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  1. #1
    Partito d'Azione
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    Predefinito Il problema politico della democrazia (1946)




    di Ugo La Malfa – Intervento del 6 febbraio 1946 al I congresso nazionale del Partito d’azione svoltosi a Roma nel teatro Italia. Pubblicato con questo titolo sull’«Italia Libera» n. 32 del 7 febbraio 1946, ripubblicato in «Archivio Trimestrale» 2/1979 […] e ora anche in Giancarlo Tartaglia (a cura di), “I congressi del Partito d’azione, 1944-1946-1947”, Ed. Archivio Trimestrale, Roma 1984.

    Il congresso si concluse con la scissione del partito. Le correnti democratiche e liberali, infatti, sotto la guida di Parri e La Malfa, abbandonarono il Pd’A per dare vita a una nuova formazione politica.


    Mi scuso in via preliminare se vi prenderò un po’ di tempo, ma avendo vissuto la vita del Partito d’azione dalla sua nascita, avendo girato l’Italia, essendo stato molto tempo a Milano, dove il partito nacque, ed essendo vissuto a Roma, potrò dirvi delle cose che qualcuno di voi ancora non conosce.
    Non parlerò della nobiltà e dei sacrifici del partito, ne hanno parlato Ferruccio Parri ed Emilio Lussu e non ne parlerò anche perché se parlo della nobiltà e dei sacrifici di un partito se ne accresce il valore morale, non lo si sottrae alle sue responsabilità politiche. Un giovane compagno, con cui ho parlato stamane, mi chiedeva cosa pensassi della situazione e io gli dicevo che l’atmosfera di questo congresso è un’atmosfera di grande sofferenza, è un travaglio determinato da questa ragione: che noi dobbiamo trovare la nostra definitiva strada.
    Questo travaglio è una espressione della vita nazionale. Io direi che attraverso la crisi del Pd’A, attraverso la sua ricerca di una via definitiva, è la democrazia italiana che esprime le sue esigenze, le sue aspirazioni, le sue disillusioni, le sue speranze.
    Affermo intanto che per orientarci sulla posizione politica e storica del nostro partito dobbiamo avere una concezione e una visione totale della crisi italiana; concezione e visione che il fascismo, cioè l’esperienza del fascismo, ci deve rendere chiara.
    Noi non possiamo dire che il fascismo sia stato un fenomeno qualunque della vita italiana; se il fascismo è nato, è nato su contraddizioni e su situazioni di debolezza della società italiana; oggi esso è un fenomeno che è nel passato ma che può essere di nuovo nell’avvenire. Quando i paesi iniziano queste esperienze politiche, essi rivelano una malattia la quale va diagnosticata e curata.
    La società italiana nella sua struttura prefascista ha mostrato delle debolezze che, a mio parere ed a vostro parere, sono date dalla diversità di clima economico, di clima politico e di clima sociale non solo in senso geografico e in senso territoriale ma in senso storico. La società italiana cioè si stratifica secondo, non solo posizioni territoriali, ma secondo epoche storiche per cui noi abbiamo in questa società fenomeni di economia e di organizzazione sociale moderna accentuata, fenomeni di arretratezza sociale, fenomeni di cultura arretrata; noi abbiamo posizioni sociali differenziate sia in seno al proletariato, sia in seno alla borghesia avanzata, cioè i piani su cui si svolge o si è svolta la vita della società italiana non sono armonici.
    La società italiana ha una struttura classista, per queste ragioni, molto frazionata. Se noi vogliamo isolare i due estremi di questa società italiana, per usare un linguaggio che in questo congresso corre un po’ spesso, se noi vogliamo isolare il nucleo capitalista e quello operaio e poi su questo identificare interessi permanenti di grandi partiti politici, noi troviamo tra queste due posizioni, che non rappresentano posizioni di maggioranza del popolo italiano, una infinità di altre posizioni; chiamatele come volete, chiamatele posizioni di operai e di lavoratori che non sono dell’alta industria, chiamatele posizioni di contadini che non sono braccianti, o di agricoltori, chiamatele posizioni di piccola borghesia o di media borghesia, chiamatele di intellettuali, chiamatele come volete, ma voi avete un’enorme estensione di interessi che penetrano l’un nell’altro e che dal punto di vista classista non sono definiti.
    Voi avete cioè un insieme di particelle, di situazioni, di interessi, di idee, di posizioni che di per sé ciascuna non rappresenta che una piccola parte del mondo politico e sociale italiano, ma che nel loro complesso rappresentano e possono rappresentare l’orientamento politico fondamentale della società italiana. Il problema della rottura dello Stato prefascista è il problema per cui questa estensione di piccoli interessi non ha trovato più una espressione politica o non ha trovato un’espressione politica di ordine democratico ed è finita in una esperienza di carattere antidemocratico.
    Questa posizione, che è determinata dalla struttura stessa fondamentale della società italiana, si può riprodurre in ogni momento e questo costituisce il problema della società democratica che si tenta di ricostituire dopo il fascismo e questo determina la responsabilità piena, di carattere politico, dei partiti della democrazia in Italia. Se questa grande varietà di interessi si sposta a destra, come purtroppo da qualche tempo a questa parte sta avvenendo, o si sposta su un terreno anti-democratico, come purtroppo sta avvenendo per altra parte, le sorti della democrazia italiana sono segnate.
    Il vero problema politico della democrazia è questo. Io debbo dire che se l’Italia rappresenta – e il fascismo ce lo insegna – il punto più debole della civiltà occidentale su questo terreno, questo quadro e questa debolezza di una struttura democratica sono un’espressione europea che va dalla Francia alla Germania, dall’Italia al Belgio e forse ad altri paesi. Ecco dunque che il problema politico di carattere nazionale voi lo potete immediatamente inquadrare in un problema politico di carattere internazionale, di civiltà occidentale e potete avere il senso dei problemi che la nostra epoca storica porta con sé.
    Ciò posto la sola giustificazione politica, che il Partito d’azione ha, è questa: la sua riflessione politica su questa situazione. Il Partito d’azione cioè non può avere altra giustificazione politica che il suo interesse per questa debolezza intrinseca della società italiana e, in quanto il Partito d’azione abbia degli interessi internazionali, il suo interesse deve essere rivolto alla debolezza che si nota nella costituzione attuale o nella ricostruzione della società europea.
    Quando il Partito d’azione si definì nel 1942 come partito politico, noi individuammo precedenti in Giustizia e Libertà, in una posizione ed in una corrente che proveniva dal Partito repubblicano, noi la individuammo nei liberali socialisti, in una posizione democratica.
    Ma l’esperienza di queste correnti non era la puntualizzazione del problema politico italiano, così come con precedenti parole l’ho posto.
    Solo di fronte a tutta la crisi politica fascista, solo nel corso della guerra, noi abbiamo potuto fissare lo scopo politico del Partito d’azione ed inserirlo in un compiuto quadro della situazione italiana.
    E questo per me è fondamentale, è fondamentale cioè che nel momento in cui il Partito d’azione nacque esso nacque con aderenza immediata ad un realtà politica.

    (...)
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #2
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    Predefinito Re: Il problema politico della democrazia (1946)

    Come nacque e perché nacque? Che cosa mise a fuoco? Il Partito d’azione mise a fuoco il problema della modernizzazione della società italiana. Questa società, dalle grandi contraddizioni e dai grandi squilibri, doveva essere ricreata nella sua struttura fondamentale. E il partito articola questo problema di struttura in tre aspetti particolari: istituzionale, industriale e agrario. Noi abbiamo posto lo scopo politico del Partito d’azione in una sorta di revisione fondamentale, strutturale, creativa di una nuova situazione e di nuovi rapporti sociali della società italiana. Contemporaneamente noi ponevamo al partito, non un problema finalistico, ma uno scopo concreto, quasi attuale, da realizzare. Questa è la novità politica del Partito d’azione ed io voglio illuminare questo concetto che ritengo fondamentale per la nostra posizione politica.
    Io intendo per rinunzia al finalismo la rinunzia a un metodo di lotta politica per cui la società europea, dopo anni di lotta fra i partiti cosiddetti liberali o borghesi conservatori e i partiti socialisti, non è riuscita a smuovere strutturalmente nessuna situazione. Dato il presupposto finalistico dei partiti socialisti, avveniva che, quando i partiti socialisti aggredivano una situazione strutturale, non potendo dare garanzie sui limiti della loro azione politica, facevano sì che di fronte ai primi passi socialisti, quelle masse, di cui ho individuato il peso e la presenza, in Italia e in Europa, reagivano spostandosi da sinistra verso destra o, come è avvenuto di recente, uscendo dai quadri della democrazia. La crisi di una società prefascista è dovuto alla impostazione dei partiti socialisti che li rende vulnerabili, a meno che non si tratti di un processo di carattere rivoluzionario totale. A meno che i partiti socialisti non svolgano questa attività di ordine rivoluzionario totale, le società prefasciste minacciano di tornare continuamente alla struttura tradizionale, come reazione a una politica avanzata.
    Questo è il vero dramma dello svolgimento della politica europea. Il finalismo che i partiti socialisti hanno cercato di limitare, questo finalismo ha corroso la loro azione, e in un certo senso impedito la loro azione. Io vi potrei citare molti esempi di questa situazione prefascista, dalla Germania socialdemocratica alla Francia di Blum, alla stessa Italia del 1920. Ecco quindi attraverso gli schieramenti politici delinearsi una situazione di impotenza costituzionale della società italiana ed europea.
    La determinazione del nostro partito è la determinazione di un partito che fissa e delimita i suoi scopi politici, che servono ad ancorare alla democrazia questa massa fluttuante; servono a dare a questa massa fluttuante il senso che uno Stato si può trasformare senza che questa trasformazione determini una situazione di progressivo cedimento in senso socialista, che leda gli interessi, le posizioni e le aspirazioni di questa massa fluttuante. Come vedete – e vi prego di valutare questo concetto politicamente – oggi si pone nella società italiana il problema di uscire da una struttura. Azione politicamente e storicamente delicata. Movimento su un terreno mobile che deve trovare il suo argine. Azione che impegna la responsabilità politica, in ogni momento, dei partiti che vogliono svolgerla a fondo.
    I partiti che vogliono uscire dalla crisi d’impotenza dell’Europa debbono apprendere il significato di questa azione di carattere politico e storico cui è connessa la fondazione di una moderna democrazia. Se voi convenite in questa valutazione, voi vedete la singolarità del compito del Partito d’azione. Nello stesso tempo in cui il Partito d’azione implica la possibilità di una marcia rapida, di un progresso strutturale, esso deve segnare i limiti di questa sua azione. La sua responsabilità politica e il suo successo politico sono legati a questa condizione. Esso non può far marciare i ceti più inerti e più numerosi della società italiana; non li può far marciare rapidamente se, nel momento in cui indica la strada della marcia, non precisa la garanzia di questa marcia, qual è la struttura verso cui marcia.
    Badate bene alla situazione delle masse non organizzate, che voi affrontate. Sono le posizioni più difficili, che sfumano da un mese all’altro, che cambiano direzione da un mese all’altro. Questa marcia per cui la democrazia acquista stabilità è una marcia che va controllata minuto per minuto.
    Il Partito d’azione, definiti i suoi scopi, si svolge e arriva al congresso di Firenze. Arriva al Congresso di Firenze dopo avere impostato con spirito di avanguardia, ma con la sicurezza di poterlo risolvere, il problema istituzionale. Quindi il partito trasferisce il suo esecutivo a Roma. Io non conoscevo Emilio Lussu, direi che conoscevo vagamente o non conoscevo esattamente la sua posizione politica. Io ho appreso la posizione politica di Emilio Lussu a partire dal congresso di Firenze. Io pensavo, entrando nel Partito d’azione, come molti di noi pensavano, che il movimento di Giustizia e Libertà non fosse un movimento socialista: ho appreso invece da Emilio Lussu che il movimento di Giustizia e Libertà era divenuto un movimento socialista.
    Da questa posizione politica che Emilio Lussu presentò al Pd’A nacque la prima situazione critica del partito. Ebbi l’impressione che Emilio Lussu portasse nel partito – così come era nato in Italia – l’esigenza di un altro partito. Permettetemi di spiegarvi questa mia dichiarazione. L’esigenza socialista e il movimento socialista che Lussu porta con Giustizia e Libertà sono un terzo partito socialista. Nelle mie discussioni con amici del movimento del Pd’A, prima dell’arrivo di Lussu, si era parlato della sorte del Partito socialista italiano. Nelle lotte clandestine di prima dell’agosto del ’43 il Partito socialista non era stato molto presente. Amici carissimi qui presenti contavano sulla sparizione del Partito socialista dalla scena politica italiana. Io non ho mai creduto a questo. Ho sempre creduto che il Partito socialista, come partito tradizionale, che aveva riempito di sé la vita italiana per decenni, sarebbe rinato. Noi quindi avevamo già sulla scena politica italiana due partiti socialisti la cui base – badate bene – cioè il nucleo vitale politico, non poteva non essere una base operaistica cercata nel nord e integrata con una base contadina del sud. Per chi si diletta di posizioni classiste piene risultava evidente che un nucleo sociale ben definito era stato già impegnato da due partiti.
    Emilio Lussu parla di operai e di contadini, parla di Fiat e di Montecatini, così come ne parlano i partiti socialista e comunista; cioè Emilio Lussu vuole trarre dalle stesse fonti le forze politiche per un terzo partito. Probabilmente anche Giustizia e Libertà diventata socialista all’estero ha pensato per molti anni che il Partito socialista non sarebbe rinato in Italia. Disgraziatamente, dico disgraziatamente per coloro che hanno creduto con piena convinzione a questo, tale previsione politica di Giustizia e Libertà si è dimostrata sbagliata.
    Questa risulta perciò essere la prima astrattezza della posizione di Giustizia e Libertà maturata all’estero. Cioè la sua non adeguatezza alla realtà politica e sociale che si era andata creando in Italia sui problemi che il fascismo aveva determinato e sui rapporti che si dovevano creare coi due partiti a base socialista che già operavano o avrebbero operato in Italia. Un partito difficilmente può assimilare nel suo nucleo fondamentale le forze di un altro partito. Non è questo il suo compito. Ciascun partito ha il dovere di trovare un terreno suo di azione politica. Non può fare concorrenza ad altri partiti, senza avere almeno la prospettiva di sostituirli, cioè di prendere il loro posto. Altrimenti la lotta politica si isterilisce al punto che i partiti della democrazia, invece di coprire un largo scacchiere della vita nazionale, portando a visione democratica un gran numero di forze, si restringono a poche forze, lasciando agli avversari il piatto grosso (applausi).
    Rendo qui omaggio alla nobiltà di ideali di Emilio Lussu e alla sua passione per il mondo che egli vuole interpretato dal Partito d’azione. Rendo omaggio alla esperienza che lui ha avuto in Sardegna, ma devo dire altresì che egli non può realizzare questo mondo, così come lo concepisce, nel Partito d’azione. La sua posizione politica al riguardo è di una contraddittorietà drammatica. Lussu viene da una genuina esperienza politica di carattere regionale: è l’esperienza politica del Partito sardo d’azione. Ma è un’esperienza politica rivolta verso l’esterno, cioè pone i problemi delle relazioni di una regione con lo Stato italiano. È una esperienza politica di un ordine diverso e di direzione diversa da una esperienza di ordine socialistico nazionale. Il Partito sardo d’azione, in quanto pone problemi della Sardegna rispetto allo Stato italiano, può unificare forze e interessi che su un terreno di partito nazionale si dividono. Il Partito sardo d’azione da questo punto di vista, e non sembri un paradosso, può far pensare al bifrontismo che accentuatamente Lussu vede nel Partito democratico cristiano. Questi, secondo lui, unifica interessi in nome di Dio. Io dico che probabilmente il Partito sardo d’azione unifica interessi diversi non in nome, ma contro lo Stato centralizzato.
    Ma la seconda esperienza di Lussu di carattere socialista nazionale ed europea è in contraddizione con la prima.
    Sono due momenti diversi della lotta politica. Ed è difficile che un socialismo moderno accetti la posizione autonomistica che Emilio Lussu pone a base del suo socialismo e l’accetti come formazione di un partito autonomistico che è un altro degli ideali di Lussu. Così una posizione politica complessa, che io chiamo contraddittoria, si chiarisce in tutti i suoi aspetti. L’esigenza autonomistica di un partito socialista nazionale o di un partito come quello democristiano è un’esigenza di ordine istituzionale e non comporta la formazione di partiti politici regionali. Quindi non si definirà mai come socialismo autonomistico o che so io. Ci sarà un socialismo che può sentire la necessità di certe riforme istituzionali di carattere locale, ma il suo spirito rimarrà inviolato. L’autonomismo socialista di Lussu è la composizione di due motivi politici diversi.
    Se mi si permette che in questa disamina io sia franco fino in fondo, devo dire che la lotta che Lussu ha condotto per fare del Pd’A un terzo partito socialista è stata una lotta eroica, ma è stata una lotta contro la realtà. Non si può fare un terzo partito socialista del Pd’A su nessun terreno. Non lo si può fare perché, lo si chiami aclassista o marxista o liberale, esso è sempre una esperienza socialista e vive nel movimento socialista; soprattutto dopo che una corrente socialista come quella di Silone e di Saragat ha posto i problemi del socialismo democratico come problemi di sganciamento financo dalle ideologie. Non si può dire cioè che possa esistere accanto al Partito socialista un altro partito socialista che rivendichi i motivi che già attualmente costituiscono motivi di lotta e di critica interna nel Partito socialista (applausi).
    La coerenza politica della posizione di Lussu sta in questo: che quando egli fosse riuscito a fare del Pd’A un partito socialista, egli avrebbe offerto queste forze al Partito socialista, avrebbe cioè rafforzato il Partito socialista (voci: non è vero).
    E io debbo dire che questa conclusione del processo che Emilio Lussu vuol far compiere al Partito d’azione è una conclusione di estrema coerenza politica per quel che lo riguarda, e coloro che dicono che ciò non è vero, probabilmente non hanno indagato a fondo l’obiettivo politico di Emilio Lussu.
    Ma io di questo vi voglio dare un’altra prova. Se voi volete concepire la posizione politica del Partito d’azione come posizione che porta forze alla soluzione democratica del problema italiano, se voi lo volete concepire così come io lo concepisco, se lo volete concepire in rapporto alla stessa posizione del PS e direi in rapporto e in coordinamento con la posizione del PS, se voi lo volete concepire come contributo alla causa democratica che interessa anche il PS lo dovete concepire come apporto di forze complementari. Voi dovete cioè portare forze complementari a quelle del PS, non forze parallele (applausi e rumori).

    (...)
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  3. #3
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    Predefinito Re: Il problema politico della democrazia (1946)

    Questa differenza fra forze parallele e forze complementari non riguarda, amici, il fatto che nel Pd’A ci siano borghesi o operai. Ci sono operai e ci sono borghesi nel PS e nel Pd’A. Ma si tratta dell’atteggiamento fondamentale delle democrazia italiana, dell’atteggiamento politico delle forze che gravitano nei due partiti. Questo e solo questo consente alla democrazia di spiegarsi su un fronte più vasto e di comporre quel fronte che sottrae delle forze alla reazione ed è la premessa della costituzione di uno Stato democratico strutturalmente diverso e che resista agli urti.
    Ma io vi dirò di più e cioè che questa complementarietà di forze, non è nell’interesse del solo PS, ma in certe situazioni storiche anche del Partito comunista. È nell’interesse anche del Partito comunista e io debbo qui ricordarvi un altro degli errori di prospettiva che noi commettiamo nella valutazione della nostra posizione. E un altro dei motivi per cui io ed Emilio Lussu abbiamo contrastato per mesi: il carattere più o meno rivoluzionario che la crisi postfascista avrebbe avuto nella società italiana.
    Emilio Lussu mi ha confessato che egli si aspettava e sognava una rivoluzione in Italia. Me lo ha confessato ed egli ha inteso per rivoluzione in Italia un fatto violento per cui una diversa struttura dello Stato italiano si esprime attraverso la conquista di tutti i poteri ed il sovvertimento totale della situazione strutturale tradizionale.
    Questo fatto in Italia non è avvenuto e anche su questo terreno si trattava di stabilire e di prevedere se poteva o non avvenire. Su questo terreno voi avete una pietra di paragone. Io sento molto spesso parlare della politica del PC e della politica di Togliatti e ne sento parlare con una leggerezza che mi dà molto da pensare. Il PC rimane il partito che ha più grandi capacità rivoluzionarie in Italia. Questa è una verità che tutti noi dobbiamo sempre tener presente. Se il PC, attraverso la politica che esprime da qualche anno a questa parte, ha rinunziato a questa che è la sua fondamentale arma di lotta, il PC vi ha rinunziato per una valutazione seria, concreta della condizione in cui si sviluppa la lotta politica in Italia (applausi).
    Se il PC attraverso il discorso di Togliatti imposta i problemi della democrazia come li ha impostati, vuol dire che il PC ha il senso delle sue responsabilità politiche e storiche e avverte tutti i limiti esistenti allo sviluppo della sua politica.
    Quando il partito rivoluzionario per eccellenza assume questo atteggiamento politico, gli altri partiti debbono stare attenti ad usare la parola rivoluzione. Essi possono cadere in un verbalismo senza senso comune (applausi). Essi fanno delle rivoluzioni sulla carta e lasciano le cose dove si trovano se non le fanno regredire addirittura (applausi).
    È questo senso delle sue limitazioni, questo senso delle sue responsabilità come valutazione storica del momento attuale che dà importanza rispetto al PC alla posizione politica del Pd’A. È in questo senso che il Pd’A ha una volontà di rinnovamento strutturale che corrisponde agli interessi di tutti i partiti della democrazia e fa guardare con apprensione un suo possibile fallimento. Perché il Pd’A può dare o può fallire il suo contributo alla causa democratica d’Italia.
    Per illustrare il mio concetto di come in certe situazioni storiche si trasformi uno Stato, debbo dire che se in Italia fossero sorte condizioni di rivoluzione, come si parla spesso, probabilmente la funzione politica del Partito d’azione sarebbe mancata perché in quelle condizioni, dei partiti a capacità rivoluzionaria più precisa avrebbero rovesciato le posizioni politiche di altri partiti e avrebbero convertito questi partiti in partiti kerenskiani.
    In questo contrappeso di forze bisogna effettuare spostamenti per creare nuove situazioni strutturali di ordine democratico, impedendo che tutto finisca in una Italia o in una Europa prefascista o fascista.
    Ecco dunque che questo problema della cosiddetta manovra di cui molti giovani amici si dilettano di parlare è il problema della valutazione dello spostamento delle grandi forze sociali italiane ed europee per creare una democrazia. Si delinea una grandissima battaglia in cui gli uomini politici e i partiti politivi vincono o perdono, ma vincono o perdono nel giro di pochi mesi o qualche anno.
    Voi dovete avere il senso di questa crisi che trova la sua soluzione in pochi anni. Voi non potete credere, non avere il diritto di credere che un errore commesso oggi sia equivalente a un errore commesso dal Partito socialista o da qualsiasi altro partito sotto Giolitti. Voi non potete credere che le vostre responsabilità siano le responsabilità di un periodo normale. Voi non potete pensare che le vostre decisioni politiche si possano correggere nel tempo. Vivrete una fase in cui la vita politica e sociale europea sarà in tumulto, per cui masse di uomini cercheranno disperatamente la struttura su cui ricostruire la propria vita.
    Questa struttura può essere democratica o antidemocratica, può essere socialista totale e può essere liberale, può essere fascista e può essere conservatrice. Quando una di queste strutture sarà stata creata, voi dovete aspettare una nuova crisi politica eccezionale per rovesciarla. Voi farete il riformismo in questa struttura e questo è un altro concetto su cui io voglio richiamare la vostra attenzione.
    Noi possiamo creare lo Stato della democrazia in pochi anni e direi quasi in pochi mesi se valutiamo esattamente tutto quello che è necessario per arrivare a quella situazione di democrazia.
    Agli amici che si dilettano di accusare, va detto che in un quadro storico di tale importanza i partiti hanno il dovere di valutare la loro responsabilità, minuto per minuto. Voi non potete dire che la ritirata di Dunkerque sia stata una piccola manovra: essa ha deciso delle sorti del mondo. Voi potete avere operazioni militari che hanno il carattere della ritirata di Dunkerque ma non potete mettere sullo stesso piano quella ritirata con qualche altra piccola operazione militare; quando la democrazia italiana ha affrontato la sua battaglia, essa ha già commesso numerosi errori che sono fondamentali e possono essere decisivi per le sue sorti, possono cioè cambiare il destino d’Italia per i prossimi 50 anni.

    (...)
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    Predefinito Re: Il problema politico della democrazia (1946)

    A questo punto io devo cambiar fronte e dire quali conseguenze si traggono da questa illustrazione politica.
    Quando Emilio Lussu ha posto l’esigenza di un diverso partito nel partito, si è creato un grave problema. Il problema che il congresso di Cosenza ha illuminato in tutta la sua gravità e cioè: se in quel momento si doveva fare del Pd’A due partiti.
    Due partiti non possono coesistere nello stesso partito; non si tratta e non si è mai trattato di destra o di sinistra, ma si è trattato di questo o quel partito.
    Questo contrasto fondamentale è stato risolto con grande spirito di responsabilità. Noi ci siamo accorti in quel momento che il nostro contributo alla lotta democratica, che si svolgeva in seno al CLN, non doveva mancare; sarebbe stato come se il Pd’A in quel momento non si fosse trovato d’accordo non solo col partito socialista di Emilio Lussu ma anche con Partito socialista di Pietro Nenni. Sarebbe stato un suicidio e noi abbiamo evitato questo suicidio perché nessuna delle sue correnti aveva il diritto di impegnare in qualsiasi senso, nel senso dell’una o dell’altra corrente politica fondamentale, la volontà e i diritti del partito e cioè della sua base democratica.
    Emilio Lussu vi ha parlato di che cosa è stata l’azione del partito nel comitato di liberazione di Roma, egli ha rivendicato il diritto della contemplazione. Nella sua relazione, sul movimento partigiano, Ferruccio Parri ha trascurato forse il clima che per la prima volta questa città ha avuto, per la prima volta dopo il 1849.
    Questa città che era separata dalle montagne in cui si svolgeva la guerra partigiana e che a un certo punto è stata una città assediata, questa città corrotta da vent’anni di spirito fascista, ha avuto una reazione nobilissima al nazifascismo. E a completamento del quadro che Ferruccio Parri ha presentato di questa città devo affermare che accanto ai martiri nobili di Pilo Albertelli e Leone Ginzburg vanno collocati martiri della tradizione repubblicana che sotto la guida di Oronzo Reale da una parte e di Baldazzi dall’altra hanno dato al Pd’A la possibilità di tenere gloriosamente la sua posizione anche a Roma.
    Tornando all’azione politica affermo che questa capacità di sentire la nostra responsabilità in momenti eccezionali della crisi del nostro paese è stata piena in noi qui a Roma, dove si erano concentrati gli stati maggiori delle forze politiche italiane e dove doveva riflettersi il risultato della lotta che si andava svolgendo in tutta Italia.
    Quando Emilio Lussu rivendica l’importanza politica di quello che qui a Roma fu compiuto, confesso che sono della sua stessa opinione e cioè che a Roma fu creato un fatto politico sul primo punto di trasformazione strutturale che il nostro partito poneva: il problema istituzionale. Un fatto politico di tale importanza che io considero, e uomini più obiettivi come Calamandrei e altri hanno considerato, come l’unica svolta, l’unica rottura vera, violenta, politicamente valida dello Stato tradizionale d’Italia: intendo dire la svolta costituzionale creata a Roma nel giugno del 1944. Agli amici che hanno parlato un po’ troppo di frequente e un po’ troppo spesso di manovre politiche, ad alcuni amici cui si potrebbe facilmente rimproverare la poca saldezza delle loro concezioni in questa crisi storica, io devo dire una sola cosa: che questa rottura di carattere strutturale e costituzionale regge tuttora, nonostante le offensive della reazione, nonostante tutti gli errori commessi dai partiti della democrazia dal giugno 1944 in poi.
    Nonostante questi errori, oggi un’offensiva delle forze reazionarie contro la situazione del giugno è considerata dalle forze politiche e dall’opinione pubblica delle nazioni come un colpo di Stato. A giugno cioè si è rovesciato il rapporto tra forze democratiche e forze reazionarie; le forze della reazione se vogliono cambiare questa situazione devono, esse, compiere un colpo di Stato. Io devo dirvi, anticipandovi un tema di cui parlerò diffusamente, che il governo De Gasperi rientra in questo quadro della rottura costituzionale del giugno, esso cioè appartiene al mondo che noi abbiamo creato. Sarà dovere e responsabilità delle forze politiche che agiscono in Italia di conservare il governo in questo quadro istituzionale e di farlo progredire, ma è responsabilità e dovere che vanno valutati seriamente momento per momento e non con leggerezza. Dichiaro tuttavia che se questa posizione resiste (e può resistere e può portarci alla costituente) essa però non ha progredito; è diventata una posizione difensiva, è diventata l’estremo limite dal quale noi non possiamo ripiegare.
    Al di là di questa linea che ancora tiene il mondo politico democratico in Italia, c’è il ritorno al prefascismo e quindi c’è l’annullamento politico soprattutto del Pd’A. Noi siamo cioè con le spalle al muro e se perdiamo terreno, che in forza della nostra concretezza e della nostra consapevolezza politica noi abbiamo guadagnato, entreremo in quella struttura da cui non usciremo fino alla nuova crisi storica, cioè noi diventeremo un partito che avrà ben poco realizzato delle premesse concrete attuali con cui ha affrontato la realtà italiana.
    A questo punto, noi abbiamo dovuto inserire sul problema discusso qui a Roma l’azione politica del nord.
    Non intendo entrare nella valutazione della vastità della lotta clandestina del nord, della vastità di interessi, di sacrificio, di martirio che essa ha comportato.
    Io devo valutare la portata e il risultato politico di questa lotta; io devo dire francamente ai miei amici che questa lotta, che è stata la lotta del nord, si è frantumata in una quantità di motivi politici e sociali senza riuscire a polarizzarsi su alcuni punti fondamentali che potessero essere garantiti da un dissolvimento quasi completo di questa esperienza di lotta.
    Io lo debbo dire questo, con estrema franchezza, perché questo è un punto fondamentale e vitale della nostra valutazione politica. Ho l’impressione che nella lotta politica del nord non si sia tenuto conto che non bisogna disperdere l’azione politica e sociale in tutti i campi. Non bisogna creare stati d’animo di disorientamento. Occorre dare la garanzia che si può andare avanti senza suscitare quel timore del salto nel buio che contraddistingue molta parte della società italiana. Io debbo fare questa critica a questa linea politica. Essa doveva essere concentrata su alcuni punti fondamentali per difendersi molto più saldamente dagli attacchi politici che inevitabilmente la reazione, approfittando di questo stato di disorientamento della opinione pubblica, avrebbe sferrato.

    (...)
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  5. #5
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    Predefinito Re: Il problema politico della democrazia (1946)

    Questo motivo fondamentale di critica, se voi badate a quello che è avvenuto, sulla base di quella che si riteneva esperienza politica e sociale del Comitato di liberazione nazionale, si riferisce anche a quanto è avvenuto nell’Italia non occupata prima della liberazione.
    Anche qui i partiti di sinistra, susseguentemente alla liberazione, hanno commesso molti errori.
    Ciò ha creato una situazione di reazione politica, di cui oggi scontiamo le conseguenze, ha creato un irrigidimento delle forze sociali, che si muovevano verso la democrazia, in una posizione di riserva. Questo ha accresciuto le file del Partito liberale di posizioni sociali che non appartenevano a tale partito, ha alimentato il qualunquismo, mentre il qualunquismo non doveva mai nascere in Italia (applausi). L’esperienza storica del passato dice che i partiti della democrazia debbono fare un piccolo passo avanti, non ne debbono fare uno indietro. Se fanno un passo avanti a vuoto e poi regrediscono hanno compromesso la battaglia.
    Io credo che in questa impostazione non bisogna mai anticipare fatti e avvenimenti di cui non si possono assumere le piene responsabilità politiche, cioè che non si possono portare alle loro piene conseguenze.
    Noi abbiamo sostenuto il significato politico del Comitato di liberazione nazionale, ma quando il CLN voleva diventare qualche altra cosa, noi dovevamo assumere la responsabilità di conservare quest’altra posizione, altrimenti quella posizione non si doveva assumere. Badate, questo è il senso della responsabilità politica fondamentale degli uomini che decidono. Questa è la responsabilità dei pochi uomini che in un periodo di tempo decidono delle sorti del loro paese.
    Noi, da tutte queste posizioni politiche dell’Italia del nord, abbiamo realizzato il governo Parri. Io qui ho il dovere di illustrarvi un aspetto di questa realizzazione, l’aspetto che io devo sottoporre alla vostra meditazione. Quando l’Italia del nord e del sud si unirono, allora sorse il problema della direzione del governo. Ricordate che allora fu fatta una campagna per una direzione del governo socialista, una direzione di Pietro Nenni. Il Pd’A nella sua maggioranza direttiva ritenne di dover appoggiare questa candidatura. Io debbo dirvi che, assumendo posizione personale, ho cercato di evitare che il partito sostenesse questa posizione e ho cercato di farlo illustrando la gravità della situazione politica che si sarebbe creata agli stessi amici socialisti ed illustrando al mio partito perché nei rispetti della situazione politica generale si sarebbero incontrate difficoltà enormi. Rispetto a queste difficoltà, l’esperienza di Pietro Nenni mi parve un’esperienza anticipata, cui non avremmo resistito. Io credo che, constatata la verità dell’esperienza, nessuno oggi può dare torto a questa previsione politica.
    A proposito dell’esperienza del governo Parri, confesso che l’ho vista anch’essa con estrema preoccupazione. Conosco Parri da molti anni e sono legato a lui da grande amicizia e da affetto fraterno, ma non mi sono nascosto la difficoltà del suo compito e la fragilità della sua posizione. Non mi sono nascosto che egli dal gioco delle forze politiche era stato costretto ad assumere una responsabilità forse anticipata rispetto ai tempi. Non mi sono nascosto l’attacco e la forza dell’attacco che sarebbe stato condotto a questa esperienza. Non mi sono nascosto che il governo Parri portava con sé l’esperienza del nord prima che questa esperienza politica avesse potuto diventare un fatto, di cui si potesse valutare l’effettivo significato politico, prima che le acque chetandosi avessero potuto darci la limpidezza di questa posizione politica. Non mi sono nascosto cioè che egli arrivava al governo col tumulto delle posizioni del nord e con tutta la debolezza e le incognite di una posizione politica non ancora sedimentata.
    Non ho mai creduto che l’esperienza di Parri potesse essere distaccata dalla responsabilità politica del partito (applausi). Non mi sono nascosto che quella esperienza avrebbe gravato sul partito e che noi avevamo un dovere di responsabilità perché altro non ci era possibile; assumevamo un compito da combattenti fuori dalla trincea.
    Ricordo che la prima ragione di dissenso che ho portato nel partito fu la valutazione politica circa il problema della costituente. Questo è stato il primo problema politico che i partiti di sinistra hanno portato al governo Parri, il problema fondamentale della costituente. La costituente immediata non si poteva fare. Devo dire qui, perché questa discussione ebbe inizio in seno al partito dopo la presa di posizione di Pietro Nenni, devo dire che non condivisi l’opinione generale della direzione del partito, che il partito cioè dovesse impostare la battaglia per una costituente immediata, poiché non ho mai creduto a tale possibilità (interruzioni).
    Rispondendo al compagno che mi ha interrotto dirò che si può avere torto o ragione, ma si avrebbe torto se la costituente fosse nel mio passato o nel vostro passato; si avrà ragione invece, se la costituente è nel vostro futuro. Questa battaglia politica delle sinistre non è servita a far progredire le sinistre, perché è stata un’altra battaglia a vuoto; perché è stata un’altra battaglia in cui i partiti si sono impegnati senza avere la certezza o almeno probabilità fondate di successo. Non mi nascondo che la costituente immediata ci avrebbe dato un successo politico. Ma potevamo avere la costituente immediata o no? Questo è il problema.
    Uno di motivi fondamentali della mia discussione con Parri e col partito è stato questo: io credevo che il governo Parri impostando il problema della battaglia per la costituente immediata dovesse essere in grado di farla e se non era in grado di farla doveva stabilire l’epoca in cui questa battaglia si sarebbe fatta, cioè doveva dare al popolo italiano la certezza del momento della battaglia politica, perché gli uomini politici hanno la responsabilità della direzione politica del paese e la responsabilità dei momenti in cui il paese deve essere portato a tensioni politiche. A me pareva che due problemi fossero davanti al governo: quello di arrivare a fare la costituente e quello della ricostruzione economica italiana. Erano due problemi distinti, ma che il popolo italiano sentiva in egual misura.

    (...)
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  6. #6
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    Predefinito Re: Il problema politico della democrazia (1946)

    Credo che se noi avessimo dato l’accento alla battaglia per togliere il popolo italiano dalla miseria immediata della fine della guerra, se avessimo condotto questa battaglia e, quando qualche risultato fosse stato raggiunto, avessimo impostato la battaglia per la costituente, senza farla precedere dalle elezioni amministrative, io credo che noi avremmo arricchito la possibilità di un’affermazione democratica. Fra le due situazioni ugualmente difficili probabilmente avremmo ottenuto un risultato utile allo svolgimento della vita democratica.
    Ora devo dirvi che l’assalto al governo Parri, a questa fragile costruzione democratica, è venuto. Ed è venuto con un’ampiezza di obiettivi che non potete avere dimenticato. L’assalto al governo Parri ha voluto significare in partenza il rovesciamento di tutte le posizioni che la democrazia aveva creato dal giugno in poi, cioè il reinserimento della vita politica italiana in un quadro tradizionale.
    Questo è stato il significato dell’attacco al governo Parri. Anche qui la resistenza nostra a questa situazione era la sola possibile nelle condizioni in cui eravamo, cioè abbiamo dovuto legare a uno svolgimento democratico uno dei grandi partiti che a questo svolgimento deve dare un contributo, senza di che la democrazia italiana non si organizza: intendo parlare del Partito democratico cristiano. Anche a questo proposito bisogna vincere gli stati d’animo sentimentali o tradizionali, perché dovete considerare questo: o il Partito democristiano appoggia la democrazia nello svolgimento democratico – e noi abbiamo il dovere di collaborare col Partito democristiano – o il Partito democristiano ha un’involuzione in senso tradizionale e allora noi arriviamo alla rottura su due fronti della società italiana e dei partiti politici italiani. Allora lo schieramento delle forze politiche italiane dovrà cambiare completamente.
    Il problema della valutazione del governo De Gasperi è tutto qui e politicamente rimane soltanto qui. Noi abbiamo dovuto affidare la difesa delle posizioni democratiche, che abbiamo create, abbiamo dovuto affidare la possibilità di arrivare alla costituente al capo del partito cattolico italiano. Dirò che di questa fiducia agli impegni, che il governo De Gasperi si è assunto, sono totalmente responsabili coloro che hanno condotto l’azione politica.
    Il capo del partito democristiano ha collaborato all’esperienza del governo Parri; io credo che sarebbe stato un gravissimo errore per il Partito d’azione di scalfire di sospetto il partito cattolico rifiutando la collaborazione che in precedenza gli era stata data dal capo del partito cattolico (voci: ha fatto cadere Parri).
    … affermo che negli svolgimenti di una politica democratica fra partiti democratici queste condizioni di reciproco rispetto, secondo la posizione politica che essi svolgono, debbono essere mantenute. Perché queste condizioni di reciproco rispetto non siano più mantenute occorre un fatto politico certo, occorre cioè che il partito politico che non vuole rispettarle abbia per sé un fatto tale per cui possa inficiare di falso spirito democratico il partito con cui non vuole collaborare. Il Pd’A deve guardarsi bene dal creare una situazione di ordine massimalistico e fazioso.
    Noi abbiamo rifiutato la collaborazione ai gabinetti Bonomi quando su un terreno politico il presidente Bonomi mostrava di mettere in forse la conquista democratica che noi avevamo ottenuto. Voi potete essere sicuri che coloro come me che hanno sostenuto fermamente la necessità per il partito di collaborare a un governo De Gasperi, saranno i primi a segnalarvi il momento in cui la situazione politica dovesse portare alla rottura della collaborazione tra i partiti politici del CLN. Voi non potete dimenticare che io ho tenuto ad affermare continuamente in questo discorso che la posizione del giugno 1944 è stata continuamente indebolita da false posizioni politiche e che noi dobbiamo fare ponte fra queste posizioni politiche del giugno 1944 e la costituente. Qualunque sistema di governo ci garantisca il ponte fra la tregua del 1944 e la costituente è una situazione politica di ordine democratico che noi dobbiamo appoggiare (applausi). Nel momento in cui il ponte fra la situazione del giugno 1944 e la costituente non sarà possibile, il Pd’A dovrà scendere in lotta. Ma in quel momento, cari amici, bisogna che la lotta impegni diversi partiti; in quel momento, solo in quel momento ciascuno dei partiti deve essere legato alle sue responsabilità politiche concrete. In quel momento si deciderà se il Pd’A rimarrà solo in una posizione di protesta repubblicana oppure se le forze politiche si possano riorganizzare su un vasto scacchiere per condurre la campagna del rinnovamento strutturale della società italiana.
    Qualcuno mi domanda che cosa è il partito.
    Il partito è lo strumento per realizzare queste trasformazioni strutturali della società italiana e queste trasformazioni strutturali della società italiana si realizzano così come il partito le è andate realizzando in momenti felici della sua azione politica, come le può realizzare se tutti gli altri partiti della democrazia si muovono come lui. Perché se il Partito d’azione ha un’esatta visione del momento politico e gli altri partiti non l’hanno il Partito d’azione può non realizzare nulla.
    Ecco perché agli amici che scrivono nelle relazioni o nei discorsi parlano di rapporti con altri partiti, io dico che condizione per il successo politico del Pd’A è che altri partiti in determinati momenti condividano con esso le responsabilità dell’interpretazione di un momento politico. Ecco perché in questa lotta alcuni partiti sono uniti come fratelli siamesi, cioè c’è un momento in cui le soluzioni politiche di democrazia debbono avere non solo il consenso del Pd’A e l’azione del Pd’A ma l’azione collaterale di altri partiti.

    (...)
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  7. #7
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    Predefinito Re: Il problema politico della democrazia (1946)

    Chiedete a chi si rivolge questo Partito d’azione? Io credo che quando ho parlato di quella enorme massa di italiani che non appartengono a partiti, quando penso a quella enorme massa di italiani che devono prendere posizione, voi trovate la base dei quadri e degli elementi del Partito politico di azione. Io credo che quando voi legate queste masse agli scopi politici di ordine strutturale del Pd’A voi avrete il legame fra le forze politiche e gli scopi delle forze politiche, voi avrete l’esercito che deve realizzare le condizioni politiche.
    Le masse… e qui io non vorrei che voi vi adagiaste troppo sul concetto tradizionale di partiti di massa. I partiti di massa sono i partiti che raccolgono un maggior numero di suffragi, che riescono a portare accanto agli altri partiti forze rappresentative adeguate; non sono necessariamente partiti che si costruiscono su una struttura classista uniforme. Voi avete una base vastissima per la vostra azione politica, avete però come condizione a questa azione politica una grande capacità organizzativa concreta. Un partito è tale soprattutto dal punto di vista della capacità organizzativa seria e concreta, cioè se sa permeare momento per momento forze sociali nuove.
    Voi avete le condizioni per fare un partito numeroso. Non avete come condizione per questo di usare verbalismi inutili, di rivestirvi di pelli e di penne che non sono vostre. Voi avete nei vostri obiettivi politici e nella vostra consapevolezza dei problemi della società italiana, materia sufficiente per portare al vostro partito tutte le forze che voi volete. Ma voi dovete rivolgere lo sguardo ai problemi concreti di organizzazione. Questo lavoro che voi fate per permeare la società italiana dei vostri ideali lo dovete dall’altra parte concretare in realizzazioni politiche, perché solo dalla consapevolezza che queste masse organizzate hanno del vostro progresso politico continuo, della vostra capacità, solo da questa rispondenza fra la vostra capacità organizzativa e gli scopi che si raggiungono, deriva l’accrescimento di un partito.
    Da ieri probabilmente il problema dei rapporti di due partiti nel partito è stato chiarito da Emilio Lussu e da questo chiarimento si possono trarre tutte le conclusioni. Ma accanto a questo problema dei due partiti ci sarà il problema politico del Pd’A cioè della determinazione politica concreta del contenuto del Pd’A, di quello che il partito deve realizzare, della base su cui si deve porre, delle forze che deve raccogliere. Ho sentito dire qui da amici che col governo De Gasperi si sarebbe creata una situazione da cui siamo estromessi.
    Si sarebbe creata una sorta di connubio tra partito cattolico e partito socialista, tra i tre grandi partiti di massa. Io non credo a questa situazione: in ogni modo io credo che il fatto che questa situazione si sia creata prima delle elezioni è un contributo alla chiarificazione politica del popolo italiano. Io credo che il nostro popolo ha il modello concreto di quella che è la combinazione di queste forze e io devo dire a coloro che mi citano la Francia come altro modello di questa combinazione di forze, che il fatto che la Francia faccia di queste combinazioni di forze è una delle ragioni della debolezza e della instabilità della sua posizione politica. Se voi credete che oggi la Francia sia in una posizione politica senza incognite e senza preoccupazioni voi vi sbagliate di grosso. E una delle ragioni di debolezza in questa combinazione di forze è che non ci sia una situazione simile a quella che il Pd’A con difficoltà di vario genere tende a creare in Italia. Voi vedete che una delle ragioni di instabilità è che tra le forze socialcomuniste e le forze cattoliche non si sia delineata una situazione politica che rappresenta un concreto apporto alla causa democratica.
    Il fatto che apparentemente il Pd’A esca indebolito dalla crisi politica o sembra essere ai margini della formazione politica è un fatto provvisorio. Voi non potete trarre nessuna deduzione di ordine definitivo da questa situazione. Le forze politiche sociali che giuocano in Italia sono forze in situazione completamente fluida e come nel passato l’intervento del partito fu risolutivo di una crisi politica, così questa situazione si può presentare in qualunque momento purché il Pd’A abbia e conservi una politica in grado di sostenere la posizione e la responsabilità di questa sua posizione nell’avvenire.
    Nello stesso governo De Gasperi voi avete il presupposto di una impostazione diversa del problema politico in Italia nell’avvenire ma voi fino da adesso dovete porre le premesse di questa azione politica dell’avvenire.
    Con questo avrei finito se non mi corresse l’obbligo di dirvi che delineato chiaro il problema dei rapporti di due posizioni politiche – quella socialista e l’altra – occorre chiarire fino in fondo la posizione politica non socialista. Emilio Lussu diceva ieri che noi abbiamo in Ferruccio Parri una figura magnifica di presidente della Repubblica e diceva che se Ferruccio Parri dovesse essere presentato come candidato a presidente della Repubblica, anche i paracarri di Sardegna voterebbero per lui, io credo che Emilio Lussu abbia posto il problema politico di Ferruccio Parri su un terreno in cui non andava posto e ho visto che con troppa leggerezza il congresso ha applaudito. Ferruccio Parri esce da un’esperienza di direzione politica del paese: questa sua funzione è stata una anticipazione, la sua esperienza è un’esperienza non esaurita, come non è esaurita l’esperienza di direzione politica di nessun uomo che sia oggi in posizione rilevante sulla scena politica italiana. Noi non abbiamo oggi il problema di presidenza della repubblica, ma abbiamo il problema di direzione politica del partito ed eventualmente del paese. La responsabilità di questa direzione politica spetta a lui.
    Quando sono venuto a Roma, mi sono trovato nella dolorosa necessità di contrastare con la posizione politica di Emilio Lussu e di contrastare con lui su problemi politici immediati che interessavano tutti coloro che partecipano al partito. Considero questo una dolorosa necessità, perché, come vi ripeto, sento tutta l’essenza e la capacità di combattente politico di Emilio Lussu: io mi inchino davanti alla sua forza di combattente anche se non condivido le sue idee e se le ritengo sbagliate. Questa funzione si può considerare, per quanto mi riguarda, esaurita.
    Quando io ricordo Cosenza – e mi è necessità ricordarlo – ricordo anche che l’appoggio a Emilio Lussu venne da uomini che oggi non condividono il suo pensiero. Alcuni di questi uomini hanno parlato di deviazione politica, ma essi hanno partecipato alla deviazione politica – se deviazione si può chiamare – di Lussu. Ora si parla di deviazione politica di La Malfa, ma ci sono stati dei momenti in cui essi avrebbero condiviso questa deviazione! La verità è che si tratta di due posizioni politiche e non di deviazioni politiche. Comunque, rispetto a quelle che sono le posizioni del partito, la posizione di La Malfa è terminata, nel momento in cui il suo dovere rispetto a quello che egli riteneva il compito affidatogli è terminato. Il partito a questo punto deve prendere le sue responsabilità ed io, che vedo il Pd’A in una certa sede politica, vedo con piacere l’evoluzione di certi amici, che non considero evoluzione verso destra, ma verso una posizione politica esatta. Questo è il vero risultato del travaglio politico del partito e mi devo dolere che alcuni degli uomini che hanno partecipato a diverse impostazioni politiche parlino spesso di manovra, di deviazione, di non attaccamento al partito. Essi, se hanno un loro travaglio, devono ammettere che tutti gli uomini che lottano hanno un loro travaglio, che se essi hanno un contenuto, tutti gli uomini che lottano hanno un contenuto, che se essi hanno una responsabilità, tutti gli uomini che lottano hanno una responsabilità. E io devo dire a questi uomini che, se il giudizio si pone su questo terreno, una responsabilità di ordine politico e una visione dei problemi della società italiana non possono cambiare nello spazio di sei mesi, ma vogliono una maturazione politica di molti anni.

    Ugo La Malfa

    https://musicaestoria.wordpress.com/...mocrazia-1946/
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