stessi conterranei compagni dei Ds, dicevano che nel migliore dei casi avrebbe potuto gestire una città di proporzioni medie, tipo Cesena, Bonaccini deve fortuna e carisma proprio alla qualifica di “bravo amministratore”.

Perdonate se affrontiamo il ragionamento muovendo dalle radici, ma nella storia della sinistra, e segnatamente del Partito comunista italiano, nonostante la potenza di fuoco elettorale e appunto gestionale, dalle piadine alle Coop, dal “Cocoricò” all’Aquafan, addirittura all’ “Italia in miniatura”, l’Emilia-Romagna non ha mai raggiunto la cabina di guida; i sardi e torinesi, da Gramsci a Togliatti a Berlinguer, le hanno sottratto sempre il Segno del Comando. Certo, ci sono state grandi intelligenze organizzative come Guido Fanti, l’inventore del cosiddetto modello della regione-mondo che vede Bologna come propria capitale. E ancora, in un momento ormai storicamente tardo, l’ingresso di Renato Zangheri nella segreteria ristretta di Botteghe Oscure: proprio lui, “Zangherì-Zangherà”, dal soprannome-stigma ricevuto dai giovani del movimento del 1977, un peso che costui non si è mai tolto di dosso.




Bologna, oh cara…, titolava Lotta Continua nei giorni del convegno sulla repressione, con Jean-Paul Sartre invitato dagli studenti a verificare che nella “vetrina della socialdemocrazia” non vi fossero più i carrarmati della polizia chiamata a presidiare le strade tra San Petronio e piazza Verdi, comprese le Due Torri dalla cui cima Carmelo Bene reciterà Dante per le vittime della strage del 2 agosto 1980.

Dunque, Bonaccini, oh caro…

Chi lo conosce aggiunge che l’uomo inizialmente non aveva affatto l’attuale volto convincente, quasi che Ray-Ban e barba gli siano stati suggeriti dai maghi dell’Immagine per dargli appeal, anzi, secondo certe osservatrici femminili, ne farebbero addirittura un soggetto eroticamente considerevole, quasi irresistibile come i divi hard.

O forse Bonaccini va assimilato a quell’Alex l’ariete interpretato da Alberto Tomba, e così pronto a smentire chi pensava la Lega di Salvini pronta a espugnare la regione rossa per definizione. Bonaccini alias il miracolo della concretezza, della forza tranquilla post-ideologica, un contrafforte per la tenuta del centro sinistra stesso in senso ampio, se è vero che non ha mai utilizzato il simbolo del Pd nei manifesti, preferendogli invece il suo volto-paracarro. Un viso nel quale specchiare la storia del movimento cooperativo, i miracoli del “divertimentificio”, l’Emilia partigiana accompagnata dalle note, metti, di un Ligabue, la terra che perfino sulla signoria del maiale ha costruito la propria epopea alimentare e filmica, vedi Bertolucci di “Novecento”, insomma, Bonaccini o della tenuta.

Non vorremmo essere polemici e neppure inopportuni citando, metti, l’infelice avventura del (quasi) emiliano Cofferati divenuto sindaco di Bologna lasciando un modesto ricordo di sé a Palazzo d’Accursio e presso lo stesso centro-sinistra cittadino, si ha però la sensazione che qualcuno, forse i già citati maghi dell’Immagine, stiano pensando proprio all’asso Stefano Bonaccini come nuovo solista dei democratici o che dir si voglia, ignoriamo attraverso quali alchimie, senza nulla togliere al talento del diretto interessato, è assai probabile che qualcuno voglia affidargli responsabilità di ben più ampio spettro, se non spettrali; nel frattempo, da copione, l’uomo smorza ogni sospetto con diplomazia: “Abbiamo un segretario, mio amico, a cui voglio bene, Nicola Zingaretti, ma io devo pensare all’Emilia-Romagna. Mi conforta che tutti insieme stiamo affrontando questa pandemia. Prima ci siamo difesi, adesso stiamo andando all’attacco”, così innalzando il titolo del suo libro-manifesto: “La destra si può battere”. Poi, facendo ancora di più impensierire i dirimpettai, aggiunge: “Non sono leader di nessuno, mi davano tutti per sconfitto a gennaio ma ce la siamo cavata, meglio di come si poteva pensare. Il centrosinistra con la vittoria in Emilia-Romagna non deve pensare di aver vinto anche nel Paese, ma si può imparare dalla nostra esperienza”.
Chi vivrà, vedrà. Resta su tutto che, in assenza di una vera riflessione politica, magari, perché no, congressuale, i criteri che sembrano suggerire la sua possibile investitura al posto di Zingaretti assomigliano a un simposio sul make-up del pur apprezzabile Diego Dalla Palma.

Non vorremmo alla fine essere costretti a virare il nostro titolo in Sinistra, oh povera…