Il Paradiso Indoeuropeo e il giardino dell'Eden -
di Felice Vinci
Nel volume Omero nel Baltico1 abbiamo cercato di dimostrare che il reale scenario delle vicende dell’Iliade e dell’Odissea fu il mondo baltico-scandinavo, sede primitiva dei biondi navigatori achei: costoro successivamente discesero nel Mediterraneo, dove, attorno all’inizio del XVI secolo a.C., fondarono la civiltà micenea2, trasponendovi, oltre ai nomi geografici, anche epos e mitologia, portati con sé dalla perduta patria nordica.
Questo tra l’altro ci ha permesso di collegare in un quadro unitario la discesa degli Achei nel mar Egeo con la diaspora di altri popoli indoeuropei, che, all’incirca nello stesso periodo (ossia nella prima metà del II millennio a.C.), si stanziarono nelle rispettive sedi storiche: pensiamo agli Hittiti in Anatolia, ai Cassiti in Mesopotamia, ai Tocari in Turkestan, agli Arii in India3.
Riguardo a questi ultimi, «cugini» degli Achei nonché parlanti una lingua affine (di cui una traccia nel mondo nordico è rimasta nell’attuale lingua lituana), è significativa la tesi del Tilak, un dotto bramino indiano, il quale nel mondo vedico ha ritrovato cospicue tracce di una probabile origine nordica, anzi, addirittura artica4. In effetti, nella nostra ricognizione del mondo omerico abbiamo riscontrato diversi indizi di una collocazione precedente a quella baltica, ancora più settentrionale, che sembrano localizzare nell’area lappone e sulle coste del mare Artico la sede di una civiltà primordiale, connessa col mondo degli dèi.
In particolare, i misteriosi Etiopi, “estremi degli uomini”, menzionati ripetutamente da Omero, hanno una collocazione assolutamente incongruente con la ben nota Etiopia africana: sono localizzabili nel punto più settentrionale della Scandinavia5, cioè nella penisola Nordkinn, non lontana dalla Varanger, il che quadra perfettamente con la “terra estrema” del Mahabharata ed il Pairidaeza iranico.
Al riguardo, ci sembra assai significativo che i miti indiani menzionino una terra, posta “agli estremi confini del mondo”, corrispondente all’Etiopia omerica: il Mahabharata la chiama Uttarakuru, ossia la «terra estrema» o «regione estrema», denominata in sanscrito Paradesha, in iranico Pairidaeza, in greco Paràdeisos, in ebraico Pardes (da notare l’assonanza con l’etimologia latina Paradisus, da cui l’italiano Paradiso, N.d.R.)6.
Iperborea in un dipinto di Adelsteen Norman.
- Towneley Hall Art Gallery -
Inoltre, “nella tradizione vedica compare, in luogo di Airyana Vaêjo, l’Uttarakuru come il luogo primigenio degli Arii vedici” 7.
Ora, “le fonti Indo-iraniche testimoniano la presenza di un culto solare nella terra dell’Airyana Vaêjo prima che sopraggiungessero i climi glaciali: il culto apollineo, che viene non a caso dalla terra degli Iperborei e che secondo la tradizione si insedia in Grecia, crea in proposito un parallelismo impressionante.
Gli Iperborei, che vivono ai confini dell’Oceano (…) trovano un parallelo con quegli Arii che vivono in un territorio che, secondo le fonti avestiche e vediche, è assolato per sei mesi (o per dieci mesi, secondo la variante delle fonti) con il clima mite, la cui divinità preponderante è quella solare, e con una notte di altrettanti sei mesi (o due mesi, nella precedente variante)” 8.
Si potrebbe a questo punto ipotizzare una sede primitiva dei popoli indoeuropei alquanto più settentrionale rispetto alla stessa area baltica. Essa è legata al ricordo della mitica età di Crono, il signore dell’età dell’oro, che secondo la mitologia greca in tempi remoti (forse coincidenti con l’acme dell’optimum climatico) sarebbe stato soppiantato dal tempestoso Zeus, il dio supremo dei poemi omerici.
E nell’Inno omerico a Hermes, ambientato nella Pieria (regione contigua all’Olimpo, sede degli dèi), un’apparentemente incomprensibile anomalia astronomica, legata alle fasi della luna, ci riconduce anch’essa ad un ambiente artico, situato al di sopra del circolo polare e, più precisamente, in una regione, identificabile con la Lapponia settentrionale, dove la notte solstiziale si protrae per quasi due mesi9.
D’altronde l’ipotesi della localizzazione artica di una civiltà, impensabile nella situazione climatica attuale, non è affatto in contrasto con quelle che sono le odierne conoscenze scientifiche sull’evoluzione del clima dopo la fine dell’ultima era glaciale: infatti per un lungo periodo, compreso tra il 5500 ed il 2000 a.C., il mondo nordico, fino alle latitudini più settentrionali, godette di un clima eccezionalmente mite, al punto che durante tale epoca, definita dai climatologi optimum climatico post-glaciale (corrispondente alla cosiddetta fase atlantica dell’Olocene)10, la tundra scomparve pressoché interamente dal territorio europeo e l’area della vite si estese fino alla Norvegia11. Tale situazione si protrasse fin verso il 2000 a.C., allorché l’optimum climatico svanì e subentrò la fase sub-boreale, caratterizzata da un clima alquanto più rigido, che rese inabitabili le regioni situate a nord del circolo polare.
Ora, il ricordo di un antichissimo disastro climatico è attestato nella memoria di molti popoli: pensiamo ad esempio al Ragnarok dei miti nordici, il Crepuscolo degli Dèi annunciato da una serie di inverni terribili, di cui l’Edda di Snorri ci dà un resoconto drammatico: “Verrà l’inverno chiamato Fimbulvetr (inverno spaventoso): la neve cadrà vorticando da tutte le parti; vi sarà un gran gelo e venti pungenti; non ci sarà più il sole. Verranno tre inverni insieme, senza estati di mezzo” 12.
Ciò a sua volta trova un preciso parallelo nella distruzione, sempre ad opera della neve e del gelo, del paradiso primordiale degli Iranici, l’Airyana Vaêjo: secondo il racconto dell’Avesta, il dio Ahura Mazda avvertì Yima, primo re degli uomini, che una serie di rigidissimi inverni avrebbe distrutto il suo paese; dopo di allora, vi sarebbero stati dieci mesi d’inverno e due d’estate. Ora, questo è effettivamente il clima delle regioni artiche.
Lo stesso Ahura Mazda prescrisse a Yima di conservare animali e piante in un particolare recinto, denominato Vara (nome con cui viene anche indicato il regno primordiale dello stesso Yima), per salvarli dalla distruzione. Ed è singolare che, all’estremo nord della Scandinavia, ad oriente di Capo Nord e del Tanafjorden, si trovi una penisola, larga e squadrata, denominata Varanger: esso potrebbe corrispondere al Vara iranico.
Per di più la Varena avestica (Varuna in sanscrito), una delle regioni create direttamente da Ahura Mazda, aveva quattro angoli: essa dunque corrisponde molto bene alla caratteristica forma dell’attuale penisola Varanger.
Dall’insieme di tutte queste considerazioni emerge che la Urheimat, la sede primordiale degli Indoeuropei, come aveva già intuito il Tilak e come ci confermano tante tradizioni differenti, con ogni probabilità era una terra artica, localizzabile con precisione sulla carta geografica: si tratta dell’estremità settentrionale della Scandinavia, ovvero di quella sorta di «cappello» del continente europeo, affacciato sul Mare Artico, che a partire dalla Lapponia si estende dalle isole Vesterålen alla penisola di Kola ed al cui vertice troviamo le penisole Porsanger, Nordkinn e Varanger nonché l’isola Mageröya, dove si trova Capo Nord, e il Tanafjorden.
Fu qui, dalle «isole al nord del mondo» della mitologia celtica, da cui sarebbero discesi i Tuatha Dé Danann, gli antichi abitatori dell’Irlanda, che a partire da cinque o seimila anni fa, allorché la costellazione di Orione segnava l’equinozio di primavera13 e il Dragone indicava il Polo Nord14, si sviluppò l’originaria civiltà indoeuropea, nel periodo climaticamente più favorevole che si sia mai verificato in tale area.
Successivamente però il tracollo del clima, attestato da varie tradizioni, la rese inabitabile, costringendo le popolazioni ivi stanziate a cercarsi nuove sedi a latitudini più meridionali.
Più in generale, si può ritenere che il tracollo dell’optimum con ogni probabilità abbia coinvolto non soltanto il nord della Scandinavia, ma anche gli altri bordi continentali situati tutt’attorno al Mare Artico, comprendenti le coste della Siberia, dell’Alaska, del Canada, della Groenlandia, nonché le innumerevoli isole ad essi adiacenti: si tratta di milioni di chilometri quadrati, attualmente inabitabili ma che fino a quattro o cinquemila anni fa erano potenzialmente suscettibili di insediamenti umani anche consistenti.
In quel periodo eccezionalmente favorevole, durato per millenni, le terre affacciate tutt’attorno a quella sorta di «Mediterraneo Artico» che circonda il Polo Nord, e che allora era libero dai ghiacci, forse svilupparono una comune civiltà marinara ed uno stesso linguaggio, come il mito della Torre di Babele, diffuso in tutto il mondo fino alla Polinesia, sembra indicare. Il successivo raffreddamento del clima su aree tanto vaste dovette pertanto innescare movimenti migratori di immensa portata, provocati da una catastrofe ambientale inimmaginabile.
Secondo l’enciclopedia Treccani, “è ragionevole supporre che l’evoluzione climatica nel corso dell’Olocene sia stata la stessa per tutto il pianeta”. Se fosse dimostrato che in una remota preistoria anche l’emisfero australe fu interessato da un optimum climatico, le prospettive per la primitiva storia dell’umanità sarebbero a dir poco sconvolgenti. Tra l’altro si spiegherebbero le carte di Piri Reis, risalenti all’inizio del XVI secolo ma presumibilmente ricalcate su modelli assai più antichi, che mostrano il profilo di un’Antartide libera dai ghiacci. D’altronde Dante Alighieri, che non di rado sembra attingere ad antiche fonti tradizionali, nel primo canto del Purgatorio, accenna a “quattro sante stelle”, identificabili con la Croce del Sud, ed enigmaticamente le definisce “a tutti ignote fuor ch’alla prima gente”.
Ma la crisi climatica non era ancora finita: il progressivo deterioramento del clima a cui il definitivo colpo di grazia venne forse inferto dalla catastrofica esplosione di Santorino e dai suoi effetti su tutto il pianeta, il cui ricordo poi si confuse con quello di catastrofi precedenti, avrebbe costretto gli Indoeuropei a cercarsi ancora altre sedi, a latitudini sempre più basse, e così si spiega l’esodo dei Micenei in Grecia, degli Arii in India, degli Hittiti in Anatolia, dei Cassiti in Mesopotamia, degli Hyksos in Egitto e così via, durante la prima metà del secondo millennio.
Per quanto riguarda la regione caucasica, notiamo che l’insigne egittologo Flinders Petrie vi ha rilevato la presenza di svariati toponimi riferibili alla geografia mitica degli antichi Egizi, quale emerge dal cosiddetto Libro dei morti, che spesso fa riferimento ad una primordiale «Terra degli dèi»: tra i numerosi casi che egli segnala, vi è quello del nome della città di Baku, che ricorda Bekhaw, il monte di Osiride. Curiosamente, in lingua norvegese bakke significa colle: a questo punto verrebbe quasi la tentazione di ipotizzare che le piramidi della piatta valle del Nilo, opera da una civiltà, che praticava culti solari (tipici di un mondo nordico), apparsa improvvisamente nell’area mediterranea, fossero riproduzioni, magari a grandezza naturale, delle alture di una ipotetica sede originaria degli Egizi, prima della loro discesa verso il Caucaso (punto di transito pressoché obbligato per le migrazioni provenienti dal nord) e la valle del Nilo.
D’altronde il nome N rte, divinità arcaica egizia divenuta Neith nella trascrizione greca, ricorda i N arti, antenati mitici degli Osseti (un popolo caucasico studiato dal Dumézil). Peraltro N rte richiama anche il nome di Nerthus, dea dei Germani, che a sua volta, secondo gli specialisti, è etimologicamente identica a Njordh, il dio nordico, e la correlazione N rte-Nerthus viene rafforzata dal fatto che il mitico fondatore della prima dinastia egizia, Menes, è quasi omonimo del leggendario capo stipite dei Germani, Mannus; ma pensiamo anche al Manuindù, al Menebus amerindo e al polinesiano Maui, tutti protagonisti delle rispettive mitologie; quanto al Minosse omerico, la sua Creta pomerana coincide con il territorio dei discendenti di Mannus. E che dire dello stupefacente parallelismo tra il mito di Osiride ed un racconto del Kalevala15, in cui un eroe mitico finnico viene fatto a pezzi, gettato nelle acque dell’aldilà e poi ritrovato, ricomposto e re suscitato dalla madre?
Dal Kelevala la triste storia della fanciulla Aino.
Trittico del pittore finlandese Akseli Gallen-Kallela
--------------------------------------------------------------------------------
Poiché d’altra parte nella mitologia indù, come abbiamo già visto, ha un particolare rilievo la sede degli dèi, chiamata Monte Meru in sanscrito, Sineru o Sumeru in pàli, viene a questo punto da chiedersi se l’ignota terra originaria dei Sumeri, apparsi improvvisamente nell’area mesopotamica nel IV millennio a.C., fosse prossima a quella degli Arii, cioè, seguendo le ipotesi del Tilak sull’origine di questi ultimi, si trovasse anch’essa nel settentrione. Insomma la civiltà sumerica potrebbe essere nata nel nord durante la fase espansiva dell’optimum climatico, tra il quinto e il quarto millennio a.C.; quanto alla sua discesa, magari avvenuta attraverso i grandi fiumi russi, potrebbe aver preceduto di qualche secolo quella dei Gutei, i biondi invasori dell’impero accadico che poco dopo la metà del terzo millennio occuparono e governarono la Mesopotamia per più di un secolo.
Riguardo alla possibile origine nordica delle civiltà mesopotamiche, con le quali quella ebraica è certamente collegata (pensiamo solo alle analogie tra l’Epopea di Gilgamesh e il racconto biblico del Diluvio), ci sembra significativa l’osservazione di un illustre studioso riguardo al fatto che l’ebraico Yahve ha un singolare riscontro nel sanscrito Yahva, attributo che il Rigveda 16 applica a Soma, ad Agni e ad Indra.
Un altro indizio degli stretti rapporti fra primitivi Ebrei ed Indoeuropei ce lo dà proprio la Bibbia: ci riferiamo alla singolarissima «parentela» tra Ebrei e Spartani, proclamata nel primo libro dei Maccabei: ad essa fa riscontro il fatto che ritroviamo il popolo degli Etei da un lato nella Genesi, accanto ad Abramo, dall’altro nella Creta omerica (con il nome di Eteocretesi). Al riguardo, ricordando che i biondi Spartani erano di stirpe dorica, e che i Dori (nome accostabile a quello della Thuringia) si ritrovano anch’essi a Creta (Omero li menziona insieme con gli Eteocretesi) potremmo cominciare a chiederci se la primordiale civiltà ebraica non sia anch’essa inquadrabile nell’ambito dell’età del bronzo nordica, dati gli indizi a sostegno dell’identificazione della Creta omerica con la costa tedesco-polacca del Baltico ed il suo entroterra.
D’altronde anche il nome di Abramo, capo stipite degli Ebrei, appare singolarmente simile a quello di Brahma, il mitico creatore del genere umano secondo la mitologia indù (che tende a trasportare gli eventi in una dimensione per così dire metafisica, mentre normalmente la Bibbia preferisce storicizzarli). Inoltre a Brahma-Abramo potrebbe corrispondere Brimir, il gigante primordiale della tradizione nordica, nonché, forse, il Bran del contesto celtico. Né mancano i punti di contatto del mondo biblico con quello omerico, che vanno a confermare la proclamata affinità con gli Spartani: ad esempio, a parte il comune interesse del mondo ebraico e di quello omerico per le genealogie, il celebre sogno profetico divinato da Giuseppe, relativo alle sette vacche grasse divorate dalle vacche magre, è concettualmente del tutto analogo ad un sogno di Penelope, concernente venti oche scannate da un’aquila, a sua volta accostabile ad una profezia di Calcante, all’inizio dell’Iliade, riguardo a nove uccellini divorati da un serpente. In tutti questi casi abbiamo a che fare con una divinazione del futuro molto particolare, basata su una sorta di metafora, dove il numero degli animali uccisi sta per gli anni corrispondenti all’attesa dell’evento profetizzato.
Note:
1 F. Vinci, Omero nel Baltico, terza edizione, Palombi Editori, Roma 2002.
2 L’origine nordica della civiltà micenea è stata proposta da vari autorevoli studiosi, tra cui lo storico delle religioni Martin P. Nilsson ed il filosofo Bertrand Russell.
3 In questo quadro si può inserire il fatto che l’età del bronzo in Cina è iniziata nello stesso periodo, cioè tra il XVIII ed il XVI secolo a.C.
4 B.G. Tilak, La dimora artica nei Veda, Genova 1994
5 Omero nel Baltico, pag. 366 e sgg.
6 B.G. Tilak, Orione: a proposito dell’antichità dei Veda, Genova 1991, pag. 15 (premessa di G. Acerbi)
7 Antichi popoli europei, a cura di O. Bucci, Roma 1993, pag. 56
8 Ibid., pag. 59
9 Omero nel Baltico, pag. 360 e sgg. Anche l’articolazione del primitivo calendario romano su dieci mesi (l’ultimo dei quali era infatti chiamato December) potrebbe essere indizio di una provenienza artica.
10 Per i dettagli sull’evoluzione del clima nel periodo olocenico (così viene definita l’età post-glaciale), v. ad esempio: M. Pinna, Climatologia, Torino 1977; F. Ortolani, Le variazioni climatiche storiche, in Integralismo ambientale e informazione scientifica, Atti della giornata di Studio AIN 2001, Roma 2001, pag. 97 e sgg.; Enciclopedia Treccani, voce «Olocenico, periodo».
11 Un altro periodo climaticamente favorevole, però assai più breve dell’optimum preistorico e con temperature meno elevate, si verificò per circa tre-quattro secoli a cavallo dell’anno 1000 della nostra èra, allorché i Vichinghi colonizzarono l’Islanda e la Groenlandia (la terra verde ) e, proprio in virtù di tali condizioni favorevoli, riuscirono a raggiungere le coste settentrionali del continente americano. Addirittura, nel XII secolo è attestata una diocesi cattolica, con un vescovo vichingo, sulla costa groenlandese antistante il Labrador.
12 Gylfaginning, 51
13 Nel suo Orione il Tilak dimostra che la primitiva civiltà vedica si sviluppò nel periodo orionico, allorché l’equinozio di primavera approssimativamente corrispondeva alla costellazione di Orione (4000-2500 a.C.).
14 La posizione polare assunta dal Dragone a quell’epoca, nel 2830 a.C. la stella Alpha Draconis, o Thuban, si trovava ad appena 10’ dal polo celeste (a titolo di confronto, attualmente la Stella Polare ne dista 50’), lo fece assurgere ad emblema nonché signore del cielo stellato notturno: ecco perché l’Apollo iperboreo, ossia il principio solare (alias Ra, Thor, Michele, San Giorgio, Maui, ecc.) al suo ritorno dalle tenebre solstiziali lo «uccideva» a colpi di frecce (ossia con i suoi raggi). Riguardo all’Apollo iperboreo: M. Duichin, Apollo, il dio sciamano venuto dal Nord, in Abstracta n. 39, Luglio-Agosto 1989.
15 http://www.metalwillneverdie.net/fin.../riassunto.htm
16 Nell’Induismo, la parte più antica e più sacra dei Veda, cioè Sapienza (testi sacri considerati la verità divina emessa dal Dio Brahma), che consiste di più di 1000 inni agli dei e ai vari fenomeni naturali, composti tra il 1400 e il 1000 a.C.
( continua )
digilander.libero.it/abydosgate/html/07_a.htm