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    Predefinito Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    del Dr Adel Bashara

    Al centro del Nazionalsocialismo vi era il Nazionalismo sostenuto dallo storico Heinrich von Treitschke.Uno dei temi fondamentali era il Darwinismo Sociale:individui e nazioni sono soggetti alla continua lotta per la sopravvivenza. In questa lotta la razza è al centro della vita e tutti gli altri elementi sono correlati ad essa .Il Nazionalsocialismo afferma che mantenere il sangue e la razza puri sono tra i compiti più elevati della nazione. Esso proclamava la razza Germanica come nuovo “Icorpus mysticum” dal quale dipendeva la salvezza della razza Ariana e di conseguenza il resto del mondo. Di conseguenza le politiche naziste rappresentavano di conseguenza solamente un modo per migliorare geneticamente la razza Germanica e di proteggerla dall’imbastardimento razziale ,processo di preservazione che secondo i Nazisti è parte fondamentale della dottrina della razza superiore. Al contrario Sadeeh escludeva la razza come criterio di nazionalità. In una delle sue dichiarazioni più vigorose contro il nazionalsocialismo della N.S.D.A.P egli dichiarava : la presunta purezza del sangue o della razza delle nazioni è un mito infondato. Essa si può riscontrare soltanto nelle popolazioni isolate e perfino tra costoro è assai rara. Per la stessa ragione Sadeeh rimproverò sia il Conte Gobineau che Chamberlain ,ai padri fondatori del nazismo e Pascal Mancini che cadde erroneamente nell’uso della parola razza per definire il concetto di nazione.

    Nel Nazionalsocialismo .l’idea nazionale perse ogni pretesa di oggettività scientifica. La ragione è perché non c’è correlazione tra razza e frontiere nazionali. In maniera più importante se visto da una prospettiva sociale la nazione non è una singola razza in senso scientifico ma una società multirazziale fusa insieme in moltitudini. Questo processo di fusione è un processo nel quale due o più razze si combinano per generare un nuovo insieme che è significantemente differente dalle razze genitrici però includono elementi propri di tutte le razze prodotti attraverso gli stimoli del contatto e del conseguenze sviluppo interno.

    Un’altra differenza tra il Nazional Socialismo e il Socialismo Nazionale è correlato al concetto della storia nazionale.

    Nel Nazionalsocialismo la purezza del sangue è più forte della ragione ed è al centro di tutta la storia umana. Ernest Kriek un filosofo nazionalsocialista dell’Università di Heidelberg ha affermato il contrasto nel seguente modo: è sorto il sangue contro la ragione formale,la razza contro la razionalità intenzionale,l’onore contro il profitto .l’unità contro l’individualismo,disintegrazione,la virtù marziale contro la sicurezza borghese,il folk contro l’individuo e la massa.

    Nel Mein Kampf Hitler affermò i principi basilari della teoria della razza come segue;Primo la lotta per la sopravvivenza del più forte imposta il ritmo del progresso sociale. Questa lotta avviene in seno alla razza ,così avviene la formazione di un elite biologica;si verifica anche tra le razze e le culture che esprimono le nature intrinseche di razze diverse. Secondo l’ibridazione dalla mescolanza di due razze provoca la degenerazione di quella superiore. Terzo ,che tutte le più importanti civiltà di tutte le culture sono la creazione di una sola razza o al massimo di un paio.

    Una razza in particolare si individua nella cultura Ariana la quale secondo Hitler ha raggiunto qualità morali superiori attraverso la doverosità e l’idealismo(l’onore) piuttosto che con l’intelligenza.

    In questa concezione organica della vita tutta la storia va riscritta e reinterpretata in termini di lotta di sopravvivenza tra le razze e le loro caratteristiche ideali o più specificatamente come una lotta per la sopravvivenza della cultura-razza Ariana contro le razze inferiori dell’umanità.

    Al contrario Sadeeh considerò la fusione tra razze come spinta motrice dell’umanità. Sebbene egli facesse una distinzione tra razze superiori e inferiori non perse mai di vista senso di un approccio comune alla questione delle relazioni razziali. Questa stessa distinzione è stata mantenuta sul terreno dell’ibridazione razziale. La civiltà superiore non è così il risultato della purezza razziale,così come avrebbero voluto i nazionalsocialisti ma del processo di mescolanza razziale del gruppo e viceversa in relazione alle civiltà inferiori. Inoltre mentre nel nazionalsocialismo la nazione nella sua essenza e nella sua storia è vista da un punto di vista esclusivamente razziale mentre nel socialismo il concetto di nazione è influenzato da fattori umani e geografici.

    Saadeh diceva che non ci può essere popolo dove non c’è terra ,nessuna società dove non c’è ambiente fisico e che non ci può essere storia dove non c’è società.
    In breve il nazionalsocialismo e il Socialismo Nazionale operano intellettualmente su due pianeti distinti;il primo collega razza e nazione il secondo le rifiuta del tutto. Per quanto per certi limitati aspetti possano risultare simili bisogna riconoscere che sia da una prospettiva teorica che da una prospettiva pratica tutte le ideologie possono sembrare simili non importa quanto differenti in realtà esse possano essere.

    Più ovvia in ogni caso è la differenza intrinseca degli elementi di un’idea e la sua parte estrinseca che può diventare grande nemica di quella intrinseca. Si tratta in questo contesto che dovrebbe avvenire l’analisi comparativa ,non solo tra nazionalsocialismo e Socialismo Nazionale ma tra ciascuna coppia d’idee.

    traduzione di Franz Camillo Bertagnolli Ravazzi

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    Socialismo, Tradizione, Nazione

    di Federico Pulcinelli

    Lo scenario internazionale è in forte movimento. Guerre, scontri, conquiste occupazioni perdite di territorio si susseguono dal Medio Oriente fino l’Europa Orientale. Suona come una constatazione banale, alla portata di “tutti”, ma oltre ciò ci sono osservazioni più sottili. Questo stato di cose non è solo il serio rischio per una nuova “polveriera” su scala mondiale, ma può anche essere l’humus per nuove alleanze e nuovi “impasti” ideali.

    Il tempo nel quale ci troviamo a vivere sta divenendo sempre più veloce. Più di 25 anni sono trascorsi dal crollo del Muro di Berlino, e “La Fine della storia” del politologo statunitense Francis Fukuyama non solo non è avvenuta, ma oggi la storia sta imprimendo una brusca accelerata verso un nuovo ed interessantissimo percorso.

    Tutte le vecchie classificazioni, gli antichi discrimini della politica divengono desueti e anacronistici. “Destra” e “Sinistra” con la dipartita delle ideologie e dei “blocchi” politici di esse espressione, entrano sempre più nello status di paragrafo dei libri di storia e con il disincantamento sociale e la loro progressiva perdita di identità e diversificazione, si vanno a confondere l’una con l’altra. Lasciando una grande indecisione difronte il problema di categorizzare ciò che sia di “Destra” e ciò che sia di “Sinistra”.

    Più di un venticinquennio, come detto, è passato dalla distruzione del muro che divideva politicamente e fisicamente non solo l’Europa, ma anche tutto il mondo in due parti, almeno formalmente, l’una agli antipodi dell’altra. Una emblema del capitalismo, il così detto “mondo libero”, capeggiata dagli U.S.A.; l’altra “il paradiso del proletariato” sotto l’ombrello dell’U.R.S.S.. La guerra, “fredda” “calda” o quella che sia, l’hanno vinta gli americani. Ma attenzione a cantare vittoria. Perché la potenza oltreatlantico è la prima che maledice quel 9 novembre del 1989. Lo fa, soprattutto, oggi alla vista di quello che sta accadendo, del “forte terremoto” che scuote la scacchiera internazionale. Fin quando è esisto il “Muro” ed il Blocco Sovietico, l’America aveva un nemico da contrapporre al globo sotto la sua sfera di dominio, un “nemico” contro cui rinsaldare i ranghi. Caduto “l’impero del male”, ammainata la bandiera rossa sul Cremlino, il nemico non c’era più. E anni di assenza di un pericolo pressante, hanno reso i capi di “Casa Washington” spavaldi, avidi. Troppo, fin troppo, sicuri di loro! Tanto da credere che bastasse muovere guerra, conquistare intere porzioni di territorio, per stroncare chiunque avesse messo in dubbio il dominio americano. Ma la spocchia, in particolare modo in politica estera e militare, si paga a caro prezzo nel lungo andare. Oggi gli U.S.A. cercano disperatamente un “nemico”, un avversario con cui tornare nuovamente a rinsaldare i ranghi. Dopo una cieca geopolitica e geostrategia, le tante roccaforti del suo “vasto impero” stano cedendo sotto i suoi occhi. Che fare allora? Giocarsi il tutto per tutto: perché solo questo ad essa e rimasto. Nazioni, popoli che fino ad oggi erano rimasti nell’ultimo posto nel “concerto delle nazioni”, Paesi che qualche decennio fa venivano additati come “Terzo Mondo”, si stanno ergendo decisi a cambiare “le carte in tavola”. Pronti a far valere la loro voce.

    “Trovare il nemico” questo il leitmotiv americano. E qui la martellante propaganda contro il terrorismo islamico da una parte e le “pericolose nazioni” conquistatrici, “l’asse del male”, dell’altra. Una classificazione la seconda, dove la Russia dei nostri giorni gioca un ruolo fondamentale tra gli “spauracchi” agitati dagli americani.

    L’organizzazione dei due diversi schieramenti, quello dell’Occidente e quello delle forze nascenti, sta avvenendo su basi strategiche, geopolitiche e militari. Ma è ancora assente il dato più saliente, quello che informa i grandi scontri epocali. Manca, ancora, una profonda separazione ideologica a questi fronti contrapposti.

    Se non altro, ne è privo per il momento il più giovane fra i due contendenti mondiali.

    L’Occidente sotto l’aspetto di “visioni del mondo” non ha nulla di nuovo. Ovvero la sua ideologia è la stessa che si porta appreso dallo scontro con la “vecchia” U.R.S.S.. Capitalismo, liberismo, progressismo, mondialismo, queste sono le linee guida che distinguono l’essenza occidentale con a capo l’America. Nelle forme e nei slogan molto probabilmente “evoluti”, e più “agguerriti” nella concezione dell’individuo e de suoi legami e delle sue forme associative e comunitarie. Esempio, scontato ma emblematico, la sempre maggiore denaturalizzazione e destrutturalizzazione del concetto di “famiglia” nel civilizzato binomio di “Europa – America”. Ma, comunque, nulla di nuovo sotto il sole. Un agglomerato di stati, nazioni monolitiche: non esprimono differenze complesse le une con le altre. Ciò che si può riscontrare, i canoni di vita, a New York è facilmente ritrovabile a Milano quanto a Londra. Una lunga striscia di terra, separata dall’oceano, differenziata nel suo interno solo dai molti nomi dei vari stati, ma profondamente omologata e compatta nello spirito. Una “Piramide” nella cui punta massima stanziano gli U.S.A. e sotto di essa a scalare i suoi tanti feudi. Si potrebbe pensare ad una moderna forma d’Impero. Invece no: ne è se mai la sua faccia oscura. L’Impero è una costruzione, se vogliamo, si “Piramidale”. Ma con una profonda differenza che ne informa tutta la struttura rispetto al “tipo” di quello americano. Nell’Impero come teoria classica, sussistono delle diversità complesse tra le terre, o parti, che lo compongono. Non solo formali, superficiali, come nell’Occidente di oggi giorno, ma profonde e sostanziali, e che ne costituiscono la ricchezza. Specificità queste che si riassumono in un’unica guida, in un unico potere. Un vero e proprio corpo dove ogni diverso organo collabora al funzionamento dello stesso, con al vertice massimo la testa e dietro di essa l’anima che da senso al tutto.

    Da quest’altra parte un nascente fronte eterogeneo, dove convivono terre e popoli diversissimi. Non solo per il puro dato geografico, ma per diverse specificità etniche, culturali, tradizionali e, soprattutto, politiche! Di questo ne fanno parte, o almeno tentano, fra i tanti: la Russia, varie nazioni dell’America Latina, la Cina, la Corea del Nord, la Sira, l’Iran. Non vi è ancora una visione univoca. Vi sono tante idee quante le nazioni che compongono questo assetto antioccidentale. Sono presenti il Comunismo Juche della Corea del Nord; il Socialismo del XXI secolo dei “frizzanti” paesi dell’America Latina; il Tradizionalismo dell’Iran e quello rinascente dell’odierna Russia. Tutti uniti questi popoli per la difesa delle loro nazioni dalla forte America.

    Volendo fare una summa ideologica di tutto ciò, si potrebbe racchiudere l’insieme nel trinomio: “Socialismo, Tradizione, Nazione”.

    Come detto non un unico paradigma, bensì un’alleanza di Paesi con diverse espressioni ideali. Ma un’idealità unica ci vuole! I grandi corpi alla lunga ne abbisognano, soprattutto se chiamati alla guerra. Alla lunga dovranno esprimere quali canoni e quali distanze vorranno andare a contrappore all’avverso.

    In sostanza se si rimane mera coesione contingente di più corpi diversi, c’è il rischio che prima o poi si vacilli nel duro impatto con i colpi di un nemico compatto. Che si creino durante la marcia interessi e obbiettivi diversi che poi sfaldino il tutto. Bisogna divenire corpo organico! E il corpo organico, così come per l’Impero, all’apice ha un solo concetto che racchiude i molti. Un ideale che faccia da traino.

    Ma se una siffatta eterogena alleanza, potesse essere nella sua originaria pluralità il magma giusto per un nuovo paradigma?

    L’epoca che ci attraversa necessità di nuovi fini, di diversi obbiettivi, di originali propositi. I fatti sociali e internazionali sono molto più creativi e sensibili del semplice sentire degli uomini, anzi è un fatto che i primi determinano i secondi. La prima guerra mondiale è stato questo. Senza il suo scoppio e il diverso posizionamento di forze in campo non sarebbero morti i vecchi dogmi, e non sarebbero nati i nuovi che avrebbero fatto da terreno di scontro nella seconda guerra mondiale.

    Dunque i “fatti”, i “nuovi scenari”. Questa nascente alleanza tra Socialismo, Tradizione e Nazione, ora solo su base materialistica di difesa o attacco verso un nemico comune, potrebbe essere il preludio di un’ideale sintesi, connubio, un nuovo connubio!, tra queste tre differenti ideologie per partorirne una! E creare nuove passioni che vadano a declinare anche nel politico per costituire nuove categorie politiche.

    Del resto alla fine del primo conflitto mondiale una simile sintesi vi era stata. E pioniera su tutti fu l’Italia. Certo è che il socialismo in più parti sta ritornando prepotentemente sulla scena, e con accostamenti al profondo senso nazionale. Nel Donbass, per fare un esempio, alcuni “volontari europei” hanno affermato di combattere per il “Socialismo europeo”. Riproporre anche in Italia una formula aggiornata di questa idea, prendendo e facendovi confluire i nomi più altisonanti della nostra storia nazionale, dai protosocialisti militari del Risorgimento ai sindacalisti rivoluzionari che dettero il sangue per la causa irredentista e che furono l’humus culturale da cui ebbe il suo primo vagito il Fascismo, passando per le intuizioni tricolori di Craxi? Forse. Ciò che è lampante oggi è che si abbisogna di una nuova “idea forza” che sappia ricreare le grandi passioni della lotta. Le grandi affermazioni e le grandi negazioni.

    Socialismo, Tradizione, Nazione potranno avere la forza necessaria per rispondere a questo bisogno di nuova linfa ideale? Il Socialismo nella sua diramazione più vera cioè quella di “comunità”, volontà sociale di uno gruppo di individui simili per etnia, cultura e quindi intimamente legati da principi, credi, fede religiosa che nei secoli si sono trasmessi creando un’unica Tradizione. Indefessamente innamorati del proprio suolo natio, della propria Nazione, per guardare poi oggi, nel nostro contesto continentale, alla più grande nazione che racchiude le tutte: la Grande Europa. Se tutto ciò possa diventare il nuovo fulcro da cui far ripartire diversi steccati ideologici, non è dato saperlo per il momento. Ma sicuramente una coesione simile ha già in se la scintilla che preannuncia il fuoco.

  3. #3
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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    La Comunità Organica


    La comunità organica di popolo è un concetto che deve essere adeguatamente approfondito per capire la nostra linea politica. Brevemente si può dire che la comunità organica è un sistema strutturale basato sul rapporto diretto dei vari gradi gerarchici tra loro. Questo concetto, che sotto molti aspetti è il contrario della burocrazia, ha origini molto antiche. Dove la burocrazia nasce per rendere il rapporto tra stato e cittadino immediato, ma anche alienante e spersonalizzato, attraverso la metodica applicazione di protocolli e modulistica, la comunità organica prevede che siano i singoli attori a interagire tra modo loro in maniera sintetica e integrativa: organica, appunto. Per quanto riguarda la sintesi e l’integrazione ci riferiamo al processo in cui principi generici vengono applicati in concordanza con considerazioni personali e in armonia con il contesto particolare, sia dall’alto che dal basso. Questo modello proposto è applicabile a varie forma di governo. La società feudale, per esempio, era organica, così come organica si definiva la democrazia della Repubblica Sociale Italiana, per quanto in effetti la sua applicazione pratica venne fortemente limitata dal contesto bellico e crea non poca perplessità circa la sua possibile efficacia assoluta nello scrivente, che considera la cooptazione e non l’elezione l’unica possibile soluzione armonica con l’organicità. È necessario notare che la cooptazione, per quanto tradizionalmente associata a una società organica, non ne è necessariamente legata, come dimostra l’esempio del Terzo Reich, che procedeva secondo cooptazione dei capi pur mantenendo la tradizione prussiana burocratica (anche l’impero prussiano fu quindi fondamentalmente burocratico, sebbene in quel caso vi fosse una certa convivenza tra cooptazione ed elezione, pur mantenendo la prima prevalente sulla seconda). La società organica sembra quindi tipica di sistemi alquanto primitivi – inutile negarlo – e sembra naturale che l’aumento delle dimensioni e della complessità di uno stato rende necessaria la sua burocratizzazione, come dimostra la storia europea. Se allora un certo grado di burocrazia è inevitabile per qualsiasi entità sociale abbastanza estesa, l’egemonia burocratica è senza dubbio lontana sia dalla nostra concezione di società tradizionale che dal comune buonsenso, come dimostra in ampia misura l’esempio sovietico. Non a caso Hobsbawm suggerisce la possibilità che le purghe staliniane fossero un disperato tentativo di sorpassare una burocrazia ipertrofica. Dopo questa parentesi sulla natura generale della società organica, cui per ulteriore approfondimenti rimandiamo a scrittori più illustri quali Freda e Platone, scendiamo nel dettaglio per quanto riguarda il nostro nucleo. Se la natura organica della società ci interessa infatti in termini generali per progetti che la politica moderna ha messo sotto il nome di massimalisti, il concetto di struttura organica ci è necessario fin da subito nell’organizzazione pratica. Il nucleo, che vuole essere una realtà concreta, una vera comunità di individui, trova nella struttura gerarchica cooptata e organica la sua realizzazione, struttura che ricorre anche con la stessa struttura di Confederatio. Il rapporto diretto, l’incontro frequente, lo scambio di opinione: lo studio collettivo, l’eventuale impegno sportivo, la pratica più o meno elevata; l’azione goliardica così come l’azione “eroica”, e il reale e costante contatto personale sono alla base del nostro progetto. Ecco in cosa differisce il nostro progetto “politico” dagli altri dentro e fuori l’Area. Noi non miriamo al tesseramento, né all’inquadrare rigidamente (finché non si decide di entrare in Confederatio quanto meno) i nostri membri, collaboratori o anche solo curiosi temporanei. Noi ci riproponiamo un obiettivo ben più vasto e sostanziale, un obiettivo davvero qualitativo, cioè la formazione. Questa formazione non è soltanto libresca, ma omnicomprensiva, per quanto questo termine possa essere usato senza essere tacciati di megalomania. E proprio nella natura totale sta l’organicità, che non può prescindere dal contatto e dall’incontro diretto dei suoi membri. Noi non vogliamo essere un partito, vogliamo essere una Realtà.

    Tommaso Somigli

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    Le Ragioni che mi hanno portato a fondare il Partito Socialista Nazionale Siriano


    Questa breve lettera fu scritta da Saadeh durante il suo primo periodo trascorso in prigionia nel 1935 , in seguito alla richiesta del suo avvocato Hamid Franjieh . La lettera offre uno scorcio sul clima politico e intellettuale nella quale fu fondato il Partito Socialista Nazionale Siriano (SSNP). La lettera definisce anche in modo chiaro il modello di coscienza politica di Saadeh riguardo ai problemi fondamentali della nazione Siriana e i fattori che hanno portato alla nascita del Partito Socialista Nazionale Siriano nelle sue fasi iniziali. È una testimonianza di un pensatore politico che tentava di penetrare contro ogni possibilità in un ambiente politico ostile .

    Ero solo un bambino quando la Grande Guerra scoppiò nel 1914 ma già da allora iniziai a percepire e a comprendere . La prima cosa che mi capitò , dopo aver assistito, sentito e sentito l’afflizione del mio popolo fu questa domanda : Che cosa è stato che ha portato tutto questo male sulla mia gente?
    Subito dopo la fine della guerra , iniziai a cercare una risposta a questo cronico problema politico che sembrava guidare la mia gente da un avversità all’altra passando costantemente da un male minore per diventare ancora più facilmente preda di uno più grande . Lasciai il paese nel 1920 mentre i rancori settari erano ancora dormienti e la Nazione non aveva ancora finito di seppellire i propri morti .
    La situazione nella diaspora era soltanto leggermente migliore.
    Vari movimenti settari avevano avuto i loro effetti e profondamente diviso la Comunità. Nonostante fossero tutti Siriani , un gruppo considerevole tra di essi aveva ceduto a posizioni di odio ultra settario , in questa maniera prese piede il concetto di patriottismo libanese che per la sua stessa natura è un’estensione delle istituzioni religiose e della loro autorità e influenza sulla società.
    Ovviamente non stavo cercando una risposta alle questioni sopra citate per una mera curiosità scientifica o intellettuale. Una conoscenza scientifica che non porta a nulla non è meglio di un’innocua ignoranza . Piuttosto cercavo una risposta per trovare la maniera più efficace di sradicare quel male . Dopo un’indagine preliminare arrivai alla conclusione che la mancanza di sovranità era la causa dei mali attuali e passati della mia Nazione . Questo mi portò a fare una ricerca sul nazionalismo , sulla questione delle comunità , sul problema della giustizia sociale e della sua evoluzione . Nel corso della mia indagine e della mia ricerca diventai profondamente conscio dell’importanza dell’esistenza del concetto di nazione , della sua importanza e della complessità dei fattori che ne derivano. Fu da questa questione che la mia linea di pensiero divenne completamente differente da tutti quelli che erano profondamente preoccupati della vita politica della vita politica della nazione e dei suoi problemi nazionali . Essi lavoravano per la libertà e l’indipendenza in una maniera astratta che portava le loro preoccupazioni all’infuori del modo corretto di fare interesse nazionale mentre io volevo l’indipendenza della mia Nazione e del mio popolo .
    La differenza tra questa concezione meglio centrata e quella ambigua e quella precedente profondamente astratta è chiara . Tentai con tutti i partiti politici e associazioni siriane in cui mi capitò di entrare o di formare o di entrare in contatto ; di indirizzare il loro pensiero verso le cose che avevo compreso ma non ebbi molto successo in questo.
    Perfino un contrasto con le idee dei leader politici avrebbe potuto rendere la mia posizione più chiara , nel senso che la mia posizione divenne via via sempre più fondata su base nazionale laddove le loro posizioni erano state e venivano determinate da pragmatismo politico.
    La politica per il semplice gusto di fare politica non poteva essere definita come atto nazionale.
    Di conseguenza , in considerazione del fatto che uno sforzo nazionale con il fine di comprendere le tematiche di sovranità e il significato di nazione non poteva essere svuotato dei suoi significati politici ,decisi di entrare in politica seguendo un sentiero di una rinascita socialista nazionale che avrebbe garantito la purificazione delle idee nazionaliste esistenti e di unificarle in una sola ideologia e, a sua volta, favorire quella solidarietà che è necessaria per lo sviluppo e il progresso nazionale e la protezione di diritti e interessi nazionali.
    Dopo questo fui in grado di definire la mia nazione su basi scientifiche moderne , fattore che costituisce la pietra miliare di ogni realizzazione nazionale, e di definire gli aspetti politici e sociali della nazione sulla base dei problemi interni ed esterni attraverso le indagini politiche , sociali ed economiche che intrapresi. Realizzai che quindi avrei dovuto escogitare degli stratagemmi per proteggere la nuova rinascita socialista nazionale . Fu questo che mi portò all’idea di fondare un partito politico segreto che avrebbe dovuto inizialmente raccogliere quelle forze della nostra gioventù che si distinguevano per la loro integrità morale e la mancanza di simpatie per la corruzione della politica . Così fondai il Partito Socialista Nazionale Siriano e unificai le varie idee nazionaliste in una sola Idea secondo la Siria è per i Siriani e che i Siriani sono una Nazione a se stante .Allo stesso tempo stabilii alcuni principi riformatori vale a dire la laicità dello stato , la trasformazione delle aziende produttive in infrastrutture per la distribuzione della ricchezza e del lavoro e la creazione di un esercito in capace di giocare un ruolo efficace nei destini della nazione e della patria.
    Inoltre diedi al partito una struttura clandestina per difenderlo dall’assalto delle varie fazioni della società che ne temevano la sua nascita e il suo sviluppo, e dalle autorità che non ne avrebbero voluto l’esistenza .
    Quindi organizzai il partito secondo una base gerarchica centralizzata e in modo da focalizzare le qualità di ciascuna recluta al fine di evitare la confusione interna . la formazione di fazioni , la competizione distruttiva , e altre forme di disturbi politico sociali così come di favorire le virtù della disciplina e del dovere.
    Misi insieme tutto questo e continuai con la formazione del partito ignorando il fatto che ci fosse il mandato (il mandato francese sulla Siria che faceva dei territori dell’attuale Libano e Siria possedimento coloniale) o meno.
    Così, il partito non nasceva esclusivamente come contrappeso al mandato ma per unificare la nazione siriana in uno stato sovrano in grado di determinare il proprio destino.
    Dato che il mandato era solo una fase transitoria, capire la posizione e l’atteggiamento del partito verso di esso è una considerazione politica puramente secondaria.
    Il partito non è stata fondato sul principio dell’odio per l’occupante straniero o lo sciovinismo, ma sul principio del socialismo nazionale.
    Il mandato può avere temporaneamente aumentato la popolarità del partito e rafforzato le ragioni per crearlo, ma rimane un problema di importanza secondaria e limitata .

    In ogni caso, la questione nazionale, per sua natura, era inevitabilmente destinata a ad entrare nel conflitto tra sovranità nazionale e mandato coloniale .

    traduzione di Franz Camillo Bertagnolli Ravazzi

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    EURASIA COME DESTINO

    di Luca Leonello Rimbotti

    Quello che ci domina non è un Impero. L’America ha un esercito e un’industria molto forti: ed è tutto. Le sue multinazionali – assai piu agevolmente dei suoi eserciti – occupano qua e là nazioni e intere aree. Poi, però, l’America perde sempre la pace. Contrariamente a quanto ne pensano Luttwak, il geostratega dei finanzieri, oppure Toni Negri, il parafilosofo della borghesia parassita, gli USA non sono affatto un Impero, ma la sua grottesca parodia: non un segno di interiore potenza, non un cenno di superiore civiltà, nessun grandioso disegno valoriale, che non sia l’ottusa ripetizione di una vuota parola, in cui non crede piu nessuno: democrazia, solo e sempre lo stesso logoro slogan. Il disegno politico di opporre al Nulla planetario la sostanza di un vero Impero portatore di tradizione culturale, di civilta e di autentico potere di popolo ha i confini precisi dell’Eurasia. In quello spazio geostorico che va da Lisbona a Vladivostok – l’Europa decenni or sono indicata da Jean Thiriart – numerose intelligenze politiche europee dell’ultimo secolo hanno visto la giusta risposta agli interrogativi posti dalla moderna politica mondiale. Se proprio quest’anno si ricordano i cento anni della conferenza londinese in cui Sir Halford Mackinder getto le prime basi della moderna geopolitica, e proprio per rammentare che fin da allora l’Eurasismo pote dirsi una via ideologica e politica prettamente europea. Si voleva la risposta del blocco di terraferma nei confronti della talassocrazia mercantilista anglo-americana, gia allora ben delineata. Behemoth contro Leviathan. La schmittiana, solida e immutabile Terra, contro il liquido, infido e mutevole Mare. Oppure, per dirla con le parole antiche di Pound: contadini radicati al suolo contro usurai apolidi. L’Eurasismo e il disegno geopolitico di assicurare l’Asia centrale all’Europa, per farne un blocco in grado di reggere la contrapposizione con il mondo occidentale-atlantico. Antica idea russa, questa. I Russi avevano – (hanno?) – come una doppia anima: temono l’Asia (specialmente l’Asia gialla), ma ne amano il mistero, gli spazi. Dostoevskij ben rappresenta quest’angoscia russa. Maksim Gorkij, ad esempio, che pure stava dalla parte dei bolscevichi, era terrorizzato dalla possibile mongolizzazione della Russia bianca. Savickij invece, uno dei primi “eurasisti”, proclamava l’Oriente come fatale terra del destino europeo. Per parte sua, Karl Haushofer – lo studioso tedesco che con Ratzel fu il vero fondatore della geopolitica – aveva un’idea ben chiara: “Europa alleata della Russia contro l’America”. Intorno a questa nuova scienza – la geopolitica – da lui energicamente divulgata, si ritrovarono in molti. L’Eurasismo come movimento politico storico fu cosa effimera: nato nel 1921 a Sofia per iniziativa di alcuni russi fuggiti dalla rivoluzione, si diceva erede dei vecchi slavofili: sognavano una grande Russia eurasiatica avversa all’Occidente. Cristiani ortodossi, alla maniera di Spengler pensavano che l’Occidente stesse tramontando e che al suo posto dovesse sorgere la “Terza Roma” moscovita. Ma gia nel 1927 l’organizzazione, infiltrata dai bolscevichi, sparì dalla scena. Ma non le sue idee. Che l’Europa dovesse sottrarsi all’egemonia anglosassone e al crescente predominio americano, appoggiandosi invece alla Russia e al suo prolungamento asiatico, rimase una convinzione diffusa. Il nazional-bolscevismo fu una viva espressione di questa tendenza, soprattutto nella Germania di Weimar, ma anche nell’URSS. Furono in diversi – a cominciare da Ernst Niekisch -a pensare a una forma di comunismo nazionale e a un asse Berlino-Mosca, per creare una nuova forma di politica europea macro-continentale. E persino Alfred Rosenberg riflette su un blocco russo-germanico. Erano orientamenti politici, ma al di sotto si animavano forti suggestioni culturali. L’Asia centrale, il Tibet, la Mongolia: realtà mitiche e mistiche, di cui alcuni personaggi subivano uno strano fascino. Era la terra magica del “Re del Mondo”, una specie di ombelico terrestre che si diceva racchiudesse tradizioni, saperi, occulte potenze. Questo mito era alimentato da figure al limite del fantastico: Roman Von Ungern-Sternberg, ad esempio. Detto Ungern Khan, questo bizzarro barone baltico combatté l’Armata rossa in Asia centrale, organizzò un esercito di cosacchi, mongoli, tibetani, siberiani, puntando all’erezione di un Impero teocratico di tipo lamaista in Eurasia. Claudio Mutti riporta che egli avrebbe ereditato, come potente talismano, nientemeno che il misterioso anello con la svastica che era stato di Gengis Khan. Ma ci furono anche eminenti studiosi che videro nell’Asia centrale il fulcro di una forza che l’Europa avrebbe fatto bene ad assicurarsi. Giuseppe Tucci, grande orientalista, promosse studi, viaggi, contatti, fondò istituti e riviste, si disse convinto che il patrimonio di conoscenze esoteriche di cui l’Asia e detentrice dovesse far parte della nostra cultura: “Io non parlo mai di Europa e di Asia, ma di Eurasia”. Ma si puo ricordare anche l’etnologo e geografo svedese Sven Hedin – tra l’altro, noto ammiratore di Hitler – che vagò per tutta la vita nell’Asia centrale alla ricerca delle sue più arcane tradizioni. E sulle tracce di un Tibet lontano padre del mondo ariano si misero, in quegli stessi anni, anche studiosi e ricercatori delle SS. A tutto questo si intrecciano interi brani di quella cultura alternativa, animata dall’esoterismo tradizionalista, che può riassumersi negli studi in materia portati avanti da Guenon o da Evola. E per molti decenni fu Lev Gumilev, storico dei popoli della steppa, a lungo perseguitato dai sovietici, a elaborare il modello eurasiatico e a rilanciarlo anche in epoca post-comunista. Ma la geopolitica, erede della “geografia sacra” e così ricca di retroterra sapienziale, è soprattutto realtà. E’ la scienza che lega economia, storia e geografia: i popoli devono seguire le vie della loro collocazione, non quelle degli interessi dettati dall’internazionalismo finanziario. La geografia è quella: immutabile nei secoli, e i bisogni dei popoli ne sono la diretta conseguenza. Da un po’ di tempo, sotto la spinta negativa dell’espansionismo americano-atlantista, si è avuto un ritorno della concezione geopolitica e, di conseguenza, dell’Eurasismo. Nella Russia post-comunista, una forma di Eurasismo è rinata per iniziativa di Aleksandr Dughin, che nel 1992 fondo la rivista “Elementy”, recante il sottotitolo “rassegna eurasista”. E tuttavia, il suo è un Eurasismo differente da quello religioso e conservatore degli anni venti. Dughin si e rifatto alla Rivoluzione Conservatrice tedesca – di cui Karl Haushofer era stato leader in materia di geopolitica – oppure a quell’ambiente della Nuova Destra europea (De Benoist, Steuckers) che ha fatto della scelta europeista anti-americana un suo cardine: rompere con l’atlantismo filo-americano, che sta portando i popoli alla rovina. Guardare invece a est, alla Russia, e a tutto quell’enorme bacino centroasiatico, dalle cui potenzialita ancora inespresse potrebbe partire un progetto di antagonismo politico di portata mondiale. L’Eurasia non e una trovata dell’ultima ora. Quella di guardare alla Scizia, al Caucaso o addirittura alle Indie e un’antica nostalgia europea. Oggi la geopolitica ci ricorda che i bisogni, la collocazione e la terra dei nostri popoli europei sono i medesimi di duemilacinquecento anni fa. Solo che, nel frattempo, e in nome di interessi estranei, lontani e pericolosi, la nostra identita viene per la prima volta nella storia minacciata molto da vicino. La geopolitica e l’Eurasismo servono a ricordarci che l’Europa ha in mano la possibilita di gestire uno spazio imperiale omogeneo territorialmente e culturalmente, ben in grado di fronteggiare l’imperialismo atlantista-occidentale, e che questo grande spazio aspetta solo di essere organizzato da una volonta politica. Poiché l’Europa si merita un destino europeo. Linea, n° 182, Domenica 4 Luglio 2004.

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    Identité, Inegualitè Communauté – La “rivoluzione conservatrice” e postmoderna della Nouvelle droite


    di Matteo Luca Andriola

    Non è semplice dare una definizione corretta al fenomeno culturale della Nouvelle Droite, o Nuova Destra. Non è riferito senz’altro alla New Right anglosassone, responsabile, purtroppo, della rivoluzione neoliberista degli anni ’80 né all’universo skinhead. È, invece, un fenomeno culturale nato in Francia nel 1968-1969 attorno al Grece (Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne), un pensatoio parigino il cui leader indiscusso è tutt’oggi il filosofo normanno Alain de Benoist.

    Il Grece nacque con l’intento iniziale di innovare totalmente la cultura della destra radicale. Il gruppo venne fondato da ex militanti neofascisti provenienti dalla Fédération des étudiants nationalistes (Fen), dalla redazione della rivista Europa-Action e dall’insuccesso elettorale del Rassemblement européen de la liberté (Rel), coalizione nazional-europeista promossa dal Mouvement nationaliste du progrès (Mnp), tutti ambienti nati dal movimento eversivo Oas e vicini a Ordine nuovo e al neonazismo europeo,[1] articolatasi attorno a tre pubblicazioni, Nouvelle École, Éléments e Krisis.

    La ND ha diramazioni in tutta Europa, specie in Italia, attorno alle riviste dirette e fondate dal prof. Marco Tarchi Diorama letterario e Trasgressioni, e in Germania (la Neue Rechte), dividendosi fra i gruppuscoli comunitaristi, antiborghesi e nazionalrivoluzionari animati dal sociologo Henning Eichberg (Junges Forum e l’ecologista Wir Selbst) e i gruppi neoconservatori vicini all’ormai defunto Armin Mohler, che gravitano attorno ad associazioni come il Thule-Seminar, il Deutsch-Europäiche Studien Gesellschaft, la Deutsche Akademie, la Gesellschaft für Freie Publizistik, l’Institut für Staatspolitik e a riviste di matrice schmittiana come Criticòn, Etappe, il tabloid Junge Freiheit e il trimestrale razzialista Neue Anthropologie. Vi sono inoltre i circoli fiamminghi attorno a TeKoS di Luc Pauwels, le spagnole Hespérides e Punto y coma, populiste, e peroniste, la rivista romena Maiastra, la britannica The Scorpion, diretta dall’ex membro del National Front Michael Walker, e i neoconservatori austriaci della rivista Zur Zeit, il cui caporedattore, Jürgen Hatzenbichler, è l’ex pupillo di Andreas Mölzer, l’ideologo ed europarlamentare del Fpö del defunto Jörg Haider e ora di quello di Hans-Christian Strache, e intellettuale neodestrista.

    Cosa rende “nuova” tale destra? Il suo intento di innovare, almeno agli inizi, i referenti culturali della destra radicale, e di investire sulla strategia culturale, la cosiddetta strategia metapolitica, o gramscismo di destra.

    I – Le principali idee del Grece di Alain de Benoist
    La ND, partendo da elaborazioni provenienti nel tradizionalismo (J. Evola e R. Guénon), nella Rivoluzione conservatrice tedesca, da Nietzsche e addirittura da intellettuali della sinistra antiliberale e altermondista, rinnega il nazionalismo patriottico basato su culto dello Stato-nazione, dato che il moderno modo di concepire l’appartenenza, la nazione, è figlio della modernità e della Rivoluzione francese. La ND basa l’appartenenza del singolo alla piccola comunità, al suo comune, alla sua regione d’appartenenza, definite “patrie carnali” premoderne. Questo neo-nazionalismo etnico si basa su concetti culturali. Secondo de Benoist infatti, «La Nazione determina talvolta un’etnia, ma non si confonde obbligatoriamente da essa. Essa è un dipartimento della razza. L’etnia è un’unità razziale di cultura». Ciò implica che tali piccole comunità europee vanno concepite come piccoli universi separati a tenuta stagna, dove la comunicazione, i commerci, gli spostamenti, ecc., sono ridotti al minimo per evitare sconvolgimenti etnico-culturali, il meticciato e l’«inquinamento» portato dall’elemento allogeno.

    All’interno della comunità andranno ripristinati i vecchi vincoli comunitari repressi dalla modernità, cioè le autonomie comunali, quelle corporative e il cosiddetto comunitarismo solidarista. Vi sarà inoltre un forte rispetto per l’ambiente che leghi misticamente l’uomo alla terra, cioè il mito völkisch di origine romantica e rivoluzionario-conservatrice nato in Germania nel XIX secolo.

    Altra caratteristica della ND è il rifiuto totale del razzismo biologico in nome del differenzialismo culturale: non esistono, secondo costoro, basi scientifiche per determinare la superiorità di un’etnia su un’altra, ma non credendo al cosiddetto “mito egualitario”, tutte le etnie sono diverse l’una dalle altre, e tali differenze vanno preservate evitando il meticciato. Si è membri di una comunità etnica, religiosa o sociale indipendentemente dal fatto che se ne voglia far parte o meno, e tale scelta non può esser volontaria, ma la si acquisisce, al contrario, per nascita assieme ai vari “diritti e doveri” comunitari. Questa posizione ha una evidente connotazione razziale: se i diritti sono nativi, ovvero di appartenenza, da questi stessi diritti ne sono esclusi automaticamente tutti coloro che non fanno parte della comunità stessa. Questo concetto sta anche alla base di una certa idea di multiculturalismo sociale vista come coesistenza di comunità separate all’interno di uno stesso territorio, che è poi il modello dell’apartheid interno, contraltare politico al progetto assimilazionista statolatrico e neo-illuminista dei governi integrazionisti.

    Anche altri studiosi, come Pierre-André Taguieff e Francesco Germinario ad esempio,[2] vedono in tale sviluppo etnico separato, una forma soft di apartheid, in cui due etnie distinte arrivano a vivere in un determinato territorio, ma separatamente: «Organizzare, con i differenti gruppi razziali del mondo, una politica di coesistenza pacifica e liberale che permetta a ciascuno di esprimere […] le sue attitudini e i suoi doni. Sopprimere, in proporzione, ogni contatto mirante alla fusione, all’inversione o allo sconvolgimento dei dati etnici, o alla coabitazione forzata di comunità differenti». Questo approccio è definito etnopluralista. Le naturali differenze presenti nel mondo, che l’ideologia egualitaria, che si manifesta attraverso idee come il pensiero giudeo-cristiano, il liberalismo, l’economicismo, il socialismo, ecc., vuole cancellare in nome dell’«omologazione», sono concepite come “realtà” da contrapporre all’astrazione positivista. L’idea base è che l’uguaglianza non è libertà, ma omologazione. Ciò significa che è sbagliato, per la ND, interagire in nome degli universalistici “diritti umani”, che per de Benoist non esistono e che sono stati creati ad arte dai liberali per egemonizzare il globo, dato che ogni popolo ha una sua scala di valori morali. Perciò, non solo il Grece condanna l’”interventismo umanitario” militare degli USA, utilizzato per esportare l’American Way of Life, ma anche tutte quelle politiche per cercare di superare naturali forme di arretratezza o barbarie ai danni delle donne e verso le minoranze: guai, per la ND, non permettere l’uso del velo islamico, guai impedire l’infibulazione, guai cancellare quello che permette all’immigrato di manifestare la sua “differenza”. Ciò distruggerebbe le radici culturali di un’etnia e la naturale tradizione.


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    Inoltre, nel discorso neodestrista debenoistiano il centro dell’elaborazione politico-culturale è l’Europa, e non l’Occidente atlantista. E l’Europa, a seguito dell’applicazione dei citati principi regionalisti e comunitaristi, dovrà strutturarsi come un’immensa federazione di patrie comunitarie e regionali autonome, aggregate in un Impero modellato su quello carolingio o ottoniano attorno ad un mito che è la comune identità indoeuropea. Tale “Impero delle differenze e delle regioni”, libero dal giogo statunitense, potrà, secondo de Benoist, esprimersi al meglio delle sue potenzialità, permettendo così all’Europa di contare di più a livello geopolitico.[3]

    La ND, ripescando da suggestioni reazionarie sviluppatesi in seno all’idea geopolitica del Imperialismo nazionalsocialista e alla concezione dell’Europa-nazione del movimento nazionaleuropeista Jeune Europe di Jean Thiriart, un mito che affonda le sue radici in quello delle Waffen-SS, com’è riconosciuto da intellettuali estranei al neodestrismo ma fondamentali per la genesi dell’odierna destra radicale,[4] innova tali suggestioni imperiali innestandovi l’idea federale a quella delle piccole patrie etnicamente e culturalmente organiche dove si vive la politica in senso comunitario, secondo il principio postliberale della democrazia diretta plebiscitaria.[5]

    Ma il contesto in cui tali piccole comunità regionali si muovono è quello di un forte stato Europeo, armato, imperiale (gerarchico) ed essenzialmente chiuso. La seconda rottura è attraverso l’uso della strategia metapolitica, che ha portato de Benoist a rileggere da destra Antonio Gramsci – un Gramsci ovviamente demarxistizzato – vedendo in lui il teorico dell’“egemonia culturale”,[6] il «gramscismo di destra».[7] Nel 1977 de Benoist scrive che «Il GRECE ha impostato un’azione metapolitica sulla società. Un’azione consistente nel rispondere al “potere culturale” [della sinistra. Ndr] sul suo terreno: con un contropotere culturale»,[8] capace di far riscoprire all’Europa le proprie radici indoeuropee. Ma cos’è la metapolitica? Per Jean-Claude Valla, esponente di spicco della corrente, essa è «quell’insieme di valori che non rientrano campo della politica nel senso tradizionale del termine, ma che hanno un’incidenza diretta sulla stabilità del consenso sociale gestito dalla politica».[9] Tale egemonia la si ottiene, quindi, penetrando gli ambienti politici, culturali, mediatici, universitari, rielaborando da destra concezioni nate a sinistra, dialogando con quelli che un tempo erano gli “avversari”, accomunati da un minimo comun denominatore: l’antiliberalismo. «L’economicismo liberale comincia allora ad essere fermamente denunciato quanto l’economicismo marxista, e l’americanismo”, forma moderna dominante dell’egualitarismo e del cosmopolitismo “giudeo-cristiano”, diventa la figura del nemico principale». Rinnegando il concetto di uguaglianza in nome dell’idea nominalista («non c’è l’uomo nel mondo, ma gli uomini»), del «diritto alla differenza», appoggiandosi a postulati derivati dal darwinismo sociale e dall’etologia di Karl Lorenz, la ND intende creare un’antropologia culturale diversa da quella positivista per confermare tali tesi. Secondo la ND l’egualitarismo non nasce con l’Illuminismo o la Riforma, ma con l’avvento del giudeo-cristianesimo, che ha cancellato le precedenti forme di spiritualità tradizionale che innalzavano le naturali differenze e le gerarchie comunitarie. Secondo il libertario Pietro Stara «il pensiero giudaico-cristiano […] pone tutti gli esseri umani in un sistema di eguaglianza di fronte a Dio. Questo modello culturale, traslato in un contesto laico, traspone quell’equivalenza sul terreno propriamente umano, del quale i rappresentati escatologici sarebbero le nuove religioni egualitarie, ovvero il liberalismo, il socialismo, il comunismo e l’anarchismo».[10] Da questo concetto, la ND ha puntato tutto sulla riscoperta del paganesimo, dove vi erano tanti déi, ergo, tante morali, tanti modi di congiungersi col sacro, ergo tante differenze. Era una spiritualità che, a differenza del giudeo-cristianesimo che predicava l’umiltà e la soppressione dell’uguaglianza fra umano e divino, predicava la prometea volontà di innalzarsi verso gli dei, imitandoli e, addirittura, superandoli. Storpiando le tesi dello storico Georges Dumézil sulla «tripartizione sociofunzionale» delle antiche società indoeuropee, de Benoist parla di una «cultura indoeuropea» che trascende dai moderni Stati-nazione, biologicamente determinata e «conforme alle leggi generali del vivente».[11]

    Il neopaganesimo debenoistiano, che ricorda quello portato avanti da numerosi intellettuali di estrema destra come Evola, Rosemberg, ecc., è prettamente culturale e filosofico, e non consiste nel «recitare i druidi d’operetta e le valchirie d’occasione», ma qualcosa di diverso. «Noi non cerchiamo di ritornare indietro ma di riprendere le fila di una cultura che trovava in se stessa le sue ragioni sufficienti. Ciò che cerchiamo dietro è il volto degli dei e degli eroi sono i valori e le norme».[12] È il rinnegare alla radice l’idea stessa di uguaglianza, innalzando la tradizionale differenza. Rendendo Dio un unico essere distinto dal creato e dall’uomo, le religioni monoteiste hanno introdotto nel mondo il germe dell’intolleranza e del totalitarismo. In tal modo, il Grece riesce così a smarcarsi dall’accusa di neofascismo, dato che così condanna anche i totalitarismi di destra. Il citato Impero delle differenze, infatti, più che strutturarsi come un totalitarismo continentale, innalzerà e sacralizzerà le radici indoeuropee e si baserà su una federazione di piccoli comuni e regioni diseguali, ognuna col suo credo, ognuna con la sua morale tradizionale e premoderna.

    II – Verso la modernità o la postmodernità? Per un’Europa dei popoli etnocratica
    La ND non è un fenomeno immutabile. I rapporti intrattenuti nei primi anni ’70 con l’universo neofascista si sono affievoliti notevolmente, data la refrattarietà di certi ambienti a idee come il comunitarismo regionale e la critica totale al capitalismo. Alain de Benoist e il discepolo Charles Champetier (ex militante del gruppo “terzaposizionista” Troisiéme voie) pubblicarono nel 1999 un “manifesto” intitolato La Nouvelle Droite de l’an 2000.[13] Un esame attento del testo fa porre al lettore una domanda: la ND è neofascista? Le origini del Grece lo confermerebbero, ma i dirigenti della ND affermavano, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, di non esserlo più, di detestare il totalitarismo nazifascista, alla pari di quelli “rossi”. Sostenevano di esser “antirazzisti”, accusando gli altri, cioè gli americani che diffondono la loro sottocultura nel mondo, gli europei che allineano i popoli colonizzati al modello metropolitano o i francesi che impongono all’immigrato di integrarsi e di non praticare pratiche barbariche come l’infibulazione, di esserlo. Ma la ND, sia per volontà diretta di Alain de Benoist che in maniera indipendente, ha condizionato le idee delle formazioni di destra. Fondando le loro tesi su dati scientifici incontestabili, gli ideologi della ND hanno riabilitato in maniera soft forme di darwinismo sociale e di antiegualitarismo. Alcune formazioni dichiaratamente neofasciste e populiste come il Front national, specie sotto la direzione di Marine Le Pen, pur in disaccordo col Grece in quanto nazionalisti, hanno “ammorbidito” il loro razzismo biologico con tesi etno-differenzialiste. Ovviamente il neopaganesimo è un “prodotto” che i populisti scartano, ma che può esser “riciclato” col culto delle radici cattoliche o cristiane europee da preservare dall’“invasione mussulmana”.

    Interessante però, la duplice strategia che la ND, partendo dal citato manifesto pubblicato nel 1999, ha portato avanti fino ad oggi. Da una parte, di fronte alla crisi della società contemporanea, de Benoist e Champetier profetizzano la «fine della modernità», trovando nel liberalismo, e non più nel comunismo ormai morto, il nemico principale, che incarna «l’ideologia dominante della modernità, la prima ad apparire e anche l’ultima a sparire».[14] Il liberalismo è «un sistema mondiale di produzione di riproduzione degli uomini e delle merci, appesantito dall’ipermoralismo dei diritti dell’uomo». Il liberalismo mondialista, il sistema statunitense, «rappresenta il blocco centrale delle idee di una modernità giunta al termine. Dunque è l’avversario principale di tutti coloro che operano per il suo superamento».[15] Elogiando la democrazia, che deve essere però diretta, plebiscitaria e organica (cioè esercitata dentro una comunità di persone culturalmente ed etnicamente affini), e la piccola comunità locale in nome di una radicale critica al «giacobinismo» centralista, la ND contesta la modernità “flirtando” con certi intellettuali progressisti che vedono in de Benoist non più l’alfiere del rinnovamento della cultura reazionaria ma il nuovo guru di un pensiero critico verso la globalizzazione, in nome del ritorno al locale, del ripristino di un’«ecologia integrale» che rompa senza equivoci con l’ideologia del progresso e con ogni concezione unilaterale della storia. Ciò ha portato de Benoist a dialogare col Mauss (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali) di Alain Caillé e Serge Latouche, ideatori dell’idea della decrescita, con Danilo Zolo e col defunto intellettuale marxiano Costanzo Preve, e le ND italiana e tedesca, quella vicina al politologo fiorentino Marco Tarchi e al sociologo tedesco Henning Eichberg, a cercare di aprire le loro riviste comunitariste a intellettuali vicini all’ambientalismo verde o all’universo noglobal, come successo col Firenze Social Forum nel novembre del 2002 (con Tarchi, Franco Cardini e l’editore ecologista antimoderno Eduardo Zarelli che cercano di intervenire a quell’evento), o in Germania sulle pagine di Wir Selbst e di Die Grüne, rivista ambientalista “assaltata” dai nazionalrivoluzionari di destra.

    Un’altra strategia, che si ispira alle analisi di Alain de Benoist, consiste nel condizionamento dei cosiddetti movimenti etnoregionalisti, partiti populisti che predicano la crisi dello Stato-nazione centralistico, in nome della totale autonomia delle regioni, tutte concepite come “patrie carnali” da innalzare a Volksgemeinschaft da difendere dall’immigrazione clandestina. È il caso della Lega Nord in Italia, che ha intrattenuto e intrattiene tutt’ora rapporti col filosofo francese tramite gruppi come i varesotti di Terra Insubre e persone come Mario Borghezio,[16] del Fpö del defunto Jörg Haider e di quella di Hans-Christian Strache, del Vlaams Belang e del Mouvement Nation in Belgio, dell’Unione di centro in Svizzera, dei settori più conservatori della Csu bavarese (modello per la Lega 2.0 di Maroni, a differenza i quella di Salvini, che punta più a destra, verso il Front national),[17] e di un nuovissimo partito francese, che si differenzia da quello dei Le Pen (padre e figlia) perché non è affatto nazionalista e non si rifà direttamente né al fascismo né al nazionalsocialismo, ma è regionalista, federalista ed europeista: sto parlando del Bloc Identitaire, partito che federa i più importanti movimenti regionalisti reazionari della Francia. Tutti sono collegati l’uno all’altro; tutti si distaccano dal vecchio neofascismo in crisi (ad eccezione della Grecia), sottraendogli voti; tutti sono regionalisti, comunitaristi e localisti; tutti criticano la modernità e le disfunzioni create dalla crisi economica innalzando il «diritto alla differenza», la preferenza nazionale, la cessazione dei flussi migratori, interessandosi, non casualmente, all’idea di decrescita e di localismo; tutti, e la cosa colpisce molto, intrattengono rapporti più o meno organici con la Nuovelle Droite francese o con le rispettive Nuove Destre locali, avendo degli intellettuali neodestri al loro servizio.

    Senza dilungarci – per ora – sul Bloc Identitaire, la cui genesi, che pochi conoscono, corre parallelamente all’evoluzione della Nouvelle Droite de l’an 2000, è interessante la strategia del Front national di Marine Le Pen, che sintetizza i due approcci che il Grece perseguirebbe separatamente. Mentre il padre – nonostante la presenza di intellettuali formatisi nel Grece – abbia sempre criticato Alain de Benoist per il suo dialogo con gli altermondisti del Mauss dandogli del «comunista» (e venendo ricambiato dal filosofo, che gli dava del «reazionario»), il suo partito ha preso certe idee politiche proprio da lì.[18] Ma la figlia è andata oltre: il Front di Marine, che coniuga nazionalismo e “socialità”, un’attenzione alle problematiche sociali e del lavoro (in chiave ovviamente interclassista), e una critica al mondialismo, che genera squilibri come l’odierna crisi e l’immigrazione, ha iniziato a puntare tutto, come la ND, su un nuovo approccio alla definizione di se stessi con slogan «Ni droite, ni gauche, Français!», complementare a quello del Grece – in nome dello sviluppo di “nuove sintesi” fra valori di destra e di sinistra per animare una “terza via” per l’Europa – del «e destra, e sinistra», cioè l’approccio et-et, la sintesi. Il Front, da quando è stata eletta Marine, ha apportato dei cambiamenti d’immagine non indifferenti, mandando in soffitta i vecchi reazionari neofascisti, impresentabili, e aprendosi ad intellettuali “non conformi” utili a questo restyling. Uno di questi è Laurent Ozon. Questi, amico e collaboratore di Charles Champetier, il giovane presidente del Grece e pupilo di Alain de Benoist, è il leader della corrente antiliberale ed eco-localista della “Nouvelle Écologie”, che cerca di coniugare la difesa dell’ambiente (la bioregione) con quella delle identità regionali etnico-culturali. Collabora simultaneamente alla stampa neodestrista, a quella ecologista e a quella populista, compresa quella italiana (da Diorama letterario a La Padania). È il leader di Maison Commune, un gruppo francese eco-localista. Agli inizi, dopo aver animato varie liste localiste per le amministrative, si avvicina al Bloc Identitaire, collaborando alle Convention Identitaire. Li abbandona, e dopo aver cercato inutilmente, nel 2010, di avvicinarsi all’ecologismo di sinistra, partecipando alla convention inaugurale della lista Europe Ecologiste–Les Verts, lista ambientalista animata dal leader dei Verdi Daniel Cohn-Bendit e da José Bové, leader della Confédération paysanne, il sindacato dell’estrema sinistra noglobal dei contadini francesi favorevoli alla decrescita, nel 2011, dato che fa suo l’assunto «Ni droite, ni gauche», viene cooptato direttamente ai vertici del Front national nel ruolo strategico di consigliere politico personale di Marine Le Pen, occupandosi di ecologia, di comunità e di identità locali, tutte tematiche fino a quel momento snobbate dal Front national, partito in ascesa e desideroso di “sfondare a sinistra”. Si noti che la Le Pen ha ricevuto anche le lodi di Alain de Benoist, un tempo molto critico verso Jean-Marie Le Pen, il quale ha sostenuto che «[…] va riconosciuto a Marine Le Pen il merito di aver ‘dediabolizzato’ il partito, per mezzo di una vasta ‘operazione di pulizia’ che sta innegabilmente avendo i suoi frutti. Ci sono categorie che il Front national, prima della svolta ‘marinista’, non riusciva a sedurre», dice de Benoist. «Oggi, quelle stesse categorie sono le prime a sostenerlo: le donne, i giovani nella fascia compresa tra i 18 e i 24 anni, e soprattutto gli insegnanti. La nascita del Collectif Racine – associazione di insegnanti nazionalisti nata con l’intento di combattere, accanto al Rassemblement Blue Marine, per il redressement della scuola francese, ndr – ne è la prova tangibile».[19] Un semplice caso? O una strategia per diffondere meglio le proprie idee? Quello de filosofo sembrerebbe solo un “sostegno critico”, ma non è stato lo stesso filosofo ad aver dialogato il 2 dicembre 2013 con l’allora candidato alle primarie della Lega Nord, Matteo Salvini, alla presenza di economista anti-euro Marco Della Luna (autore di libri editi dall’Arianna Editrice di Eduardo Zarelli – anch’egli vicino a Ozon –, casa editrice bolognese vicina alla ND italiana, che si occupa di localismo, di decrescita, di bioregionalismo, di “ecologismo profondo”, di critica all’economia finanziaria, di signoraggio bancario e di antimodernità), un dibattito – intitolato La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli – patrocinato dal circolo culturale milanese “Il Talebano”, diretto dal moderatore Vincenzo Sofo, consigliere nella zona 6–Milano per la Lega Nord con un passato nell’estrema destra, dal gruppo europarlamentare della Lega Nord e dalle autorità locali (Provincia e Regione)?[20] E Salvini – incoronato segretario del Carroccio – non è forse alleato alla Le Pen (e al Fpö e al Vlaams Belang, tanto per cambiare) in queste tornate elettorali? Forse, rivedendo le idee espresse dal filosofo francese de Benoist e l’applicazione pratica della sua strategia, il «gramscismo di destra», vedremmo queste elezioni europee con occhi molto diversi.

    [1] In un’intervista Pino Rauti sostenne: «Stringevamo [i dirigenti di Ordine Nuovo. Ndr] contatti con l’Oas e aiutavamo Soustelle nascosto in Alto Adige. Incontravamo Alain de Benoist clandestino perché condannato per un attentato dinamitardo». C. Valentini, Una volta che mi stavano fucilando, in L’Espresso, 10 febbraio 1995, cit. in U. M. Tassinari, Fascisteria. Storia, mitografia e personaggi della destra radicale in Italia, Milano, Sperling & Kupfer, 2008, p. 53. Inoltre, uno dei primi referenti italiani di Alain de Benoist è stato il catanese Antonio Lombardo, responsabile per la Sicilia di Ordine Nuovo. Lombardo – che abbandonerà poi l’ambiente neofascista per diventare consigliere politico del leader democristiano Amintore Fanfani, collaborando poi a Il Settimanale, emanazione editoriale della P2 – è corrispondente in Italia per il mensile regionalista Europe-Action, da cui si sviluppa il Grece, e collabora a Défence de l’Occident del fascista Maurice Bardèche. Lombardo è a Parigi il 30 aprile e il 1º maggio 1966 in occasione del congresso costitutivo del Mouvement nationaliste du progress (Mnp), lista “nazionaleuropeista” nata dalle ceneri del Ressemblement européenne de la liberté (Rel), da cui in seguito nasce il gruppo neodestrista parigino. Assieme al romano Giorgio Locchi (legato agli ambienti ordinovisti degli anni ’50-’60), l’ordinovista Lombardo è l’unico italiano presente nel gruppo fondatore del Grece. Cfr. Nouvelle École, n. 4, agosto-settembre 1968; P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2004, p. 172, nt. 100 e U. M. Tassinari, Fascisteria, cit., p. 587, nt. 69.

    [2] Cfr. P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2004 e F. Germinario, La destra degli dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Boringhieri, Torino 2002.

    [3] Cfr. A. de Benoist, L’Impero interiore. Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea, a cura di M. Tarchi, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996 (ed. orig. L’empire intérieur, Montpellier, Fata Morgana, 1995).

    [4] Lo sostiene Gabriele Adinolfi, fascista nazional-rivoluzionario e intellettuale di spicco della destra radicale italiana, fondatore alla fine degli anni ’70 di Terza posizione, rifugiatosi in Francia dopo il blitz del 28 agosto 1980 a seguito dell’accusa di coinvolgimento nella strage di Bologna del 2 agosto dello stesso anno, collaboratore e redattore capo alla rivista antimondialista di destra Orion dal 2000 al 2008 (fondata nel 1984 da Maurizio Murelli), responsabile culturale di Sinergie europee, «un’aggregazione di natura culturale che ha visto la confluenza di esponenti del radicalismo di destra e quelli della Nouvelle Droite, fra i quali lo studioso fiammingo Robert Steukers», organizzando «annualmente le Università estive per i simpatizzanti», divenendo un riferimento ideale per CasaPound e per la destra giovanile «non conforme». F. Germinario, Estranei alla democrazia. Negazionismo e antisemitismo nella destra radicale italiana, Pisa, BFS edizioni, 2001, p. 104. Secondo Adinolfi, «se il federalismo si fonda su una logica comunque consolidata e sentita di comunità nazionale (come in Germania) va bene, altrimenti no. […] In quanto ai contributi ideali e programmatici essi vengono tutti dalla cartina dell’Europa disegnata dalle SS. Ma in questo caso, appunto, c’era sullo sfondo una logica imperiale. Il neofascismo, la Nuova destra, ecc., hanno tutti mutato da lì. […] Ora il regionalismo, etnoregionalismo o völkisch che dir si voglia, ha senso in un’ottica imperiale che supera il concetto di nazione in alto, in ottica ultranazionale. Altrimenti diventa una sorta di individualismo locale, campanilistico, folkloristico, in un panorama atomizzato. […] C’è una differenza fra un regionalismo epico/imperiale e un regionalismo/atomizzato. La stessa che intercorre fra il pensiero forte e pensiero debole». G. Adinolfi, dichiarazione rilasciata all’Autore, 30 ottobre 2013. Nei primissimi di ottobre del 2013 Adinolfi ha rappresentato l’Italia (presentato come l’ideologo di CasaPound) a un incontro della Neue Rechte a Berlino, dove erano presenti diverse personalità del Npd e dell’Identitäre Bewegung. Cfr. S. Höhn, Die Neue Rechte vernetzen sich, in Berliner Zeitung, 7 ottobre 2013. La rivista Orion, cui ha collaborato Gabriele Adinolfi, è stata la palestra “colta” della destra radicale italiana, caratterizzata da una linea nazional-rivoluzionaria e poi «nazionalcomunista», nei primi anni ’80 era «vicina alle posizioni tradizionaliste-rivoluzionarie di Franco “Giorgio” Freda», autore de La disintegrazione del sistema. Cfr. P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra, cit., pp. 65, 66.

    [5] Cfr. A. de Benoist, Democrazia: il problema, Firenze, Arnaud, 1985 (ed. orig. Démocratie: le problème, Paris, Le Labyrinthe, 1985).

    [6] Cfr. A. de Benoist, Vue de droite, Paris, Édition Copernic, 1977, p. 456; trad. it. Visto da destra: antologia critica delle idee contemporanee, Napoli, Akropolis, 1980.

    [7] Cfr. AA. VV., Pour un gramscisme de droite (XVI convegno nazionale del Grece, Versailles, 29 novembre 1981), Paris, Grece/Le Labyrinthe, aprile 1982, 80 pp.

    [8] R. De Herte [A. de Benoist], La révolution conservatrice, in Éléments, n. 20, febbraio-aprile 1977, p. 3, cit. in P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra, cit., pp. 52-53.

    [9] J.- C. Valla, Une communauté de travail et de pensée, in P. Vial (dir.), Pour une renaissance culturelle. Le GRECE prend la parole, Paris, Copernic, 1979, p. 36.

    [10] Cfr. P. Stara, La “Nuova Destra” di Alain de Benoist, in Pagina non trovata - CIRCOLO ZABRISKIE POINT

    [11] A. de Benoist, Comment peut-on être païen?, Paris, Albin Michel, 1981, p. 251 e R. de Herte [A. de Benoist], editoriale, in Éléments, n. 27, inverno 1978.

    [12] Ibidem.

    [13] A. de Benoist – Ch. Champetier, La Nouvelle Droite de l’an 2000, in Éléments, n. 94, febbraio 1999; ed. it. La Nuova Destra del 2000, in Diorama letterario, ottobre-novembre 1999, nn. 229-230, pp. 13-31 (in Internet, al sito http://diorama.it/nd2000.htm).

    [14] A. de Benoist – Ch. Champetier, La Nouvelle Droite de l’an 2000, cit., p. 13.

    [15] Ibidem.

    [16] L’associazione etno-identitaria filoleghista Terra Insubre, gemellata ai francesi di Terre et Peuple (gruppo neodestrista scissosi dal Front vicino al Bloc Identitaire, a cui collabora anche Adinolfi) è animata dall’ex rautiano Andrea Mascetti, ora nella Lega Nord di Varese, «ex frequentatore dell’agriturismo Corte dei brut di Voltorre di Gavirate, aperto da Rainaldo Graziani, figlio di Lello, fondatore di Ordine nuovo», luogo in cui si svolgevano le Università d’estate di Sinergie europee, nella cui edizione del 2000 si posero le basi per CasaPound e dove venivano «selezionate le «guardie d’onore» della tomba di Benito Mussolini a Predappio». F. De Ambrosis – M. Portauova, Sangue, onore e Padania. I teorici della razza. Le case editrici di estrema destra. Le foto di Hitler. Il volto nero della Lega, in Il Diario, 24 giugno 2005.

    [17] Nel 2012 l’allora neosegretario leghista Roberto Maroni, in corsa per la conquista della Regione Lombardia, scriveva che «il nostro obiettivo è quello di diventare il primo partito in tutte le regioni del Nord, sul modello della CSU bavarese, condizione indispensabile per costruire una forte Euroregione, costituzionalmente autodeterminata. Si tratta di un progetto rivoluzionario perché il Nord potrebbe anche diventare il primo tassello di quell’Europa che abbiamo in mente: l’Europa delle Regioni e dei Popoli. […] Questo assunto ci colloca a grandissima distanza dai partiti e dai movimenti neonazionalisti. Insomma, è ora di finirla con i soliti stereotipi: noi non siamo i nipotini di Le Pen». R. Maroni, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, con C. Brambilla, Milano, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 3, 4. Cfr. inoltre B. Luverà, I confini dell’odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 94-95 e M. L. Andriola, La nuova destra austrotedesca: la Baviera della CSU, l’Intereg, la FUEV e il federalismo etnico, in Paginauno, a. VII, n. 33, giugno-settembre 2013, pp. 58-68.

    [18] Lo studioso Jean-Yves Camus sostiene che «La Nouvelle droite ha avuto […] due influenze maggiori sul Fn. Dapprima ha riabilitato tra gli anni Settanta e Ottanta temi che erano stati completamente abbandonati dalla destra classica, vale a dire soprattutto le tesi sull’“ineguaglianza degli individui” e sull’importanza da assegnare alle “radici identitarie”, sia francesi che europee. Poi ha proposto un’idea della politica non più ancorata all’asse destra/sinistra, aprendo la strada ad un movimento come quello di Le Pen che oggi [1997. Ndr] ha come slogan, ve lo ricordo, “né destra, né sinistra, solo francesi”. Questo malgrado sia evidente che il Front national si situa a destra della destra tradizionale nello scacchiere politico». J.-Y. Camus, intervista rilasciata a G. Caldiron, in Il manifesto, 17 ottobre 1997.

    [19] Cfr. inoltre Alain de Benoist en "soutien critique" a Marine Le Pen.

    [20] Cfr. M. L. Andriola, Alain de Benoist e Matteo Salvini: una Lega Nord “al di là della destra e della sinistra”, in Paginauno, n. VIII, n. 36, febbraio-marzo 2014, pp. 45-55.

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    Identité, Inegualitè Communauté – La “rivoluzione conservatrice” e postmoderna della Nouvelle droite


    di Matteo Luca Andriola

    Non è semplice dare una definizione corretta al fenomeno culturale della Nouvelle Droite, o Nuova Destra. Non è riferito senz’altro alla New Right anglosassone, responsabile, purtroppo, della rivoluzione neoliberista degli anni ’80 né all’universo skinhead. È, invece, un fenomeno culturale nato in Francia nel 1968-1969 attorno al Grece (Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne), un pensatoio parigino il cui leader indiscusso è tutt’oggi il filosofo normanno Alain de Benoist.

    Il Grece nacque con l’intento iniziale di innovare totalmente la cultura della destra radicale. Il gruppo venne fondato da ex militanti neofascisti provenienti dalla Fédération des étudiants nationalistes (Fen), dalla redazione della rivista Europa-Action e dall’insuccesso elettorale del Rassemblement européen de la liberté (Rel), coalizione nazional-europeista promossa dal Mouvement nationaliste du progrès (Mnp), tutti ambienti nati dal movimento eversivo Oas e vicini a Ordine nuovo e al neonazismo europeo,[1] articolatasi attorno a tre pubblicazioni, Nouvelle École, Éléments e Krisis.

    La ND ha diramazioni in tutta Europa, specie in Italia, attorno alle riviste dirette e fondate dal prof. Marco Tarchi Diorama letterario e Trasgressioni, e in Germania (la Neue Rechte), dividendosi fra i gruppuscoli comunitaristi, antiborghesi e nazionalrivoluzionari animati dal sociologo Henning Eichberg (Junges Forum e l’ecologista Wir Selbst) e i gruppi neoconservatori vicini all’ormai defunto Armin Mohler, che gravitano attorno ad associazioni come il Thule-Seminar, il Deutsch-Europäiche Studien Gesellschaft, la Deutsche Akademie, la Gesellschaft für Freie Publizistik, l’Institut für Staatspolitik e a riviste di matrice schmittiana come Criticòn, Etappe, il tabloid Junge Freiheit e il trimestrale razzialista Neue Anthropologie. Vi sono inoltre i circoli fiamminghi attorno a TeKoS di Luc Pauwels, le spagnole Hespérides e Punto y coma, populiste, e peroniste, la rivista romena Maiastra, la britannica The Scorpion, diretta dall’ex membro del National Front Michael Walker, e i neoconservatori austriaci della rivista Zur Zeit, il cui caporedattore, Jürgen Hatzenbichler, è l’ex pupillo di Andreas Mölzer, l’ideologo ed europarlamentare del Fpö del defunto Jörg Haider e ora di quello di Hans-Christian Strache, e intellettuale neodestrista.

    Cosa rende “nuova” tale destra? Il suo intento di innovare, almeno agli inizi, i referenti culturali della destra radicale, e di investire sulla strategia culturale, la cosiddetta strategia metapolitica, o gramscismo di destra.

    I – Le principali idee del Grece di Alain de Benoist
    La ND, partendo da elaborazioni provenienti nel tradizionalismo (J. Evola e R. Guénon), nella Rivoluzione conservatrice tedesca, da Nietzsche e addirittura da intellettuali della sinistra antiliberale e altermondista, rinnega il nazionalismo patriottico basato su culto dello Stato-nazione, dato che il moderno modo di concepire l’appartenenza, la nazione, è figlio della modernità e della Rivoluzione francese. La ND basa l’appartenenza del singolo alla piccola comunità, al suo comune, alla sua regione d’appartenenza, definite “patrie carnali” premoderne. Questo neo-nazionalismo etnico si basa su concetti culturali. Secondo de Benoist infatti, «La Nazione determina talvolta un’etnia, ma non si confonde obbligatoriamente da essa. Essa è un dipartimento della razza. L’etnia è un’unità razziale di cultura». Ciò implica che tali piccole comunità europee vanno concepite come piccoli universi separati a tenuta stagna, dove la comunicazione, i commerci, gli spostamenti, ecc., sono ridotti al minimo per evitare sconvolgimenti etnico-culturali, il meticciato e l’«inquinamento» portato dall’elemento allogeno.

    All’interno della comunità andranno ripristinati i vecchi vincoli comunitari repressi dalla modernità, cioè le autonomie comunali, quelle corporative e il cosiddetto comunitarismo solidarista. Vi sarà inoltre un forte rispetto per l’ambiente che leghi misticamente l’uomo alla terra, cioè il mito völkisch di origine romantica e rivoluzionario-conservatrice nato in Germania nel XIX secolo.

    Altra caratteristica della ND è il rifiuto totale del razzismo biologico in nome del differenzialismo culturale: non esistono, secondo costoro, basi scientifiche per determinare la superiorità di un’etnia su un’altra, ma non credendo al cosiddetto “mito egualitario”, tutte le etnie sono diverse l’una dalle altre, e tali differenze vanno preservate evitando il meticciato. Si è membri di una comunità etnica, religiosa o sociale indipendentemente dal fatto che se ne voglia far parte o meno, e tale scelta non può esser volontaria, ma la si acquisisce, al contrario, per nascita assieme ai vari “diritti e doveri” comunitari. Questa posizione ha una evidente connotazione razziale: se i diritti sono nativi, ovvero di appartenenza, da questi stessi diritti ne sono esclusi automaticamente tutti coloro che non fanno parte della comunità stessa. Questo concetto sta anche alla base di una certa idea di multiculturalismo sociale vista come coesistenza di comunità separate all’interno di uno stesso territorio, che è poi il modello dell’apartheid interno, contraltare politico al progetto assimilazionista statolatrico e neo-illuminista dei governi integrazionisti.

    Anche altri studiosi, come Pierre-André Taguieff e Francesco Germinario ad esempio,[2] vedono in tale sviluppo etnico separato, una forma soft di apartheid, in cui due etnie distinte arrivano a vivere in un determinato territorio, ma separatamente: «Organizzare, con i differenti gruppi razziali del mondo, una politica di coesistenza pacifica e liberale che permetta a ciascuno di esprimere […] le sue attitudini e i suoi doni. Sopprimere, in proporzione, ogni contatto mirante alla fusione, all’inversione o allo sconvolgimento dei dati etnici, o alla coabitazione forzata di comunità differenti». Questo approccio è definito etnopluralista. Le naturali differenze presenti nel mondo, che l’ideologia egualitaria, che si manifesta attraverso idee come il pensiero giudeo-cristiano, il liberalismo, l’economicismo, il socialismo, ecc., vuole cancellare in nome dell’«omologazione», sono concepite come “realtà” da contrapporre all’astrazione positivista. L’idea base è che l’uguaglianza non è libertà, ma omologazione. Ciò significa che è sbagliato, per la ND, interagire in nome degli universalistici “diritti umani”, che per de Benoist non esistono e che sono stati creati ad arte dai liberali per egemonizzare il globo, dato che ogni popolo ha una sua scala di valori morali. Perciò, non solo il Grece condanna l’”interventismo umanitario” militare degli USA, utilizzato per esportare l’American Way of Life, ma anche tutte quelle politiche per cercare di superare naturali forme di arretratezza o barbarie ai danni delle donne e verso le minoranze: guai, per la ND, non permettere l’uso del velo islamico, guai impedire l’infibulazione, guai cancellare quello che permette all’immigrato di manifestare la sua “differenza”. Ciò distruggerebbe le radici culturali di un’etnia e la naturale tradizione.


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    Inoltre, nel discorso neodestrista debenoistiano il centro dell’elaborazione politico-culturale è l’Europa, e non l’Occidente atlantista. E l’Europa, a seguito dell’applicazione dei citati principi regionalisti e comunitaristi, dovrà strutturarsi come un’immensa federazione di patrie comunitarie e regionali autonome, aggregate in un Impero modellato su quello carolingio o ottoniano attorno ad un mito che è la comune identità indoeuropea. Tale “Impero delle differenze e delle regioni”, libero dal giogo statunitense, potrà, secondo de Benoist, esprimersi al meglio delle sue potenzialità, permettendo così all’Europa di contare di più a livello geopolitico.[3]

    La ND, ripescando da suggestioni reazionarie sviluppatesi in seno all’idea geopolitica del Imperialismo nazionalsocialista e alla concezione dell’Europa-nazione del movimento nazionaleuropeista Jeune Europe di Jean Thiriart, un mito che affonda le sue radici in quello delle Waffen-SS, com’è riconosciuto da intellettuali estranei al neodestrismo ma fondamentali per la genesi dell’odierna destra radicale,[4] innova tali suggestioni imperiali innestandovi l’idea federale a quella delle piccole patrie etnicamente e culturalmente organiche dove si vive la politica in senso comunitario, secondo il principio postliberale della democrazia diretta plebiscitaria.[5]

    Ma il contesto in cui tali piccole comunità regionali si muovono è quello di un forte stato Europeo, armato, imperiale (gerarchico) ed essenzialmente chiuso. La seconda rottura è attraverso l’uso della strategia metapolitica, che ha portato de Benoist a rileggere da destra Antonio Gramsci – un Gramsci ovviamente demarxistizzato – vedendo in lui il teorico dell’“egemonia culturale”,[6] il «gramscismo di destra».[7] Nel 1977 de Benoist scrive che «Il GRECE ha impostato un’azione metapolitica sulla società. Un’azione consistente nel rispondere al “potere culturale” [della sinistra. Ndr] sul suo terreno: con un contropotere culturale»,[8] capace di far riscoprire all’Europa le proprie radici indoeuropee. Ma cos’è la metapolitica? Per Jean-Claude Valla, esponente di spicco della corrente, essa è «quell’insieme di valori che non rientrano campo della politica nel senso tradizionale del termine, ma che hanno un’incidenza diretta sulla stabilità del consenso sociale gestito dalla politica».[9] Tale egemonia la si ottiene, quindi, penetrando gli ambienti politici, culturali, mediatici, universitari, rielaborando da destra concezioni nate a sinistra, dialogando con quelli che un tempo erano gli “avversari”, accomunati da un minimo comun denominatore: l’antiliberalismo. «L’economicismo liberale comincia allora ad essere fermamente denunciato quanto l’economicismo marxista, e l’americanismo”, forma moderna dominante dell’egualitarismo e del cosmopolitismo “giudeo-cristiano”, diventa la figura del nemico principale». Rinnegando il concetto di uguaglianza in nome dell’idea nominalista («non c’è l’uomo nel mondo, ma gli uomini»), del «diritto alla differenza», appoggiandosi a postulati derivati dal darwinismo sociale e dall’etologia di Karl Lorenz, la ND intende creare un’antropologia culturale diversa da quella positivista per confermare tali tesi. Secondo la ND l’egualitarismo non nasce con l’Illuminismo o la Riforma, ma con l’avvento del giudeo-cristianesimo, che ha cancellato le precedenti forme di spiritualità tradizionale che innalzavano le naturali differenze e le gerarchie comunitarie. Secondo il libertario Pietro Stara «il pensiero giudaico-cristiano […] pone tutti gli esseri umani in un sistema di eguaglianza di fronte a Dio. Questo modello culturale, traslato in un contesto laico, traspone quell’equivalenza sul terreno propriamente umano, del quale i rappresentati escatologici sarebbero le nuove religioni egualitarie, ovvero il liberalismo, il socialismo, il comunismo e l’anarchismo».[10] Da questo concetto, la ND ha puntato tutto sulla riscoperta del paganesimo, dove vi erano tanti déi, ergo, tante morali, tanti modi di congiungersi col sacro, ergo tante differenze. Era una spiritualità che, a differenza del giudeo-cristianesimo che predicava l’umiltà e la soppressione dell’uguaglianza fra umano e divino, predicava la prometea volontà di innalzarsi verso gli dei, imitandoli e, addirittura, superandoli. Storpiando le tesi dello storico Georges Dumézil sulla «tripartizione sociofunzionale» delle antiche società indoeuropee, de Benoist parla di una «cultura indoeuropea» che trascende dai moderni Stati-nazione, biologicamente determinata e «conforme alle leggi generali del vivente».[11]

    Il neopaganesimo debenoistiano, che ricorda quello portato avanti da numerosi intellettuali di estrema destra come Evola, Rosemberg, ecc., è prettamente culturale e filosofico, e non consiste nel «recitare i druidi d’operetta e le valchirie d’occasione», ma qualcosa di diverso. «Noi non cerchiamo di ritornare indietro ma di riprendere le fila di una cultura che trovava in se stessa le sue ragioni sufficienti. Ciò che cerchiamo dietro è il volto degli dei e degli eroi sono i valori e le norme».[12] È il rinnegare alla radice l’idea stessa di uguaglianza, innalzando la tradizionale differenza. Rendendo Dio un unico essere distinto dal creato e dall’uomo, le religioni monoteiste hanno introdotto nel mondo il germe dell’intolleranza e del totalitarismo. In tal modo, il Grece riesce così a smarcarsi dall’accusa di neofascismo, dato che così condanna anche i totalitarismi di destra. Il citato Impero delle differenze, infatti, più che strutturarsi come un totalitarismo continentale, innalzerà e sacralizzerà le radici indoeuropee e si baserà su una federazione di piccoli comuni e regioni diseguali, ognuna col suo credo, ognuna con la sua morale tradizionale e premoderna.

    II – Verso la modernità o la postmodernità? Per un’Europa dei popoli etnocratica
    La ND non è un fenomeno immutabile. I rapporti intrattenuti nei primi anni ’70 con l’universo neofascista si sono affievoliti notevolmente, data la refrattarietà di certi ambienti a idee come il comunitarismo regionale e la critica totale al capitalismo. Alain de Benoist e il discepolo Charles Champetier (ex militante del gruppo “terzaposizionista” Troisiéme voie) pubblicarono nel 1999 un “manifesto” intitolato La Nouvelle Droite de l’an 2000.[13] Un esame attento del testo fa porre al lettore una domanda: la ND è neofascista? Le origini del Grece lo confermerebbero, ma i dirigenti della ND affermavano, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, di non esserlo più, di detestare il totalitarismo nazifascista, alla pari di quelli “rossi”. Sostenevano di esser “antirazzisti”, accusando gli altri, cioè gli americani che diffondono la loro sottocultura nel mondo, gli europei che allineano i popoli colonizzati al modello metropolitano o i francesi che impongono all’immigrato di integrarsi e di non praticare pratiche barbariche come l’infibulazione, di esserlo. Ma la ND, sia per volontà diretta di Alain de Benoist che in maniera indipendente, ha condizionato le idee delle formazioni di destra. Fondando le loro tesi su dati scientifici incontestabili, gli ideologi della ND hanno riabilitato in maniera soft forme di darwinismo sociale e di antiegualitarismo. Alcune formazioni dichiaratamente neofasciste e populiste come il Front national, specie sotto la direzione di Marine Le Pen, pur in disaccordo col Grece in quanto nazionalisti, hanno “ammorbidito” il loro razzismo biologico con tesi etno-differenzialiste. Ovviamente il neopaganesimo è un “prodotto” che i populisti scartano, ma che può esser “riciclato” col culto delle radici cattoliche o cristiane europee da preservare dall’“invasione mussulmana”.

    Interessante però, la duplice strategia che la ND, partendo dal citato manifesto pubblicato nel 1999, ha portato avanti fino ad oggi. Da una parte, di fronte alla crisi della società contemporanea, de Benoist e Champetier profetizzano la «fine della modernità», trovando nel liberalismo, e non più nel comunismo ormai morto, il nemico principale, che incarna «l’ideologia dominante della modernità, la prima ad apparire e anche l’ultima a sparire».[14] Il liberalismo è «un sistema mondiale di produzione di riproduzione degli uomini e delle merci, appesantito dall’ipermoralismo dei diritti dell’uomo». Il liberalismo mondialista, il sistema statunitense, «rappresenta il blocco centrale delle idee di una modernità giunta al termine. Dunque è l’avversario principale di tutti coloro che operano per il suo superamento».[15] Elogiando la democrazia, che deve essere però diretta, plebiscitaria e organica (cioè esercitata dentro una comunità di persone culturalmente ed etnicamente affini), e la piccola comunità locale in nome di una radicale critica al «giacobinismo» centralista, la ND contesta la modernità “flirtando” con certi intellettuali progressisti che vedono in de Benoist non più l’alfiere del rinnovamento della cultura reazionaria ma il nuovo guru di un pensiero critico verso la globalizzazione, in nome del ritorno al locale, del ripristino di un’«ecologia integrale» che rompa senza equivoci con l’ideologia del progresso e con ogni concezione unilaterale della storia. Ciò ha portato de Benoist a dialogare col Mauss (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali) di Alain Caillé e Serge Latouche, ideatori dell’idea della decrescita, con Danilo Zolo e col defunto intellettuale marxiano Costanzo Preve, e le ND italiana e tedesca, quella vicina al politologo fiorentino Marco Tarchi e al sociologo tedesco Henning Eichberg, a cercare di aprire le loro riviste comunitariste a intellettuali vicini all’ambientalismo verde o all’universo noglobal, come successo col Firenze Social Forum nel novembre del 2002 (con Tarchi, Franco Cardini e l’editore ecologista antimoderno Eduardo Zarelli che cercano di intervenire a quell’evento), o in Germania sulle pagine di Wir Selbst e di Die Grüne, rivista ambientalista “assaltata” dai nazionalrivoluzionari di destra.

    Un’altra strategia, che si ispira alle analisi di Alain de Benoist, consiste nel condizionamento dei cosiddetti movimenti etnoregionalisti, partiti populisti che predicano la crisi dello Stato-nazione centralistico, in nome della totale autonomia delle regioni, tutte concepite come “patrie carnali” da innalzare a Volksgemeinschaft da difendere dall’immigrazione clandestina. È il caso della Lega Nord in Italia, che ha intrattenuto e intrattiene tutt’ora rapporti col filosofo francese tramite gruppi come i varesotti di Terra Insubre e persone come Mario Borghezio,[16] del Fpö del defunto Jörg Haider e di quella di Hans-Christian Strache, del Vlaams Belang e del Mouvement Nation in Belgio, dell’Unione di centro in Svizzera, dei settori più conservatori della Csu bavarese (modello per la Lega 2.0 di Maroni, a differenza i quella di Salvini, che punta più a destra, verso il Front national),[17] e di un nuovissimo partito francese, che si differenzia da quello dei Le Pen (padre e figlia) perché non è affatto nazionalista e non si rifà direttamente né al fascismo né al nazionalsocialismo, ma è regionalista, federalista ed europeista: sto parlando del Bloc Identitaire, partito che federa i più importanti movimenti regionalisti reazionari della Francia. Tutti sono collegati l’uno all’altro; tutti si distaccano dal vecchio neofascismo in crisi (ad eccezione della Grecia), sottraendogli voti; tutti sono regionalisti, comunitaristi e localisti; tutti criticano la modernità e le disfunzioni create dalla crisi economica innalzando il «diritto alla differenza», la preferenza nazionale, la cessazione dei flussi migratori, interessandosi, non casualmente, all’idea di decrescita e di localismo; tutti, e la cosa colpisce molto, intrattengono rapporti più o meno organici con la Nuovelle Droite francese o con le rispettive Nuove Destre locali, avendo degli intellettuali neodestri al loro servizio.

    Senza dilungarci – per ora – sul Bloc Identitaire, la cui genesi, che pochi conoscono, corre parallelamente all’evoluzione della Nouvelle Droite de l’an 2000, è interessante la strategia del Front national di Marine Le Pen, che sintetizza i due approcci che il Grece perseguirebbe separatamente. Mentre il padre – nonostante la presenza di intellettuali formatisi nel Grece – abbia sempre criticato Alain de Benoist per il suo dialogo con gli altermondisti del Mauss dandogli del «comunista» (e venendo ricambiato dal filosofo, che gli dava del «reazionario»), il suo partito ha preso certe idee politiche proprio da lì.[18] Ma la figlia è andata oltre: il Front di Marine, che coniuga nazionalismo e “socialità”, un’attenzione alle problematiche sociali e del lavoro (in chiave ovviamente interclassista), e una critica al mondialismo, che genera squilibri come l’odierna crisi e l’immigrazione, ha iniziato a puntare tutto, come la ND, su un nuovo approccio alla definizione di se stessi con slogan «Ni droite, ni gauche, Français!», complementare a quello del Grece – in nome dello sviluppo di “nuove sintesi” fra valori di destra e di sinistra per animare una “terza via” per l’Europa – del «e destra, e sinistra», cioè l’approccio et-et, la sintesi. Il Front, da quando è stata eletta Marine, ha apportato dei cambiamenti d’immagine non indifferenti, mandando in soffitta i vecchi reazionari neofascisti, impresentabili, e aprendosi ad intellettuali “non conformi” utili a questo restyling. Uno di questi è Laurent Ozon. Questi, amico e collaboratore di Charles Champetier, il giovane presidente del Grece e pupilo di Alain de Benoist, è il leader della corrente antiliberale ed eco-localista della “Nouvelle Écologie”, che cerca di coniugare la difesa dell’ambiente (la bioregione) con quella delle identità regionali etnico-culturali. Collabora simultaneamente alla stampa neodestrista, a quella ecologista e a quella populista, compresa quella italiana (da Diorama letterario a La Padania). È il leader di Maison Commune, un gruppo francese eco-localista. Agli inizi, dopo aver animato varie liste localiste per le amministrative, si avvicina al Bloc Identitaire, collaborando alle Convention Identitaire. Li abbandona, e dopo aver cercato inutilmente, nel 2010, di avvicinarsi all’ecologismo di sinistra, partecipando alla convention inaugurale della lista Europe Ecologiste–Les Verts, lista ambientalista animata dal leader dei Verdi Daniel Cohn-Bendit e da José Bové, leader della Confédération paysanne, il sindacato dell’estrema sinistra noglobal dei contadini francesi favorevoli alla decrescita, nel 2011, dato che fa suo l’assunto «Ni droite, ni gauche», viene cooptato direttamente ai vertici del Front national nel ruolo strategico di consigliere politico personale di Marine Le Pen, occupandosi di ecologia, di comunità e di identità locali, tutte tematiche fino a quel momento snobbate dal Front national, partito in ascesa e desideroso di “sfondare a sinistra”. Si noti che la Le Pen ha ricevuto anche le lodi di Alain de Benoist, un tempo molto critico verso Jean-Marie Le Pen, il quale ha sostenuto che «[…] va riconosciuto a Marine Le Pen il merito di aver ‘dediabolizzato’ il partito, per mezzo di una vasta ‘operazione di pulizia’ che sta innegabilmente avendo i suoi frutti. Ci sono categorie che il Front national, prima della svolta ‘marinista’, non riusciva a sedurre», dice de Benoist. «Oggi, quelle stesse categorie sono le prime a sostenerlo: le donne, i giovani nella fascia compresa tra i 18 e i 24 anni, e soprattutto gli insegnanti. La nascita del Collectif Racine – associazione di insegnanti nazionalisti nata con l’intento di combattere, accanto al Rassemblement Blue Marine, per il redressement della scuola francese, ndr – ne è la prova tangibile».[19] Un semplice caso? O una strategia per diffondere meglio le proprie idee? Quello de filosofo sembrerebbe solo un “sostegno critico”, ma non è stato lo stesso filosofo ad aver dialogato il 2 dicembre 2013 con l’allora candidato alle primarie della Lega Nord, Matteo Salvini, alla presenza di economista anti-euro Marco Della Luna (autore di libri editi dall’Arianna Editrice di Eduardo Zarelli – anch’egli vicino a Ozon –, casa editrice bolognese vicina alla ND italiana, che si occupa di localismo, di decrescita, di bioregionalismo, di “ecologismo profondo”, di critica all’economia finanziaria, di signoraggio bancario e di antimodernità), un dibattito – intitolato La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli – patrocinato dal circolo culturale milanese “Il Talebano”, diretto dal moderatore Vincenzo Sofo, consigliere nella zona 6–Milano per la Lega Nord con un passato nell’estrema destra, dal gruppo europarlamentare della Lega Nord e dalle autorità locali (Provincia e Regione)?[20] E Salvini – incoronato segretario del Carroccio – non è forse alleato alla Le Pen (e al Fpö e al Vlaams Belang, tanto per cambiare) in queste tornate elettorali? Forse, rivedendo le idee espresse dal filosofo francese de Benoist e l’applicazione pratica della sua strategia, il «gramscismo di destra», vedremmo queste elezioni europee con occhi molto diversi.

    [1] In un’intervista Pino Rauti sostenne: «Stringevamo [i dirigenti di Ordine Nuovo. Ndr] contatti con l’Oas e aiutavamo Soustelle nascosto in Alto Adige. Incontravamo Alain de Benoist clandestino perché condannato per un attentato dinamitardo». C. Valentini, Una volta che mi stavano fucilando, in L’Espresso, 10 febbraio 1995, cit. in U. M. Tassinari, Fascisteria. Storia, mitografia e personaggi della destra radicale in Italia, Milano, Sperling & Kupfer, 2008, p. 53. Inoltre, uno dei primi referenti italiani di Alain de Benoist è stato il catanese Antonio Lombardo, responsabile per la Sicilia di Ordine Nuovo. Lombardo – che abbandonerà poi l’ambiente neofascista per diventare consigliere politico del leader democristiano Amintore Fanfani, collaborando poi a Il Settimanale, emanazione editoriale della P2 – è corrispondente in Italia per il mensile regionalista Europe-Action, da cui si sviluppa il Grece, e collabora a Défence de l’Occident del fascista Maurice Bardèche. Lombardo è a Parigi il 30 aprile e il 1º maggio 1966 in occasione del congresso costitutivo del Mouvement nationaliste du progress (Mnp), lista “nazionaleuropeista” nata dalle ceneri del Ressemblement européenne de la liberté (Rel), da cui in seguito nasce il gruppo neodestrista parigino. Assieme al romano Giorgio Locchi (legato agli ambienti ordinovisti degli anni ’50-’60), l’ordinovista Lombardo è l’unico italiano presente nel gruppo fondatore del Grece. Cfr. Nouvelle École, n. 4, agosto-settembre 1968; P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2004, p. 172, nt. 100 e U. M. Tassinari, Fascisteria, cit., p. 587, nt. 69.

    [2] Cfr. P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2004 e F. Germinario, La destra degli dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Boringhieri, Torino 2002.

    [3] Cfr. A. de Benoist, L’Impero interiore. Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea, a cura di M. Tarchi, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996 (ed. orig. L’empire intérieur, Montpellier, Fata Morgana, 1995).

    [4] Lo sostiene Gabriele Adinolfi, fascista nazional-rivoluzionario e intellettuale di spicco della destra radicale italiana, fondatore alla fine degli anni ’70 di Terza posizione, rifugiatosi in Francia dopo il blitz del 28 agosto 1980 a seguito dell’accusa di coinvolgimento nella strage di Bologna del 2 agosto dello stesso anno, collaboratore e redattore capo alla rivista antimondialista di destra Orion dal 2000 al 2008 (fondata nel 1984 da Maurizio Murelli), responsabile culturale di Sinergie europee, «un’aggregazione di natura culturale che ha visto la confluenza di esponenti del radicalismo di destra e quelli della Nouvelle Droite, fra i quali lo studioso fiammingo Robert Steukers», organizzando «annualmente le Università estive per i simpatizzanti», divenendo un riferimento ideale per CasaPound e per la destra giovanile «non conforme». F. Germinario, Estranei alla democrazia. Negazionismo e antisemitismo nella destra radicale italiana, Pisa, BFS edizioni, 2001, p. 104. Secondo Adinolfi, «se il federalismo si fonda su una logica comunque consolidata e sentita di comunità nazionale (come in Germania) va bene, altrimenti no. […] In quanto ai contributi ideali e programmatici essi vengono tutti dalla cartina dell’Europa disegnata dalle SS. Ma in questo caso, appunto, c’era sullo sfondo una logica imperiale. Il neofascismo, la Nuova destra, ecc., hanno tutti mutato da lì. […] Ora il regionalismo, etnoregionalismo o völkisch che dir si voglia, ha senso in un’ottica imperiale che supera il concetto di nazione in alto, in ottica ultranazionale. Altrimenti diventa una sorta di individualismo locale, campanilistico, folkloristico, in un panorama atomizzato. […] C’è una differenza fra un regionalismo epico/imperiale e un regionalismo/atomizzato. La stessa che intercorre fra il pensiero forte e pensiero debole». G. Adinolfi, dichiarazione rilasciata all’Autore, 30 ottobre 2013. Nei primissimi di ottobre del 2013 Adinolfi ha rappresentato l’Italia (presentato come l’ideologo di CasaPound) a un incontro della Neue Rechte a Berlino, dove erano presenti diverse personalità del Npd e dell’Identitäre Bewegung. Cfr. S. Höhn, Die Neue Rechte vernetzen sich, in Berliner Zeitung, 7 ottobre 2013. La rivista Orion, cui ha collaborato Gabriele Adinolfi, è stata la palestra “colta” della destra radicale italiana, caratterizzata da una linea nazional-rivoluzionaria e poi «nazionalcomunista», nei primi anni ’80 era «vicina alle posizioni tradizionaliste-rivoluzionarie di Franco “Giorgio” Freda», autore de La disintegrazione del sistema. Cfr. P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra, cit., pp. 65, 66.

    [5] Cfr. A. de Benoist, Democrazia: il problema, Firenze, Arnaud, 1985 (ed. orig. Démocratie: le problème, Paris, Le Labyrinthe, 1985).

    [6] Cfr. A. de Benoist, Vue de droite, Paris, Édition Copernic, 1977, p. 456; trad. it. Visto da destra: antologia critica delle idee contemporanee, Napoli, Akropolis, 1980.

    [7] Cfr. AA. VV., Pour un gramscisme de droite (XVI convegno nazionale del Grece, Versailles, 29 novembre 1981), Paris, Grece/Le Labyrinthe, aprile 1982, 80 pp.

    [8] R. De Herte [A. de Benoist], La révolution conservatrice, in Éléments, n. 20, febbraio-aprile 1977, p. 3, cit. in P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra, cit., pp. 52-53.

    [9] J.- C. Valla, Une communauté de travail et de pensée, in P. Vial (dir.), Pour une renaissance culturelle. Le GRECE prend la parole, Paris, Copernic, 1979, p. 36.

    [10] Cfr. P. Stara, La “Nuova Destra” di Alain de Benoist, in Pagina non trovata - CIRCOLO ZABRISKIE POINT

    [11] A. de Benoist, Comment peut-on être païen?, Paris, Albin Michel, 1981, p. 251 e R. de Herte [A. de Benoist], editoriale, in Éléments, n. 27, inverno 1978.

    [12] Ibidem.

    [13] A. de Benoist – Ch. Champetier, La Nouvelle Droite de l’an 2000, in Éléments, n. 94, febbraio 1999; ed. it. La Nuova Destra del 2000, in Diorama letterario, ottobre-novembre 1999, nn. 229-230, pp. 13-31 (in Internet, al sito Page not found | Diorama).

    [14] A. de Benoist – Ch. Champetier, La Nouvelle Droite de l’an 2000, cit., p. 13.

    [15] Ibidem.

    [16] L’associazione etno-identitaria filoleghista Terra Insubre, gemellata ai francesi di Terre et Peuple (gruppo neodestrista scissosi dal Front vicino al Bloc Identitaire, a cui collabora anche Adinolfi) è animata dall’ex rautiano Andrea Mascetti, ora nella Lega Nord di Varese, «ex frequentatore dell’agriturismo Corte dei brut di Voltorre di Gavirate, aperto da Rainaldo Graziani, figlio di Lello, fondatore di Ordine nuovo», luogo in cui si svolgevano le Università d’estate di Sinergie europee, nella cui edizione del 2000 si posero le basi per CasaPound e dove venivano «selezionate le «guardie d’onore» della tomba di Benito Mussolini a Predappio». F. De Ambrosis – M. Portauova, Sangue, onore e Padania. I teorici della razza. Le case editrici di estrema destra. Le foto di Hitler. Il volto nero della Lega, in Il Diario, 24 giugno 2005.

    [17] Nel 2012 l’allora neosegretario leghista Roberto Maroni, in corsa per la conquista della Regione Lombardia, scriveva che «il nostro obiettivo è quello di diventare il primo partito in tutte le regioni del Nord, sul modello della CSU bavarese, condizione indispensabile per costruire una forte Euroregione, costituzionalmente autodeterminata. Si tratta di un progetto rivoluzionario perché il Nord potrebbe anche diventare il primo tassello di quell’Europa che abbiamo in mente: l’Europa delle Regioni e dei Popoli. […] Questo assunto ci colloca a grandissima distanza dai partiti e dai movimenti neonazionalisti. Insomma, è ora di finirla con i soliti stereotipi: noi non siamo i nipotini di Le Pen». R. Maroni, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, con C. Brambilla, Milano, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 3, 4. Cfr. inoltre B. Luverà, I confini dell’odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 94-95 e M. L. Andriola, La nuova destra austrotedesca: la Baviera della CSU, l’Intereg, la FUEV e il federalismo etnico, in Paginauno, a. VII, n. 33, giugno-settembre 2013, pp. 58-68.

    [18] Lo studioso Jean-Yves Camus sostiene che «La Nouvelle droite ha avuto […] due influenze maggiori sul Fn. Dapprima ha riabilitato tra gli anni Settanta e Ottanta temi che erano stati completamente abbandonati dalla destra classica, vale a dire soprattutto le tesi sull’“ineguaglianza degli individui” e sull’importanza da assegnare alle “radici identitarie”, sia francesi che europee. Poi ha proposto un’idea della politica non più ancorata all’asse destra/sinistra, aprendo la strada ad un movimento come quello di Le Pen che oggi [1997. Ndr] ha come slogan, ve lo ricordo, “né destra, né sinistra, solo francesi”. Questo malgrado sia evidente che il Front national si situa a destra della destra tradizionale nello scacchiere politico». J.-Y. Camus, intervista rilasciata a G. Caldiron, in Il manifesto, 17 ottobre 1997.

    [19] Cfr. inoltre Alain de Benoist en "soutien critique" a Marine Le Pen.

    [20] Cfr. M. L. Andriola, Alain de Benoist e Matteo Salvini: una Lega Nord “al di là della destra e della sinistra”, in Paginauno, n. VIII, n. 36, febbraio-marzo 2014, pp. 45-55.

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    Identité, Inegualitè Communauté – La “rivoluzione conservatrice” e postmoderna della Nouvelle droite


    di Matteo Luca Andriola

    Non è semplice dare una definizione corretta al fenomeno culturale della Nouvelle Droite, o Nuova Destra. Non è riferito senz’altro alla New Right anglosassone, responsabile, purtroppo, della rivoluzione neoliberista degli anni ’80 né all’universo skinhead. È, invece, un fenomeno culturale nato in Francia nel 1968-1969 attorno al Grece (Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne), un pensatoio parigino il cui leader indiscusso è tutt’oggi il filosofo normanno Alain de Benoist.

    Il Grece nacque con l’intento iniziale di innovare totalmente la cultura della destra radicale. Il gruppo venne fondato da ex militanti neofascisti provenienti dalla Fédération des étudiants nationalistes (Fen), dalla redazione della rivista Europa-Action e dall’insuccesso elettorale del Rassemblement européen de la liberté (Rel), coalizione nazional-europeista promossa dal Mouvement nationaliste du progrès (Mnp), tutti ambienti nati dal movimento eversivo Oas e vicini a Ordine nuovo e al neonazismo europeo,[1] articolatasi attorno a tre pubblicazioni, Nouvelle École, Éléments e Krisis.

    La ND ha diramazioni in tutta Europa, specie in Italia, attorno alle riviste dirette e fondate dal prof. Marco Tarchi Diorama letterario e Trasgressioni, e in Germania (la Neue Rechte), dividendosi fra i gruppuscoli comunitaristi, antiborghesi e nazionalrivoluzionari animati dal sociologo Henning Eichberg (Junges Forum e l’ecologista Wir Selbst) e i gruppi neoconservatori vicini all’ormai defunto Armin Mohler, che gravitano attorno ad associazioni come il Thule-Seminar, il Deutsch-Europäiche Studien Gesellschaft, la Deutsche Akademie, la Gesellschaft für Freie Publizistik, l’Institut für Staatspolitik e a riviste di matrice schmittiana come Criticòn, Etappe, il tabloid Junge Freiheit e il trimestrale razzialista Neue Anthropologie. Vi sono inoltre i circoli fiamminghi attorno a TeKoS di Luc Pauwels, le spagnole Hespérides e Punto y coma, populiste, e peroniste, la rivista romena Maiastra, la britannica The Scorpion, diretta dall’ex membro del National Front Michael Walker, e i neoconservatori austriaci della rivista Zur Zeit, il cui caporedattore, Jürgen Hatzenbichler, è l’ex pupillo di Andreas Mölzer, l’ideologo ed europarlamentare del Fpö del defunto Jörg Haider e ora di quello di Hans-Christian Strache, e intellettuale neodestrista.

    Cosa rende “nuova” tale destra? Il suo intento di innovare, almeno agli inizi, i referenti culturali della destra radicale, e di investire sulla strategia culturale, la cosiddetta strategia metapolitica, o gramscismo di destra.

    I – Le principali idee del Grece di Alain de Benoist
    La ND, partendo da elaborazioni provenienti nel tradizionalismo (J. Evola e R. Guénon), nella Rivoluzione conservatrice tedesca, da Nietzsche e addirittura da intellettuali della sinistra antiliberale e altermondista, rinnega il nazionalismo patriottico basato su culto dello Stato-nazione, dato che il moderno modo di concepire l’appartenenza, la nazione, è figlio della modernità e della Rivoluzione francese. La ND basa l’appartenenza del singolo alla piccola comunità, al suo comune, alla sua regione d’appartenenza, definite “patrie carnali” premoderne. Questo neo-nazionalismo etnico si basa su concetti culturali. Secondo de Benoist infatti, «La Nazione determina talvolta un’etnia, ma non si confonde obbligatoriamente da essa. Essa è un dipartimento della razza. L’etnia è un’unità razziale di cultura». Ciò implica che tali piccole comunità europee vanno concepite come piccoli universi separati a tenuta stagna, dove la comunicazione, i commerci, gli spostamenti, ecc., sono ridotti al minimo per evitare sconvolgimenti etnico-culturali, il meticciato e l’«inquinamento» portato dall’elemento allogeno.

    All’interno della comunità andranno ripristinati i vecchi vincoli comunitari repressi dalla modernità, cioè le autonomie comunali, quelle corporative e il cosiddetto comunitarismo solidarista. Vi sarà inoltre un forte rispetto per l’ambiente che leghi misticamente l’uomo alla terra, cioè il mito völkisch di origine romantica e rivoluzionario-conservatrice nato in Germania nel XIX secolo.

    Altra caratteristica della ND è il rifiuto totale del razzismo biologico in nome del differenzialismo culturale: non esistono, secondo costoro, basi scientifiche per determinare la superiorità di un’etnia su un’altra, ma non credendo al cosiddetto “mito egualitario”, tutte le etnie sono diverse l’una dalle altre, e tali differenze vanno preservate evitando il meticciato. Si è membri di una comunità etnica, religiosa o sociale indipendentemente dal fatto che se ne voglia far parte o meno, e tale scelta non può esser volontaria, ma la si acquisisce, al contrario, per nascita assieme ai vari “diritti e doveri” comunitari. Questa posizione ha una evidente connotazione razziale: se i diritti sono nativi, ovvero di appartenenza, da questi stessi diritti ne sono esclusi automaticamente tutti coloro che non fanno parte della comunità stessa. Questo concetto sta anche alla base di una certa idea di multiculturalismo sociale vista come coesistenza di comunità separate all’interno di uno stesso territorio, che è poi il modello dell’apartheid interno, contraltare politico al progetto assimilazionista statolatrico e neo-illuminista dei governi integrazionisti.

    Anche altri studiosi, come Pierre-André Taguieff e Francesco Germinario ad esempio,[2] vedono in tale sviluppo etnico separato, una forma soft di apartheid, in cui due etnie distinte arrivano a vivere in un determinato territorio, ma separatamente: «Organizzare, con i differenti gruppi razziali del mondo, una politica di coesistenza pacifica e liberale che permetta a ciascuno di esprimere […] le sue attitudini e i suoi doni. Sopprimere, in proporzione, ogni contatto mirante alla fusione, all’inversione o allo sconvolgimento dei dati etnici, o alla coabitazione forzata di comunità differenti». Questo approccio è definito etnopluralista. Le naturali differenze presenti nel mondo, che l’ideologia egualitaria, che si manifesta attraverso idee come il pensiero giudeo-cristiano, il liberalismo, l’economicismo, il socialismo, ecc., vuole cancellare in nome dell’«omologazione», sono concepite come “realtà” da contrapporre all’astrazione positivista. L’idea base è che l’uguaglianza non è libertà, ma omologazione. Ciò significa che è sbagliato, per la ND, interagire in nome degli universalistici “diritti umani”, che per de Benoist non esistono e che sono stati creati ad arte dai liberali per egemonizzare il globo, dato che ogni popolo ha una sua scala di valori morali. Perciò, non solo il Grece condanna l’”interventismo umanitario” militare degli USA, utilizzato per esportare l’American Way of Life, ma anche tutte quelle politiche per cercare di superare naturali forme di arretratezza o barbarie ai danni delle donne e verso le minoranze: guai, per la ND, non permettere l’uso del velo islamico, guai impedire l’infibulazione, guai cancellare quello che permette all’immigrato di manifestare la sua “differenza”. Ciò distruggerebbe le radici culturali di un’etnia e la naturale tradizione.


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    Inoltre, nel discorso neodestrista debenoistiano il centro dell’elaborazione politico-culturale è l’Europa, e non l’Occidente atlantista. E l’Europa, a seguito dell’applicazione dei citati principi regionalisti e comunitaristi, dovrà strutturarsi come un’immensa federazione di patrie comunitarie e regionali autonome, aggregate in un Impero modellato su quello carolingio o ottoniano attorno ad un mito che è la comune identità indoeuropea. Tale “Impero delle differenze e delle regioni”, libero dal giogo statunitense, potrà, secondo de Benoist, esprimersi al meglio delle sue potenzialità, permettendo così all’Europa di contare di più a livello geopolitico.[3]

    La ND, ripescando da suggestioni reazionarie sviluppatesi in seno all’idea geopolitica del Imperialismo nazionalsocialista e alla concezione dell’Europa-nazione del movimento nazionaleuropeista Jeune Europe di Jean Thiriart, un mito che affonda le sue radici in quello delle Waffen-SS, com’è riconosciuto da intellettuali estranei al neodestrismo ma fondamentali per la genesi dell’odierna destra radicale,[4] innova tali suggestioni imperiali innestandovi l’idea federale a quella delle piccole patrie etnicamente e culturalmente organiche dove si vive la politica in senso comunitario, secondo il principio postliberale della democrazia diretta plebiscitaria.[5]

    Ma il contesto in cui tali piccole comunità regionali si muovono è quello di un forte stato Europeo, armato, imperiale (gerarchico) ed essenzialmente chiuso. La seconda rottura è attraverso l’uso della strategia metapolitica, che ha portato de Benoist a rileggere da destra Antonio Gramsci – un Gramsci ovviamente demarxistizzato – vedendo in lui il teorico dell’“egemonia culturale”,[6] il «gramscismo di destra».[7] Nel 1977 de Benoist scrive che «Il GRECE ha impostato un’azione metapolitica sulla società. Un’azione consistente nel rispondere al “potere culturale” [della sinistra. Ndr] sul suo terreno: con un contropotere culturale»,[8] capace di far riscoprire all’Europa le proprie radici indoeuropee. Ma cos’è la metapolitica? Per Jean-Claude Valla, esponente di spicco della corrente, essa è «quell’insieme di valori che non rientrano campo della politica nel senso tradizionale del termine, ma che hanno un’incidenza diretta sulla stabilità del consenso sociale gestito dalla politica».[9] Tale egemonia la si ottiene, quindi, penetrando gli ambienti politici, culturali, mediatici, universitari, rielaborando da destra concezioni nate a sinistra, dialogando con quelli che un tempo erano gli “avversari”, accomunati da un minimo comun denominatore: l’antiliberalismo. «L’economicismo liberale comincia allora ad essere fermamente denunciato quanto l’economicismo marxista, e l’americanismo”, forma moderna dominante dell’egualitarismo e del cosmopolitismo “giudeo-cristiano”, diventa la figura del nemico principale». Rinnegando il concetto di uguaglianza in nome dell’idea nominalista («non c’è l’uomo nel mondo, ma gli uomini»), del «diritto alla differenza», appoggiandosi a postulati derivati dal darwinismo sociale e dall’etologia di Karl Lorenz, la ND intende creare un’antropologia culturale diversa da quella positivista per confermare tali tesi. Secondo la ND l’egualitarismo non nasce con l’Illuminismo o la Riforma, ma con l’avvento del giudeo-cristianesimo, che ha cancellato le precedenti forme di spiritualità tradizionale che innalzavano le naturali differenze e le gerarchie comunitarie. Secondo il libertario Pietro Stara «il pensiero giudaico-cristiano […] pone tutti gli esseri umani in un sistema di eguaglianza di fronte a Dio. Questo modello culturale, traslato in un contesto laico, traspone quell’equivalenza sul terreno propriamente umano, del quale i rappresentati escatologici sarebbero le nuove religioni egualitarie, ovvero il liberalismo, il socialismo, il comunismo e l’anarchismo».[10] Da questo concetto, la ND ha puntato tutto sulla riscoperta del paganesimo, dove vi erano tanti déi, ergo, tante morali, tanti modi di congiungersi col sacro, ergo tante differenze. Era una spiritualità che, a differenza del giudeo-cristianesimo che predicava l’umiltà e la soppressione dell’uguaglianza fra umano e divino, predicava la prometea volontà di innalzarsi verso gli dei, imitandoli e, addirittura, superandoli. Storpiando le tesi dello storico Georges Dumézil sulla «tripartizione sociofunzionale» delle antiche società indoeuropee, de Benoist parla di una «cultura indoeuropea» che trascende dai moderni Stati-nazione, biologicamente determinata e «conforme alle leggi generali del vivente».[11]

    Il neopaganesimo debenoistiano, che ricorda quello portato avanti da numerosi intellettuali di estrema destra come Evola, Rosemberg, ecc., è prettamente culturale e filosofico, e non consiste nel «recitare i druidi d’operetta e le valchirie d’occasione», ma qualcosa di diverso. «Noi non cerchiamo di ritornare indietro ma di riprendere le fila di una cultura che trovava in se stessa le sue ragioni sufficienti. Ciò che cerchiamo dietro è il volto degli dei e degli eroi sono i valori e le norme».[12] È il rinnegare alla radice l’idea stessa di uguaglianza, innalzando la tradizionale differenza. Rendendo Dio un unico essere distinto dal creato e dall’uomo, le religioni monoteiste hanno introdotto nel mondo il germe dell’intolleranza e del totalitarismo. In tal modo, il Grece riesce così a smarcarsi dall’accusa di neofascismo, dato che così condanna anche i totalitarismi di destra. Il citato Impero delle differenze, infatti, più che strutturarsi come un totalitarismo continentale, innalzerà e sacralizzerà le radici indoeuropee e si baserà su una federazione di piccoli comuni e regioni diseguali, ognuna col suo credo, ognuna con la sua morale tradizionale e premoderna.

    II – Verso la modernità o la postmodernità? Per un’Europa dei popoli etnocratica
    La ND non è un fenomeno immutabile. I rapporti intrattenuti nei primi anni ’70 con l’universo neofascista si sono affievoliti notevolmente, data la refrattarietà di certi ambienti a idee come il comunitarismo regionale e la critica totale al capitalismo. Alain de Benoist e il discepolo Charles Champetier (ex militante del gruppo “terzaposizionista” Troisiéme voie) pubblicarono nel 1999 un “manifesto” intitolato La Nouvelle Droite de l’an 2000.[13] Un esame attento del testo fa porre al lettore una domanda: la ND è neofascista? Le origini del Grece lo confermerebbero, ma i dirigenti della ND affermavano, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, di non esserlo più, di detestare il totalitarismo nazifascista, alla pari di quelli “rossi”. Sostenevano di esser “antirazzisti”, accusando gli altri, cioè gli americani che diffondono la loro sottocultura nel mondo, gli europei che allineano i popoli colonizzati al modello metropolitano o i francesi che impongono all’immigrato di integrarsi e di non praticare pratiche barbariche come l’infibulazione, di esserlo. Ma la ND, sia per volontà diretta di Alain de Benoist che in maniera indipendente, ha condizionato le idee delle formazioni di destra. Fondando le loro tesi su dati scientifici incontestabili, gli ideologi della ND hanno riabilitato in maniera soft forme di darwinismo sociale e di antiegualitarismo. Alcune formazioni dichiaratamente neofasciste e populiste come il Front national, specie sotto la direzione di Marine Le Pen, pur in disaccordo col Grece in quanto nazionalisti, hanno “ammorbidito” il loro razzismo biologico con tesi etno-differenzialiste. Ovviamente il neopaganesimo è un “prodotto” che i populisti scartano, ma che può esser “riciclato” col culto delle radici cattoliche o cristiane europee da preservare dall’“invasione mussulmana”.

    Interessante però, la duplice strategia che la ND, partendo dal citato manifesto pubblicato nel 1999, ha portato avanti fino ad oggi. Da una parte, di fronte alla crisi della società contemporanea, de Benoist e Champetier profetizzano la «fine della modernità», trovando nel liberalismo, e non più nel comunismo ormai morto, il nemico principale, che incarna «l’ideologia dominante della modernità, la prima ad apparire e anche l’ultima a sparire».[14] Il liberalismo è «un sistema mondiale di produzione di riproduzione degli uomini e delle merci, appesantito dall’ipermoralismo dei diritti dell’uomo». Il liberalismo mondialista, il sistema statunitense, «rappresenta il blocco centrale delle idee di una modernità giunta al termine. Dunque è l’avversario principale di tutti coloro che operano per il suo superamento».[15] Elogiando la democrazia, che deve essere però diretta, plebiscitaria e organica (cioè esercitata dentro una comunità di persone culturalmente ed etnicamente affini), e la piccola comunità locale in nome di una radicale critica al «giacobinismo» centralista, la ND contesta la modernità “flirtando” con certi intellettuali progressisti che vedono in de Benoist non più l’alfiere del rinnovamento della cultura reazionaria ma il nuovo guru di un pensiero critico verso la globalizzazione, in nome del ritorno al locale, del ripristino di un’«ecologia integrale» che rompa senza equivoci con l’ideologia del progresso e con ogni concezione unilaterale della storia. Ciò ha portato de Benoist a dialogare col Mauss (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali) di Alain Caillé e Serge Latouche, ideatori dell’idea della decrescita, con Danilo Zolo e col defunto intellettuale marxiano Costanzo Preve, e le ND italiana e tedesca, quella vicina al politologo fiorentino Marco Tarchi e al sociologo tedesco Henning Eichberg, a cercare di aprire le loro riviste comunitariste a intellettuali vicini all’ambientalismo verde o all’universo noglobal, come successo col Firenze Social Forum nel novembre del 2002 (con Tarchi, Franco Cardini e l’editore ecologista antimoderno Eduardo Zarelli che cercano di intervenire a quell’evento), o in Germania sulle pagine di Wir Selbst e di Die Grüne, rivista ambientalista “assaltata” dai nazionalrivoluzionari di destra.

    Un’altra strategia, che si ispira alle analisi di Alain de Benoist, consiste nel condizionamento dei cosiddetti movimenti etnoregionalisti, partiti populisti che predicano la crisi dello Stato-nazione centralistico, in nome della totale autonomia delle regioni, tutte concepite come “patrie carnali” da innalzare a Volksgemeinschaft da difendere dall’immigrazione clandestina. È il caso della Lega Nord in Italia, che ha intrattenuto e intrattiene tutt’ora rapporti col filosofo francese tramite gruppi come i varesotti di Terra Insubre e persone come Mario Borghezio,[16] del Fpö del defunto Jörg Haider e di quella di Hans-Christian Strache, del Vlaams Belang e del Mouvement Nation in Belgio, dell’Unione di centro in Svizzera, dei settori più conservatori della Csu bavarese (modello per la Lega 2.0 di Maroni, a differenza i quella di Salvini, che punta più a destra, verso il Front national),[17] e di un nuovissimo partito francese, che si differenzia da quello dei Le Pen (padre e figlia) perché non è affatto nazionalista e non si rifà direttamente né al fascismo né al nazionalsocialismo, ma è regionalista, federalista ed europeista: sto parlando del Bloc Identitaire, partito che federa i più importanti movimenti regionalisti reazionari della Francia. Tutti sono collegati l’uno all’altro; tutti si distaccano dal vecchio neofascismo in crisi (ad eccezione della Grecia), sottraendogli voti; tutti sono regionalisti, comunitaristi e localisti; tutti criticano la modernità e le disfunzioni create dalla crisi economica innalzando il «diritto alla differenza», la preferenza nazionale, la cessazione dei flussi migratori, interessandosi, non casualmente, all’idea di decrescita e di localismo; tutti, e la cosa colpisce molto, intrattengono rapporti più o meno organici con la Nuovelle Droite francese o con le rispettive Nuove Destre locali, avendo degli intellettuali neodestri al loro servizio.

    Senza dilungarci – per ora – sul Bloc Identitaire, la cui genesi, che pochi conoscono, corre parallelamente all’evoluzione della Nouvelle Droite de l’an 2000, è interessante la strategia del Front national di Marine Le Pen, che sintetizza i due approcci che il Grece perseguirebbe separatamente. Mentre il padre – nonostante la presenza di intellettuali formatisi nel Grece – abbia sempre criticato Alain de Benoist per il suo dialogo con gli altermondisti del Mauss dandogli del «comunista» (e venendo ricambiato dal filosofo, che gli dava del «reazionario»), il suo partito ha preso certe idee politiche proprio da lì.[18] Ma la figlia è andata oltre: il Front di Marine, che coniuga nazionalismo e “socialità”, un’attenzione alle problematiche sociali e del lavoro (in chiave ovviamente interclassista), e una critica al mondialismo, che genera squilibri come l’odierna crisi e l’immigrazione, ha iniziato a puntare tutto, come la ND, su un nuovo approccio alla definizione di se stessi con slogan «Ni droite, ni gauche, Français!», complementare a quello del Grece – in nome dello sviluppo di “nuove sintesi” fra valori di destra e di sinistra per animare una “terza via” per l’Europa – del «e destra, e sinistra», cioè l’approccio et-et, la sintesi. Il Front, da quando è stata eletta Marine, ha apportato dei cambiamenti d’immagine non indifferenti, mandando in soffitta i vecchi reazionari neofascisti, impresentabili, e aprendosi ad intellettuali “non conformi” utili a questo restyling. Uno di questi è Laurent Ozon. Questi, amico e collaboratore di Charles Champetier, il giovane presidente del Grece e pupilo di Alain de Benoist, è il leader della corrente antiliberale ed eco-localista della “Nouvelle Écologie”, che cerca di coniugare la difesa dell’ambiente (la bioregione) con quella delle identità regionali etnico-culturali. Collabora simultaneamente alla stampa neodestrista, a quella ecologista e a quella populista, compresa quella italiana (da Diorama letterario a La Padania). È il leader di Maison Commune, un gruppo francese eco-localista. Agli inizi, dopo aver animato varie liste localiste per le amministrative, si avvicina al Bloc Identitaire, collaborando alle Convention Identitaire. Li abbandona, e dopo aver cercato inutilmente, nel 2010, di avvicinarsi all’ecologismo di sinistra, partecipando alla convention inaugurale della lista Europe Ecologiste–Les Verts, lista ambientalista animata dal leader dei Verdi Daniel Cohn-Bendit e da José Bové, leader della Confédération paysanne, il sindacato dell’estrema sinistra noglobal dei contadini francesi favorevoli alla decrescita, nel 2011, dato che fa suo l’assunto «Ni droite, ni gauche», viene cooptato direttamente ai vertici del Front national nel ruolo strategico di consigliere politico personale di Marine Le Pen, occupandosi di ecologia, di comunità e di identità locali, tutte tematiche fino a quel momento snobbate dal Front national, partito in ascesa e desideroso di “sfondare a sinistra”. Si noti che la Le Pen ha ricevuto anche le lodi di Alain de Benoist, un tempo molto critico verso Jean-Marie Le Pen, il quale ha sostenuto che «[…] va riconosciuto a Marine Le Pen il merito di aver ‘dediabolizzato’ il partito, per mezzo di una vasta ‘operazione di pulizia’ che sta innegabilmente avendo i suoi frutti. Ci sono categorie che il Front national, prima della svolta ‘marinista’, non riusciva a sedurre», dice de Benoist. «Oggi, quelle stesse categorie sono le prime a sostenerlo: le donne, i giovani nella fascia compresa tra i 18 e i 24 anni, e soprattutto gli insegnanti. La nascita del Collectif Racine – associazione di insegnanti nazionalisti nata con l’intento di combattere, accanto al Rassemblement Blue Marine, per il redressement della scuola francese, ndr – ne è la prova tangibile».[19] Un semplice caso? O una strategia per diffondere meglio le proprie idee? Quello de filosofo sembrerebbe solo un “sostegno critico”, ma non è stato lo stesso filosofo ad aver dialogato il 2 dicembre 2013 con l’allora candidato alle primarie della Lega Nord, Matteo Salvini, alla presenza di economista anti-euro Marco Della Luna (autore di libri editi dall’Arianna Editrice di Eduardo Zarelli – anch’egli vicino a Ozon –, casa editrice bolognese vicina alla ND italiana, che si occupa di localismo, di decrescita, di bioregionalismo, di “ecologismo profondo”, di critica all’economia finanziaria, di signoraggio bancario e di antimodernità), un dibattito – intitolato La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli – patrocinato dal circolo culturale milanese “Il Talebano”, diretto dal moderatore Vincenzo Sofo, consigliere nella zona 6–Milano per la Lega Nord con un passato nell’estrema destra, dal gruppo europarlamentare della Lega Nord e dalle autorità locali (Provincia e Regione)?[20] E Salvini – incoronato segretario del Carroccio – non è forse alleato alla Le Pen (e al Fpö e al Vlaams Belang, tanto per cambiare) in queste tornate elettorali? Forse, rivedendo le idee espresse dal filosofo francese de Benoist e l’applicazione pratica della sua strategia, il «gramscismo di destra», vedremmo queste elezioni europee con occhi molto diversi.

    [1] In un’intervista Pino Rauti sostenne: «Stringevamo [i dirigenti di Ordine Nuovo. Ndr] contatti con l’Oas e aiutavamo Soustelle nascosto in Alto Adige. Incontravamo Alain de Benoist clandestino perché condannato per un attentato dinamitardo». C. Valentini, Una volta che mi stavano fucilando, in L’Espresso, 10 febbraio 1995, cit. in U. M. Tassinari, Fascisteria. Storia, mitografia e personaggi della destra radicale in Italia, Milano, Sperling & Kupfer, 2008, p. 53. Inoltre, uno dei primi referenti italiani di Alain de Benoist è stato il catanese Antonio Lombardo, responsabile per la Sicilia di Ordine Nuovo. Lombardo – che abbandonerà poi l’ambiente neofascista per diventare consigliere politico del leader democristiano Amintore Fanfani, collaborando poi a Il Settimanale, emanazione editoriale della P2 – è corrispondente in Italia per il mensile regionalista Europe-Action, da cui si sviluppa il Grece, e collabora a Défence de l’Occident del fascista Maurice Bardèche. Lombardo è a Parigi il 30 aprile e il 1º maggio 1966 in occasione del congresso costitutivo del Mouvement nationaliste du progress (Mnp), lista “nazionaleuropeista” nata dalle ceneri del Ressemblement européenne de la liberté (Rel), da cui in seguito nasce il gruppo neodestrista parigino. Assieme al romano Giorgio Locchi (legato agli ambienti ordinovisti degli anni ’50-’60), l’ordinovista Lombardo è l’unico italiano presente nel gruppo fondatore del Grece. Cfr. Nouvelle École, n. 4, agosto-settembre 1968; P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2004, p. 172, nt. 100 e U. M. Tassinari, Fascisteria, cit., p. 587, nt. 69.

    [2] Cfr. P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2004 e F. Germinario, La destra degli dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Boringhieri, Torino 2002.

    [3] Cfr. A. de Benoist, L’Impero interiore. Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea, a cura di M. Tarchi, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996 (ed. orig. L’empire intérieur, Montpellier, Fata Morgana, 1995).

    [4] Lo sostiene Gabriele Adinolfi, fascista nazional-rivoluzionario e intellettuale di spicco della destra radicale italiana, fondatore alla fine degli anni ’70 di Terza posizione, rifugiatosi in Francia dopo il blitz del 28 agosto 1980 a seguito dell’accusa di coinvolgimento nella strage di Bologna del 2 agosto dello stesso anno, collaboratore e redattore capo alla rivista antimondialista di destra Orion dal 2000 al 2008 (fondata nel 1984 da Maurizio Murelli), responsabile culturale di Sinergie europee, «un’aggregazione di natura culturale che ha visto la confluenza di esponenti del radicalismo di destra e quelli della Nouvelle Droite, fra i quali lo studioso fiammingo Robert Steukers», organizzando «annualmente le Università estive per i simpatizzanti», divenendo un riferimento ideale per CasaPound e per la destra giovanile «non conforme». F. Germinario, Estranei alla democrazia. Negazionismo e antisemitismo nella destra radicale italiana, Pisa, BFS edizioni, 2001, p. 104. Secondo Adinolfi, «se il federalismo si fonda su una logica comunque consolidata e sentita di comunità nazionale (come in Germania) va bene, altrimenti no. […] In quanto ai contributi ideali e programmatici essi vengono tutti dalla cartina dell’Europa disegnata dalle SS. Ma in questo caso, appunto, c’era sullo sfondo una logica imperiale. Il neofascismo, la Nuova destra, ecc., hanno tutti mutato da lì. […] Ora il regionalismo, etnoregionalismo o völkisch che dir si voglia, ha senso in un’ottica imperiale che supera il concetto di nazione in alto, in ottica ultranazionale. Altrimenti diventa una sorta di individualismo locale, campanilistico, folkloristico, in un panorama atomizzato. […] C’è una differenza fra un regionalismo epico/imperiale e un regionalismo/atomizzato. La stessa che intercorre fra il pensiero forte e pensiero debole». G. Adinolfi, dichiarazione rilasciata all’Autore, 30 ottobre 2013. Nei primissimi di ottobre del 2013 Adinolfi ha rappresentato l’Italia (presentato come l’ideologo di CasaPound) a un incontro della Neue Rechte a Berlino, dove erano presenti diverse personalità del Npd e dell’Identitäre Bewegung. Cfr. S. Höhn, Die Neue Rechte vernetzen sich, in Berliner Zeitung, 7 ottobre 2013. La rivista Orion, cui ha collaborato Gabriele Adinolfi, è stata la palestra “colta” della destra radicale italiana, caratterizzata da una linea nazional-rivoluzionaria e poi «nazionalcomunista», nei primi anni ’80 era «vicina alle posizioni tradizionaliste-rivoluzionarie di Franco “Giorgio” Freda», autore de La disintegrazione del sistema. Cfr. P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra, cit., pp. 65, 66.

    [5] Cfr. A. de Benoist, Democrazia: il problema, Firenze, Arnaud, 1985 (ed. orig. Démocratie: le problème, Paris, Le Labyrinthe, 1985).

    [6] Cfr. A. de Benoist, Vue de droite, Paris, Édition Copernic, 1977, p. 456; trad. it. Visto da destra: antologia critica delle idee contemporanee, Napoli, Akropolis, 1980.

    [7] Cfr. AA. VV., Pour un gramscisme de droite (XVI convegno nazionale del Grece, Versailles, 29 novembre 1981), Paris, Grece/Le Labyrinthe, aprile 1982, 80 pp.

    [8] R. De Herte [A. de Benoist], La révolution conservatrice, in Éléments, n. 20, febbraio-aprile 1977, p. 3, cit. in P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra, cit., pp. 52-53.

    [9] J.- C. Valla, Une communauté de travail et de pensée, in P. Vial (dir.), Pour une renaissance culturelle. Le GRECE prend la parole, Paris, Copernic, 1979, p. 36.

    [10] Cfr. P. Stara, La “Nuova Destra” di Alain de Benoist, in Pagina non trovata - CIRCOLO ZABRISKIE POINT

    [11] A. de Benoist, Comment peut-on être païen?, Paris, Albin Michel, 1981, p. 251 e R. de Herte [A. de Benoist], editoriale, in Éléments, n. 27, inverno 1978.

    [12] Ibidem.

    [13] A. de Benoist – Ch. Champetier, La Nouvelle Droite de l’an 2000, in Éléments, n. 94, febbraio 1999; ed. it. La Nuova Destra del 2000, in Diorama letterario, ottobre-novembre 1999, nn. 229-230, pp. 13-31 (in Internet, al sito Page not found | Diorama).

    [14] A. de Benoist – Ch. Champetier, La Nouvelle Droite de l’an 2000, cit., p. 13.

    [15] Ibidem.

    [16] L’associazione etno-identitaria filoleghista Terra Insubre, gemellata ai francesi di Terre et Peuple (gruppo neodestrista scissosi dal Front vicino al Bloc Identitaire, a cui collabora anche Adinolfi) è animata dall’ex rautiano Andrea Mascetti, ora nella Lega Nord di Varese, «ex frequentatore dell’agriturismo Corte dei brut di Voltorre di Gavirate, aperto da Rainaldo Graziani, figlio di Lello, fondatore di Ordine nuovo», luogo in cui si svolgevano le Università d’estate di Sinergie europee, nella cui edizione del 2000 si posero le basi per CasaPound e dove venivano «selezionate le «guardie d’onore» della tomba di Benito Mussolini a Predappio». F. De Ambrosis – M. Portauova, Sangue, onore e Padania. I teorici della razza. Le case editrici di estrema destra. Le foto di Hitler. Il volto nero della Lega, in Il Diario, 24 giugno 2005.

    [17] Nel 2012 l’allora neosegretario leghista Roberto Maroni, in corsa per la conquista della Regione Lombardia, scriveva che «il nostro obiettivo è quello di diventare il primo partito in tutte le regioni del Nord, sul modello della CSU bavarese, condizione indispensabile per costruire una forte Euroregione, costituzionalmente autodeterminata. Si tratta di un progetto rivoluzionario perché il Nord potrebbe anche diventare il primo tassello di quell’Europa che abbiamo in mente: l’Europa delle Regioni e dei Popoli. […] Questo assunto ci colloca a grandissima distanza dai partiti e dai movimenti neonazionalisti. Insomma, è ora di finirla con i soliti stereotipi: noi non siamo i nipotini di Le Pen». R. Maroni, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, con C. Brambilla, Milano, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 3, 4. Cfr. inoltre B. Luverà, I confini dell’odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 94-95 e M. L. Andriola, La nuova destra austrotedesca: la Baviera della CSU, l’Intereg, la FUEV e il federalismo etnico, in Paginauno, a. VII, n. 33, giugno-settembre 2013, pp. 58-68.

    [18] Lo studioso Jean-Yves Camus sostiene che «La Nouvelle droite ha avuto […] due influenze maggiori sul Fn. Dapprima ha riabilitato tra gli anni Settanta e Ottanta temi che erano stati completamente abbandonati dalla destra classica, vale a dire soprattutto le tesi sull’“ineguaglianza degli individui” e sull’importanza da assegnare alle “radici identitarie”, sia francesi che europee. Poi ha proposto un’idea della politica non più ancorata all’asse destra/sinistra, aprendo la strada ad un movimento come quello di Le Pen che oggi [1997. Ndr] ha come slogan, ve lo ricordo, “né destra, né sinistra, solo francesi”. Questo malgrado sia evidente che il Front national si situa a destra della destra tradizionale nello scacchiere politico». J.-Y. Camus, intervista rilasciata a G. Caldiron, in Il manifesto, 17 ottobre 1997.

    [19] Cfr. inoltre Alain de Benoist en "soutien critique" a Marine Le Pen.

    [20] Cfr. M. L. Andriola, Alain de Benoist e Matteo Salvini: una Lega Nord “al di là della destra e della sinistra”, in Paginauno, n. VIII, n. 36, febbraio-marzo 2014, pp. 45-55.

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    La nuova destra austrotedesca

    di Matteo Luca Andriola

    – dai nazionalrivoluzionari al populismo alpino di Haider –

    Come già spiegato in precedenti articoli, la nouvelle droite (‘Nuova destra’), nata in Francia nel 1968 attorno alla think tank francese Grece (Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne) diretta da Alain de Benoist e da altri intellettuali provenienti dall’estrema destra (come Guillaume Faye, Michel Marmin, Jean-Claude Valla, Yves Christen, Pierre Vial, Dominique Venner, Jean Mabire e l’italiano Giorgio Locchi, vicino agli ambienti di Ordine nuovo, ecc.), si espanse in tutta Europa nel corso degli anni Settanta. Nacquero così decine e decine di riviste, circoli e associazioni con lo scopo di rinnovare alla radice, svecchiandola, la cultura della destra radicale europea.[1] Uno degli obiettivi della nouvelle droite francese era – ed è tuttora – quello di elaborare una strategia di lungo periodo finalizzata a conquistare un’egemonia culturale non solo nel suo ambiente di provenienza, la destra, ma a 360 gradi, “sfondando” anche a sinistra e introducendo così suggestioni antimoderne e antiliberali all’interno della sinistra altermondista e nell’ecologismo verde, cosa alquanto semplice, vista la crisi cultuale che attraversa tutt’oggi tale universo.

    Un’altra strategia neodestrista, sviluppatasi in parallelo a quella sopra indicata, consiste nel cavalcare il fenomeno del localismo attraverso contatti con partiti e con movimenti populisti definiti etnoregionalisti o etnonazionalisti. Ambo le strategie nacquero a livello teorico in Francia, ma trovarono la loro concreta applicazione in Germania e in Austria, trasformando i due paesi tedeschi in veri e propri laboratori politici per le teorie di de Benoist & Co. Successivamente – negli anni ’90 – sarà l’Italia settentrionale, la “Padania”, con la presenza della Lega Nord, a diventare terreno di gioco per interessanti sperimentazioni politico-culturali, divenendo poi il modello per molti altri populismi europei, come in Francia, dove diversi soggetti populisti che guardano al modello leghista, come il Front National o la destra identitaria, intrattiene contatti col Club de l’Horloge (CdH) di Yvan Blot e Jean-Yves Le Gallou, pensatoio scissosi dal Grece e punto d’incontro fra la destra lepenista, quella identitaria e quella gollista e liberalconservatrice francese (ieri l’Udf/Rpf, oggi l’Ump), gruppo che nel 1985 ha concretizzato il concetto filosofico di “differenzialismo culturale” elaborato a suo tempo dal Grece, concretizzandolo nei programmi elettorali populisti con la formula della “préférence nationale“.[2] Ma è il caso di soffermarci sull’Austria e sulla Germania, sulla locale Nuova destra e sui rapporti col populismo alpino.

    La prima ondata della Neue Rechte nazionalrivoluzionaria: dalle riviste antiborghesi all’Aktion Neue Rechte (1968-1975)

    La Neue Rechte tedesca si sviluppò parallelamente a quella francese.[3] Dai primi anni Sessanta era molto forte fra i giovani dell’estrema destra tedesca, in aperto dissidio con i neonazisti della Npd, la componete nazionalrivoluzionaria, una costante che ritroveremo nella destra radicale francese e nel Msi, dov’era forte fra i giovani la figura di Pino Rauti, l’ex fondatore di Ordine nuovo.

    Uno di questi giovani, il futuro sociologo di origini danesi Henning Eichberg, si distinse fra tutti i militanti nazionalisti. Il giovane Eichberg, futuro maître à penser della corrente nazionalrivoluzionaria teutonica, era all’epoca un militante della Deutsche soziale union (Dsu), partito diretto da Otto Strasser, ex esponente della cosiddetta ‘sinistra nazista’ col defunto fratello Gregor. La ‘sinistra nazista’, per le sue idee che univano il patriottismo ad una socialità così estrema da spingerla a guardare con simpatia ad un’alleanza col comunismo sovietico (alla pari dei militanti nazionalbolscevichi del Widerstand-Bewegung di Ernst Niekisch, movimento ‘rivoluzionario-conservatore’ che univa nazionalismo e suggestioni prese dal bolscevismo russo), fu fortemente osteggiata dai vertici nazisti: Gregor fuggì in Italia e Otto, staccandosi dal partito nazista, formò lo Schwarze Front, partito ‘socialista nazionale’ represso dalla Gestapo.[4]

    Il giovane Eichberg, discepolo di Strasser, si avvicinò alle tesi nazionalrivoluzionarie e studiò la Rivoluzione conservatrice tedesca, collaborando alla rivista neonazista «Nation-Europa» firmandosi con lo pseudonimo Hertwig Singer.[5] Nel ’66, durante un campo estivo organizzato dalla Federazione degli studenti nazionalisti francesi, Eichberg, e con lui giovani come Lothar Penz, Sven Thomas, Uwe Michael, Wolfgang Strauss ecc., si avvicinarono al futuro nucleo della Nouvelle droite francese, riunita attorno alla rivista «Europe-Action».[6] Il gruppo di Amburgo, riunito dal 1968 attorno al periodico «Junges Forum», iniziò a sintetizzare il pensiero elaborato in Francia dal Grece con le idee del cosiddetto ‘fascismo rosso’ tedesco e con quelle della Rivoluzione conservatrice. Esercizio abbastanza semplice, se si pensa che anche le stesse riviste del Grece, Éléments e Nouvelle École, svilupparono tematiche che ben si coniugavano con quelle degli autori della corrente rivoluzionario-conservatrice weimariana come Ernst von Salomon, Oswald Spengler, Ernst Jünger, Carl Schmitt, Werner Sombart e il suo ‘socialismo nazionale’, e Moeller van den Bruck, autore di un libro uscito nel 1922 e intitolato Il Terzo Reich, che propugnava una sintesi fra conservatorismo, socialismo nazionale di tipo völkisch (proponendo una solidarietà interclassista fra coloro che appartengono allo stesso ceppo etnico) e nazionalismo di tipo prussiano. Alcuni di questi intellettuali reazionari erano stati, come i nazionalbolscevichi e i ‘socialisti nazionali’ di Strasser, osteggiati dalle gerarchie del partito nazista e diversi finirono nei lager. Questo permise a tali personalità di autodefinirsi come una sorta di ‘trockijsti di destra’, eretici all’interno della galassia del nazionalismo radicale. Così i giovani di Junges Forum riuscirono a prender maggiormente le distanze dal nazismo – almeno in apparenza – presentandosi come una ‘nuova destra’ alla pari del gruppo francese gravitante attorno al Grece.

    Fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, nel pieno dello sviluppo dei circoli nazionalrivoluzionari in tutta Europa (i cosiddetti ‘nazimaoisti’ italiani di Lotta di popolo o, in Francia, gruppi come Lutte du peuple, che si battevano tutti per una ‘terza via’ fra socialismo – demarxistizzato, ovviamente – e democrazia, non riconoscendo i concetti di destra e di sinistra) nacquero in Germania, sul solco di «Junges Forum», diverse riviste e circoli nazionalrivoluzionari che guardarono con molta attenzione a quello che stava succedendo in Francia con l’universo da cui si svilupperà la nouvelle droite: nacquero così riviste come Mut – che patrocinò una manifestazione neonazista a Monaco nel 1972 dove parteciparono tutte le rappresentanze della destra radicale d’Europa, da Ordine Nuovo ad Avanguardia nazionale –,[7] «Rebell», «Ideologie & Strategie», ecc., primi canali per la diffusione delle tesi di Alain de Benoist e di altri intellettuali d’area nella galassia nazionalrivoluzionaria e neonazista tedesca.

    I contatti fra il Grece e il circolo di Amburgo si concretizzarono con la pubblicazione di articoli di Henning Eichberg su «Éléments» e «Nouvelle École» e con l’uscita di quelli di Alain de Benoist & Co. su Junges Forum e la traduzione dei rispettivi libri. Il gruppo di Amburgo si differenziò da quello francese su alcune aspetti: mentre il Grece predicò la semplice elaborazione culturale e l’estraniazione completa dalla politica attiva per poter rinnovare così i referenti culturali della destra radicale e adoperarsi in una battaglia culturale, una Kulturkampf antiprogressista (utilizzando a livello metapolitico la strategia del “gramscismo di destra” per ottenere un’egemonia culturale),[8] i circoli nazionalrivoluzionari della Neue Rechte, invece, optarono simultaneamente per la politica attiva.

    Nel 1972 infatti, su iniziativa del bavarese Siegfried Pöhlmann, fuoriuscito dall’Npd, nacque Aktion Neue Rechte (ANR), che avrebbe dovuto aggregare tutte l’universo nazionalrivoluzionario attorno alle tesi di esplicita matrice grecista e nazionalrivoluzionaria. L’ANR però, era divisa fra i giovani, socialisteggianti e i seguaci di Pöhlmann, conservatori e anticomunisti doc. Il programma, infatti, rispecchiava questo dualismo, dato che univa i temi conservatori come l’anticomunismo e l’ecologismo con tematiche ‘sociali’ come l’anticapitalismo e l’antiliberismo assieme alle idee elaborate dal Grece come l’antiegualitarismo, la biologia, l’etologia, l’approccio metapolitico, il differenzialismo etnoculturale, il comunitarismo etnico, ecc. Fu però un fiasco elettorale, dato che l’elettorato di destra non comprese queste tematiche innovative.

    Nonostante l’adesione nel 1973 di Lothar Penz, leader della corrente ‘solidarista’ neodestra, ANR entrò in una profonda crisi per scissione della federazione del Baden-Württemberg, per l’uscita di Friedhelm Busse, segretario del partito, e per l’uscita del 60% dei militanti dal movimento per dar vita al Nationalrevolutionäre Aufbauorganisation (NRAO), che comportò anche la perdita del periodico «Ideologie & Strategie» e il suo graduale avvicinamento a quelle organizzazioni denominate sbrigativamente dalla stampa dell’epoca come “nazi-maoiste”. La prima ondata neodestra tedesca andò in profonda crisi, ma non scomparve del tutto. La rivista «Junges Forum» e il gruppo di Amburgo (i ‘solidaristen’) rimasero, coltivando sempre e comunque posizioni identitarie, comunitariste, antiborghesi, anticapitaliste, ambientaliste e sociali, impegnandosi già dalla fine degli anni Settanta, in contatti col movimento ecologista tedesco e nelle riviste dei Grüne (i Verdi) e con l’estrema sinistra postsessantottina e maoista. Il mezzo utilizzato dai ‘solidaristen’ è il bimestrale «Wir Selbst», animata da Eichberg, che presenta tali contatti coi Grüne come “difesa dell’ambiente”, un ambiente inteso in senso völkisch, come una piccola Volksgemeinschaft regionale da preservare da ogni forma di inquinamento, anche di tipo etnico e culturale. La cosa ha ovviamente allarmato i vertici dei Grüne.

    La Neue Rechte solidarista di Eichberg e Penz ha anche rinnovato il senso stesso del razzismo, coniando su «Junges Forum» il termine ‘etnopluralismo’, rivendicando il “diritto alle differenze” come principio basilare per l’affermazione di un vero pluralismo etnoculturale. L’etnopluralismo di Junges Forum si fonda sull’idea di valorizzare le singole identità nazionali ed etniche: ogni popolo ha il diritto alla propria “identità nazionale”, con il diritto alle differenze quale antidoto contro il cosiddetto Umvolkung, cioè “l’invasione di stranieri”, termine utilizzato anche dai nazionalsocialisti negli anni Trenta con cui oggi la Nuova destra culturale intende l’alterazione forzata dell’integrità etnoculturale.

    L’idea base dell’etnopluralismo è che il nuovo ordine della ‘nazione Europa’ “dovrebbe essere realizzato attraverso il riconoscimento delle ‘naturali differenze’”[9] insite fra le comunità. Oltre all’etnopluralismo Eichberg formula l’idea del cosiddetto “nazionalismo di liberazione”, secondo cui i popoli, per difendere la loro identità culturale, dovrebbero opporsi al cosiddetto ‘inquinamento’ provocato dalla presenza degli stranieri. Ciò comporta una critica pesante nei confronti dell’America e dell’idea imperialista perpetrata da tale potenza di esportare la democrazia liberale con la forza – ad esempio contrastando la guerra in Vietnam e appoggiando i vietcong, anche se comunisti –, dato che è come se si stesse invadendo una cultura diversa dalla propria. La questione viene permutata con la questione dell’immigrazione: se esportare la propria cultura è colonialismo, anche l’immigrazione, sotto certi aspetti, lo è in maniera più sottile. Il “nazionalismo di liberazione” predicato da «Junges Forum», quindi, si perpetra non solo cacciando dall’Europa gli americani e chiudendo le basi Nato – cosa senz’altro legittima e che diviene il minimo comun denominatore per un dialogo con la sinistra altermondista –, ma liberando il suolo natìo dall’elemento allogeno, che provoca, come ogni prodotto introdotto forzatamente, “inquinamento”.[10]

    La Neue Rechte neoconservatrice: «Criticòn», il Thule-Seminar e «Junge Freiheit» La fine del partito di Siegfried Pöhlmann non ha segnato la morte della Neue Rechte in Germania. A partire dal 1976-1977 si assiste alla rinascita della nuova destra intellettuale tedesca. Cambiarono alcune cose: 1) niente più politica diretta (ergo, niente più movimenti sul modello della Aktion Neue Rechte); 2) ripresa dell’attività culturale in senso metapolitico (con l’obiettivo di ottenere di elaborare una cultura ed ottenere, nel lungo tempo, l’egemonia culturale); 3) rafforzamento della componente neoconservatrice di matrice schmittiana; 4) uso di think tank come in Francia.

    Quest’ultima rinacque grazie alla figura di Armin Mohler, un’intellettuale svizzero nato nel 1920 che cercò di aderire alle SS. Fu scartato, ma ciò non affievolì la sua ammirazione per il nazismo. Dopo la guerra divenne segretario di Ernst Jünger, uno dei più importanti esponenti della Rivoluzione conservatrice, e da questa frequentazione nacque la sua idea ‘moderna’ di stare a destra. Diede vita, prima di intessere i suoi rapporti col Grece e con de Benoist, alla rivista «Criticòn» e all’ideologia ‘neoconservatrice’, che riprendeva tematiche rivoluzionario-conservatori elaborate negli anni Venti e Trenta modernizzandole: antiborghesismo, neocorporativismo, creazione di uno Stato organico, gerarchico, autoritario, forte e antiegualitario – sempre dal punto di vista etico ed etnico – dove primeggi la comunità, ovviamente una comunità di tipo etnico (Volksgemeinschaft) sull’individuo e dove si sviluppi una Nationalen Selbstwertgefühls, o ‘autostima nazionale’. Colpisce inoltre l’idea del disprezzo delle masse e la forte presenza dell’elitismo politico.

    Sono tutti temi che Mohler riprende dal suo bagaglio rivoluzionario-conservatore völkisch e che verranno ‘modernizzati’ e diffusi in Germania attraverso le lenti della Nouvelle droite francese, cosa alquanto semplice, dato che egli è l’autore di un’opera fondamentale per la studio della Rivoluzione conservatrice in Germania. Mohler divenne così il maître à penser della Neue Rechte neoconservatrice, ispirando nuove leve. Una delle prime fondazioni neodestre in Germania fu la Deutsch-Europäiche Studien Gesellschaft (DESG, Associazione per gli studi germanico-europei), think tank che collegava i nuclei intellettuali tedeschi con quelli francesi.

    Nel 1980 nacque a Kassel, sul solco delle idee elaborate nel decennio precedente su Criticòn e attraverso la lettura dei libri di Alain de Benoist, il Thule-Seminar, uno dei più importanti think tank tedeschi modellato sul Grece francese. Il fondatore era il giovane Pierre Krebs, seguace di Mohler e de Benoist. Il nome allude alla Thule Gesellschaft, o Società Thule, circolo esoterico nazista che ispirò le idee antisemite e geopolitiche del partito di Hitler, favorendone l’ascesa.[11] Il gruppo si autodefinisce “società di ricerca per la cultura indo-europea”, e l’home page del sito ufficiale (www.thuleseminar.org) presenta palesi riferimenti alla cultura dell’antico popolo germanico e scandinavo che ricordano molto l’interesse dei nazisti per i miti nordici, e si rifà alle tesi neopagane di Alain de Benoist. Sempre sull’home page il gruppo critica esplicitamente la società multirazziale che sta portando all’etnocidio delle particolarità insite nei popoli europei, e dichiara come suo obiettivo primario il richiamo alla strategia metapolitica (detto anche “gramscismo di destra”, strategia che porta tutti i gruppi neodestri a rileggere da destra Antonio Gramsci, vedendo in lui il teorico dell’egemonia culturale, un Gramsci ovviamente demarxistizzato), formando cellule e infiltrandosi così nei principali luoghi della cultura ufficiale (quotidiani, tv, università, editoria mainstream ecc.) per introdurvi tematiche völkisch, etnocomunitarie e neorazziste, ed egemonizzare così l’opinione pubblica tedesca e preservarne l’Heimat, la “patria”.

    Il Thule-Seminar utilizza come emblemi lo Schwarze Sonne (il sole nero, simbolo neopagano),Logo Thule-Seminar combinato con la Sig Rune e con la Tiwaz Rune, anch’essi simboli di destra. La sua ideologia è stata descritta come l’unione fra le tesi rivoluzionario-conservatrici e quelle della Nouvelle droite, comprendente anche fortissimi elementi di antiamericanismo, antisionismo-antisemitismo e di neorazzismo differenzialista, che ha portato il gruppo a elogiare l’apartheid come mezzo per innalzare le differenze etnico-culturali (lo ‘sviluppo separato’) senza così degenerare in genocidio. La rivista principale del think tank, sul modello di «Éléments» in Francia, era fino al 1990 «Elemente», pubblicata anche col contributo della DESG, l’altro think tank neodestra. Oggi si è aggiunta la rivista «Metapo» e, dal 1988, «Neue Anthropologie», trimestrale caratterizzato da un profondo interesse per la biologia, la genetica, l’eugenetica e l’antropologia culturale, impregnato di un forte razzismo culturalista di stampo nordico, organo della Gesellschaft für biologische Anthropologie, Eugenik und Verhaltensforschung (GfbAEV) cioè la Società per la Ricerca Antropologica, Biologica, Eugenetica e Comportamentale di Amburgo, a cui partecipò anche de Benoist, il cui leader è l’avvocato Jürgen Rieger, ex esponente dell’Npd. La GfbAEV è collegata alla Lega mondiale per la protezione della vita o Weltbund schutz des lebens (Wsl).

    Ma per diffondere le idee a un pubblico molto più vasto la Neue Rechte in Germania si serve di una pubblicazione molto letta: il settimanale tabloid «Junge Freiheit».[12] La rivista, pubblicata a Friburgo nel 1986 da Dieter Stein e da diversi giovani liceali e universitari di destra, cerca di essere una sorta di ponte fra gli intellettuali della Neue Rechte (i neoconservatori del Thule-Seminar e i ‘solidaristen’ antiborghesi, sociali e antiamericani di «Junges Forum»), i politici della vecchia destra neonazista del Npd, i neopopulisti del Republikaner Partei e della Deutsch Volk Union e gli ambienti più a destra della Christlich Soziale Union e della Christlich Demokratische Union. La rivista, disponibile nelle edicole tedesche, non solo ha diffuso tesi storiografiche revisioniste dando voce a David Irving,[13] ma è anche implicata nel tentativo di condizionare i populismi regionalisti in Europa, come la Lega Nord, elogiando nell’articolo Rivolta delle Regioni i tentativi separatisti del partito etnopopulista nella seconda metà degli anni Novanta, sostenendo che “la fondazione della nuova Repubblica federale della Padania, ricca di simbolismi, potrebbe conseguire una dimensione politica reale qualora i centralisti italiani non si decidano finalmente per la federalizzazione dello Stato”.[14] Il settimanale neodestrista ha giudicato di “estremo interesse le carte geografiche pubblicate dalla Lega sui confini dell’auspicato Stato del Nord. In queste carte dettagliate il Südtirolo rimane fuori, cosi come le parti del Trentino appartenenti fino alla prima guerra mondiale alla parte austriaca della monarchia danubiana”.[15]

    Il Fpö di Jörg Haider: dal neonazismo pangermanico al Soziale Heimatpartei populista in salsa neodestrista

    Il tabloid tedesco «Junge Freiheit» non ha guardato con interesse solo la Lega Nord di Bossi. Da buona rivista tedesca di estrema destra, Junge Freiheit coltiva, come tutte le pubblicazioni e i partiti tedeschi di area, tendenze pangermaniche. Secondo loro la Germania non corrisponde a quella odierna, e non dovrebbe essere divisa in tanti Stati-nazione ‘artificiali’ che tenderebbero a dividere l’Heimat tedesca in modo arbitrario, ma unificata in un unico Stato. Il modello geopolitico della destra tedesca è il Reich germanico.

    Gli ambienti neodestristi tedeschi (siano essi solidaristi e neoconservatori) non sono da meno. Il loro Reich germanico ideale, mutuato ovviamente dalle idee imperiali di de Benoist, debitore a sua volta dell’idea di impero elaborata da Julius Evola, dovrà innanzitutto essere federale (federare cioè le regioni che compongono il popolo tedesco), e aggregare attorno a sé tutto il popolo europeo.[16]

    Tali idee, che si diffondono in Germania con moltissima difficoltà per una legislazione antinazista che, da un punto di vista strettamente personale, dovrebbe essere attuata anche in Italia, si sono infiltrate nella vicinissima Austria all’interno dei Freiheitliche Partei Österreich (Fpö), partito diretto dal 1986 al 2001 da Jörg Haider. Questi è riuscito a trasformare un partito palesemente neonazista in un laboratorio politico per l’applicazione di molte idee riprese dal bagaglio ideologico della nuova destra europea. Dopo una breve parentesi di tipo liberalconservatore, che permise al Fpö di esser addirittura accettato nell’Internazionale liberale divenendo una via di mezzo fra il vecchio Pli e Alleanza nazionale, il giovane Haider riuscì nel 1986, col sostegno delle correnti giovanili del partito, a diventare il nuovo leader della destra populista austriaca, accentuando i toni xenofobi e estremisti del Fpö.

    Un ruolo fondamentale per la diffusione delle tesi neodestriste all’interno del populismo austriaco è da attribuire ad Andreas Mölzer, ideologo del Fpö formatosi nei circoli della Neue Rechte austriaca. Questi, proveniente come moltissimi militanti della destra austriaca dalle Burschenschaften, la goliardia tedesca, fortemente contraddistinta da una palese venatura völkisch, attraverso la rivistina «Das Aula» (dal 1983 al 1995) iniziò a diffondere nel partito austriaco le tesi elaborate in Francia dal Grece di Alain de Benoist e da intellettuali della Nouvelle droite franco-belga come Guillaume Faye, Jean-Claude Valla, Pierre Vial, Luc Pauwels e Robert Steukers, e da quella tedesca dei neoconservatori come Armin Mohler del Thule-Seminar di Pierre Krebs.

    Come avvenne tale “penetrazione”? Prima di tutto Mölzer fu nominato dallo stesso Haider responsabile della cultura nel partito. Fu rielaborata l’ideologia pangermanica del Fpö in senso regionalista e comunitario. Un tempo il Fpö era addirittura capace di non riconoscere la legittimità dell’Austria e di vedere nell’Anschluss del 1938 un moto liberatore per unire tutti i tedeschi. Bisognava esaltare una ‘libera Austria’ federata entro una ‘libera comunità tedesca’, parte di una grande Europa federale delle Regioni e delle Etnie. «Das Aula», nel Fpö, diffuse gli stessi identici temi elaborate da Junge Freiheit, con cui vennero intrattenuti eccellenti rapporti editoriali.

    Nel libro Österreich – ein deutscher Sonderfall, Mölzer scrisse che le origini della peculiarità storica tedesca andavano ricercate “nell’errore dei tedeschi che dopo il 1848 hanno adattato un modello statale inutilizzabile […] quello dello Stato nazionale come si è formato nella Rivoluzione francese”,[17] cioè lo Stato basato sulla libera volontà del cittadino, e non sul radicamento Blot und Boden (Sangue e Suolo) tipico dell’ideologia völkisch.[18]

    Nella terminologia della Neue Rechte austrotedesca al servizio del populismo haideriano, a cui segue un lento allontanamento dal nostalgismo nazista e la ripresa degli intellettuali della Rivoluzione conservatrice e della nuova destra europea, ritornano parole pericolose, come l’Umvolkung, cioè ‘ripopolamento’, termine che i neodestristi tedeschi utilizzano riferendosi al pericolo di invasione da parte degli stranieri, tesi presa da Eichberg e da «Junges Forum». Nel programma elaborato dal partito nel 1993, intitolato Österreich zuerst, cioè “L’Austria innanzitutto”, il partito introdusse idee etnocentriche sostenendo che l’“Austria non è un paese di immigrazione” e che bisognava istituire un vero e proprio apartheid scolastico, creando classi separate per gli immigrati e gli sloveni, e nella società, bloccando completamente l’immigrazione ed escludendo gli stranieri da ogni servizio di welfare – ovviamente senza intaccare la privatizzazione. In tal caso il ruolo degli intellettuali neodestristi è fondamentale, dato che Mölzer fu uno degli autori del documento, mentre il giovane Jürgen Hatzenbichler, pupillo di Mölzer, fondò nel 1995, assieme al mentore, un’edizione austriaca di «Junge Freiheit» a cui seguì nell’ottobre del 1997 la rivista «Zur Zeit», una sorta di forum messo a disposizione di tutta la destra alpina per diffondere tesi etnonazionaliste e regionaliste.[19]

    Prima di accedere al governo nazionale di Vienna, causando un putiferio a livello europeo, Haider e il suo partito gestirono una regione dell’Austria, la Carinzia. La regione divenne una sorta di laboratorio politico per applicare le prime forme di etnocentrismo e di esclusione nei confronti di una delle più grosse minoranze presenti sul suolo austriaco: gli sloveni.

    La Carinzia non solo era la roccaforte del Fpö – oggi, dopo la dipartita di Haider il partito egemone è il Bzö, scissione neoconservatrice haideriana, ma pur sempre populista, alleata coi popolari del centro-destra –, ma è la regione austriaca maggiormente segnata dal nazionalismo. È, come composizione sociale, molto simile al Nord-Est italiano. Mentre nel Veneto l’immigrazione è meridionale – favorendo il fenomeno della prima Liga Veneta e poi della Lega Nord, molto solidale con Haider, e in epoche più recenti le varie insorgenze “venetiste” – in Carinzia l’elemento ‘intruso’ o ‘allogeno’ è quello slavo, causando tensioni forti fra le due comunità sin dall’inizio del Novecento. Dalle pagine del «Kärntner Heimatdienst», quotidiano del Fpö carinziano, dal dopoguerra il partito populista, che all’inizio non nascondeva le sue simpatie nei confronti del nazionalsocialismo, ha sempre lanciato petizioni per ghettizzare la minoranza slava, cercando di abrogare il bilinguismo nella toponomastica e nelle scuole. Con parole che ricordano molto quelle della Lega, simili al nostrano “Padroni a casa nostra”, volgarizzazione del concetto etnopluralista elaborato dalla Neue Rechte, il Fpö in Carinzia è visto come veniva visto a suo tempo il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante in Trentino Alto Adige, cioè l’Heimatpartei, il ‘Partito della Patria’ inteso come patria etnica del popolo tedesco.

    Nella prossima puntata vedremo meglio come Haider, al momento di accedere al potere, ha applicato le teorie di Andreas Mölzer al contesto nazionale, i suoi contatti con la Lega Nord e col regionalismo etnico europeo in regioni chiave come la Baviera, dove l’ideologia della Nouvelle droite non ha condizionato un partito populista di estrema destra, ma la Csu di Edmund Stoiber, democristiano di destra favorevole all’autonomismo della regione bavarese, membro del “moderatissimo” Partito popolare europeo e partner della Merkel, la donna paradossalmente odiata da ogni populista anti-Ue che si rispetti.

    (1- Continua)

    Fonte 404 Not Found

    [1] Cfr. M. L. Andriola, Le ‘nuove destre’ culturali europee. Comunità, identità, regionalismo e neopaganesimo, in «Paginauno», n. 30/2012 e P.-A. Taguieff, Sur la Nouvelle Droite, Paris, Descartes & Cie, 1994, ed. it., Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Firenze, Vallecchi, 2004 e F. Germinario, La destra degli dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Bollati Boringhieri, Torino 2002.
    [2] Cfr. J.-Y. Le Gallou, La préférence nationale: réponse à l’immigration, Paris, A. Michel, 1985. Il Club de l’Horloge, oltre che col Front national, ha diversi contatti con la corrente filolepenista dell’Ump, la “Droite populaire”, composta da personalità euroscettiche e protezioniste favorevoli a intese con Marine Le Pen (come Thierry Mariani e Lionel Luca), e l’area etno-identitaria: la Nuovelle droite populaire, il Mouvement national républicaine, il Parti de la France e il Bloc Identitaire. A Parigi, sabato 6 e domenica 7 dicembre 2008, alla XXIV Università annuale del CdH, alla presenza di ospiti come Johannes Hübner (Fpö), Francis Van den Eynde del Vlaams Belang (Belgio) e Mario Borghezio (Lega Nord), Henry de Lesquen, presidente del think tank, sostenne che «è soprattutto il “modello italiano che occorre seguire”, ricordando che, dei tre partiti, la Lega Nord è la sola a partecipare ad un governo. Fedele alla linea del suo circolo intellettuale, che lavora per una “unione della destra” che vada fino al Front nazional (FN), de Lesquen ha difeso l’idea secondo la quale, in Francia, “i populisti devono partecipare a coalizioni di governo per ridurre il fossato che li separa dal popolo” […] Nella sala che contava un’ottantina di persone, per lo più anziane, c’erano membri del Club, vecchi quadri del Fn, come Bernard Antony, vecchio capofila dei cattolici tradizionalisti in seno al Fn, e Jean-Yves Le Gallou, che aveva seguito Bruno Mégret all’epoca della scissione del partito nel 1998. Ma anche un nuovo arrivato, Fabrice Robert, presidente del Bloc Identitaire, un gruppo di estrema destra radicale. Affermando di essere stato “invitato a titolo amichevole da Henry de Lesquen”, Robert, che non figurava sulla lista dei relatori, ha partecipato al dibattito di chiusura del sabato, al fianco di Le Gallou e de Lesquen. Sul palco, Robert ha vantato le azioni del Bloc Identitaire come “le ronde dei militanti nelle zone del racket” e la “distribuzione di zuppa di maiale” ai senzatetto – misure, queste, molto applaudite dalla sala. Ma Fabrice Robert ha anche svelato parte della strategia del suo gruppo politico: “Vogliamo conquistare gli spiriti e intervenire sul terreno sociale. Seguiamo una logica di “entrismo” in sindacati come l’FO (Forza operaia, ndt) o la CFTC (Confederazione francese dei lavoratori cristiani). D’altronde già alcuni delegati dell’FO appartengono al Bloc Identitaire”». A. Mestre, La Ligue du Nord italienne seduit le populistes européenne, in «Le Monde», 8 dicembre 2008.
    [3] Cfr. M. Feit, Die ‘Neue Rechte’ in der Bundesrepublik, Campus Verlag, 1987.
    [4] Cfr. L. Picciafuochi, Chi sono i nazisti ‘di sinistra’, in Praxis, luglio-agosto 1998. Sulla repressione di questi cfr. G. Mayda, Gestapo, il braccio violento del nazismo, in «Storia Illustrata», n. 207, febbraio 1975.
    [5] Cfr. P. Moreau, Les hérities du III Reich. L’extrême droite allemande de 1945 à nos jours, Paris, Seuil, 1994, pp. 396-397.
    [6] Nessun risultato - EreticaMente
    [7] G. Gaddi, Neofascismo in Europa, Milano, La Pietra, 1974, p. 199.
    [8] La cosiddetta «metapolitica», secondo l’esponente del Grece Jean-Claude Valla, viene definito come «il campo dei valori che non rientrano nella politica, nel senso tradizionale del termine, ma che hanno un incidenza diretta sulla costanza o l’assenza del contesto sociale regolato dalla politica. Di fatto, porre la questione della metapolitica è porre quella del posto e del ruolo dell’ideologia. Nel senso “duméziliano” [da Georges Dumézil, studioso e antropologo molto apprezzato dalla nouvelle droite e nella destra radicale. Ndr] di questa parola, l’ideologia non è nient’altro che il sistema mentale risultante del modo in cui i differenti popoli della terra vivono o percepiscono il mondo, ed agiscono su di esso». J.- C. Valla, Une communauté de travail et de pensée, in P. Vial (a cura di), Pour une renaissance culturelle. Le GRECE prende la parole, Paris, Grece, 1979, p. 36. La corrente riprende Gramsci, un Gramsci ovviamente «demarxistizzato» e “ridotto” a mero teorico dell’egemonia culturale. Nel 1977 Alain de Benoist scrive che «Il Grece ha impostato un’azione metapolitica sulla società. Un’azione consistente nel rispondere al “potere culturale” [della sinistra. Ndr] sul suo terreno: con un contropotere culturale» R. De Herte [A. de Benoist], La révolution conservatrice, in «Éléments», n. 20, febbraio-aprile 1977, p. 3. Secondo lo storico Francesco Germinario «Il ricorso a Gramsci intendeva aggirare l’impasse politicista: additando alla destra il disastroso fallimento della via «leninista», ossia della militanza politica, de Benoist prospettava la più lunga, ma più appagante via «gramsciana», ossia la militanza intellettuale e culturale. Il richiamo ai Quaderni del carcere surrogava il fallimento del Che fare? La Nouvelle droite debenoistiana, mentre spostava il campo d’intervento dalla politica alla cultura – con l’obiettivo di porre le fondamenta di una salda egemonia culturale da tradurre poi in consenso politico –, registrava anche il fallimento della destra tradizionale nell’individuare soggetti da opporre alle modifiche morfologiche della società europea del secondo dopoguerra. La sublimazione della metapolitica nasceva certo dal riconoscimento della necessità di disegnare una destra che non si riducesse al nostalgico attivismo; ma denunciava anche la difficoltà della destra di aggredire i processi storico-politici in atto (omologazione, mondializzazione ecc.). Di conseguenza, nella lotta per la diffusione di una nuova cultura di destra, si guardava all’evoliana apolitìa, «la distanza interiore irrevocabile da questa società e dai suoi “valori”», la rinuncia alla politica in nome dell’autoeducazione individuale» (F. Germinario, La destra degli dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 30. L’autore cita J. Evola, Cavalcare la tigre, Milano, Il Falco, 1981, p. 175.
    [9] Cfr. F. Grass – H.G. Jaschke – K. Schönekäs, Neue Rechte und Rechtsextremus in Europa, Opladen, Wesrdeurscber Verlag, 1990, p. 295
    [10] Non è un caso che la rivista neodestra di Eichberg si intitoli «Wir Selbst», cioè “Noi stessi”. In gaelico, lingua celtica parlata in Irlanda, ‘Noi stessi’ si traduce infatti Sinn fein, il nome del movimento politico indipendentista rivoluzionario collegato all’Ira. È segno di una forte sensibilità, in chiave identitaria ed etnocentrica ovviamente, nei confronti del cosiddetto ‘nazionalismo di liberazione’ da parte dell’estrema destra nazionalrivoluzionaria europea. È anche una tecnica di appropriazione di temi nati a sinistra per unirli con idee reazionarie
    [11] Cfr. C. Blamires, World Fascism: A Historical Encyclopedia, ABC-CLIO, 2006, pp. 665–666 e F.P. Heller – A. Maegerle, Thule: vom völkischen Okkultismus bis zur Neuen Rechten, Schmetterling Verlag, 1998, p. 135
    [12] Cfr. JUNGE FREIHEIT Die unabhangige Wochenzeitung fur Debatte e l’archivio online della rivista, al sito JF-Archiv
    [13] Cfr. J.Y. Camus (éd), Exstrémismes en Europe, Paris, CERA, 1997, p. 51-52
    [14] Cfr. «Junge Freiheit», n. 39, 1996
    [15] Cfr. «Junge Freiheit», n. 38, 1996, p. 8. Sull’idea geopolitica della Lega Nord, in totale sintonia con quella della nouvelle droite, cfr. L. Ceccarini – F. Turato, Atlante geopolitico delle Leghe, in «LiMes», n. 3/1996
    [16] Cfr. A. de Benoist, L’empire intérieur, Motpellier, Fata Morgana, 1995; ed. it. L’Impero interiore. Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996 e Id., L’idea di Impero, in Trasgressioni, n. 13, gennaio-aprile 1991. Cfr. J. Evola, Il federalismo imperiale. Scritti sull’idea di Impero 1926-1963, a cura di G. Perez, Fondazione Julius Evola, «Quaderni di testi evoliani», n. 39, Napoli, Controcorrente, 2012.
    [17] A. Mölzer, Österreich – ein deutscher Sonderfall, Berg am See, Türmer, 1988, p. 28; cit. in B. Luverà, Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea, Torino, Einaudi, 2000, p. 130
    [18] Sulle pagine del settimanale tedesco «Junge Freiheit», l’ideologo neodestrista Mölzer difese strenuamente l’idea pangermanica della cosiddetta Kulturnation, che identifica nell’identità etnico-culturale la base per determinare la cittadinanza. Cfr. «Junge Freiheit», 17 ottobre 1997
    [19] Cfr. B. Luverà, Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea, cit., p. 136

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    Predefinito Re: Il Socialismo Nazionale a confronto con il Nazional Socialismo

    Francisco Franco: L’ultimo crociato



    di Daniele Bernava

    Francisco Franco Bahamonde, noto gli appellativi di Generalissimo e “Caudillo de Espana” (capo e guida della Spagna), è un personaggio storico non conosciuto molto bene.

    Detestato dai democratici, dai comunisti, dai socialisti, dai fascisti, dalla Massoneria (sua nemica mortale) e da tutta la marmaglia politicamente corretta, compresa quella “cattolica”, ma anche da molti che si ritengono fuori da certi schemi. Pochi conoscono davvero la figura del piu’ grande spagnolo del XX° secolo, che diventò il piu’ giovane generale d’Europa a soli 33 anni, il cui coraggio è riconosciuto persino dai suoi avversari (Arturo Barea e Indalecio Prietro), insignito della piu’ alta onorificenza dell’ordine equestre pontificio, l’Ordine Supremo del Cristo. Quasi tutte le sue promozioni furono per meriti di guerra. Egli difese la Spagna e la Chiesa dal caos in cui rischiarono di precipitare negli anni 30. Quando mori’ (20 Novembre 1975) le file successive per rendere omaggio alle sue spoglie mortali erano di chilometri, con attese fino a 14 ore (come riportato dal quotidiano ABC). Un gigante della storia, che non appartiene solo agli spagnoli, ma a tutti gli uomini che si identificano nei tre Sacri valori: Dio, Patria e Famiglia.

    Nacque il 4 Dicembre 1892 a Ferrol, cittadina nota fino al 1982 come “El Ferrol del Caudillo” in suo onore, in Galizia, territorio nel nord-ovest della Spagna. Fin da piccolo mostrò una fede cattolica fortissima, fu adoratore notturno del Santissimo Sacramento. Una Fede professata fedelmente che lo guidò fino alla morte. Di carattere estremamente prudente, ciò gli è valso spesso la cattiva interpretazione di opportunista e di pavido nel campo decisionale, invece come dimostra la storia, gli permise spesso di prendere decisioni sagge senza farsi guidare dall’istinto, cosciente del fatto che dalle sue azioni dipendeva la vita di un popolo. Quando l’Alzamiento (sollevazione) del Luglio 1936 fu percepito come l’unico rimedio per evitare che la Spagna finisse tra le grinfie del mostruoso anarco-comunismo, egli non si tirò indietro Attese fino all’ultimo per via della sua proverbiale lealtà alle istituzioni, prerogativa e limite dei militari. Il titolo di Generalissimo e condottiero dell’Alzamiento gli fu imposto, non fu un’autoproclamazione, egli fu lontanissimo dalle “autocelebrazioni”.

    Il cosiddetto Franchismo (1939-1975) fu un regime autoritario basato sulla Dottrina Sociale Cattolica. Non fu una dittatura la sua, né tantomeno può essere definito come una replica del Fascismo italico, come una certa storiografia vuole far credere, visto che in lui mancò la componente socialista e “statolatrica” e non vi fu nemmeno una sottomissione statale ad un partito, si verificò l’esatto opposto. Ebbe forti frizioni con i falangisti che vennero contenuti al massimo. Alcuni di essi tentarono di ucciderlo. Sintetizzò tutte le forze nazionali nel Movimiento Nacional. L’Autorità fu al di sopra del potere. Non mancò di certo la politica sociale, cosa che dovrebbero apprendere certuni che vedono solamente come reazionario e militaresco questo governo. Si possono riportare alcuni dati e fatti, per smentire quest’ultima approssimazione menzognera. Franco incaricò dei tecnocrati per avviare lo sviluppo della nazione, che portarono risultati eccellenti, tanto da poter parlare di “miracolo spagnolo”, il cosiddetto “Desarrollo” (1959-1973), anche se ciò comportò l’emarginazione dei falangisti e l’apertura a tendenze liberali in senso economico. A causa dell’isolamento internazionale, la scelta può dirsi che fu obbligata.

    Nel 1973 fu dato alla Spagna l’Oscar d’oro delle nazioni, occupò l’8° posto al mondo tra le potenze industrializzate, raggiunse il pieno impiego e il secondo posto per crescita al mondo in quel periodo, le esportazioni aumentarono di 10 volte. C’è chi parlò addirittura di “marxismo” di Franco , come nel caso di una testimonianza di una persona che lottò contro Franco durante la guerra civile spagnola (1936-1939), che parlò di come impiegò il denaro dello stato per le opere comunitarie presso Vega de Arriba (nelle Asturie), della fondazione dell’Opera di Educacion y Descanso (Educazione e Riposo) e delle “Scuole di Qualificazione sociale”, definite copie delle opere sovietiche della “gioia del lavoro”, citando anche la creazione di 8000 alloggi per i lavoratori nella residenza di Murias, presso Oviedo. La Spagna dal 1940 al 1970 crebbe di 8 milioni di abitanti, la rendita per ogni spagnolo aumentò di 4 volte, aumentò la superficie forestale di ben 2960 volte (2.350.000 ettari), dalle 32.000 case costruite nel 1940 si arrivò a 3.121.931 abitazioni nel 1970, l’assistenza sanitaria passò da 81000 assistiti (1940) a 25.134.956 (1970), ovvero 81 volte di più. Nello stesso periodo (1940-1970) furono creati 3.897.000 posti di lavoro, l’analfabetismo e la criminalità furono quasi azzerati, il turismo aumentò di 290 volte e la produzione editoriale di quasi cinque volte.

    Risultati e numeri che dovrebbero fare riflettere anche i piu’ scettici antifranchisti, visto ciò si ebbe nonostante un clima di parziale isolamento internazionale, che il Caudillo tentò di scardinare intraprendendo la politica del recupero della “Hispanidad” con le relazioni con l’America Latina e persino con la Cuba castrista, dimostrando una sorprendente elasticità diplomatica e un acume geopolitico ragguardevole, che lo fece accettare anche dagli USA (solo a livello funzionale e non ideologico), visto che mantenne sempre la sua visione anticomunista.

    Non si può parlare di Francisco Franco senza soffermarsi sulla guerra civile spagnola, che fece circa 300.000 vittime. Non fu solo uno scontro politico, tra coloro che furono abbagliati dall’Anarchia e dal Comunismo e coloro che si sollevarono a difesa della civiltà e della Tradizione. Si scontrarono due essenze metafisiche, una tradizionale e cristiana e l’altra sovversiva (rasentò il demoniaco), pur con le dovute sfumature da tenere in conto a causa della limitatezza della giustizia dell’operato umano, difficilmente esente da errori anche quando è dalla parte “giusta”. I prodromi già si ebbero negli anni precedenti, in cui le infiltrazioni massoniche e anarco-comuniste deviarono la politica dei governi repubblicani successivi alla deposizione di Re Alfonso XIII (1931). Leggi inique diedero il via alla persecuzione delle tradizioni cristiane spagnole, che culminò nella guerra civile, scoppiata a causa della legittima reazione della Spagna sana, che fu davvero una Crociata, visto che 13 Vescovi, 4317 sacerdoti, 2489 religiosi, 283 suore e 249 seminaristi furono assassinati, per non citare le innumerevoli profanazioni e distruzioni di monumenti e chiese dettate da una ferocia anticristiana inaudita. Migliaia di attentati furono compiuti. Questa fu l’essenza della rivoluzione rossa, nemica della Chiesa e della Patria. Si sparò alle statue di Cristo, alle statue della Vergine, all’Eucarestia nei Tabernacoli. I corpi dei Santi ( San Narciso, San Bernardo Calvò) riesumati e dileggiati, venivano riesumati i cadaveri di ecclesiastici a cui venivano legati i prigionieri per lasciarli morire di stenti a cui toccò la comune decomposizione all’aria aperta, per non parlare di altre indicibili torture, l’espianto degli occhi, sventramenti, sepolture, bruciature, tutte azioni compiute su persone in vita. La sorte peggiore toccava ai membri della Chiesa.

    I sostenitori rivoluzionari gridavano “Viva la Russia”, prima sostenitrice della sovversione con finanziamenti e forniture di armamenti ai repubblicani, che affidarono i comandi militari a russi, praticamente consegnando la propria nazione in mano straniera. Da evidenziare il sostegno del governo messicano laicista, responsabile anch’esso di persecuzioni religiose in Messico a cui si opposero i “Cristeros” messicani. Cosa dire delle democrazie liberali. Europee? Ufficialmente neutrali ma di fatto appoggiarono la sovversione anarco-comunista, anche nel concreto, d’altronde come potevano parteggiare per la difesa della Tradizione essendo anch’esse antitradizionali per definizione?

    Ecco cosa affermò Winston Curchill:
    “Franco ha ragione perché ama la sua Patria. Egli difende l’Europa dal pericolo comunista. Però io preferisco la causa avversaria e il trionfo dei suoi nemici. Infatti Franco può essere una minaccia per gli interessi inglesi, gli altri no” (2).

    Francisco Francò combattè e vinse contro tutto ciò, nessuna propaganda avversaria può toglierli un merito cosi’ grande. Grazie a lui la Chiesa rifiori’ e con essa l’anima cristiana della Spagna.
    Si potrebbe obiettare sulla faziosità di tale giudizio, ma come non credere alle affermazioni di personaggi insospettabili come Salvador De Madariaga, storico spagnolo repubblicano? “Nessuno che abbia insieme buona fede e buone informazioni può negare gli orrori di quella persecuzione: per anni bastò il solo fatto di essere cattolico per meritare la pena di morte, inflitta spesso nei modi più atroci”. Cosa dire sulle affermazioni dello storico liberale Hugh Thomas? “Non si era mai visto niente del genere dai tempi di Diocleziano. Più di sedicimila tra preti, vescovi, suore, seminaristi vennero massacrati nei modi più atroci. Oltre a un imprecisato numero di laici credenti. Vennero vietati i nomi cristiani e anche il saluto adios, che conteneva la parola Dio. Profanati e incendiati chiese e conventi, fucilate anche le statue religiose, sterminati anche i parenti degli ecclesiastici” Non serve aggiungere altro se non un terribile quesito: cosa c’entrava tutto ciò con il benessere del proletariato?

    Coloro che si opposero a tale schieramento e presero parte all’Alzamiento venivano da una pluralità di ambienti, monarchici, falangisti, carlisti, semplici soldati, tutti uniti per la difesa della Spagna. Non esenti da errori e da efferatezze (furono uccisi ecclesiastici sospettati di essere favorevoli alla separatismo basco), neanche lontanamente si macchiarono di barbarie come i repubblicani, nelle zone controllate da essi vigeva l’ordine e si combatteva portando spesso reliquie addosso e inneggiando a Cristo Re. Ovviamente il culto religioso era libero ed
    incoraggiato, al contrario delle zone rosse dove si veniva uccisi per esso. Furono supportati massicciamente dall’Italia fascista, mentre il contributo del Reich hitleriano fu limitato all’invio della “Legione Condor,” divenuta celeberrima a causa del bombardamento di Guernica, ingigantito dalla propaganda repubblicana e da un Pablo Picasso opportunista e mercenario (3).

    La figura del Generalissimo, non si limitò alle realizzazioni sociali, ma tese soprattutto al Metafisico, alla Spiritualità. Cattolico, fu educato fin da piccolo alla pratica religiosa, incentrò tutto il suo governo al servizio della Chiesa Cattolica e della Patria. Egli ripristinò la religione di stato, per l’appunto quella Cattolica Romana e rispettò la Chiesa nell’esercizio delle sue funzioni. Passava diverso tempo davanti il Santissimo Sacramento, riconosciuto come Adoratore Notturno Attivo, soprattutto durante scelte difficili da prendere. Durante la guerra d’Africa, verso il 1915-1916, egli, allora capitano, difendeva una compagnia a Melilla (Africa del Nord-ovest).

    Una testimonianza riporta il suo raccoglimento davanti il Tabernacolo interrotto da un soldato che disse: “Signor capitano, che sarà di noi?“, Franco gli rispose: “Avendo qui il Signore, non abbiamo nulla da temere”.

    Non interrompeva mai la contemplazione del Santissimo neanche quando veniva sollecitato da comunicazioni urgenti.

    Interessante è l’episodio riguardo l’ultimatum di 48 ore dato dall’ambasciatore tedesco Von Moltke nel 1942, che esigette per conto di Hitler l’intervento della Spagna a fianco dell’Asse, per evitare un’invasione della stessa, Gli Alleati , saputa la cosa, fecero la medesima richiesta. Il Caudillo si chiuse in preghiera davanti al Tabernacolo in Cappella, pregando intensamente. Dopo 24 ore arrivò la notizia della morte dell’ambasciatore tedesco per un’improvvisa appendicite fulminante, quindi l’ultimatum non ebbe risposta, il momento critico passò e la Spagna restò neutrale come lo stesso Franco volle. Un evento del genere sicuramente influi’ sulla decisione del Generalissimo. Riguardo al mancato intervento spagnolo nella Seconda Guerra Mondiale sono molte le ipotesi speculatrici, tra cui quella di un cospicuo pagamento in denaro da parte alleata, decisamente contestabile sia per il fatto appena menzionato sia per il fatto che la Spagna era a pezzi (solamente una pazzia poteva trascinare un Paese devastato dalla passata guerra civile in un conflitto immane), inoltre il Franchismo fu lontano dalla ideologia hitleriana, ferocemente antiebraica.

    Documentato è l’apporto a favore di numerosi Ebrei perseguitati, secondo il Mossad 40000. Non ci fu alcun bisogno di corromperlo e la stessa corruzione sarebbe andata in contrasto con la possibilità che diede a molti falangisti di combattere a fianco dell’Asse con la “Division Azul ”, composta da circa 50000 volontari, ciò fu fatto per ricambiare l’aiuto tedesco e italiano nella guerra civile. Le trattative e la rassicurazioni tra gli Alleati e Franco sulla non belligeranza spagnola in ogni caso ci furono, dettate da esigenze tattiche, la Spagna era un vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro. Egli di fatti siglò con il Portogallo di Salazar il “Patto Iberico” per rafforzare la neutralità.

    Franco diede prova della sua onestà e della sua fedeltà alla Chiesa, rifiutò pure un cospicuo aiuto economico, in tempi difficilissimi,in cambio della concessione di più ampie libertà religiose, per restare fedele alla Chiesa “preconciliare”. Successivamente, per obbedienza, conformò le leggi in materia di libertà religiosa secondo il Concilio Vaticano II. Papa Giovanni XXIII nel 1960 disse di lui: ” Franco promulga leggi cattoliche, è un buon cattolico, cosa si può desiderare di più?” Dopo il Concilio Vaticano II la posizione di molti ecclesiastici nei confronti del Franchismo cambiò, incentivando l’influenza verso la democratizzazione liberale. La necessità di “dialogare” del Vaticano con il mondo comunista ebbe grande effetto sul raffreddamento dei rapporti nei confronti del Franchismo, come la virulenza del clero progressista spagnolo. Una componente di esso sostenne il separatismo basco. Un comportamento che danneggiò la Chiesa spagnola stessa, falcidiata da guerre intestine e che trascurò l’attività pastorale per farsi trascinare, sull’onda del progressismo dilagante, politicamente a sinistra. Essa si rese invisa agli spagnoli, di fatti con l’avvento della Democrazia perse il suo ruolo di protagonista in Spagna. Paolo VI, che non comprese a pieno la realtà spagnola, contribui’ purtroppo a tutto ciò.

    Franco era consapevole di essere una transizione, designò infatti come suo successore Juan Carlos, restaurando la Monarchia, che doveva essere guidato dal suo uomo di fiducia Carrero Blanco, ucciso in un attentato dell’ETA (1973). Se dovessimo analizzare la decisione di Franco, alla luce del successivo operato di Juan Carlos, il quadro risulterebbe decisamente negativo, visto che proprio l’ex Re (ha abdicato di recente) ha contribuito in maniera fondamentale alla laicizzazione della Spagna, che tra l’altro è sul punto di frantumarsi a causa delle forze separatiste, catalane su tutte. La situazione economica è disastrosa, la disoccupazione è alle stelle, mentre quando ereditò la nazione dal Franchismo essa aveva un’economia solida. Con il senno di poi è facile giudicare e la
    tentazione di affermare che le cose sarebbero andate diversamente, se la scelta fosse ricaduta sul ramo legittimista carlista dei Borbone-Parma, è fortissima. Cosa dire, si è concessa agli spagnoli la “Movida”, anestetico potente per non fare sentire il dolore di un sistema politico iniquo e antinazionale.

    Il Caudillo ci ha lasciato un monumento a testimonianza della Fede, “El Vallo de los Caidos” (la valle dei caduti) nei pressi di Madrid. Un abbazia sormontata dalla Croce piu’ alta del mondo (150 m visibile da oltre 40 km di distanza), in cui riposano le sue stesse spoglie mortali, quelle di José Antonio Primo de Rivera (fondatore della Falange Spagnola) e quasi 40000 caduti di entrambi gli schieramenti della guerra civile (nazionalisti e repubblicani). Simbolo di pacificazione nazionale libero da rancori. Recentemente il governo laicista di Zapatero ha tentato la chiusura del sito, d’altronde la “democrazia” è maestra di tolleranza, mentre il dibattito sulla “scomoda” Valle dei Caduti tiene sempre banco in terra iberica. Molti si recano presso l’abbazia , chiedendo persino intercessioni a Franco e c’è chi parla addirittura di grazie ricevute. In essa si trovano le casse con la documentazione sull’operato del Caudillo, tutto con testimonianze comprovate. Franco operò fino all’ultimo in Cristo e la Spagna.

    Un giorno ci sarà la completa riabilitazione del Generalissimo.

    Riferimenti bibliografici: Francisco Franco, Cristiano Esemplare, di Manuel Garrido Bonaño , Effedieffe.

    Riferimenti e note:

    1) Intervista a La Naciòn, Buenos Aires, 14 /8/ 1938

    2) Pablo Picasso ricevette indirettamente l’equivalente di un milione di Euro dall’Unione Sovietica per modificare il quadro “En muerte del torero Joselito”, divenuto in seguito “Guernica”. Per completezza d’informazione le vittime furono qualche centinaio, non migliaia, persino il Municipio è in piedi assieme ad altri edifici giunti fino ad oggi, inoltre è falso il presunto bombardamento sul mercato, in quanto il Venerdi’ pomeriggio a Guernica non ci fu.

 

 
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