di Giovanni Spadolini – In «Nuova Antologia”, a. CXXIX, fasc. 2190, aprile-giugno 1994, Le Monnier, Firenze, pp. 250-252.


1. «Ho fatto fino in fondo il mio dovere»

Ho fatto fino in fondo il mio dovere. Come presidente uscente del Senato ho creduto di difendere il prestigio dell’alta Assemblea rispetto alla prepotenza dei partiti nelle istituzioni: prepotenza che si è tradotta in una spartizione a tavolino dei vertici di Palazzo Madama e di Montecitorio. Spartizione estesa anche all’Assemblea dove la cosiddetta maggioranza – che non è ancora maggioranza politica – non esiste come tale, neanche sul piano dei numeri.
Sono onorato di avere combattuto una battaglia per riaffermare il ruolo super partes del presidente del Senato. Che non può essere funzionario di partito, né mandatario di partito. Che non deve dichiarare a quale schieramento appartiene. Anzi: deve far dimenticare la sua origine politica, come io ho cercato di fare nel corso di questi sette anni. Una volta eletto, infatti, il presidente è garante nella stessa misura dei diritti della maggioranza come dei diritti delle minoranze.
Mi sono sforzato per tutta la vita di compiere mediazioni fra le forze politiche e le forze sociali. Ma ci sono momenti in cui, di fronte alla prepotenza e all’arroganza, non si piò mediare. Bisogna scegliere. E ho scelto di essere battuto in questa battaglia per conservare il diritto di difendere la dignità, l’autonomia e la sovranità del Parlamento contro il pericolo di usurpazioni partitocratiche che sono ben più gravi di quelle contestate al recente passato.
Noi rifiutiamo la contrapposizione meccanica fra vecchio e nuovo. Certi aspetti del nuovo, anche per il linguaggio incivile e barbarico cui taluni ricorrono, ci appaiono molto peggiori delle peggiori degenerazioni e corruzioni della prima fase della Repubblica, che abbiamo combattuto a viso aperto da sempre.
Continuerò a difendere lo spirito della Costituzione repubblicana, con le sue radici essenziali che si identificano col primo e col secondo Risorgimento, contro ogni stravolgimento. Continuerò a difendere l’unità nazionale contro ogni minaccia di disgregazione e nello spirito della Repubblica delle autonomie, che consente tutte le necessarie riforme. Continuerò a battermi con tutte le forze che mi rimangono per un’Italia moderna, europea e civile, l’Italia civile cui si è richiamato anche in quelle ore Norberto Bobbio contro tutte le tentazioni di involuzione cui siamo pericolosamente esposti.


2. Il mio grazie a Palazzo Madama

Nel momento in cui lascio la presidenza del Senato tenuta in questi sette anni travagliati e difficili della vita italiana, desidero rivolgere un pensiero di commosso ringraziamento a tutto il personale dell’Amministrazione, ai vari livelli, che ha cooperato a superare le difficoltà e a vincere gli ostacoli che si sono presentati nel corso di questo lungo periodo.
Il Senato ha mantenuto intatto il suo grande prestigio ed è rimasto fedele alla sua tradizione: una tradizione che la Costituente volle rinnovare saldandola in modo definitivo alla radice popolare e democratica, correggendo l’impostazione elitaria del Risorgimento. Il Senato popolare e repubblicano: il Senato che ha accompagnato il travaglio, l’ascesa, le sofferenze e anche le contraddizioni della nostra storia.
Sono stati anni difficili, anni in cui le istituzioni hanno corso gravi pericoli per i danni della partitocrazia e della corruzione. Il Senato si è sempre trovato in prima linea nella lotta contro le degenerazioni che hanno investito la vita pubblica, e sempre si è battuto per favorire il rinnovamento nella continuità.
In questi sette anni l’Assemblea di Palazzo Madama ha profuso il massimo sforzo nell’opera complessa e delicata di autoriforma. Un’opera culminata nel dibattito sul bicameralismo nello scorcio finale della decima legislatura e nell’apporto ai lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali nella successiva undicesima legislatura.
Grandi passi avanti sono stati compiuti per il positivo andamento dell’attività parlamentare e legislativa con l’approvazione del nuovo Regolamento, che ci ha consentito di disciplinare e di razionalizzare, secondo cadenze europee, le procedure di esame dei provvedimenti, a cominciare dai decreti legge.
Nulla sarebbe stato possibile senza la dedizione e la passione illimitata dei funzionari, dal Segretario generale ai vice segretari, ai direttori dei servizi, dei segretari parlamentari d’amministrazione e dei documentaristi, degli stenografi, dei coadiutori e dei commessi. Tutti coloro che vivono nel Senato e per il Senato e che conservano questa religione del dovere che ci collega alle esperienze costitutive della nostra vita nazionale e della nostra unità nazionale. Unità sempre nella libertà.
Sono sicuro che il mio successore continuerà l’opera di potenziamento e di tutela dell’istituto senatoriale nelle necessarie riforme che si impongono e insieme nello spirito di fedeltà alla Costituzione repubblicana, che rimane la base fondamentale della nostra legittimità di nazione.
A tutti il mio affettuoso grazie e il mio impegno a continuare la mia opera in Senato, come senatore a vita, con la devozione di sempre.

Giovanni Spadolini


NOTA

Il primo impegno della dodicesima legislatura repubblicana è l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento. Alla Camera la maggioranza di centro-destra può contare su un consistente vantaggio. A Palazzo Madama la situazione è diversa. In teoria Forza Italia, Lega Nord e Alleanza Nazionale non raggiungono la soglia minima per potere eleggere alla presidenza un loro candidato: dispongono, infatti, di 155 seggi su 315 e, quindi, ne mancherebbero tre per raggiungere la metà più uno.
Alla Camera alta, poi, ci sono i senatori a vita: i due ex presidenti della Repubblica Leone e Cossiga, e altri nove nominati nel corso degli anni: Fanfani, Valiani, Bo, Bobbio, Spadolini, Agnelli, Andreotti, De Martino e Taviani. E con loro il totale dei senatori sale a 326 e la maggioranza assoluta a 164.
In questa situazione di incertezza, nella serata del 14 aprile, il giorno precedente l’inizio delle votazioni, si svolge una riunione dei presidenti dei gruppi parlamentari di Palazzo Madama convocata, in qualità di senatore anziano, da Roland Riz, già presidente dei senatori della SVP. L’iniziativa è volta a verificare le possibilità di una candidatura di tipo istituzionale per la presidenza del Senato. Con il passare delle ore, con l’eccezione dei gruppi del centro-destra (che hanno indicato nel senatore Carlo Scognamiglio il candidato del cartello politico), si sviluppa un’azione volta a creare le condizioni per l’elezione di una personalità super-partes, identificata nel presidente del Senato ancora in carica Giovanni Spadolini.
La mattina seguente, a meno di un’ora dalla prima votazione, Giovanni Spadolini dichiara: «Ho accolto l’appello di varie forze politiche rappresentate nell’Assemblea di Palazzo Madama a offrire ancora la mia disponibilità per una soluzione di garanzia istituzionale identificata in quel ruolo di imparzialità e di equidistanza cui mi sono sforzato di attenermi in questi sette anni, in cui pure non sono mancati momenti di grande tensione e di accesa polemica politica. Non il presidente di una parte, ma il presidente di tutti i senatori, così come richiede lo spirito della Costituzione italiana».
I primi tre scrutini si concludono con un nulla di fatto. Nessun candidato ottiene la maggioranza prescritta. Le votazioni culminano, nel pomeriggio del 16 aprile, in un ballottaggio in cui, mancando la soluzione istituzionale auspicata da Spadolini, viene eletto presidente del Senato, con 162 voti, Carlo Scognamiglio. Spadolini, su cui sono convenuti i voti del Partito Popolare e dei Pattisti, della SVP, dell’Union Valdotaine, dei Socialisti, di Alleanza Democratica e dei Progressisti, ottiene 161 voti. Una scheda è bianca, una è nulla.
Nella stessa serata Spadolini incontra il nuovo presidente del Senato, al quale rivolge il più fervido augurio di buon lavoro.

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