Per cinquant’anni il modello capitalista e quello comunista si sono confrontati e contrapposti nei due blocchi occidentale statunitense e orientale sovietico.
Dopo il crollo dell’impero sovietico abbiamo pensato che il comunismo come modello economico e sociale si fosse dissolto e analogamente in questi ultimi anni con la crisi globale del mondo finanziario siamo indotti a pensare che anche il capitalismo stia esaurendo la sua funzione storica.
Ma è veramente così? La tesi che vorrei esporre in questo breve contributo è che i due modelli apparentemente in totale antitesi tra di loro in realtà fossero due facce della stessa malefica medaglia e che adesso dopo aver fatto credere di essere entrambi tramontati si stiano definitivamente fondendo in un unico modello dispotico ed autoritario globale. Quello che potremmo chiamare Globalitarismo.
Come dicevo la dissoluzione del blocco sovietico ci ha fatto pensare che il comunismo come modello economico e sociale fosse scomparso, che l’unico modello “giusto” fosse il capitalismo e che lo si dovesse sviluppare a pieno eliminando qualsiasi limite o regolamentazione alle sue dinamiche “naturali” (la “deregulation” neoliberista americana), facendo un atto di cieca fiducia in quella che veniva chiamata la “capacità di autoregolamentazione del mercato”.
Le uniche auto-regole che in realtà il mercato libero ha dimostrato di avere sono state la cupidigia e l’avidità.
Da quel momento infatti sono cominciate una serie impressionanti di “bolle speculative” prima sui titoli internet alla fine degli anni novanta, poi sull’immobiliare nei primi anni zero del nuovo secolo, poi la crisi del credito sub prime nel 2008 e oggi la crisi dei debiti sovrani. La logica è sempre la stessa: i primi fanno enormi guadagni rivalendosi sui nuovi arrivati che entrano nel gioco finanziario, e la cosa si autoalimenta intanto che la base di chi partecipa si amplia sempre di più. Ma la cosa non potendo andare avanti all’infinito ad un certo punto finisce e gli ultimi arrivati pagano il conto per tutti restando col cerino in mano. Si chiama “catena di Sant’antonio”. Alla fine nella “finanza per la finanza” tutto si riduce sempre a questo. Ad un’enorme truffa, ad una sottrazione di ricchezza ai danni di chi lavora, perché il denaro è sempre “lavoro lavorato” da qualche individuo. Un terribile “gioco delle tre carte” dove chi vince è sempre il più furfante di tutti anche se vestito in giacca e cravatta e al comando di una grande multinazionale della finanza.
Quello che a questo punto risulta evidente dopo quasi tre secoli di capitalismo e di crisi finanziarie assolutamente non previste se non a posteriori, è che il capitalismo non funziona. Ma cosa c’è che non funziona nel capitalismo? E’ opinione comune che molti se non tutti i mali del capitalismo provengono dalla concentrazione eccessiva della proprietà e dei relativi profitti e dalle storture che l’eccessivo potere concentrato nelle mani di pochi causa al mercato e soprattutto alla concorrenza. La tendenza insita del capitalismo è la progressiva concentrazione in sempre meno soggetti della proprietà, la conseguente formazione di gruppi economici sempre più grandi dove il numero dei proprietari diminuisce sempre di più rispetto al numero dei salariati che invece aumenta a dismisura.
Ma se la proprietà e quindi i profitti si concentrano sempre di più, una parte sempre più larga della popolazione diventa salariata e quindi esclusa dalla divisione dei guadagni. Le grandi aziende tentano di ridurre i costi e massimizzare i profitti proprio riducendo i salari. I salariati diventano più poveri e diminuisce la loro capacità di spesa, i mercati si deprimono perché la gente riduce gli acquisti innescando la recessione ed ecco quindi il sistema che genera da solo la sua stessa crisi.
Al problema di si è sopperito per oltre quarant’anni con il micro debito diffuso. Dagli anni sessanta per consentire alle persone di comprare anche quando avevano finito i soldi gli si è consentito di indebitarsi anche per piccole somme (carte di credito, carte di debito, fino ad arrivare ai famosi prestiti sub prime cioè facilissimi etc etc). Ma questo non fa altro che ritardare il collasso che però puntualmente si ripresenta al turno successivo ma molto più grave.
Oggi siamo forse all’epilogo: la crisi dei debiti sovrani degli stati.
Questi sono gli effetti della enorme concentrazione di capitali e di proprietà nelle mani di pochissimi soggetti che il sistema capitalistico genera. E che dire allora del sistema comunista?
Marx aveva capito che tutta la questione sta nella proprietà. Ma se il capitalismo è male perché concentra troppa proprietà nelle mani di troppo pochi individui, il comunismo è peggio perché concentra tutto nelle mani di fatto di un unica entità: lo stato, che secondo un’interpretazione rivelatasi del tutto sbagliata doveva corrispondere alla proprietà collettiva e che invece si è rivelata la proprietà di un partito politico, un’organizzazione esattamente funzionante come una enorme multinazionale capitalista.
In quest’ottica allora si capisce perfettamente come sia stato possibile che la Russia e soprattutto la Cina si siano convertiti così rapidamente al capitalismo più sfrenato. E’ bastato sostituire allo stato proprietario di tutto una piccola oligarchia di mega proprietari. Ecco fatto, ecco creata una società supercapitalistica con enormi concentrazioni di potere e di ricchezza.
E allora il punto è distribuire la proprietà, o meglio ostacolarne l’eccessiva concertazione e favorirne la divisione in piccole proprietà, le medie piccole e micro imprese, perché questo garantisce che i profitti che si generano siano in partenza distribuiti nel maggior numero di persone possibili.
Se invece id un’unica azienda di 100 persone i cui profitti vanno solo al capo, si avessero dieci aziende di dieci persone ciascuna come minimo i profitti si distribuirebbero a 10 persone invece che ad una sola.
Se poi ciascuna di queste dieci aziende fosse una piccola società dove le azioni fossero distribuite tra gli stessi dipendenti allora sarebbe il massimo.
I profitti sarebbero divisi tra tutti, tutti vedrebbero aumentare le proprie condizioni e possibilità di acquisto e il sistema prospererebbe in modo continuo e senza intoppi.
Quella del “distributismo” è una teoria che ha delle radici risalenti a quasi un secolo fa. Dallo studio della Rerum Novarum di Leone XIII alcuni studiosi tra cui G.K. Chesterton, V. Mc Nabb e H. Bellok, svilupparono questo approccio economico che proprio negli ultimissimi anni sta avendo negli ultimi tempiuna certa diffusione negli stati uniti.
Nella riduzione semplicistica della lotta politica tra capitalismo e comunismo durante la guerra fredda il distributismo non ha avuto modo di diffondersi ma adesso sta tornando a diffondersi e a fare proseliti proprio grazie alla venuta meno dei due modelli come finta competizione tra due blocchi geopoliticamente antagonisti.
Negli stati uniti è nata recentemente una rivista distributista sul web www.
distributistreview.com e un certo dibattito su questi temi che sta riscuotendo un interesse crescente. Il recentissimo libro di John Medaille “Toward a trulli ree market” propone una reale alternativa “umana” all’attuale sistema sociale e statuale “meccanicistico” funzionale al capitalismo.
Più che una terza via rispetto al comunismo e al capitalismo il distributismo è una via diversa da quella della concentrazione della proprietà di cui comunismo e capitalismo non sono che due versioni non poi così diverse tra di loro, due facce della stessa medaglia.
Io penso che lì’Italia con l’enorme diffusione della casa di proprietà e con l’estrema parcellizzazione delle sue attività produttive sia il Paese che più di ogni altro potrebbe con successo evolversi verso un modello distributista.
Forme cooperative, piccole realtà produttive a conduzione familiare, interi distretti industriali che nel loro insieme si possono assimilare a mega aziende ma che sono però organizzati come cluster di tante piccole unità indipendenti e autonome, sono realtà che già esistono e funzionano egregiamente nel nostro paese. Se solo avessimo una classe politica capace di capire quale grande ricchezza abbiamo in questa struttura produttiva e riuscisse a favorirla e ad incoraggiarla saremmo di gran lunga uno dei paesi più prosperi ed avanzati in assoluto. Credo sia il modello verso cui sia assolutamente necessario andare, anzi dovremmo dire più correttamente verso cui la natura dell’uomo tenderebbe autonomamente una volta sottratta alle tirannie del sistema globalitario della finanza mondiale Anche le grandi aziende tenderanno a riorganizzarsi in questo modo, in unità indipendenti ma coordinate tra di loro.
I giganti capitalistici non funzionano, diventano palloni finanziari senza nessun collegamento con la realtà del lavoro e della produzione, mostruosi sciacalli che imparano ad alimentarsi solo divorando e distruggendo altre realtà. Questo capitalismo moderno è figlio delle scorrerie dei pirati olandesi e inglesi del XVI secolo, campioni del’”iniziativa privata” ma non molto rispettosi della “proprietà privata”.
Così i “trichechi” del capitalismo multinazionale cercano continuamente nuove “ostrichette” da ingannare, nuove vittime della loro voracità, loro li chiamano “nuovi mercati” ma in realtà si tratta di nuove terre da colonizzare, da infettare con il morbo dello schiavismo capitalistico, del proletarismo feudale, della servitù della gleba finanziaria. Nuove culture da annichilire con la loro pubblicità globalizzante e con la loro “pubblicità”, una scuola di menzogne che vuole imporre un mercato delle cose che non servono comprate con i soldi che non si possiedono.
Oggi il nuovo orizzonte di questi mostri è “conquistare” interi stati nazionali, stritolandoli nella morsa del debito da loro stessi alimentato, ed esigendolo proprio nel momento di crisi, accerchiandoli con le loro squadracce finanziarie internazionali, per infine sottrarre loro la sovranità nazionale e “sottomettere” intere popolazioni alle loro gabelle, ai loro ingiusti e odiosi tributi.
La speculazione internazionale (i super capitalisti globali, i pronipoti dei pirati per intenderci, quelli che giocano a golf tutto il giorno e allo stesso tempo riscuotono gabelle e corveè dai loro sudditi economici globali) si sono serviti del loro racket internazionale (Banca Mondiale, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale) per espropriare parte della sovranità nazionale greca e costringere i cittadini greci a diventare loro “servi della gleba”
sottomettendoli alla corvée di nuove tasse e sacrifici. Piccolo antefatto che pochi conoscono: nel decennio dal 2000 al 2010 una delle quinte colonne della super speculazione mondiale, la Goldman Sachs a cui l’ingenuo (e corrotto) governo greco aveva affidato la gestione del proprio debito (guardacaso il nostro Draghi, futuro presidente della BCE, come uomo Goldman Sachs era coinvolto in questa bella avventura), aveva da un lato truccato i dati sul debito pubblico tranquillizzando il governo greco e dall’altro favorito la conclusione di contratti tra lo stesso governo greco e le solite multinazionali (tra cui Siemens) stipulati grazie anche ad una certa dose di corruzione degli stessi funzionari governativi greci.
Alla fine con la crisi mondiale, la caduta del prodotto interno della Grecia e l’esplosione percentuale del PIL, i creditori hanno chiesto di “rientrare” e sono entrati in azione gli squadristi finanziari di cui sopra (FMI BCE BM) per costringere la Grecia a pagare i debiti con maggiori tasse per i suoi cittadini.
Siccome molte delle multinazionali creditrici della Grecia erano fabbriche d’armi francesi e tedesche, Parigi e Berlino hanno approvato gli “aiuti” alla Grecia (che altro non sono che nuovi debiti per pagare i vecchi debiti) a patto che la Grecia confermasse gli impegni economici presi con le multinazionali delle armi francesi e tedesche. Quindi i cittadini greci hanno perso la loro sovranità economica e sono oggi sono obbligati a maggiori sacrifici per pagare le multinazionali dell’industria bellica francesi e tedesche. Sono diventati dei “servi della gleba finanziaria”.
Questo è quanto è già successo alla Grecia e quanto quei signori, che sui giornali si chiamano “la speculazione internazionale” vorrebbero far capitare all’Italia. Ma c’è un’alternativa, come già in molti in questo sito abbiamo scritto: fare come è successo in Argentina , in Ecuador e in Islanda. Resettare tutto facendo una rivoluzione, ma non nel senso Gattopardesco e Giacobino del “cambiare tutto per non cambiare nulla” ma nel senso latino di revolver, tornare indietro, tornare ad un modello di società basato sulla natura umana.
Non sovvertendo ma facendo “evolvere” il sistema economico e fiscale verso una struttura più snella e che favorisca innanzitutto le medie piccole e micro aziende, cioè la ricchezza vera e la proprietà vicina al lavoro produttivo autentico, che promuova e faciliti la proprietà privata dei singoli, la proprietà della casa, e la cooperazione tra i lavoratori e tra i gruppi di lavoratori, che renda sconvenienti le aggregazioni e le concentrazioni di proprietà, che introduce nuovi reati come ad esempio il reato di “dumping” (la concorrenza sleale di chi vende sottocosto per distruggere un piccolo concorrente) e il reato di “vendita allo scoperto” (chi vende delle azioni senza averle), e ridimensionando in questo modo il ruolo della finanza e dei grandi poteri finanziari.
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