di Giacomo Marramao - «Rinascita», a. XXXIV, n. 2, 14 gennaio 1977, pp. 21-22.
1. La crisi del marxismo, di cui da qualche tempo si è ripreso a parlare con rinnovata insistenza, non costituisce un tema inedito nella storia del movimento operaio europeo. Di crisi del marxismo si parlava, com’è noto, già alla fine del secolo, ai tempi di Antonio Labriola. E, al principio degli anni ’30, un teorico prestigioso come Karl Korsch ne riprendeva il motivo conduttore alla luce dei problemi posti, e tuttavia lasciati insoluti, dal leninismo. Poiché la crisi di cui si tratta non coinvolge soltanto le avventure (affascinanti quanto si vuole) del pensiero filosofico ma ha radici profonde nella dinamica dello sviluppo capitalistico – di cui il movimento operaio è componente insieme organica e contraddittoria -, è inevitabile che la discussione in corso si riallacci, in forma più o meno consapevole e riflessa, ad alcuni dei nodi emersi in quei dibattiti: basti pensare al riproporsi, accanto all’enfatizzazione del movimento storico, del tema dei valori o alla sottolineatura, sempre più frequente, dei rischi burocratici e autoritari provenienti dalla «curvatura» staliniana del marxismo della III Internazionale.
Malgrado questi motivi siano presenti con forza, oggi tutta via le dichiarazioni di fallimento o di inadeguatezza della concezione di Marx sembrano volersi collegare particolarmente ad un aspetto: quello del «politico», dello Stato. Qui si manifesterebbero, ad un tempo, l’impotenza del marxismo a penetrare lo sviluppo storico del capitalismo contemporaneo e la sterilità progettuale del movimento, la sua incapacità di formulare un progetto coerente di società socialista poggiante su basi schiettamente democratiche. Il gap storico tra teoria e movimento, che sta all’origine della crisi del marxismo, si presenterebbe da noi ulteriormente aggravato e contorto dalla indistinzione, sul piano politico-operativo, tra le sue componenti ideali fondamentali (socialista e comunista). Nella fattispecie, le cose sarebbero oltremodo complicate dal fatto che il partito comunista avrebbe, in sostanza, invaso ed occupato l’«area socialista», grazie ad una radicale revisione pratica delle proprie basi dottrinarie: non solo di Marx e di Lenin, ma dello steso Gramsci.
In questo senso mi sembra che fra la problematica dell’Intervista politico-filosofica di Colletti (che registra nitidamente gli esiti autocritici di un autorevole esponente del marxismo italiano degli anni ’60) e gli ormai celebri articoli di Bobbio su Mondoperaio (ora raccolti, assieme ad altri di argomento affine, nel volume einaudiano Quale socialismo?) corra un legame sotterraneo e profondo, che non è agevole afferrare a prima vista e che va ben oltre la quasi-concomitanza in cui sono stati proposti al dibattito. Comune ad entrambe le posizioni è infatti la denuncia dei limiti della teoria marxiana che sarebbe, per Colletti, patologicamente dimidiata in «scienza» e «filosofia», per Bobbio, preclusa – a causa del suo radicale antiformalismo – alla progettazione di qualsivoglia modello politico-statuale alternativo e alla stessa comprensione del problema istituzionale.
Una posizione più differenziata e articolata è invece quella di quanti sostengono la presenza in Marx – e nel marxismo – di uno squilibrio tra analisi economica e teoria politica. Il Marx «vero» sarebbe così il Marx economista: egli avrebbe fatto i conti con l’economia ma avrebbe tralasciato di farli con la politica (in cui, a ragione, si scorge il maggior fattore di complicazione della crisi attuale). Il nocciolo di questa tesi può essere brevemente formulato nel seguente modo: la critica dell’economia si può ritenere conclusa con il Capitale, mentre resta ancora da fare la critica della politica. Protetto dalla grande ombra di Marx, il movimento operaio si sarebbe finora prodigato in uno sforzo tenace ma elementare di analisi e «messa a nudo» del meccanismo economico capitalistico, inteso come puro e semplice sistema di sfruttamento, ma non si sarebbe mai posto seriamente il problema di una conoscenza scientifica del modo di funzionamento degli apparati di governo e di potere statuale (questa posizione si trova espressa, meglio che altrove, in Mario Tronti).
Si tratta di obiezioni evidentemente decisive ai fini delle scelte politiche attuali del movimento operaio. Non è dunque per scrupolo accademico che occorre innanzitutto sottoporre a verifica le due premesse di fondo che le sorreggono: il (presunto) dualismo presente nella concezione di Marx e la (presunta) sconnessione tra critica economica e critica politica.
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