I compiti minimi dello Stato

Un ebook curato da Nicola Iannello fa ora il punto su "Anarchia, Stato e Utopia" di Robert Nozick dopo otto lustriÈ una banalità ricordare che, nel corso del Novecento, le posizioni liberali sono state fortemente minoritarie. Per tutto il secolo, per rubare le parole al Walter Lippman del 1937, «quasi ovunque la caratteristica del progressista è che egli, in ultima analisi, per migliorare le condizioni degli uomini confida in un aumento del potere dei funzionari pubblici». Non sono bastate due guerre mondiali, il lager, il gulag, per instillare un terrore del «niente-al-di-fuori-dello-Stato» più vivo che quello per il suo contrario. Friedrich von Hayek aveva sempre cura di spiegare che «il vero liberalismo non è il laissez faire». Il nome di Mililton Friedman è tutt'oggi un drappo rosso sventolato sotto gli occhi delle sinistre di tutto il globo, ma, con la sua «imposta negativa sul reddito», egli proponeva qualcosa di non troppo diverso dal «reddito di cittadinanza». James Buchanan era favorevole a imposte di successione pressoché confiscatorie.

Lo Stato «guardiano notturno» esce davvero dalle catacombe solo in un libro di quarant'anni fa, opera non di un economista ma di un filosofo. È la più celebre delle risposte a Una teoria della giustizia di John Rawls, che da11971 troneggia sul dibattito filosofico-politico dell'Occidente. Anarchia, Stato e Utopia di Robert Nozick, collega più giovane dí Rawls, entrambi di Harvard, è un saggio tripartito. Nella prima parte, Nozick fornisce la sua spiegazione «a mano invisibile» della nascita dello Stato, un esercizio intellettuale che ne immagina l'insorgenza in assenza di violazione dei diritti individuali: ipotesi che ha nulla a che fare con la storicità dello Stato moderno, ma serve all'autore per confrontarsi con i suoi veri punti di riferimento. Si tratta di autori misconosciuti, che però fanno al filosofo di Harvard un'impressione profonda: sono i «libertari» americani, dalla romanziera Ayn Rand, anch'essa fautrice di uno Stato minimo, a Murray Newton Rothbard, economista e storico delle idee, allievo dell'austriaco Ludwig von Mises. Nozick ne aveva fatto la conoscenza occupandosi del tema della coercizione, al centro del suo primo lavoro pubblicato (nel 1969).

Il punto di partenza dí Rothbard è quello di John Locke, ma, avendo dalla sua l'esperienza di un paio di secoli, egli ritiene che uscire dallo «stato di natura» affidando a un monopolista della violenza la tutela dei diritti individuali sia un errore logico. Questi ultimi vengono messi a repentaglio proprio dalla natura monopolistica del loro presunto guardiano: che non a caso finisce puntualmente per esondare qualsiasi argine, di natura costituzionale o meno, dovrebbe circoscriverne l'attività.

Nozick s'affanna a rispondere ai nuovi «anarchici di mercato», senza riuscire a persuaderli. Il primo numero del «Journal of Libertarian Studies», nel 1977, sarà dedicato a una spietata vivisezione del capolavoro nozickiano, accusato dì tentare «l'immacolata concezione dello Stato». Se la prima parte di Anarchia, Stato e Utopia vorrebbe smentirli, la seconda ne lancia le idee nel dibattito. È qui che Nozìck prende di petto il collega Rawls, caricandosi sulle spalle le riflessioni di Hayek sulla giustizia sociale ma anche autori dimenticati, come Herbert Spencer di cui riprende la «parabola dello schiavo», per spiegare che la tassazione può essere considerata alla stregua del lavoro forzato. Nozick aggiunge tutto il suo genio filosofico, e riesce a portare un attacco potente a Rawls. Le sue ragioni sono quelle di un liberalismo incardinato sull'idea dei diritti naturali: «gli individui hanno diritti», con questa secca dichiarazione incomincia Anarchia, Stato, Utopia. Per questo, «lo stato minimo è lo stato più esteso che possa essere giustificato. Qualsiasi stato più esteso viola i diritti delle persone».

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