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Discussione: Brexit svizzera?

  1. #391
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Fine accordo quadro “anticostituzionale”
    Lo sostiene il professore di diritto Thomas Cottier in una perizia: “Per concludere i negoziati ci voleva l’approvazione del Parlamento”

    Il Consiglio federale non avrebbe dovuto interrompere i negoziati sull'accordo quadro con l'UE senza il consenso del Parlamento; la decisione presa è quindi incostituzionale. È questa la conclusione di una perizia del rinomato esperto legale Thomas Cottier, professore di diritto europeo all'Università di Berna. Lo rivela la SonntagsZeitung.
    La decisione del Consiglio federale non è stata "solo la rottura di un negoziato specifico, ma una decisione fondamentale sulla politica europea e sulla definizione della rotta per la Svizzera". La Costituzione federale richiede che tali decisioni siano prese "congiuntamente e con il voto dell'Assemblea federale". Il Parlamento ha quindi non solo il diritto, ma "il dovere" di correggerlo. Gli strumenti per farlo sono ad esempio l'iniziativa parlamentare o una commissione parlamentare d'inchiesta (CPI).
    Infine, sempre secondo la perizia di Cottier, il Consiglio federale ha negato al popolo il diritto democratico di un referendum diretto e quindi la possibilità di decidere da solo su una questione così importante.
    https://www.rsi.ch/news/svizzera/Fin...-14206179.html

    « Sono sempre le stesse, poche persone e organizzazioni che da molto tempo vorrebbero vedere la Svizzera come uno Stato membro dell'UE. Ciò include alcuni docenti universitari come Thomas Cottier, che ovviamente non si adatta alla concezione svizzera dello stato [...] Sono proprio quei circoli che vogliono seppellire la democrazia diretta Svizzera nel costrutto antidemocratico dell'UE che ora urlano perché presumono che il Consiglio federale abbia scavalcato il diritto del popolo a partecipare ai negoziati. »
    https://www.zeit-fragen.ch/archiv/20...nd-der-eu.html

    « Nouveau mouvement européen suisse
    [...]
    Prix Europe
    En outre, le Nomes décerne chaque année un prix symbolique, qui récompense des personnalités dont les activités contribuent à promouvoir l'idée européenne en Suisse tout en enrichissant la discussion permanente sur la place et le rôle de la Suisse au sein de l'Union européenne.
    2012 - Thomas Cottier - juriste
    »
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Nouvea...C3%A9en_suisse


  2. #392
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Citazione Originariamente Scritto da Halberdier Visualizza Messaggio
    Mah, qua secondo me con le conclusioni sta andando fuori strada, giustamente dice che l'accordo di libero scambio del '72 non è assolutamente una alternativa, ma pensare che possa andare bene un accordo come quello con il Regno Unito è irrealistico, poi che si vada a vedere cosa esporta la Svizzera nella UE e cosa esportano Stati Uniti e Cina.

    Il Regno Unito può anche cullarsi nell'illusione di reindirizzare il suo commercio estero verso altri continenti ma questa opzione per la Svizzera direi che è fuori mano.

    Anzi semmai negli ultimi anni i flussi commerciali tendono a concentrarsi a livello continentale, il commercio mondiale non è assolutamente quello più importante per volumi nemmeno per la Cina che vede il suo export crescere verso gli altri paesi Asiatici e diminuire verso Europa e Nord America.

  3. #393
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Relazioni Svizzera-UE: "Non siamo sull'orlo di un precipizio"
    A poco più di un mese dall'abbandono dei negoziati sull'accordo quadro, le relazioni future tra la Svizzera e l'Unione europea continuano ad essere avvolte da un alone d'incertezza, che potrebbe rimanere tale per un po' di tempo. Tuttavia, la segretaria di Stato Livia Leu è ottimista.

    La rottura dei negoziati ha causato shock e, soprattutto, irritazione a Bruxelles. L'Unione Europea ha sempre indicato che non avrebbe firmato nuovi accordi di accesso al mercato o aggiornato le intese esistenti senza un accordo istituzionale.
    Per il momento, Bruxelles si attiene alla sua linea. Il riconoscimento reciproco per i dispositivi medici è in alto mare. La Svizzera è esclusa dal programma di ricerca Horizon Europe. E l'accordo per il settore dell'elettricità è bloccato.
    Una situazione che sta causando preoccupazione nella Confederazione. Ma la segretaria di Stato Livia Leu, caponegoziatrice per le trattative con l'UE, non è preoccupata. La reazione cauta da parte di Bruxelles è giudicata positiva. Bruxelles ha bisogno di tempo e Berna può convivere con questa situazione. "Non siamo sull'orlo di un precipizio. Non abbiamo una scadenza e se necessario, abbiamo tempo".
    Secondo Livia Leu, non c'è bisogno di buttarsi a capofitto in nuovi negoziati. "Prima si devono gettare le basi affinché queste coincidano anche con gli interessi della Svizzera", ha sottolineato davanti ai media a Berna. La questione istituzionale rimane sul tavolo, ma deve essere considerata in un contesto più globale.

    Sostegno austriaco

    Il dialogo politico dovrà contribuire a questo obiettivo. Tuttavia, non è stata delineata nessuna misura concreta. In ogni caso, la Svizzera sembra volere fare affidamento sui suoi vicini.
    "Alla fine, sarà il Consiglio europeo a decidere, non la Commissione europea", ha rilevato Livia Leu. Ognuno dei suoi membri dovrà difendere i propri interessi, in particolare quelli economici. L'Austria si è già pronunciata a favore di Berna.
    L'Unione europea è il partner più importante della Svizzera, ha sottolineato la segretaria di Stato. Ma gli interessi sono reciproci. Più di un milione di europei vivono in Svizzera e più di 300'000 frontalieri varcano ogni giorno il confine.

    Dettagli in autunno

    La risoluzione di questa spinosa questione richiederà probabilmente del tempo. Soprattutto perché la Svizzera non è il problema principale dell'UE, ha detto Livia Leu. "Le nostre relazioni funzionano bene e senza intoppi".
    La Commissione europea ha annunciato che presenterà i dettagli delle future relazioni con Berna solo in autunno. Nel frattempo, la Svizzera sta esaminando le differenze tra i suoi regolamenti e quelli dell'UE. Deciderà poi come risolverle autonomamente, se è nel suo interesse.
    https://www.swissinfo.ch/ita/relazio...izio-/46763292
    150 anni di dilemma europeo per economiesuisse
    L'abbandono dell'accordo quadro con l'UE è un colpo per economiesuisse. Da 150 anni, la federazione delle imprese si trova divisa tra i mercati europei e il resto del mondo in nome del libero scambio.

    Ancora una volta, economiesuisse vacilla. Dopo l'abbandono dei negoziati sull'accordo quadro, l'organizzazione teme per la stabilità delle relazioni commerciali con l'UE. "Dal Medioevo, i grandi vicini europei e la discriminazione delle imprese svizzere sono al centro delle preoccupazioni", dice Andrea Franc.
    Lo storico dell'economia ha appena pubblicato il libro «En dialogue avec le monde. Les entreprises suisses aux XIXe et XXe siècles» (Dialogo con il mondo. Le imprese svizzere nei secoli XIX e XX) in occasione del 150° anniversario di economiesuisse. Dalla sua fondazione nel 1870, la più antica federazione imprenditoriale è divisa tra l'accesso ai mercati dei Paesi vicini e il resto del mondo in nome del suo credo, il libero scambio.

    Blocco e contrabbando

    Per la Svizzera senza sbocco sul mare, il libero scambio con l'Europa si è rivelato molto presto vitale. I mercanti confederati divennero i suoi feroci guardiani. Dalla fine del Medioevo, la Camera di Commercio e dell'Industria di San Gallo-Appenzello, la più antica del Paese, svolse un ruolo decisivo. Questi commercianti erano in prima linea per sfidare il blocco continentale di Napoleone (1803-1813). Mentre contrabbandavano merci inglesi, la Dieta cercava di placare la Francia.
    L'esperienza del blocco continentale ha lasciato il segno sul commercio svizzero. Privi di sbocchi, i mercanti svizzeri conquistarono nuovi mercati fuori dall'Europa, come gli Stati Uniti. Così facendo, diventarono pionieri della globalizzazione. Il protezionismo che sorse sulla scia del Trattato di Vienna – come lo "Zollverein" del 1834 – rafforzò la loro diffidenza verso gli Stati vicini. "Per 150 anni, la priorità è stata quella di mantenere aperti i canali verso il resto del mondo, in modo da dipendere il meno possibile dalle imprevedibili potenze europee", dice Andrea Franc.

    Uomini d'affari e politici

    Nella Svizzera moderna ancora in costruzione, le camere di commercio cantonali sono responsabili dell'economia e del commercio estero. Peter Jenny (1824-1879) di Glarona incarna il tipico industriale tessile attivo a livello globale – possiede una filiale nelle Filippine – e membro dell'élite dirigente liberale. Era un'epoca di accordi commerciali con altre nazioni.
    Fino ad allora, gli scambi tra le organizzazioni commerciali cantonali erano molto limitati. Nel 1869, su iniziativa di Peter Jenny, si riunirono i delegati di 13 organizzazioni commerciali cantonali. All'inizio, gli svizzeri francesi erano diffidenti nei confronti di un'associazione nazionale: preferivano discutere direttamente con il governo federale.
    Il 12 marzo 1870 si riunì l'assemblea fondatrice della futura Unione svizzera del commercio e dell’industria (USCI). L'unione era modellata sulla vecchia Confederazione: una camera di commercio cantonale, eletta come "Vorort" per due anni, assumeva la presidenza. Il primo mandato andò ai bernesi. Dal 1878 in poi, il Vorort, ovvero l'USCI, ebbe un segretariato permanente.

    Salvare capre e cavoli

    Dopo la Prima guerra mondiale, le esportazioni crollarono e i sindacati e i contadini in Svizzera cominciarono a interessarsi di economia politica. Messi sotto pressione, il presidente dell'USCI Hans Sulzer (1876-1959) e il direttore del Vorort Heinrich Homberger (1896-1985), in particolare, parteciparono all’economia di guerra. In pieno conflitto, l'USCI riuscì a salvare capre e cavoli in nome del libero scambio: il "ministro" Sulzer tenne colloqui con gli alleati all'estero. L'"8° consigliere federale” Homberger negoziò con l'Asse.
    Di fronte alla crescente interferenza dello Stato nell'economia, un movimento neoliberale prese piede: nel 1942 fu fondata la Società per il promovimento dell'economia svizzera (PROEC). Questo “think tank” e l’USCI si avvicinarono gradualmente fino a formare economiesuisse nel 2000.

    Fortezza Europa

    L'emergere delle istituzioni internazionali (FMI, Banca Mondiale, GATT) e del blocco europeo nel dopoguerra ha fatto emergere il dilemma originario. "Si pone sempre la questione se il libero scambio debba essere su scala europea o globale. L'adesione a una zona europea può significare per le imprese svizzere una discriminazione nei confronti delle aziende non europee. Anche all'interno del Vorort, gli atteggiamenti verso i vari accordi non sono uniformi", dice Andrea Franc.
    Di fronte alla "Fortezza Europa", il Vorort pone come alternativa l'Associazione europea di libero scambio (AELS), fondata nel 1960. L'USCI non è entusiasta dello Spazio economico europeo (SEE), ma rifiuta chiaramente la Comunità europea (CE). Bruxelles, come la Francia in passato, è "un grande e potente vicino da cui le imprese svizzere non si aspettano altro che discriminazione e assolutamente nessuna indulgenza", scrive Andrea Franc.
    L'USCI esorta invano a votare a favore del SEE, che considera il male minore. "La Svizzera ha dovuto scegliere tra l'Europa e il mondo, come ha sempre fatto", osserva Andrea Franc, "e ha scelto il mondo”.
    https://www.swissinfo.ch/ita/libero-...uisse/46760610

  4. #394
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Citazione Originariamente Scritto da Halberdier Visualizza Messaggio
    «Consentite alla Svizzera di partecipare al programma Horizon»
    È la richiesta, in una lettera aperta all’UE, di 20 organizzazioni europee - La Confederazione «ha fornito un contributo importante in molti settori, la cooperazione di lunga data e reciprocamente vantaggiosa deve proseguire»

    Diciotto Paesi terzi possono partecipare provvisoriamente al programma di ricerca Horizon Europe dell’Unione europea (UE) senza che ci sia un accordo, ma tra di essi non figura la Svizzera. In una lettera aperta, circa 20 organizzazioni e reti di ricerca europee chiedono che anche alla Confederazione sia consentito di accedere a questi programmi.
    [...]
    Attualmente sono 18 i Paesi a beneficiare di questi accordi transitori, tra cui Albania, Marocco, Turchia e anche il Regno Unito. Ma non la Svizzera: «Le persone giuridiche della Svizzera non sono attualmente coperte da accordi transitori», si legge in un documento della Commissione europea.
    [...]
    Tuttavia, la decisione della Commissione UE non è del tutto inattesa: si sa da tempo che l’UE ha legato la partecipazione della Svizzera a Horizon Europe alla sottoscrizione dell’accordo quadro e, più recentemente, anche al pagamento del miliardo di coesione. È quindi incerto se, quando e in che misura la Svizzera potrà partecipare al programma di ricerca dell’UE.
    In un’intervista a «Schweiz am Wochenende» pubblicata ieri, il presidente Guy Parmelin ha detto che sarebbe «spiacevole, ma anche non sorprendente» se la Svizzera fosse definitivamente classificata come Paese terzo nel programma di ricerca Horizon Europe.
    Tuttavia, poiché l’accordo di ricerca dell’UE non è un accordo di accesso al mercato, non ha anche «nulla a che fare con l’accordo quadro, e quindi non c’è motivo per cui la Svizzera debba essere trattata peggio di Israele, delle isole Faroe o di altri Stati», ha continuato Parmelin. In definitiva, però, si tratta di una decisione politica da parte di Bruxelles.
    https://www.cdt.ch/svizzera/consenti...?_sid=9zaxIJVI
    Ricercatori svizzeri penalizzati
    Per tutti i bandi del 2021 inerenti il programma di ricerca dell’UE «Orizzonte Europa» la Svizzera godrà solo dello statuto di Paese terzo non associato

    Per tutti i bandi del 2021 inerenti il programma di ricerca dell’UE «Orizzonte Europa» e relativi programmi e iniziative, e fino a nuovo ordine, la Svizzera godrà solo dello statuto di Paese terzo non associato.
    Ciò significa che i ricercatori attivi in Svizzera possono sì partecipare a tali programmi, ma in misura limitata. Per cambiare la situazione, Berna dovrebbe sbloccare il miliardo di coesione.
    Lo ha comunicato il 12 luglio la Commissione europea, indica una nota odierna della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI). Anche in questa modalità, i ricercatori in Svizzera possono partecipare ai concorsi, seppur in misura limitata, e ottenere un finanziamento diretto da parte della Confederazione.
    In linea di principio, tuttavia, non è più possibile partecipare a progetti singoli, in particolare nell’ambito di futuri bandi del Consiglio europeo della ricerca, delle Azioni Marie Skłodowska-Curie e del Consiglio europeo dell’innovazione.
    Nel programma quadro di ricerca e innovazione «Orizzonte Europa», ricorda la SEFRI secondo cui obiettivo del governo rimane la piena adesione, sono previste due modalità di partecipazione per gli Stati non membri dell’UE: in qualità di Paesi terzi associati oppure di Paesi terzi non associati.

    Paga la Confederazione

    Anche in questa modalità i ricercatori svizzeri possono partecipare a «Orizzonte Europa» e candidarsi per le componenti del programma e gli strumenti di finanziamento aperti a loro. Di norma, però, non ricevono dalla Commissione europea un finanziamento per i costi di progetto. In tal caso il finanziamento è erogato dalla SEFRI ogni volta che è ammessa una partecipazione.
    Il Parlamento ha già approvato il finanziamento della partecipazione elvetica per un importo di 6,15 miliardi di franchi, così come la possibilità di un finanziamento diretto ai ricercatori svizzeri.

    No a progetti singoli

    I ricercatori in Svizzera sono al momento banditi dalla partecipazione a progetti singoli (Consiglio europeo della ricerca, Azioni Marie Skłodowska-Curie, Consiglio europeo dell’innovazione) ad eccezione dei bandi già chiusi «ERC Starting Grants» e «ERC Consolidator Grants»: la Commissione europea valuterà le proposte di progetto presentate dai ricercatori attivi in istituzioni svizzere ospitanti sulla base della portabilità di questi finanziamenti (grants). In caso di valutazione positiva, la SEFRI propone di finanziare direttamente i ricercatori in Svizzera.
    Per tutti i bandi del 2021 che non danno a ricercatori e innovatori in Svizzera una possibilità di candidatura/valutazione, la SEFRI sta preparando proposte di misure transitorie adeguate nel quadro del processo creditizio della Confederazione (preventivo). Se necessario, il Consiglio federale si occuperà a tempo debito anche di misure sostitutive a lungo termine.

    Obiettivo: piena associazione

    L’obiettivo del Consiglio federale rimane sempre la piena associazione al programma «Orizzonte Europa», «ma al momento non sono in corso negoziati tra la Svizzera e l’Unione europea».
    Per quanto riguarda la futura associazione della Svizzera, Bruxelles pone come condizioni il versamento del secondo contributo all’allargamento (1,3 miliardi di franchi su dieci anni, n.d.r) e la stipula di uno «Specific Agreement» che disciplini la partecipazione della Svizzera ai programmi dell’UE ed è già citato nel mandato negoziale della Svizzera.
    Per la Commissione europea, inoltre, la ripresa delle trattative va inquadrata nel contesto delle relazioni globali tra la Svizzera e l’Europa.
    https://www.cdt.ch/svizzera/ricercat...?_sid=iEDhxLOV

    Devo dire che si rasenta la genialità. Il celeberrimo "miliardo di coesione", il cui versamento è stato bloccato dopo che l'UE ricattò la Svizzera negando l'equivalenza borsistica per spingere alla firma dell'accordo quadro, ora si vuole venga sbloccato tramite un secondo ricatto, senza aver posto fine al primo. E avanti così, immagino...
    Beh, dopo di allora la borsa svizzera non è mai stata meglio, si vedrà ora come andrà per questo. Comunque a Bruxelles devono averne di bisogno di soldi...

  5. #395
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Rappresaglia contro la Svizzera: Didier Queloz, hai ragione
    Adattato da uno scambio di tweet con il Premio Nobel per la fisica, scopritore di esopianeti, che lascerà l'Università di Ginevra per unirsi a un team dedicato alla ricerca sulle origini della vita al Politecnico di Zurigo.

    Didier Queloz
    bad news for Swiss research and innovation and a kill of perspective for a whole generation of young researcher. Depressing ….
    A kill of perspectives? Tu esageri. Ricercatori e innovatori possono partecipare nella maggior parte dei casi. I finanziamenti proverranno direttamente da Berna invece che passare prima da Bruxelles (1). Come nel 2014-2016.

    L'associazione con Horizon Europe è ufficialmente sospesa finché il parlamento bloccherà il contributo svizzero di oltre un miliardo di franchi all'allargamento (?!) dell'UE.
    Questo contributo è stato sospeso finché l'UE continuerà a non riconoscere l'equivalenza borsistica con la Svizzera. Una rappresaglia dell'era Juncker in relazione alla lentezza della ratifica dell'Accordo Quadro Istituzionale che subordina progressivamente il diritto svizzero a quello europeo, ormai abbandonato.
    Tuttavia, non esiste alcun legame giuridico tra l'Accordo di ricerca del 1999 (Bilaterale I) e il progetto di Accordo quadro istituzionale interrotto, come confermato nel dicembre 2019 dal Commissario europeo Johannes Hahn, ex ministro della Scienza e dalla ricerca per la Repubblica d'Austria (2) .
    Questa cattiva notizia per la ricerca e l'innovazione sovvenzionate in Svizzera è quindi pura ritorsione politica. Dovremo aspettare la de-escalation per uscire da questi comportamenti molto loschi. O meglio, da cortile della scuola.

    Contestualmente è stato concluso da Bruxelles un accordo di associazione di immediata applicazione transitoria con Regno Unito, Israele, Turchia, Ucraina, Albania, Armenia, Bosnia, Isole Faroe, Georgia, Kosovo, Moldova, Serbia, Tunisia, Montenegro, Marocco e anche la Macedonia del Nord.
    Sembra che la scienza e gli scienziati svizzeri siano tenuti in ostaggio. Bruxelles li usa per chiedere aiuto, muovere l'opinione pubblica e cambiare la politica europea della Svizzera nella direzione voluta dall'Unione.

    Ha ragione, onorevole Queloz, l'atteggiamento di Bruxelles è deprimente.

    —————

    (1) https://blogs.letemps.ch/francois-sc...idees-fausses/
    (2) https://www.srf.ch/news/schweiz/neue...scher-erhalten
    https://blogs.letemps.ch/francois-sc...lement-raison/

  6. #396
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Il settore medtech capovolge la situazione: le misure dell’UE non sono ammissibili

    Non appena il Consiglio federale ha fatto saltare l’accordo quadro con l’UE, l’Unione europea è subito tornata alla carica. Lo stesso giorno quest’ultima ha disposto l’invalidità della certificazione svizzera per i prodotti di tecnologia medica. In Svizzera esistono circa 350 aziende attive nel settore medtech. Finora sono 54 le ditte colpite dalla modifica della prassi imposta dall’Unione europea e che adesso si dovranno ricertificare per poter esportare nell’UE anche in futuro.

    Ma il settore di tecnologia medica, anziché lamentarsi, ha deciso di prendere in mano la situazione, come spiega il Tages-Anzeiger. Dopo aver consultato l’associazione di categoria Swiss Medtech, Medtech Europe ha incaricato lo studio legale Sidley Austin di eseguire una perizia. Ed ecco qua che questa ha messo a nudo una violazione da parte dell’UE delle normative vigenti su addirittura tre fronti; la decisione dell’Unione europea violerebbe infatti il diritto comunitario nonché il diritto dell’OMC e lo specifico accordo sull’abolizione degli ostacoli tecnici al commercio («Mutual Recognition Agreement», MRA) nel settore medtech. Per di più, l’Unione europea non ha mai annullato l’MRA.

    I legali suggeriscono quindi di intraprendere un’azione legale contro le misure dell’UE. Il Consiglio federale avrebbe diverse possibilità per intervenire contro il discutibile comportamento dell’Unione europea, ha spiegato Daniel Delfosse di Swiss Medtech, come riportato nell’articolo della stampa. Il settore inoltre mira a non limitarsi semplicemente ad accettare la decisione dell’UE (anche in vista di future decisioni che potrebbero colpire altri settori dell’economia).

    Secondo Delfosse la perizia eseguita ha già dimostrato la sua efficacia: «La Commissione europea ha dato istruzioni ai suoi Stati membri di non trattenere più i prodotti svizzeri alla dogana.»
    https://www.autonomiesuisse.ch/it/notizie
    (fonte disponibile su abbonamento: https://www.tagesanzeiger.ch/medtech...k-776172003003)

    È bello constatare che in questi casi l'UE s'infantilisce al punto di violare le sue stesse regole...

  7. #397
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Svizzera-UE: in attesa della fine delle rappresaglie
    La pubblicazione trimestrale UBS Outlook Svizzera dedica l'edizione di luglio alla politica europea (*). Molto istruttivo sul modo in cui i germanofoni percepiscono l'accordo istituzionale post-abortito (InstA): più problematico nel senso di importazione che di esportazione. Tutto sembra essere fatto a Bruxelles affinché la libera circolazione delle persone torni in primo piano. Per non parlare dell'elettricità.

    L'edizione si intitola « La Svizzera ha bisogno dell'Unione europea? » Il che lo rende a priori una caricatura della tautologia retorica. La Svizzera ha ovviamente bisogno dell'UE, che nessuno contesta. A parte forse una frazione inferiore allo 0,5% di cittadini inclini a delusioni autarchiche. La formulazione però rimanda al cuore stesso di una vulgata argomentativa che invoca la subordinazione del diritto svizzero al diritto europeo: che senso ha resistervi, conoscendo i rapporti di forza e sapendo che la Svizzera non può fare a meno del suo vicino? Porre la domanda è dunque rispondere.
    Questo titolo sembra pensato per scoraggiare la lettura, cosa che il contenuto di certo non merita. Non c'è un nuovo elemento fattuale, ma la versione francese dà un'idea di come i germanofoni percepiscono attualmente la questione europea: molto più aperta e meno emotiva rispetto alla Svizzera romanda. Sotto la firma del basilese Alessandro Bee, gli economisti di UBS fanno un piccolo punto della situazione a distanza. Mentre il rapporto con l'UE, dicono, "sembra indeterminato come raramente prima".

    Prima osservazione: i rischi in relazione all'accesso delle esportazioni al mercato europeo, arci-dominanti nei dibattiti parossistici degli ultimi anni, sono poco menzionati. Sì, il mercato europeo resterà la prima destinazione dell'export svizzero. Anche se è in calo rispetto ad altri (Asia-America). L'economia delle esportazioni svizzera avrà sempre bisogno di clienti europei. Ecco.

    Omologazioni industriali: superabili

    Non si tratta più di accesso « privilegiato » al mercato europeo. Al massimo, « sicurezza di accesso » in una fase di crescente protezionismo nel mondo sviluppato. Diciamo che ci sarà voluto del tempo, con alcune dimostrazioni precise e quantificate, per rendersi finalmente conto che l'accesso cosiddetto « privilegiato » è propriamente irrisorio rispetto al PIL. Si tratta praticamente solo dei luoghi e delle procedure di omologazione industriale.
    Leggendo questa nota pare che ci si accorga oggi che le aziende la cui ambizione è di esportare nel mercato unico devono essere in grado di omologare i propri prodotti e sistemi nel mercato unico. Soprattutto se è più economico e veloce che in Svizzera. Potremmo rendercene conto meglio quando la fase del risentimento e della rappresaglia sarà finita.

    Da parte sua, l'Unione sembra avviarsi verso l'integrazione del nuovo ambiente. Dopo l'incontro di ieri tra Johannes Hahn e il consigliere federale Ignazio Cassis, il commissario europeo ha affermato in un tweet che il rapporto Svizzera-Ue è rimasto importante. Non si tratta più di una relazione privilegiata. Possiamo presumere che Cassis avrà parlato con Hahn della fine delle ritorsioni avviate nel 2018 dal presidente Jean-Claude Juncker. La Commissione dovrebbe elaborare una relazione nella seconda metà dell'anno all'attenzione del Consiglio (degli Stati) europeo.

    Se la Svizzera rimane sulla sua linea ferma, Bruxelles finirà per rinunciare alle ritorsioni per normalizzare i suoi rapporti con il terzo partner economico dell'UE (prima del Regno Unito). Inoltre, si trova al centro della sua geografia, che richiede una distinzione tra politica commerciale e politica di vicinato "semplice". L'UE lo ha fatto proprio con il Regno Unito, concedendo anche strutture di approvazione nel settore farmaceutico, biotecnologico e persino delle specialità chimiche.

    I due temi delicati scelti da UBS tendono ad andare nella direzione opposta. In realtà si riferiscono a problemi di importazione. La libera circolazione delle persone in primis, dipendenti e autonomi. Vale a dire, immigrazione europea attiva e lavoro di frontiera. Poi la sicurezza degli approvvigionamenti nel settore energetico. In relazione all'Accordo sull'elettricità, che gli europei hanno bloccato decretando che era subordinato all'InstA. Non era così all'inizio, vale a dire nel 2007, quando sono iniziati i negoziati. Se gli svizzeri hanno creato incertezza giuridica abbandonando InstA, dopo due anni di consultazioni, possiamo dire che l'UE non ha rinunciato a farlo a sua volta nella sequenza precedente. In modo molto più precipitoso.

    Libera circolazione dei lavoratori: il ritorno

    A proposito della libera circolazione delle persone (LCP), lavoratori autonomi e salariati in primis, acclamata lo scorso anno in una votazione popolare: gli economisti di UBS hanno certamente ragione a citare ciò che appare in questa fase come una discreta evidenza: « Per il momento, l'LCP rimane in vigore nell'ambito di accordi bilaterali; tuttavia, è dubbio che l'elettorato continuerà a sostenerlo se l'UE, da parte sua, lascia scadere altre parti degli accordi ». Come ha detto che voleva fare, possiamo aggiungere. Riferimento alla prevista « erosione » degli accordi che l'Ue dice di non voler più aggiornare. Anche in questo caso, non c'è quasi nessuna posta in gioco economica se non sull'Accordo sul reciproco riconoscimento delle norme tecniche (ARM). In particolare nel campo delle tecnologie mediche. Questo non è trascurabile, ma perlomeno gestibile.

    Aggiungiamo al ragionamento di UBS che l'equazione può essere trasposta sul piano politico. Gli svizzeri supportano la LCP per avere l'ARM. L'una è collegata all'altra da un parallelismo giuridico chiamato « ghigliottina » negli accordi bilaterali I. Se l'ARM viene svuotato della sua sostanza da Bruxelles, la Svizzera ha il diritto di svuotare l'LCP della sua sostanza (in assenza di risoluzione formale dell'accordo).
    La partenza potrebbe ovviamente venire da un'iniziativa del partito popolare UDC. Potrebbero anche trattarsi di misure di salvaguardia più o meno parziali o complete decise unilateralmente a Berna. In caso di rallentamento economico duraturo, per esempio. Se la variabile europea di aggiustamento dell'immigrazione si adattasse troppo lentamente a un mercato del lavoro diventato recessivo.

    Trattando degli effetti economici di una riduzione o sospensione della libera circolazione dei lavoratori, UBS rientra abbastanza facilmente nelle scappatoie preferite del più antico dibattito politico europeo in Svizzera. In particolare, l'idea che le aziende non possano più « importare » competenze dall'Europa. Come se gli svizzeri smettessero di poter « deportare » gli europei nei campi di lavoro. In realtà, la Svizzera non ha assolutamente bisogno di LCP per accogliere tutte le competenze ei talenti di cui ha bisogno. I rischi di una carenza di persone attive in tutto il continente, dovuta in particolare all'invecchiamento, hanno lo stesso peso con o senza PCL.
    È quindi possibile vedere le cose in modo diverso. Senza LCP, e a parità di altre condizioni, l'immigrazione europea non cesserebbe. Il mercato del lavoro sarebbe semplicemente regolato da una politica di immigrazione più autonoma, come in 160 stati nel mondo (alcuni molto competitivi e prosperi).
    Questa autonomia avrebbe senza dubbio un costo amministrativo per le aziende, con qualche ritardo nell'assegnazione dei permessi di lavoro. Il che finirebbe per sembrare globalmente gestibile come i privilegi persi di ARM. Possiamo anche immaginare un nuovo accordo di regolamentazione reciproca per commercio, sul modello degli Stati Uniti, del Messico e del Canada ad esempio (NAFTA e ACEUM).

    È vero che una politica migratoria autonoma e meno vincolata, cioè più « liberale » secondo la terminologia di UBS, non offrirebbe il livello di stabilità giuridica del LCP. Sarebbe così drammatico? Come promemoria, il principio della libera circolazione è stato acclamato negli anni '90 dalle parti sociali in vista della futura integrazione economica e sociale nell'UE. Ma anche sulla base di interessi chiaramente intuiti:
    - la destra economica ha visto in essa un mezzo per superare le reticenze della destra conservatrice quando si è trattato di abolire le quote europee di immigrazione (mai raggiunte dagli anni '80);
    - la sinistra sindacale uno strumento per aumentare le sue adesioni (nuovi residenti o lavoratori transfrontalieri).
    Non esclusiva, questa motivazione della sinistra non è cambiata oggi. Anche la destra economica non dovrebbe più avere timori: l'idea che l'immigrazione sia una buona cosa finché non ha un effetto duraturo sui tassi di disoccupazione è molto diffusa e profondamente radicata nell'opinione pubblica (vedi il voto di settembre 2020). Non ha più bisogno di LCP. È probabile che solo una piccola parte dell'UDC e alcuni microcosmi in contrazione si opporranno seriamente [all'immigrazione].

    La regolazione più autonoma dell'immigrazione europea non segnerebbe necessariamente la fine delle misure di accompagnamento, a cui la sinistra è giustamente molto legata. Presenterebbe persino un vantaggio economico e sociale significativo. L'immigrazione globale (Europa-mondo) essendo comunque tacitamente limitata per ragioni politiche, l'origine europea potrebbe questa volta essere modulata al ribasso e a vantaggio del mondo, con effetto di sostituzione. L'immigrazione dall'esterno dell'Europa è oggi fortemente limitata. Non è diminuito del 20% in media annuale dalla piena applicazione dell'LCP nel 2007? Sicuramente è un impoverimento in termini di culture del lavoro.
    Questa tendenza è in contraddizione con la globalizzazione delle imprese svizzere, delle università e di altre entità internazionalizzate. Tante istituzioni richiedono idealmente una diversità linguistica e culturale estesa ben oltre i confini del continente. L'allargamento al mondo accentuerebbe i vantaggi comparati del centro industriale e dei servizi.
    Contrariamente a quanto suggerisce Alessandro Bee, raramente è necessario padroneggiare subito una lingua nazionale per lavorare in inglese o in attività poco qualificate. Nessun Paese al mondo ha investito così tanto nell'acculturazione dei nuovi arrivati di ogni origine e condizione sociale. Va notato dall'eccesso che i richiedenti asilo in uno stato legale non possono lavorare, perché gli europei hanno il diritto di farlo e devono essere serviti prima sul mercato del lavoro. Questo non è ottimale dal punto di vista dei bilanci sociali.
    Torniamo a UBS, che evoca anche il potenziale non sfruttato dei settori domestici sul mercato del lavoro. Si tratta dell'occupabilità delle donne, vista come una delle possibili alternative alla carenza di risorse umane europee. Menzionato come soluzione di incentivazione, lo sviluppo dei centri diurni ha intanto raggiunto un livello relativamente alto. La fase successiva si concentrerebbe sul loro ingresso gratuito, che non è proprio nell'agenda politica. I partiti di governo non sembrano credere che l'aumento dei bilanci pubblici produrrebbe gli effetti economici e sociali desiderati.
    Un'altra alternativa parziale menzionata: l'innalzamento dell'età pensionabile. Questa misura è presente nei programmi politici da più di quindici anni. È stata presentata un'iniziativa popolare per elevarlo a sessantasei anni. Le opposizioni saranno ampiamente diffuse in tutto lo spettro politico. Anche un sondaggio MIS Trend tra le aziende svizzere aveva mostrato, negli anni 2010, che gli stessi direttori delle società erano contrari per quasi il 70%.

    La trappola dell'elettricità

    La rivoluzione energetica in cui si sono imbarcati il mondo e la Svizzera cerca la migliore combinazione possibile di pragmatismo e grandi obiettivi ideologici. UBS ha una visione chiara e panoramica della situazione e dei possibili scenari a livello locale. Le osservazioni portano a questa osservazione che può essere qualificata come consensuale: la prevista fine del nucleare e delle fonti energetiche fossili, troppo rapida rispetto all'aumento di tutta l'elettricità rinnovabile, creerà in linea di principio gravi carenze di elettricità attuali negli anni 2030. In Europa come in Svizzera. Tuttavia, è prevedibile che la dipendenza dal mercato europeo sarà maggiore rispetto a oggi. Circa il 30% del consumo lordo di energia, con punte del 40% in inverno. La Svizzera avrà bisogno dell'Unione europea, ovvero ciò che doveva essere dimostrato.

    Lo sviluppo si ferma qui, ma non è difficile estenderlo. Gli accordi tecnici sull'interconnessione delle reti saranno sempre possibili in nome delle politiche di vicinato. Tuttavia, questo non sarà tuttavia il caso nella gestione e condivisione delle carenze. I britannici e gli svizzeri non saranno riforniti finché gli Stati membri non lo saranno. Bisogna abituarsi all'idea che questa realtà comunitaria non cambierà per molto tempo. Probabilmente non ci sarà un accordo sull'elettricità in questo senso.

    La Svizzera è in un certo senso condannata a dover aumentare la propria autonomia energetica. Il consumo dovrebbe diminuire del 30%, il che non spaventa molte persone, ma è la produzione di energia elettrica da energia solare la chiave del successo. È evidente che la politica energetica della Svizzera deve essere ridefinita per tenere conto di questa urgenza. Le politiche pubbliche basate sul binomio « tasse e divieti » non ottengono più sostegno. Indirizzarli maggiormente sulla strada dell'investimento e dell'indebitamento, in maniera molto più propositiva, offrirebbe forse nuove prospettive. In ogni caso, la consigliera federale Simonetta Sommaruga e il consigliere federale Ueli Maurer non sembrano più le persone giuste a capo dei due dipartimenti dell'energia e delle finanze.
    https://blogs.letemps.ch/francois-sc...-represailles/

  8. #398
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Dal telegiornale delle 20. Maros Sefcovic, vicepresidente della Commissione europea, ha appena preso in mano il "dossier Svizzera". È passato poco tempo, ma ha già dichiarato che non solo la Svizzera deve pagare il famoso "miliardo di coesione" (quello bloccato finché l'UE non eliminerà le misure discriminatorie verso la Svizzera), ma si dovrà poi preparare a versarne altri, meglio ancora un contributo fisso al bilancio dell'UE.
    Ancora più interessante, dichiara che il suddetto "miliardo" (per il cui versamento non esiste alcun accordo vincolante), è DOVUTO dalla Svizzera, e che la Confederazione è dunque in debito con l'UE fin dal 2012.

    Sempre di soldi alla fine si tratta. Gli ideali evidentemente costano, ma chi li gestisce ancora di più...

  9. #399
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    I Visegrad sono mitici quando continuano a chiedere che la Svizzera versi i fondi di coesione.

  10. #400
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    Predefinito Re: Brexit svizzera?

    Citazione Originariamente Scritto da Alexandri Magni Visualizza Messaggio
    I Visegrad sono mitici quando continuano a chiedere che la Svizzera versi i fondi di coesione.

    Beh, in fondo del primo miliardo sono stati forti beneficiari... ma il problema è che tali uscite le sta facendo in quanto vicepresidente della Commissione Europea e in quanto incaricato di Von Der Leyen, non tanto come politico slovacco.
    Prevedo qualche lieve maretta...

 

 
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