Originariamente Scritto da
Shirel Levi
Io ero a quel tempo nel mio quindicesimo anno. La famiglia di mio padre si convertì alla fede Presbiteriana, e quattro di essi si unirono a quella chiesa, cioè mia madre Lucy, i miei fratelli Hyrum e Samuel Harrison e mia sorella Sophronia. Durante questo periodo di grande agitazione, la mia mente fu stimolata a serie riflessioni e ad una grande inquietudine; ma, sebbene i miei sentimenti fossero profondi, e spesso pungenti, mi tenni tuttavia in disparte da tutti questi gruppi, sebbene partecipassi alle loro numerose riunioni ogni volta che l'occasione lo permetteva; coll'andar del tempo, la mia mente si fece alquanto favorevole verso la setta Metodista, e sentii un certo desiderio di unirmi a loro; ma così grandi erano la confusione e i conflitti fra le diverse confessioni, che era impossibile per una persona giovane come ero io, e così inesperta di uomini e di cose, giungere ad una qualche sicura conclusione su chi avesse ragione e chi avesse torto. La mia mente era a volte agitatissima, talmente le grida e il tumulto erano grandi e incessanti. I Presbiteriani erano i più decisi contro i Battisti e i Metodisti, e usavano tutti i poteri, sia della ragione che del sofisma, per dimostrare i loro errori, o almeno per far credere al popolo che essi erano nell'errore. D'altro canto, i Battisti e i Metodisti a loro volta erano egualmente zelanti nello sforzarsi di confermare i propri principi e di confutare tutti gli altri. In mezzo a questa guerra di parole e a questo tumulto di opinioni, io mi dicevo spesso: Cosa devo fare? Quale di tutti questi gruppi ha ragione? O hanno tutti torto? E se uno di essi ha ragione, qual è, e come posso saperlo? Mentre ero travagliato dalle estreme difficoltà causate dalle controversie di questi gruppi religiosi, stavo un giorno leggendo l'Epistola di Giacomo, primo capitolo, quinto versetto, che dice: Che se qualcuno di voi manca di sapienza, la chiegga a Dio che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare, e gli sarà donata. Giammai alcun passo delle scritture venne con più potenza nel cuore di un uomo di quanto questo fece allora nel mio. Sembrava entrare con grande forza in ogni sentimento del mio cuore. Vi riflettevo continuamente, sapendo che se qualcuno aveva bisogno di sapienza da Dio, ero io; poiché non sapevo come agire, e a meno che avessi potuto ottenere maggior sapienza di quanta ne avessi allora, non lo avrei mai saputo; poiché gli insegnanti di religione delle diverse sette comprendevano gli stessi passi delle scritture in modo così differente da distruggere ogni fiducia di appianare la questione mediante un appello alla Bibbia. Alla fine giunsi alla conclusione che dovevo o rimanere nelle tenebre e nella confusione o altrimenti dovevo fare come indica Giacomo, cioè chiedere a Dio. Alla fine giunsi alla determinazione di «chiedere a Dio», concludendo che se Egli dava la sapienza a coloro che mancavano di sapienza, e avrebbe dato liberalmente e senza rinfacciare, potevo tentare.
Così, in accordo con questa mia determinazione di chiedere a Dio, mi ritirai nei boschi per fare il tentativo. Era il mattino di una bella giornata serena all'inizio della primavera del 1820. Era la prima volta in vita mia che facevo un simile tentativo, poiché, in mezzo a tutte le mie ansietà, non avevo mai provato fino ad allora a pregare ad alta voce. Dopo che mi fui ritirato nel luogo dove avevo precedentemente deciso di andare, essendomi guardato attorno e trovandomi solo, mi inginocchiai e cominciai ad offrire i desideri del mio cuore a Dio. Lo avevo appena fatto, quando fui immediatamente afferrato da un qualche potere che mi sopraffece completamente, ed ebbe su di me un effetto così sorprendente da legare la mia lingua, cosicché non potevo più parlare. Fitte tenebre si addensarono attorno a me, e mi sembrò per un momento che fossi condannato ad una improvvisa distruzione. Ma, esercitando ogni mio potere per invocare Dio di liberarmi dal potere di quel nemico che mi aveva afferrato, e nel momento stesso in cui ero pronto a sprofondare nella disperazione e ad abbandonarmi alla distruzione — non ad una rovina immaginaria, ma al potere di qualche essere reale del mondo invisibile, che aveva un potere così prodigioso come mai prima lo avevo sentito in nessun essere — proprio in quel momento di grande allarme, vidi esattamente sopra la mia testa una colonna di luce più brillante del sole, che discese gradualmente fino a che cadde su di me. Era appena apparsa, che mi trovai liberato dal nemico che mi teneva legato. Quando la luce stette su di me, io avidi due Personaggi il cui splendore e la cui gloria sfidano ogni descrizione, ritti sopra di me nell'aria. Uno di essi mi parlò, chiamandomi per nome, e disse indicando l'altro Questo è il mio Figlio e diletto. Ascoltalo! Il mio scopo, nell'andare a a chiedere al Signore, era di sapere quale di tutte le sette fosse quella giusta, per poter sapere a quale unirmi. Perciò, non appena ebbi preso possesso di me stesso così da essere in grado di parlare, chiesi ai Personaggi che stavano sopra di me nella luce quale di tutte le sette fosse quella giusta (poiché a quel tempo non mi era ancora entrato in cuore che fossero tutte in errore) e a quale dovessi unirmi. Mi fu risposto che non dovevo unirmi a nessuna di esse, poiché erano tutte nell'errore; e il Personaggio che si rivolse a me disse che tutti i loro credi erano un'abominazione al suo cospetto, che quelli che così professavano erano tutti corrotti, che «si avvicinano a me con le labbra ma il loro cuore è distante da me; essi insegnano come dottrina i comandamenti degli uomini e hanno una forma di religiosità, ma ne rinnegano la potenza». Mi proibì nuovamente di unirmi ad alcuna di esse, e molte altre cose mi disse che non posso scrivere in questo momento. Quando tornai in me stesso mi trovai steso sulla schiena, a guardare il cielo. Quando la luce se ne fu andata, non avevo più forze; ma riavutomi presto in una certa misura, andai a casa. (Joseph Smith — STORIA — ESTRATTI DELLA STORIA DI JOSEPH SMITH, IL PROFETA History of the Church, volume 1, capitoli da 1 a 20)