di Rosario Romeo - «Il Giornale» 16 maggio 1976.

Più volte si è accostato il rapido declino della fortuna e dell’influenza di Croce dopo la sua morte all’analogo destino subito da Goethe e da Manzoni, anch’essi per qualche tempo lasciati in dimenticanza dai loro immediati successori, prima che una generazione più distaccata dalle controversie dei contemporanei venisse a cogliere il messaggio non perituro. Ma ciò non è valso a sminuire l’amarezza con cui quel declino è stato registrato da coloro che sono rimasti fedeli all’insegnamento del filosofo e alla formazione intellettuale e morale compiuta sotto la sua guida.
A essi infatti è spesso toccato dover constatare che i più accesi banditori della rivolta anticrociana si contavano tra i crociani più ortodossi di un tempo, e che addirittura Croce veniva accusato poco meno che di filofascismo e persino di «oggettive» responsabilità nella vittoria del fascismo da parte di personaggi che al servizio del regime si erano distinti e avevano acquistato onori e potere.
In confronto all’opportunismo e alla fragilità intellettuale e morale denunciata da questo genere di evoluzioni acquista un rilievo tanto maggiore l’impegno di chi non ha creduto di dover cedere alle suggestioni alla moda, e ai superamenti proclamati a gran voce dai neoconvertiti ha contrapposto, secondo il migliore insegnamento del pensatore napoletano, lo studio e l’illustrazione critica della sua opera, al di fuori di ogni preoccupazione accademica e politica. In prima fila tra questi Alfredo Parente, fondatore e direttore da più anni della «Rivista di studi crociani» e autore di studi importanti di logica ed estetica; in buona parte rivolti a indagare gli svolgimenti ultimi del pensiero crociano, e ora raccolti nella prima parte di questo denso volume.
Di tali studi chi scrive è in grado di apprezzare il significato e l’importanza, ma non di darne un’analisi tecnico-filosofica, che cade al di fuori delle sue specifiche competenze. Per questa parte egli deve dunque limitarsi a segnalare l’interesse degli studi del Parente agli specialisti delle discipline filosofiche. Ma il libro (Alfredo Parente, Croce per lumi sparsi. Problemi e ricordi, La Nuova Italia, Firenze 1975, pp. IX-570), fornisce anche elementi per meglio valutare la più generale proposta culturale che deriva dall’indagine storica e filosofica del Croce, e contribuisce dunque in misura rilevante a una più precisa intelligenza di ciò che essa ha significato nella formazione etica e politica dell’Italia contemporanea. Che questo fosse l’obiettivo di fondo della sua ricerca, appariva chiaro al Croce già negli anni lontani in cui egli si apprestava a determinare il futuro orientamento della sua vita intellettuale.
Tra i primi risultati della sua riflessione egli elencava a se stesso l’avere imparato a «considerare la vita come una cosa seria, come un problema da risolvere» e nel 1912 indicava tra i suoi scopi fondamentali «la formazione di una coscienza italiana moderna, non socialistica e non imperialistica, che riproduca in forma nuova quella del Risorgimento italiano». Era una coscienza che all’ottimismo scientistico e positivistico contrapponeva una morale storica e tragica, consapevole della severità e del dramma della vita, senza indulgenze e senza compiacimenti, e intransigente nella richiesta di un continuo raffronto degli ideali e delle aspirazioni col paradigma impietoso della realtà; e il Parente ha ragione di ricordare come prova degli erramenti ai quali ha condotto la polemica anticrociana, che di Croce qualcuno ha potuto persino parlare come del filosofo della Belle époque. Definizione singolare, se si pensa che Croce visse gran parte della propria esistenza nel dramma delle due guerre mondiali e dell’età dei totalitarismi, e che a esso partecipò in prima persona su posizioni che lo condussero a vivere per decenni in contraddizione con i poteri politici e con le superstizioni intellettuali dominanti nel proprio paese. All’attività di Croce uomo politico negli anni decisivi della caduta del fascismo e alla sua opposizione intellettuale negli anni del regime, Parente dedica pagine fondate anche su ricordi personali che spesso forniscono contributi documentari importanti; e che soprattutto contribuiscono a far meglio intendere i motivi ispiratori di quella battaglia politica e di quella opposizione ideale.
Educato nel clima dell’Italia da poco eretta a Stato nazionale, Croce scriveva negli anni difficili che «non si venera tutta la vita uno Spaventa o un De Sanctis per morire con la visione della loro riprovazione e del loro disprezzo»; e la sua fedeltà a quell’insegnamento si alimentava all’idea della sintesi spirituale, della humanitas, che aveva indicato come programma della «Critica» all’atto della sua fondazione.
Su quella idea si fondava la sua ferma negazione di ogni più pauroso anticristo, che distruggesse, come in alcuni momenti era sembrato possibile, tutte le «cose vive e belle e buone e vere»; anche se essa non gli faceva chiudere gli occhi ai rischi molto concreti che minacciavano la società del tempo di «impoverimento, imbarbarimento, inselvaticamento».
Concezione virile, lontana così dalla fatuità dell’ottimismo a ogni costo come dalla resa e dalla disperazione: che fa il crocianesimo uno filosofia umanistica nel senso più alto de termine, alla quale, in tanto sfaldamento di fedi e di principi, può ancora guardare l’Italia moderna che non ha rinunciato a un avvenire.

Rosario Romeo