La lezione dottorale all’Università di Bologna
di Giovanni Spadolini – In «Nuova Antologia», a. CXXV, fasc. 2173, gennaio-marzo 1990, Le Monnier, Firenze, pp. 36-49.
A Giovanni Spadolini è stata conferita l’11 dicembre 1989 la laurea honoris causa in Storia dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, ultimo atto del ciclo delle celebrazioni del IX centenario dell’Ateneo.
Nella lezione dottorale – che viene integralmente pubblicata – Spadolini ha tracciato le «confessioni di uno storico»: «il mio impegno culturale è stato volto a riportare alla luce la storia e le vicende di tutta quell’Italia clandestina e sotterranea che non si poteva riassumere negli schemi dell’Italia ufficiale e liberale. Da questi studi nascono i valori fondamentali dell’Italia di minoranza, che hanno costituito negli ultimi trent’anni la base della mia azione politica, congiunta all’impegno culturale e all’impegno civile».
Il conferimento della laurea è avvenuto in coincidenza con l’inaugurazione dell’anno accademico, novecentoduesimo dalla fondazione dell’Università di Bologna.
Il magnifico Rettore, Fabio Roversi Monaco, ha sottolineato il particolare significato dell’avvenimento: «Non possiamo non ricordare che fu proprio il presidente Spadolini a intervenire all’inaugurazione delle celebrazioni per il IX centenario dell’Alma Mater. Il momento che stiamo vivendo si ricollega idealmente a quella suggestiva cerimonia».
Successivamente il preside della Facoltà di Lettere d Filosofia, Antonio Carile, ha letto il dispositivo del Consiglio di Facoltà che ha attribuito la laurea honoris causa […].
Premessa
Esprimo il mio grazie commosso al Rettore, al corpo accademico e in particolare ai colleghi della facoltà di lettere che hanno voluto insignirmi di questo titolo, massimo premio di tutta una vita che ha avuto parecchi incontri con la vostra università. Incontri che suscitano una profonda eco nel mio animo e risvegliano care e affettuose memorie, sullo sfondo dei tredici anni di vita – e quali anni! – trascorsi nella vostra città.
Bologna sta alla storia dell’università italiana come Firenze sta alla storia della lingua nazionale.
La generazione che chiamerò «carducciana» - quella che segnerà l’Italia del 1870 – sentirà questo debito verso l’ateneo bolognese e identificherà nel natale della istituzione universitaria felsinea il punto di partenza di una tradizione di libertà e di autonomia accademica che era sopravvissuta a tutte le tentazioni centralistiche della decadenza, preservando il principio delle libertà repubblicane della vecchia Italia.
L’ottavo centenario coincise in questo senso, nel 1888, col recupero di un’identità nazionale che in questo nono centenario si è elevata a identità europea: ponte fra diverse culture e presagio imminente di conciliazione.
«Quando una città sente sì alta la gloria civile dell’insegnamento, ella è ben degna di aver raccolto nella sua scuola il decoro supremo di tutti gli studi». La voce di Carducci – proprio in quell’ottavo centenario – risuona come una voce di oggi; per noi che ben conosciamo il ruolo essenziale che sarà svolto dall’ateneo bolognese, fra fine Ottocento e primo Novecento, nella resistenza opposta dalla scuola carducciana alle degenerazioni e deviazioni irrazionaliste del dannunzianesimo avanzante: baluardo, Bologna, di una classicità e di una razionalità non inerti.
Bologna, Carducci: ripenso al discorso pronunciato al collegio «Irnerio» nel quadro del cinquantenario carducciano, il 12 aprile 1957, oltre trentadue anni fa, gli anni del lungo magistero rettoriale di Felice Battaglia, cui si rivolge oggi il mio pensiero commosso.
Carducci Bologna l’amò più di Firenze. Contro la quale fu spesso spietato ed ingiusto; l’amò più di Roma, dove i labili fulgori democratici e mazziniani erano oscurati ai suoi occhi dalle stesse strutture della controriforma e del secentismo. L’amò più della sua Maremma, della Maremma Davanti San Guido, dei cipressi di Bolgheri, che gli ricordava sempre le aspre e dolorose esperienze della giovinezza lontana. Amò Bologna quasi vi scorgesse un riflesso e un compendio della sua visione della vita, classica e romantica insieme, sempre divisa fra Roma e Ravenna, fra latinità e germanesimo, fra Augusto e Teodorico: sintesi delle esperienze classiche e della cultura moderna. Bologna fu per lui tutto: «la famiglia, l’università, la vita comunale e politica, gli affetti, la reverenza dei giovani e il culto del popolo. Ad essa il suo pensiero sempre tornava quando inseguiva con la mente le solenni strade porticate che paiono scenari classici e le piazze austere, fantastiche e solitarie dove è bello sperdersi pensando nel vespero di settembre o sotto la luna di maggio, e le chiese stupende ove saria dolce credendo fra i colli ov’è divino essendo giovani, amare di primavera, e la Certosa, in alcun lembo della quale, che traguardi dal colle al dolce verde immenso piano, si starà bene a riposare per sempre». Vera «civitas humana», nella quale il cittadino si levava a credente, e i valori umani attingevano l’altezza di valori religiosi.
Alle soglie del nuovo millennio il primato di questo glorioso ateneo – il più antico ateneo d’Occidente – si riassume in due sole parole: difesa della ragione e difesa della libertà.
Due parole che tornano a circolare con gli stessi diritti e con lo stesso suono in tutta Europa, al di là delle barriere e delle artificiose frontiere di una volta.
E mi consentirete di ricambiare il dono della facoltà di lettere, per la laurea in storia, con le confessioni di uno storico che nel 1990, fra pochi giorni, saluterà i quarant’anni del suo insegnamento universitario.
(...)