di Rosario Villari - «Rinascita», a. XXXIV, n. 18, 6 maggio 1977, pp. 31-34.
Un tema centrale nella riflessione sul quarantesimo della morte
1. L’intervento nella recente ripresa del dibattito su Gramsci è stato per diversi settori della cultura il modo più diretto e aperto per prendere posizione sui grandi problemi dell’attualità politica e sociale. Tutto sommato, credo che questa debba essere considerata una tappa importante del processo di assimilazione del patrimonio ideale e politico gramsciano e che ci siano parecchi elementi di novità nel modo in cui, in questa occasione, la cultura italiana si è posta di fronte ad esso. Non sono mancati, com’è avvenuto anche in passato, tentativi di liquidare e rifiutare l’opera di Gramsci, di negarne, da punti di vista diversi e contrastanti, la validità interna o la consonanza con i problemi del presente. Ma in generale c’è oggi una più larga e definitiva coscienza della necessità di assimilarne positivamente i contenuti e i valori, anche se con maggiore spirito critico e problematico.
Di questi orientamenti generali occorre tenere conto anche nell’analisi di aspetti particolari dell’opera gramsciana, specie se si tratta di un tema come la questione meridionale, che pure è stato lasciato in ombra dalla prevalente impostazione teorico-politica dell’attuale discussione, imperniata sul problema generale del rapporto tra democrazia e socialismo. Impostazione pienamente legittima e realistica, poiché il problema di dare allo Stato ed alle istituzioni una struttura democratica aperta al superamento del sistema capitalistico si è posto concretamente a mano a mano che si sono sviluppate l’organizzazione e l’azione del movimento operaio e socialista. Ma anche da un’analisi teorica e da una ricerca sulle grandi linee strategiche del movimento socialista emerge una questione più immediata e attuale: su quali basi ideali e pratiche è possibile costruire un nuovo schieramento di forze sociali, politiche e culturali abbastanza ampio e nello stesso tempo abbastanza articolato da potere realizzare il superamento della crisi, un decisivo sviluppo democratico e una profonda riforma della società e dello Stato.
In questo quadro generale sono stati affrontati i temi che riguardano più specificamente il pensiero gramsciano: il rapporto tra Gramsci e la tradizione del marxismo e del leninismo, il confronto tra la sua concezione dell’egemonia e le attuali prospettive di sviluppo pluralistico del nostro sistema democratico. Non si tratta dunque di una discussione astratta, ma di una ricerca che si riferisce direttamente alla situazione attuale, alle tensioni esistenti all’interno della nostra società e perfino alla lotta politica immediata e che esprime in forma particolare e teorica una fase particolarmente intensa di travaglio e di apertura di tutto il movimento socialista.
Il ruolo che in questa fase assume l’eredità di Gramsci esclude quindi che la commemorazione del quarantesimo anniversario della sua morte possa avvenire in forma esteriore e formale. Ma il fatto di mettere in rilievo la riflessione di Gramsci sul Mezzogiorno ha un particolare significato e corrisponde ad una valutazione complessiva della sua opera che non coincide interamente con la visione che è scaturita dalle analisi recenti. Il riconoscimento che la questione meridionale occupa un posto centrale nel pensiero gramsciano comporta infatti la necessità di allargare l’orizzonte della discussione al di là dell’analisi teorico-politica e del confronto ideologico e anzitutto di mettere l’accento, più di quanto finora non sia stato fatto, sull’impostazione storica di tutta l’opera gramsciana e sul contributo che da questa impostazione, dal ripensamento delle grandi linee della storia nazionale ed europea, è venuto alla visione strategica di quella che Gramsci ha chiamato «guerra di posizione», del processo di trasformazione delle società capitalistiche avanzate.
Nelle attuali discussioni e polemiche, inoltre, è stato predominante il confronto tra Gramsci e la realtà del nostro tempo, la ricerca di ciò che è vivo e di ciò che è morto nel suo pensiero, di ciò che è superato e di ciò che può aiutarci a risolvere i problemi del presente. Ma, pur apprezzando gli aspetti positivi e l’utilità di questa impostazione, ritengo anche che, nel caso di Gramsci e in particolare a proposito della sua visione della questione meridionale, qualunque modo di avvicinarsi alla sua opera sarebbe inadeguato se non tenesse conto di un aspetto fondamentale: se non tenesse conto, cioè, dell’influenza che essa ha avuto nelle vicende del nostro paese. Intendo delle influenze che essa ha avuto non soltanto negli orientamenti della cultura ma nella complessiva storia politica e sociale degli ultimi trent’anni. In altri termini, il problema non è soltanto del confronto col presente, di vedere in che misura possiamo ancora servirci di Gramsci nello sforzo di riforma della nostra società. Si tratta anche di valutare la presenza di Gramsci nella nostra storia recente, nel cammino che l’Italia ha compiuto dalla liberazione od oggi, partendo dall’idea che, al di là dei contrasti e delle violente contrapposizioni, la trasformazione della società che si è venuta realizzando in questo periodo è stata il risultato del concorso di forze diverse e che, malgrado la permanenza di squilibri e le lacerazioni di determinati momenti, c’è stata una sostanziale confluenza su alcuni fondamentali presupposti dell’Italia repubblicana. Questa valutazione tende a legare più strettamente l’opera di Gramsci ad una determinata fase della nostra storia (che, del resto, copre l’arco di un cinquantennio che ha visto avvenimenti decisivi e svolte fondamentali che hanno cambiato o addirittura rovesciato alcuni tra i presupposti su cui si è costruito in origine lo Stato nazionale) e a mettere l’accento sulla necessità dello sviluppo della concezione gramsciana e del suo adeguamento alle mutate condizioni del paese. Ma ciò non esclude la valorizzazione dell’apporto che dall’opera di Gramsci può venire alla nostra riflessione sul presente, della sua permanente validità. Credo anzi che in questo modo ciò che in un certo periodo è apparso come patrimonio quasi esclusivo di un determinato schieramento possa rivelare meglio la sua portata generale, la sua appartenenza alla coscienza collettiva di tutta la nazione.
Mi rendo conto anche delle difficoltà che presenta questo modo di considerare il problema. C’è soprattutto il pericolo di spostare il discorso dall’analisi specifica del pensiero di Gramsci, e in questo caso particolare del suo rapporto con la tradizione meridionalistica, dei suoi caratteri originali rispetto allo svolgimento del pensiero marxista, alla ricostruzione di problemi e vicende di portata più generale. Ma la mia convinzione è che così emerga il suo valore reale: che è di aver costituito un punto di riferimento fondamentale e concreto per il destino e per le lotte di grandi masse di uomini, e specialmente di uomini che per la prima volta nella storia del nostro paese hanno avuto modo di dare alle proprie aspirazioni, al proprio desiderio di giustizia, una espressione politica ed una forza reale. Non bisogna dimenticare che Gramsci ha vissuto, e operato ed ha esercitato la sua influenza in una fase storica (tra guerre mondiali, crisi economica, fascismo e postfascismo) di profonde fratture e di rifondazione del nostro Stato e della nostra società, e non in un periodo di attesa o di preparazione di un momento che non è ancora giunto.
Del resto, se oggi la discussione su Gramsci coinvolge forze politiche e culturali che sono lontane dal suo orientamento ideale, questo solo fatto dimostra che essa non nasce dalla semplice esigenza di una più precisa sistemazione storica. Il nostro paese attraversa una fase in cui alle spinte disgregatrici che nascono dalla crisi che attraversiamo si contrappone una ricerca che non è di singoli, che non è soltanto di gruppi dirigenti, ma è collettiva e di massa, per aprire la via alla ripresa dello sviluppo della società nazionale. Vi è una profonda esigenza di rielaborazione, di rinnovamento, di rilancio dei valori che costituiscono la base unitaria della nostra vita collettiva: ed è qui il senso del ritorno a Gramsci e dello sforzo di trarre il massimo possibile da una concezione che è nata dalla necessità di costruire nuovi metodi e nuovi valori unitari dopo che il liberalismo, il movimento operaio e le correnti della democrazia tradizionale (comprese quelle di matrice cattolica) erano state sconfitte dal fascismo.
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