di Rosario Romeo - «Corriere della Sera», 25 febbraio 1966

A meditare i problemi della storia e della coscienza storica il Croce si dedicò per oltre mezzo secolo dalla famosa memoria del 1893 sulla Storia ridotta sotto il concetto dell’arte fino agli scritti della più tarda età, apparsi nel secondo dopoguerra. Il nuovo storicismo assoluto si venne così sviluppando attraverso l’individuazione della conoscenza storica come teoria dell’universale concreto – unione, cioè, dell’individuale e dell’universale nel giudizio storico – quale forma più alta e anzi solo vera forma di conoscenza; e attraverso la connessa identificazione di storia e filosofia e la visione di tutta la storia come storia contemporanea, come passato cioè che si rifà presente nella coscienza e costituisce il fondamento del nuovo agire e operare nella realtà.
Ultimo esponente di quello che resterà come il «secolo della storia», - di quel secolo che va dal 1815 alla seconda guerra mondiale – Croce poteva dunque porre il suo storicismo come rinnovato e più moderno umanesimo, svincolato dall’originaria dipendenza dal modello classico, e ispirato invece al concetto che «il passato onde si rischiara la nostra determinazione e azione è la storia tutta dell’umanità, che di volta in volta si rifà in noi presente»; che lo «storicismo contiene in sé l’affrancamento dalla trascendenza di ogni guisa, l’affermazione della vita morale, politica ed economica, il risalto dato alla passione e alla poesia, il ringiovanimento della vita intellettuale e morale, la dialettica che è il nuovo organo logico; senza le quali condizioni e parti non è dato pensare veramente la storia».
E tuttavia, se l’opera del Croce, non rimane soltanto quella di uno dei massimi teorici della storia del Novecento – e del solo pensatore italiano che, accanto al Vico, abbia ancora una posizione di rilievo internazionale nel dibattito su questi problemi: e se quell’opera ha invece avuto sul lavoro storico concreto una così larga efficacia che ancora oggi la storiografia è probabilmente il settore in cui più profonda e persistente si scorge l’influenza del pensiero crociano: ciò si deve al fatto che le costruzioni teoriche del Croce non scaturivano, come spesso accade nei molti scritti di filosofi su questi temi, da una meditazione alimentata solo di concetti e di principi, ma dalla concreta esperienza di ricerca compiuta dal pensatore napoletano fin dagli anni della sua vita intellettuale, ampliata poi dalla mera erudizione locale all’indagine su temi di impegno sempre più vasto.
Il gusto della storia, nella forma più immediata e primaria di amore e interesse, per il passato, fu infatti nel Croce, prima che risultato di teorie e filosofie, moto spontaneo dell’animo, amore e passione irriflessa. «In tutta la mia fanciullezza - egli scriverà nell’autobiografia delineata nel tempo della piena maturità – ebbi sempre come un cuore nel cuore; e quel cuore, quella mia intima e accarezzata tendenza era la letteratura o piuttosto la storia». E la storia come amore e gusto del passato, come sforzo di ricostruzione partecipe e commossa della immagine di uomini e di tempi trascorsi, ebbe sempre nell’opera del Croce una presenza e una parte fondamentale.
Appunto a questo tipo di gusti e di interessi si riporta il tentativo che, anche prima delle iniziali meditazioni sulla teoria della storia, egli fece per esempio di trattare della storia nazionale «non come storia politica, ma come storia morale, secondo che anche dicevo allora, e volevo intendere non come cronaca di avvenimenti, ma come storia dei sentimenti e della vita spirituale d’Italia, dal Rinascimento in poi» (e di ciò si ebbe un parziale risultato negli studi su La Spagna nella vita italiana della Rinascenza); e a questa stessa sensibilità si deve se il Croce, pur teorico e filosofo, si rifiutò sempre, checché se ne sia potuto dire e scrivere, di risolvere la storia degli uomini in quella astratta e impersonale dello «spirito del mondo» e delle sue categorie, e volle invece cercare la realtà ultima e profonda delle vicende umane nel dramma «degli intelletti e dei cuori» che è una dimensione fuori della quale non si intende la pienezza di contenuto umano delle grandi opere storiche di Croce, e il significato che esse hanno per la cultura moderna, al di là delle semplicistiche caratterizzazioni ideologiche a cui tanto spesso si è voluto ricondurle; e basti ricordare le ricchezze di notazioni di tal genere che è propria degli scritti del pensatore napoletano, e le tante figure, di uomini e di donne, che popolano le sue pagine: da quella patetica e struggente di Luisa Sanfelice a quelle vigorosamente tratteggiate, sul piano umano non meno che su quello politico dei Cavour e dei Bismarck.
Merita di essere ricordato a questo proposito, per intendere quanto la storiografia del Croce si innalzi sul gretto parteggiare che tanti confondono con l’impegno morale e politico dello storico, la commossa rievocazione ch’egli fa del dramma dell’ultimo Crispi, pur severamente criticato, nella crociana Storia d’Italia, per il suo autoritarismo e colonialismo, per lo scarso senso del limite e la pericolosa eccitabilità della fantasia; del dramma, cioè, vissuto dopo Adua da quel «vecchio ingenuo e focoso» fatto «segno di accuse atroci e, nel 1898, perfino di una censura inflittagli dalla Camera; avvelenato dalla ingratitudine del volgo basso e alto, confortato da pochi amici, che con quello stesso loro misericordioso confortare gli accrescevano tristezza»; così che «la riverenza, che spira dalla sua sventura al ricordo delle sue opere o del suo lungo assiduo travaglio per la patria, si ammorbidisce talora in uno struggimento di pietà, come sempre che si vede da alcuno crudelmente portar via, ancorché per effetto dei suoi propri errori, quel che pur aveva formato l’unico e alto oggetto delle sue devote sollecitudini, del suo orgoglio, della sua gioia: e una vita, scorsa tutta nell’ardore pugnace dell’azione, tra il clamore dei combattenti, spegnersi sconsolata nel silenzio e nel deserto che le si è steso intorno».
Pure, l’ispirazione fondamentale della storiografia crociana non deriva da una sollecitazione estetica alla contemplazione del passato, e neppure dall’interesse psicologico per la storia delle grandi personalità; ma, come accade per tutta la grande storiografia moderna, dall’esigenza di meglio intendere la genesi e quindi la situazione del presente, sul terreno politico non meno che su quello religioso, culturale, morale ecc. Questa vivente relazione del presente col passato venne dal Croce teorizzata, come si è detto, nella sua visione di tutta la storia come storia contemporanea: e realizzata a un livello assai alto nelle sue grandi opere di storia, da quella dedicata al Regno di Napoli alla Storia d’Italia dal 1871 al 1915 alla Storia d’Europa nel secolo XIX.
Il Croce amava definire questo tipo di storiografia come etico-politica, e a essa usava assegnare, tra i vari «generi» storiografici, un posto di particolare rilievo, quale la storia in senso eminente, o «storia senz’altro»; ma proprio il carattere dell’interesse storiografico intorno al quale si accentrano quelle trattazioni induce a considerarle storia soprattutto in senso morale, piuttosto che politico. Si è ripetuto a sazietà, sino a farlo scadere a vuota formula storica, il serio e difficile concetto crociano – e prima ancora hegeliano – della storia come storia della libertà: ma la libertà richiamata in quella espressione è anzitutto attività dello spirito, e va quindi assai oltre il significato politico, che pur vi rimane compreso e risolto; e parimenti, la storiografia crociana muove non tanto dall’esigenza di chiarire la situazione politica del presente e di tracciare le corrispondenti direttive di azione, quanto dallo sforzo di edificare la coscienza morale sulla consapevolezza dei valori realizzati e tramandati dalla tradizione storica.
Così, nella Storia del Regno di Napoli che pur si chiude su dense pagine di riflessioni intorno al problema del Mezzogiorno dopo l’unità, non è il politico e meridionalista a interrogare il passato, ma l’uomo di cultura meridionale, volto a rintracciare le radici dell’opera sua, piuttosto che nella tradizione politica del Regno, nell’insegnamento degli uomini di cultura del Sei e Settecento, dei Giannone e dei Vico, e a trarre dal ritrovato legame con essi la coscienza della sua propria funzione di mediatore e di tramite fra la tormentata realtà meridionale e la grande cultura europea. E così pure nelle opere sull’Italia e l’Europa dell’Ottocento, nate direttamente dalla lotta contro la restaurazione di modi e ideali autoritari nella vita politica e nella cultura, lo storico non si pone se non in via secondaria il compito di chiarire la genesi storico-politica del successo fascista; ma è indotto invece a meditare sulla origine e il significato degli ideali che stanno alla base della lotta antifascista, e che la giustificano nel quadro della storia civile e politica dell’Italia e dell’Europa moderna.
In questo senso si è potuto dir poi che il Croce diede alla lotta contro il fascismo un contributo meno diretto di altri scrittori e intellettuali, più immediatamente impegnati nella elaborazione di una analisi storico-politica del fascismo e delle direttive di lotta contro di esso; ma nulla potrà sminuire il significato generale che l’insegnamento crociano ebbe nel mobilitare quelle forze di resistenza morale al totalitarismo, nei più vari settori del mondo politico e culturale italiano, da cui poi doveva scaturire tanta parte della resistenza sul terreno politico e militare.
È dunque come storia morale, e non sul piano delle storie della vita politica ed economica, della società e della diplomazia, che l’opera storiografica del Croce va giudicata; ed è su questo terreno che essa raggiunge tutta la sua efficacia, paragonabile a quella dei maggiori storici di tutti i tempi. Perché, certamente, le ricostruzioni e le analisi del Croce sono state e possono essere discusse, come è doveroso e giusto, e anzi indispensabile per l’avanzamento del nostro sapere e della nostra cultura.
Ma l’immagine che per esempio lo storico napoletano ha dato dell’Italia unita e dei suoi problemi, con il permanente contrasto tra le aspirazioni di grandezza ereditate dal Risorgimento e la quotidiana realtà della stentata vita unitaria, il positivismo e autoritarismo di fine secolo, il primo socialismo e il rinnovamento liberale e idealistico dell’età giolittiana, possiede una forza di persuasione e un’evidenza a cui non si sottrae chiunque si faccia a rievocare, sia pure con altri metodi e criteri, quegli uomini e quell’età; e altrettanto si dica della storia delle lotte per la libertà e dell’irrompere dell’attivismo nazionalistico di cui si intesse il volume sulla Storia d’Europa.
L’interpretazione crociana ha avuto una sorta di integrazione e di «espansione», che vale come puntuale riconferma delle sue linee fondamentali, nelle amplissime Premesse disegnate da Federico Chabod per la sua storia della politica estera italiana, ed è stata ripresa da lavori di capitale importanza su particolari problemi del periodo; mentre la Storia d’Europa si allinea tra le massime testimonianze della cultura mondiale nell’età della lotta contro i totalitarismi.
Ancor oggi gli studi storici italiani devono all’insegnamento teorico e all’opera storiografica del Croce i loro temi più originali e la specifica fisionomia che li distingue nel mondo internazionale degli studi. Per buona parte della storiografia italiana l’insegnamento del Croce è stato in effetti un motivo di forza tra i più validi, per la finezza metodologica, la vastità degli interessi, l’organicità della visione storica di cui ha offerto un modello di rara altezza ed efficacia. Dipenderà dall’opera della generazione post-crociana se questa grande tradizione agirà alla lunga come motivo di cristallizzazione intorno ai metodi di lavoro del passato, o se riuscirà invece a vivere in un mondo culturale arricchito di nuovi temi e di nuovi interessi, pur conservando una propria e originale fisionomia.

Rosario Romeo