di Michela D’Angelo – In G. Cingari, “Gaetano Salvemini tra storia e politica”, atti del Convegno internazionale di studi (Messina, 3-5 ottobre 1985), Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 277-300.
Il periodo messinese di Salvemini si apre nell’autunno del 1901 con la nomina a professore di Storia moderna nell’università di Messina e si chiude dolorosamente con la tragedia del terremoto del 28 dicembre 1908 quando Salvemini perde la moglie Maria Minervini, i cinque figli e una sorella.
Nella biografia salveminiana il periodo messinese è uno dei meno noti. Il tragico epilogo può spiegare, almeno in parte, quella specie di silenzio che lo circonda. Una comprensibile forma di rimozione da parte di Salvemini, che – come ricorda Enzo Tagliacozzo – durante tutta la sua vita «rifuggì dal parlare della più tremenda esperienza da lui sofferta»[1], ha certamente contribuito a relegare in poche righe della biografia questo periodo che per più aspetti fu importante e intenso. Gli anni compresi tra il 1901 e il 1908 sono infatti anni di intensa attività sia per la produzione storiografica sia per l’impegno politico. Anche sul versante degli affetti familiari gli anni messinesi sono anni di intensa serenità, come riconosceva lo stesso Salvemini nel 1908 quando, quasi alla vigilia della tragedia, scriveva: «Nella mia vita familiare sono così felice che ho persino paura»[2].
Quasi trent’anni dopo Salvemini, in un raro momento di abbandono, avrebbe ricordato con lucido rimpianto gli aspetti più sereni del suo periodo messinese:
Godetti allora – scriveva nel 1935 – di tutte le felicità che un uomo può desiderare: lavoro intellettuale intenso, scoperta di nuovi mondi, salute di ferro, quel tanto di denaro che sembrava ed era benessere a chi aveva sempre sofferto di insoddisfatto appetito, amore ricambiato, figli robusti e belli, ed amici – amici molti e tutti generosi e buoni (…). Anni felici, che basterebbero da soli a non farmi mai rimpiangere di essere nato; poi il disastro, a cui non posso neanche ora pensare e a cui da ventisette anni in qua ho cercato sempre di non pensare per non perdere la ragione[3].
L’università
Un incarico universitario portava dunque Salvemini a Messina all’inizio del secolo. Infatti, dopo i concorsi fatti per l’università di Pavia nel 1899 e di Catania nel 1901 con esito negativo, Salvemini vinceva nell’autunno del 1901 il concorso per professore straordinario di Storia moderna presso la facoltà di Filosofia e Lettere dell’università di Messina.
Quest’università comprendeva allora soltanto quattro facoltà (Giurisprudenza, Medicina e Chirurgia, Scienze matematiche e naturali, Filosofia e Lettere) e alcune scuole annesse (Farmacia, Ostetricia, ecc.). Nel 1885 l’università di Messina era stata pareggiata con quelle di 1° grado e ciò aveva consentito una maggiore qualificazione didattica con l’istituzione di nuovi corsi. Anche il numero degli studenti era cresciuto notevolmente e all’inizio del secolo era frequentata da circa 700 studenti:
Studenti iscritti all’università di Messina 1881-1908[4]
La facoltà di Filosofia e Lettere, in particolare, contava allora poco più di una dozzina di insegnamenti; ad essa era annessa anche una Scuola di Magistero.
Gli studenti iscritti a tale facoltà erano in media allora una quarantina l’anno e costituivano una componente ristretta (circa il 7%) della popolazione studentesca nel suo complesso:
In questa facoltà l’insegnamento della storia aveva conosciuto in passato una vicenda alquanto precaria. Il 22 ottobre 1860 un decreto prodittatoriale aveva istituito infatti una cattedra di «Storia antica e moderna» che però non venne mai attivata. Dopo il pareggiamento con le università di primo grado, Messina otteneva nel 1885 lo sdoppiamento di quella cattedra con il corso di Storia moderna e con quello di Storia antica. Da allora l’insegnamento di Storia moderna era stato tenuto da Giovanni Battista Siracusa (1887-93), da Luigi Alberto Ferrai (1893-95), da Giacinto Romano (1896-99), da Ferdinando Gabotto (dal gennaio al novembre 1900) e dal geografo Giuseppe Ricchieri, incaricato per l’anno accademico 1900-1901.
L’anno successivo arrivava Salvemini che iniziava così con l’incarico messinese la sua carriera universitaria. Fino ad allora infatti aveva insegnato nel ginnasio di Palermo (1895-96) e nei licei di Faenza (1896-98), Lodi (1898-1900) e Firenze (1900-1901).
Al suo arrivo a Messina tra i docenti della facoltà di Lettere Salvemini trovava quell’anno Giovanni Pascoli (che dal 1897 insegnava Letteratura latina), Michele Barbi (Letteratura italiana), Luigi Alessandro Michelangeli (Letteratura greca), Giuseppe Ricchieri (Geografia), Antonio Restori (Letterature neolatine), Giovanni Dandolo (Filosofia teoretica), Francesco Fisichella (Filosofia morale), Giovanni Cesca (Storia della filosofia) e Luigi Savignoni (Archeologia). L’anno seguente sarebbero arrivati anche Ettore Ciccotti (Storia antica) e Augusto Mancini (Grammatica greca e latina).
Con alcuni di essi Salvemini iniziava o rinnovava rapporti di amicizia, e in qualche caso, di collaborazione, destinati a sopravvivere al periodo messinese. In particolare, a Messina ritrovava Giuseppe Ricchieri, che era un vecchio e comune amico suo e di Arcangelo Ghisleri e che sarà uno dei collaboratori dell’«Unità», ed Ettore Ciccotti, con il quale aveva intessuto una polemica nel 1899 sulle pagine dell’«Avanti!» riguardo alla tattica del Partito socialista[5]. A Messina conosceva Michele Barbi, per il quale aveva espressioni di stima, e Giovanni Dandolo, con il quale «soleva passeggiare al tramonto al termine della giornata di lavoro»[6]. Più complesso era il rapporto amichevole che Salvemini stringeva con Giovanni Pascoli. Fin dal loro primo incontro, Salvemini coglieva le posizioni «oratorie» e vaghe del collega-poeta che così descriveva:
Pascoli è un simpaticissimo uomo, grosso, mal vestito, sempre in movimento, parlatore a volta impacciato e asmatico, a volte caldo e felicissimo: da vicino è molto più simpatico che da lontano, perché appare sincero in tutto e per tutto. Sincero naturalmente di una sincerità da artista, che spesso prima vede l’immagine e poi l’idea, e l’idea la vede in grazia dell’immagine, ed è pronto a perdonar tutto al contenuto purché sia introdotto da una forma originale e bella. Un modo di pensare, questo, che io non riesco ad accettare. Per esempio, l’altra sera, quando andai a salutarlo prima di partire, si parlava dello sciopero universitario di Messina; e lui ad un tratto: se i tumulti continuassero, vorrei fare un discorso agli studenti e direi loro: «Non profanate l’arma dello sciopero, di cui si serve il proletariato per conquistare il suo diritto; voi non siete degni di maneggiarla, ecc. ecc.». Come vede, l’atteggiamento oratorio è bello; ma è … un atteggiamento oratorio. Fortunatamente è sincero[7].
In questa realtà Salvemini faceva il suo «debutto» di docente universitario nell’anno accademico 1901-1902.
Le lezioni.
«Giovedì 21 corrente alle ore 14 il chiarissimo professore Gaetano Salvemini farà la sua prolusione al corso di Storia moderna trattando l’argomento Scienze storiche e scienze naturali».
Con questo avviso il 19 novembre 1901 la «Gazzetta di Messina» annunciava la prima delle tante lezioni che Gaetano Salvemini avrebbe tenuto nella facoltà di Lettere nel corso di otto anni accademici.
Quella prolusione segnava non solo il debutto accademico di un giovane professore (Salvemini aveva allora 28 anni), ma anche il primo incontro tra Salvemini e la città. L’attenzione cittadina traspariva infatti dall’ampio resoconto che il giornale locale riportava di quella prima lezione del nuovo docente universitario:
Assistevano, oltre a un buon numero di studenti, il Rettore, i professori della facoltà di Filosofia e Lettere, e parecchi di altre facoltà e delle scuole secondarie. Nel suo discorso, denso di pensieri e condotto con rigoroso ragionamento, il chiarissimo professore mise in evidenza i rapporti che corrono tra le scienze storiche e la naturali, e sostenne competersi giustamente alla storia il titolo di «Scienza»; fu ascoltato con viva attenzione e fu salutato infine con applauso unanime.
La nostra facoltà di Filosofia e Lettere, già ricca di egregi maestri, ha acquistato un nuovo elemento di valore nel professore Salvemini[8].
Di questa prima lezione, che affrontava una tematica di attualità nel dibattito storiografico del tempo e che segna comunque una svolta fondamentale nella storiografia salveminiana, l’autore con una certa autoironia scriveva all’amico Carlo Placci:
Il 21 novembre feci la prolusione sul tema «Scienze storiche e scienze naturali». Naturalmente, trattandosi di una conferenza fatta da me, non c’era nessuno. C’erano i colleghi della facoltà, che non si potevano risparmiare la corvée, una quindicina di studenti di lettere e cinque o sei altri sfaccendati capitati nella sala per combinazione e presi in trappola dalla mia entrata tutt’altro che trionfale. In compenso la prolusione vidi che piacque molto e nei giorni successivi vi furono parecchie persone, che ne volevano delle copie che io non posseggo. Nell’insieme dunque fu dal punto di vista coreografico un fiasco glaciale. Come insieme di idee, mi pare di non aver fatto opera del tutto sciocca[9].
Quell’insieme di idee, pubblicate l’anno successivo nel saggio La storia considerata come scienza[10], affrontavano, come si è detto, un nodo centrale del dibattito sulla natura, definizione e oggetto della storia e la sua eventuale collocazione nell’ambito delle scienze.
Il primo incontro con l’università avveniva dunque con un discorso che entrava nel vivo di una polemica storiografica di grande momento. Non una discussione «accademica», ma attuale e affrontata con decisione.
A questa prima espressione di un impegno didattico di notevole spessore, che testimoniava lo spirito aperto e deciso con il quale Salvemini, reduce dal periodo fiorentino, iniziava i suoi corsi, avrebbe presto fatto riscontro una realtà caratterizzata da un ambiente universitario poco dinamico e condizionato fortemente da una limitata partecipazione degli studenti. La scarsa presenza dei peraltro pochi studenti e quindi anche la ridotta possibilità di «fare scuola» rendevano profondo il divario tra le aspirazioni di Salvemini e la routine quotidiana, una routine scandita dalle lezioni di storia svolte per la facoltà di Lettere, per la Scuola di Magistero e, dal 1905-1906, per la Scuola Pedagogica.
Sempre per la facoltà di Lettere nel suo primo anno messinese Salvemini, oltre al corso di Storia moderna, svolgeva anche quello di Storia antica.
La giornata di Salvemini in quel primo anno doveva dunque essere per la maggior parte dedicata alle lezioni e alla loro preparazione[11]. All’insegnamento universitario ufficiale si aggiungeva, sempre in quell’anno, il ciclo di lezioni sulla Rivoluzione francese che Salvemini svolgeva per l’Università Popolare che era stata istituita anche a Messina nel dicembre 1901.
Destinatari delle lezioni nella facoltà di Lettere erano però, come si è detto, pochi studenti e Salvemini non tardava a lamentare quella scarsa presenza: «Le lezioni che io faccio all’Università – scriveva nel 1902 – mi sembrano non valere niente, in questo ho ragione, perché chi ha per pubblico due o tre uditori in tutto, uno più sciocco dell’altro, non può far lezione bene»[12].
La presenza degli studenti, oltre che limitata, era anche saltuaria: a Messina – aggiungeva l’anno seguente - «l’insegnamento è un carnevale continuo: gli alunni vengono a lezione quando vogliono e per lo più non vogliono… È una posizione piuttosto seccante e priva di qualunque soddisfazione morale»[13].
In effetti, quelli che seguivano il corso di Storia moderna erano addirittura meno di una decina l’anno, come si deduce dal numero degli esami di Storia moderna[14]:
Più numerosi erano gli studenti della Scuola di Magistero e della Scuola di Pedagogia ai quali Salvemini teneva, come si è detto, altri corsi.
La perdita dei documenti universitari ufficiali non consente di fornire indicazioni sui programmi svolti da Salvemini negli anni messinesi. È certo però che per l’anno accademico 1902-1903 il programma delle lezioni di Storia moderna della facoltà di Lettere si articolava in tre parti: una, metodologica, sulla critica delle fonti; una, monografica, sulla Rivoluzione francese e una terza, pratica, di esercitazioni. Anche il programma di esame era diviso in tre parti: a quella metodologica e a quella monografica si aggiungeva una parte del corso generale[15].
Si può presumere poi che due degli studenti che nell’anno accademico 1904-1905 conseguivano la laurea in Lettere avessero come relatore proprio il professor Salvemini. Le due tesi riguardavano infatti La rivoluzione del 1647-48 in Catania e Barcellona Pozzo di Gotto nei moti politici del 1848 e la rivoluzione nella provincia di Messina[16].
(...)
[1] E. Tagliacozzo, Gaetano Salvemini nel cinquantennio liberale, Firenze 1959, p. 78.
[2] La lettera di Salvemini a Carlo Placci è riportata da L. Minervini, Amico e maestro, in «Il Mondo», 22 ottobre 1957.
[3] Salvemini a M. Berenson, 15 marzo 1935, in Lettere di Salvemini ai Berenson, a cira di U. Morra, in «Il Mondo», 13 settembre 1960.
[4] I dati sono riportati dagli «Annuari della R. Università di Messina».
[5] Sulla polemica con Ciccotti cfr. anche G. Salvemini, Movimento socialista e questione meridionale, Milano 1973, pp. 102 sgg.
[6] Cfr. E. Tagliacozzo, op. cit., p. 59.
[7] Salvemini a Carlo Placci, Molfetta 12 dicembre 1901, in G. Salvemini, Carteggi (1895-1911), a cura di E. Gencarelli, Milano 1968, p. 196 (da ora Carteggi). Alcune lettere di Pascoli e Salvemini si trovano in U. Seroni, Salvemini e Pascoli, in «Archivio trimestrale», 1983, n. 3-4, pp. 717-31. Cfr. anche G. Resta, Pascoli a Messina, Messina 1955.
[8] «Gazzetta di Messina e delle Calabrie», 22-23 novembre 1901.
[9] Salvemini a Carlo Placci, Molfetta 12 dicembre 1901, in Carteggi cit., p. 197.
[10] Il saggio venne pubblicato nella «Rivista italiana di Sociologia», gennaio-febbraio 1902. Sulla prolusione e sul dibattito storiografico cfr. M. L. Salvadori, Gaetano Salvemini, Torino 1963, pp. 192 sgg.
[11] Nell’anno accademico 1901-1902 Salvemini teneva lezione di Storia moderna (dalle 10,30 alle 11.30) e di Storia antica (dalle 14,30 alle 15,30) il martedì, il giovedì e il sabato nella facoltà di Lettere. Per la sezione storico-geografica della Scuola di Magistero, annessa alla facoltà di Lettere, teneva lezione di Storia moderna il mercoledì e di Storia antica il venerdì. Cfr. «Annuario della R. Università di Messina 1901-1902».
[12] Salvemini a Carlo Placci, Altamura 6 ottobre 1902, in Carteggi cit., p. 221.
[13] Salvemini a Pasquale Villari, Messina 6 marzo 1903, cit. da G. De Caro, Salvemini, Torino 1970, p. 146.
[14] Cfr. «Annuari della R. Università di Messina».
[15] «Annuario della R. Università di Messina 1902-1903», p. 283-4.
[16] «Annuario della R. Università di Messina 1904-1905». Gli studenti erano Nicolò De Marco e Antonino Di Benedetto.