Referendum costituzionale. Quali benefici?

La riforma del numero dei parlamentari non nasce da ansia riformatrice, ma dal malumore anti-casta degli italiani, raccolto da una forza politica – il M5S -, e da un’altra forza politica, la Lega, per indurre i grillini a stipulare l’alleanza di governo con cui si è aperta la diciottesima legislatura, e accettato infine dal Pd che dopo aver votato contro tre volte lo ha fatto proprio per indurre il M5S alla seconda alleanza, ossia per dar vita a un governo e non andare a quelle elezioni anticipate da cui si temeva potesse uscire vincitrice la destra.

Date le logiche politiche che hanno partorito questa riforma e questo referendum, è fin troppo prevedibile che in seguito al probabile esito di questo non inizierà alcuna stagione costituente, al contrario di quanto si sforzano di credere coloro che si sono schierati per il Sì. Forse una nuova legge elettorale verrà messa in cantiere – per salvare la faccia del Pd -, ma passerà molto tempo prima che venga approvata in via definitiva: del resto, l’assenza di una legge elettorale decente è un buon modo per non far finire la legislatura con troppo anticipo. La riforma dei regolamenti delle due Camere, anch’essa indispensabile, sarà un percorso ancora più accidentato e faticoso; per non parlare poi delle ulteriori riforme costituzionali che da alcuni sono avanzate a compimento di questa: abolizione dei collegi regionali per l’elezione dei senatori, parificazione dell’età per esercitare l’elettorato alla Camera e al Senato, passaggio al monocameralismo o al contrario differenziazione dei ruoli delle due Camere, revisione al ribasso del numero dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato. Un libro dei sogni, o un elenco di pretesti. In ogni caso, compiti troppo impegnativi, perché apportatori di ulteriori lacerazioni e difficoltà, per il governo Conte due.

Al di là di una boccata d’ossigeno per il governo – ma la partita vera si gioca alle elezioni regionali – quale sarà il beneficio per avere ridotto drasticamente il numero dei parlamentari? Un risparmio irrisorio per l’erario. E, poi, la soddisfazione dell’istinto anti-casta di larga parte della popolazione, nonché un momentaneo successo per il M5S. Ma ben presto i cittadini si accorgeranno che non uno solo dei problemi che affliggono il sistema politico e il sistema sociale è risolto dalla punizione del Parlamento; né sarà invertita la parabola del dissolvimento della capacità politica dei grillini.

Al passivo andrà invece registrata una difficoltà di funzionamento delle Camere, soprattutto del Senato, in relazione all’attività delle Commissioni. E andrà computato al passivo anche il fatto che in questo Paese ci si dedica pressoché in permanenza alla riforma della Costituzione: in questo caso, poi, con una estemporaneità sconcertante. Senza un’idea, un disegno, un progetto. Quasi per vedere l’effetto che fa. La banalizzazione dell’attività costituente – che invece dovrebbe essere il più alto esercizio politico – è sintomo di un male ancora più grande: la fine del rispetto per la Costituzione è in realtà la fine del rispetto di un popolo per la qualità della propria esistenza politica. Più che il trionfo della potenza del popolo sulle istituzioni, questo referendum – salvo splendide sorprese – rischia di essere la dimostrazione del disinteresse, rassegnato e rancoroso, degli italiani verso la cosa pubblica.

A scanso di equivoci: gravi problemi ci sono. Ma non nascono dalla numerosità del Parlamento, quanto piuttosto da una crisi di lunga data del parlamentarismo. Per non parlare delle difficoltà di principio che ineriscono alla rappresentanza, negli ultimi decenni la funzione legislativa è passata di fatto all’esecutivo, che dimostra di non avere bisogno del parlamento, preferendo bypassarlo (la disintermediazione) e rivolgersi direttamente al popolo. La verticalizzazione della politica ha la meglio sulla discussione; l’immediatezza vince sulla mediazione (o, quanto meno, questa non si forma nelle aule parlamentari); la legittimità consiste nella mera efficacia dell’azione politica, e nella narrazione mediatica che l’accompagna, non nel consenso dell’istituzione in cui si rappresenta la volontà del popolo sovrano – nell’emergenza Covid, poi, queste dinamiche sono intensificate e accelerate -. Ma anche in precedenza l’energia politica non apparteneva tanto alle assemblee quanto ai partiti, che avevano popolato le due Camere di deputati obbedienti – almeno, però, meglio selezionati di quelli attuali -. Certo, la formazione della legge attraverso la libera discussione e il libero convincimento dei parlamentari è più un mito che una realtà storica; ma altrettanto certamente mai come ora il parlamento è stato lontano dal cuore della politica.

Ora, dato che la presenza di un libero parlamento, efficiente e agguerrito, è ciò che distingue i sudditi dai cittadini, sarebbe stato logico chiedersi come restituire alle Camere autorevolezza e legittimità; come accendervi energia politica – il che potrà avvenire per vie opposte, ma che si deve provare a fare coesistere, con il rafforzamento dell’identità politica dei partiti, e al contempo con l’innalzamento della qualità personale e dell’indipendenza intellettuale dei parlamentari -; insomma, ci si sarebbe dovuti preoccupare di come irrobustirlo, per irrobustire e rendere più trasparente la politica, per non arrendersi ai poteri opachi, extra-istituzionali, che in modo sempre più pervasivo controllano i corpi e le menti.

Senza questo intento, oggi assente, la riduzione del numero dei parlamentari è un ultimo sberleffo alle Camere, quasi a sancirne l’irrilevanza. E non si dica che la riduzione rafforza l’istituzione: le assemblee sono potenti non in quanto più o meno numerose, ma in quanto sono consapevoli del proprio ruolo e lottano per esercitarlo, e non perché dall’esterno se ne ampli o se ne riduca la consistenza numerica.

Il mantenimento dell’attuale numero dei parlamentari non risolve quasi nessun problema, di per sé – ma sarebbe il segno dell’inversione della deriva populista del Paese -; come non lo risolve la sua diminuzione, che anzi rischia di generare nuove difficoltà. Ciò di cui c’è bisogno, in realtà, è l’attenzione – del ceto politico e dei cittadini – non alla quantità dei deputati e dei senatori ma alla qualità della politica. Ma di questa attenzione, finora, non c’è traccia.

Pubblicato in «La rivista il Mulino» il 31 agosto 2020

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