Nato in provincia di Alessandria da una famiglia operaia, si trasferì coi genitori a Torino nel 1913 dove, al termine del periodo scolastico, svolse lo stesso mestiere del padre. A sedici anni si iscrisse al PSI venendo nominato segretario del comitato regionale della Federazione Giovanile Socialista; sempre nel 1917 fu assunto alle Officine ferroviarie, ma venne licenziato pochi mesi dopo per aver partecipato ad uno sciopero generale e trovò lavoro presso la Camera del Lavoro.
Arruolato nell'esercito nel 1920 e stanziato prima a Merano e poi in Libia, aderì poco dopo al Partito Comunista d'Italia e venne condannato a otto mesi di carcere per propaganda comunista tra i commilitoni. Uscito di galera, sfuggì fortunosamente alla strage di Torino e ricostruì la sezione del partito di Gramsci nel capoluogo piemontese; tuttavia, sentitosi in pericolo di vita e colpito da un mandato di cattura, si recò in esilio volontario in Francia nel 1923 insieme alla moglie Elena Montagnana (sorella di Rita e cognata, così come Robotti stesso, di Palmiro Togliatti).
Mentre si trovava a Lione venne contattato da una cooperativa sovietica che gli offrì un posto di lavoro a Genova: sentendosi sufficientemente protetto dal nuovo mestiere, tornò in Italia nel 1925 ma venne lo stesso arrestato e condannato a due anni di carcere per attività sovversiva e rinchiuso nel carcere di Marassi. Nel 1928 andò in Svizzera, poi si recò a Parigi e successivamente in Belgio dove lavorò come giornalista per una testata legata al Partito Comunista Belga, Il Riscatto; ritornò in Francia nel 1930 e dopo un altro periodo in galera, sempre per reati ideologici, emigrò in Unione Sovietica.
A Mosca venne nominato presidente della sezione italiana e poi di quella internazionale del Club degli emigrati politici di Mosca, lavorò come operaio in un'officina e nel 1933 prese la cittadinanza sovietica ma nel 1938 fu arrestato improvvisamente dai sovietici e rinchiuso nel carcere della Lubianka (fino al 1941, quando fu “riabilitato” e lavorò in fabbrica, organizzando il trasferimento di uomini e macchinari in Siberia). Il 9 marzo, alle tre di notte, suonarono alla porta della casa in cui stava con la moglie, entrarono un ufficiale sovietico e un soldato armato, esibendo un mandato di arresto e perquisizione. Lo portarono alla Lubianka, non gli fecero imboccare le scale per salire negli uffici, ma quelle che portavano nei sotterranei. Entrò in una cella, già piena. A mezzogiorno fu chiamato, si aspettava un interrogatorio, invece fu fatto salire su un furgone già stipato di altri arrestati: tutti “compagni” come lui, tutti sbalorditi. Scoprì che cos’era la “troika”: composta dai cekisti (Ceka, la polizia politica che poi divenne il Kgb), doveva giudicare sommariamente i delitti di controrivoluzione.
Nella camerata gli “inquilini” erano soprattutto sovietici ma c’erano anche molti ungheresi, coreani, cinesi, lettoni, tedeschi, bulgari, iugoslavi. Eravamo tutti –ha ricordato Robotti- incriminati in base all’art.58 (reato di propaganda controrivoluzionaria). E decise di respingere tutte le accuse, facendo resistenza, pur sapendo che il dichiararsi comunista poteva costituire una aggravante. Poi venne il gulag, per i lavori forzati. Norilsk era il gulag: a 320 km a nord del circolo polare artico. I prigionieri dovevano estrarre il nichel: dai 20-30mila dei primi anni divennero 100-140mila dopo il 1950. Turni di lavoro di 12 ore anche nella bufera, con soli 10 minuti di pausa per scaldarsi le mani. Se non venivano rispettati i ritmi di produzione e le quote fissate dai capi, scattava la fucilazione, e la media era di 30 esecuzioni al giorno. Di notte, per la fame, Robotti ricorda che si alzava per acchiappare i topi della baracca, e cucinarli di nascosto in un barattolo.
Alla fine della guerra il Norisk Nichel è diventato un maxicomplesso minerario-siderurgico che ha detenuto per anni il primato assoluto della produzione di nichel nel mondo, senza contare il 58% del rame estratto in Russia, l’80% del cobalto, il 100% del platino. Era, ed è tutt’ora, il Klondike della Siberia, e non è mai mancata la mano d’opera. Anche se alle donne si consigliava di andare a partorire altrove, se volevano bimbi sani. E il vicesindaco Natalia Lylina, una bella ed elegante signora, alcuni anni fa ha spiegato a un famoso giornalista (Ettore Mo, del Corriere della Sera) che tra gli ergastolani di Stalin c’erano artisti, scrittori, musicisti, architetti, ed evidentemente “ hanno inoculato in noi questo germe culturale. Così oggi in città abbiamo teatri, scuole di danza, auditorium, scuole di musica”. Proprio dove morirono più di 2 milioni di deportati.
Paolo Robotti riuscì a rientrare in Italia nel 1947, perché aveva partecipato alla difesa di Mosca durante l’invasione nazista. Nonostante tutto, rimase comunista, “ma italiano”, diceva
dove ricevette vari incarichi dal Partito Comunista Italiano: tra il luglio del 1948 ed il novembre del 1949 fu vicesegretario regionale del PCI insieme a Girolamo Li Causi, nel 1950 divenne viceresponsabile della commissione centrale stampa e propaganda diretta da Gian Carlo Pajetta, nel 1955 venne nominato viceresponsabile della sezione esteri del PCI e nel 1956 fu incluso nella commissione preparatoria del nuovo progetto di statuto del partito, in vista dell'VIII Congresso.
Dopo la morte del cognato Togliatti (1964), si dedicò più alla scrittura che all'attività politica, pubblicato vari articoli su L'Unità e Rinascita e scrivendo tre libri, in gran parte autobiografici: La prova (1965, sull'esperienza in Unione Sovietica), Il gigante ha cinquant'anni (1973, sulla storia dell'URSS) e Scelto dalla vita (1980, sui principali avvenimenti della sua esistenza)
https://www.remocontro.it/2016/05/14...paolo-robotti/