RIVOLTA CONTRO IL MONDIALISMO MODERNO
Attualità rivoluzionaria dell’opera di Julius Evola
nell’era della globalizzazione
“E anche se non dovesse verificarsi la catastrofe temuta da alcuni in relazione all’uso delle armi atomiche,
al compiersi di tale destino tutta questa civiltà di titani, di metropoli di acciaio, di cristallo e di cemento, di masse pullulanti, di algebre e macchine incatenanti le forze della materia, di dominatori di cieli e di oceani,
apparirà come un mondo che oscilla nella sua orbita e volge a disciogliersene per allontanarsi e perdersi definitivamente negli spazi, dove non vi è più nessuna luce, fuor da quella sinistra accesa dall’accelerazione della sua stessa caduta”…potrebbe salvare l’occidente soltanto un ritorno allo spirito Tradizionale in una nuova coscienza unitaria europea”.
(Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno)
“E’ allora che anche sul piano dell’azione potrebbe venire in evidenza il lato positivo del superamento dell’idea di patria, sia come mito del periodo romantico borghese, sia come fatto naturalistico quasi irrilevante ad unità di diverso tipo: all’essere di una stessa patria o terra, si contrapporrà l’essere o non essere per una stessa Causa”.
(Julius Evola, Cavalcare la tigre)
“Conosco il mio destino. Un giorno si ricollegherà il mio nome al ricordo di qualcosa di enorme, d’una crisi come mai ce ne furono sulla Terra, del più formidabile urto di coscienze, d’una dichiarazione di guerra a tutto ciò che fino allora era stato creduto e santificato. D’ora in poi il concetto di politica entra in piena fase rivoluzionaria, tutte le formazioni di potenza della vecchia società saltano in aria perché tutte riposano sulla menzogna: ci saranno guerre come mai se ne videro al mondo.
DA ME IN POI COMINCIA SULLA TERRA LA GRANDE POLITICA”
(Friedrich Nietzsche, Ecce Homo/Perché sono una fatalità)
“Rivolta contro il mondo moderno”, l’opera fondamentale di Julius Evola, uscì in prima edizione italiana nel 1934 e già l’anno successivo veniva pubblicato nella Germania Nazionalsocialista.
Un testo rivoluzionario che ha rappresentato, per uomini di luoghi lontani e di diverse generazioni, una vera e propria “folgorazione”, un cambiamento radicale di prospettive ed aspettative, di “Visione del Mondo” nell’epoca del tramonto dell’occidente, alla fine del ciclo epocale, il Kali-yuga della tradizione induista, l’èddico Ragna-Rökkr o l’“Oscuramento degli Dei” delle saghe nordiche.
ANNI “FATALI”
Un anno importante il 1934, in un decennio che rappresentò una svolta nei destini dell’Europa e dell’intero pianeta.
In Germania Hitler da poco Cancelliere del Reich si apprestava a gettare le basi di una rinnovata potenza tedesca mitteleuropea, assetata di Lebensraum, che avrebbe incendiato da un capo all’altro il continente,
quell’Europa che rappresentava ancora, geopoliticamente parlando, il motore della politica mondiale.
In essa infatti risiedevano ancora i centri politico militari, economici ed intellettuali di piccole nazioni in possesso di grandissimi imperi coloniali: la Gran Bretagna, come sempre più rivolta agli oceani aperti che al retroterra continentale, la Francia che preparava nelle proprie scuole ed università quelle élites rivoluzionarie di Asia e d’Africa, le quali nella seconda metà del XX° secolo avrebbero guidato le lotte di liberazione nei rispettivi paesi proprio in nome della Libertè ed Egalitè (per la Fraternitè ci sarà sempre tempo..) degli “Immortali Principi” che avevano fatto potente Parigi e succube il mondo.
L’Italia, per parte sua, sotto il segno del fascio romano, cercava il suo spazio nella geopolitica marittima, alla ricerca di un impero unitario mediterraneo-africano che le aprisse le porte dell’Oceano Indiano e delle grandi rotte commerciali e politiche.
Ad Est “l’Uomo d’Acciaio”, Stalin, liquidava, purga dopo purga, i rottami cosmopoliti di una rivoluzione trotskijsta-bolscevica che aveva inteso utilizzare l’impero russo come trampolino del marxismo mondiale, trasformando invece questo nella bandiera dell’espansionismo politico e poi militare della Russia Sovietica in Eurasia e oltre.
Nell’acciaio e nel sangue il Piccolo Padre della Santa Russia Rossa aveva gettato le basi della industrializzazione e modernizzazione di un impero che sarebbe diventato la seconda potenza mondiale, in grado di contendere per quasi mezzo secolo il mondo al vero vincitore finale.
In estremo oriente era l’Impero Nipponico a levare la bandiera solare in nome dell’unità asiatica antioccidentale, ma anche in antitesi al gigante cinese dilaniato da guerre intestine e occupazioni straniere di grandi parti del territorio nazionale. E già Mao marciava…
Ma sarebbe stata alfine la più giovane nazione americana a prevalere su tutti, imponendo al pianeta il dominio della propria potenza militare e politica, della tecnologia, della propria moneta, della lingua inglese, del modello di vita yankee, nonché il controllo mediatico sugli strumenti di comunicazione di massa del globo: in una parola la GLOBALIZZAZIONE.
L’America, il mito americano del progresso tecnologico e dell’efficientismo fordista, rappresentava e rappresenta il coronamento di quel processo di modernizzazione contro il quale J. Evola aveva scritto il testo più completo ed esauriente dal punto di vista della visione del mondo Tradizionale.
E si tenga presente che “modernizzazione” qui non va intesa solo in senso tecnico-scientifico, nel quale tutto sembra oggi risolversi, bensì come visione “idealtipica” del reale, della Storia e della vita:
“Mondo moderno e mondo tradizionale – affermava Evola nell’introduzione – possono venir considerati come due tipi universali, come due categorie aprioriche della Civiltà”.
La quale affermazione, per inciso, taglia la testa al toro su tutta la polemica sul rapporto tra uomo e macchina, tra essere uomini della Tradizione e usare la tecnologia più avanzata.
Con l’implosione dell’URSS, ultimo anello di una catena plurisecolare, non solo si sbarazzava il campo da un’ideologia concorrente con pretese di universalismo e scientificità:
“Si affermava una nuova filosofia della Storia. L’idea che il cammino dell’umanità abbia un senso. A questo senso fu dato il nome di globalizzazione”.
DETERMINISMO E GLOBALIZZAZIONE
Questa idea di un FATALISMO MONOCENTRICO E UNIDIREZIONALE dei destini di tutti i popoli, in marcia (seppur in ordine sparso su vari livelli di “progresso”), verso un’unica meta di “redenzione che instauri il paradiso in Terra” non è certo nuova.
Siamo di fronte all’ennesima riproposizione della concezione biblica linear-progressista di una storia unitariamente intesa, ovviamente sul modello dell’occidente.
Essa parte dal creazionismo, si manifesta nella perfezione di un Eden originario, nel quale l’Uomo è la creatura per antonomasia, passando poi ad una caduta (nel peccato d’orgoglio, nella divisione del lavoro, nella rottura del Patto con dio, ecc…), e tramite una redenzione (Cristo, Marx , il Messia…) all’ascesa verso la nuova perfezione, tramite la catarsi purificatrice (dell’Olocausto, della Lotta di Classe, del Giudizio Universale).
Questa ideologia fondamentalista d’impronta giudeo-cristiana ha trovato in America la terra di massimo radicamento, divenendo l’infrastruttura ideologica portante, lo strumento propagandistico indiscusso ed indiscutibile per l’affermazione dell’imperialismo capitalista, dell’espansionismo economico e politico USA, seguendo le direttrici delineate dalla Geopolitica per la più grande potenza talassocratica mai apparsa sull’orbe terracqueo. Il “Destino Manifesto” rende gli americani nientemeno che i portavoce e gli esecutori della volontà di dio in terra.
Chi vi si oppone si oppone a dio stesso, quindi più che un criminale è il Male personificato o perlomeno un suo strumento nel mondo che vorrebbe dominare in contrasto con i “predestinati” della Seconda Israele, gli USA appunto.
Accusando volta a volta i demonizzati nemici di turno, Hitler o Stalin, Mao o Khomeini, Saddam Hussein o Milosevic (!), fascismo/nazismo, comunismo o islamismo, di voler “conquistare il mondo”, le élites economiche, politiche ed intellettuali statunitensi hanno ottenuto esattamente lo scopo prefissato: appunto…CONQUISTARE IL MONDO!
Credere che la Globalizzazione sia una NECESSITA’ INELUTTABILE della Storia, un processo naturale ed automatico, impersonale ed autogenerantesi sul cammino del Progresso, non soltanto è l’ accettazione senza riflettere un falso ideologico, ma rappresenta già una sconfitta strategica, determinata dall’assunzione acritica della visione del mondo dell’avversario.
Chi dà per scontato l’ altrui assioma di partenza, per quanto laicizzato e storicizzato esso si presenti, ha già perso prima di cominciare a lottare.
Si introita mentalmente l’impianto ideologico portante impostoci dall’avversario contro il quale si vorrebbe combattere; e ciò in nome di un’utopia egalitaria e assolutamente livellatrice che è esattamente funzionale ai progetti di globalizzazione totale del Capitalismo, al termine del suo processo espansionistico.
Processo degenerativo che s’ identifica ogni giorno di più con la distruzione accelerata delle economie subordinate, delle risorse energetiche e del ’ecosistema nel suo complesso: etnocidio e spesso genocidio
tout court.
Il mito mobilitante di “Progresso” indefinito e necessario, prodottosi nella fase della secolarizzazione e laicizzazione del Pensiero Unico, radicato nel biblismo in specie di matrice protestante-calvinista, all’inizio del suo III millennio si è rovesciato nel suo contrario, ma non ancora nel suo “opposto”.
IL”PROGRESSO” CHE UCCIDE
Biotec, clonazione, mutazioni genetiche animali e vegetali, manipolazioni del DNA con la scusa di migliorare e prolungare la vita, sconvolgimenti climatici e ambientali, scomparsa di specie animali e di culture umane differenziate, ecc… stanno convincendo sempre più persone al mondo che il cosiddetto “progresso”, imposto dall’Occidente al resto del mondo, si è rovesciato nella prospettiva di una catastrofe incontrollata e sempre più incontrollabile nel futuro prossimo.
Non un progresso dunque, ma un regresso che ha determinato una perversa disintegrazione di ogni tessuto sociale e comunitario, un cancro devastante che calcifica ogni struttura organica delle società in ogni più remoto anfratto del pianeta, una autofagocitazione della specie umana, avviata in breve a quella che è stata definita la “Sesta Estinzione”, dopo le precedenti delle specie che ci precedettero nel dominio della Terra.
Il modernismo, il progresso tecnico, le macchine sono divenute in prospettiva gli elementi distruttori del pianeta; gli scienziati, sempre più folli e incontrollabili, una casta intoccabile di “apprendisti stregoni” della distruzione:
“Se questo è il progresso, vogliamo tornare al passato”, dice la vecchia saggia Masai di fronte alla siccità e alla desertificazione causate dai cambiamenti climatici.
Il giornalista e scrittore Massimo Fini ha paragonato il mondo globalizzato ad un treno in corsa che, oramai senza più freni, aumenta esponenzialmente la sua velocità, destinato a deragliare e schiantarsi con tutti i suoi occupanti.
Per di più carico di esplosivi e veleni tali da annientare la Terra stessa ed ogni altra forma vivente.
E già i macchinisti responsabili del disastro futuro preparano le armi per difendersi dalla reazione dei popoli, pensando di preservarsi dalla catastrofe nell’inespugnabile fortezza-continente nordamericana.
A tale lenta e confusa presa di coscienza dei pericoli della globalizzazione non corrisponde d’altra parte una chiara cognizione delle cause, prossime e remote, del fenomeno e dei suoi agenti; né tantomeno un progetto realistico di resistenza e riscossa.
Al massimo si è contro gli effetti della globalizzazione, ma non opposti ad essa, alle sue vere cause.
Al contrario, da parte delle mille realtà genericamente etichettate come “antiglobal” (portatrici peraltro di interessi ed esigenze le più disparate, sconnesse e persino conflittuali tra loro), non si propone altro che una “globalizzazione dal basso”, che tenga conto tutt'al più del miglioramento del tenore di vita della maggioranza povera del pianeta, preservando contemporaneamente l’habitat, che salvi le culture che fanno la ricchezza del mondo abbattendo contemporaneamente i confini e portando a compimento il processo di eliminazione delle differenze nazionali !
Tutto ed il contrario di tutto: cioè il Niente.
IL VOLTO DISUMANO DELLA GLOBALIZZAZIONE
Una “globalizzazione dal volto umano” è un’assurdità che si contraddice nella sua stessa formulazione di base; l’ennesima riformulazione di un riformismo interno al Sistema Globale che ne perpetua le ingiustizie, cercando di convogliare l’istintiva rivolta autodifensiva dei popoli in un vicolo cieco.
Banche e istituzioni finanziarie, lobbies industriali e supergoverno mondiale si dimostrano “umani” solo quando ciò coincide con i loro interessi.
Un solo esempio: l’annullamento del debito è certamente una causa giustissima, un minimo atto riparatore per paesi depredati da decenni delle proprie ricchezze.
Il debito totale delle nazioni in via di…”sottosviluppo” ha largamente superato l’astronomica cifra di 2.500 miliardi di dollari ma.. non è un “dono umanitario” dei governi bensì una necessità vitale delle Banche Mondiali che ne determinano la politica interna ed estera. Il credito vantato sarebbe comunque inesigibile, anche solo negli interessi maturati, date le condizioni disastrose delle economie del Sud del mondo.
Una generale dichiarazione di insolvibilità della maggioranza dei paesi della Terra getterebbe nel panico i mercati e potrebbe persino determinare il crollo di tutto il sistema finanziario, accelerando l’inarrestabile declino del capitalismo, che è sempre più fragile quanto più è globale.
L’”umanitario” azzeramento del debito oltre ad evitare scenari apocalittici per l’Alta Finanza Mondiale, ha poi come contropartita l’accettazione da parte degli stati debitori di ulteriori vincoli, anche politici, e l’abbattimento di ogni difesa contro la liberalizzazione dei mercati che è proprio la causa prima che ha determinato la miseria e l’indebitamento.
Ricordiamo come Ceausescu fu rovesciato ed ucciso in Romania una settimana dopo aver saldato fino all’ultimo centesimo del debito estero rumeno. Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Stati Uniti e paesi ricchi non permettono a nessun stato di uscire dalla dipendenza finanziaria, la nuova forma schiavistica del capitalismo nel XX e XXI secolo.
L’utopia dell’eguaglianza mondiale nel benessere e nell’abbondanza, propria di chi auspica una globalizzazione dal basso, non solo è in sintonia con gli interessi delle multinazionali ad espandere il mercato in verticale, in profondità, ma determinerebbe un livellamento culturale e politico totale, nonché la distruzione dell’ecosistema.
Dev’essere ben chiaro al Nord del mondo che una più equa redistribuzione di beni e servizi nel mondo, passa soltanto attraverso un processo rivoluzionario, locale e generale, che rovesci i parametri culturali ed economici di riferimento anche nei paesi ricchi; rivoluzione che li renderebbe meno “ricchi” in termini di Pil e di consumi pro capite, certo più “spartani” nel vivere, ma anche più liberi dai potentati mondiali, in un ritrovato rapporto armonioso con la natura e la propria comunità d’appartenenza.
Quello invece auspicato da tutti i cultori della globalizzazione, comunque intesa, sarebbe alla fine un
rimedio peggiore del male.
La “cura” proposta, se avrà successo…ucciderà il paziente. Non prima però di averlo depredato di tutto.
L’astuzia di un sistema globale che proclama di migliorare le condizioni di vita delle classi e dei popoli subalterni è infatti anche quella di renderli tutti comunque produttori-consumatori del sistema capitalista globale, per allargare il mercato unico dei prodotti standardizzati: non solo in senso orizzontale e geografico, ma verticale interclassista, aumentando nei minimi accettabili al Sistema stesso il credito e la disponibilità monetaria per l’acquisto di nuovi beni o servizi.
In termini marxiani diminuire la “pauperizzazione assoluta”, per aumentare il profitto espandendo il mercato, e quindi allargare la forbice della “pauperizzazione relativa”.
In termini informatici il “Digital Divide”, il gap tecnologico-informatico che allontana strati sociali e popoli che accedono alla realtà virtuale o no.
Gli antiglobalizzatori della “sinistra” moderata, (per quanto ancora contino certe definizioni ottocentesche oramai superate), riciclatisi dall’internazionalismo proletario a quello liberista di mercato, sono d’accordo nel volere e/o accettare (cosa che all’atto pratico è la stessa), la globalizzazione.
Quella che auspicano costoro è solo una GLOBALIZZAZIONE DI SEGNO CONTRARIO e non il CONTRARIO DELLA GLOBALIZZAZIONE.
In termini politici sono dei riformisti interni al Sistema Globale e non dei rivoluzionari ad esso opposti.
MONDIALISMO E GLOBALIZZAZIONE
La prima battaglia da combattere è quindi quella terminologica, perché essa assume valore sostanziale nelle scelte di una realistica contrapposizione antagonista al Nuovo Ordine Mondiale.
La globalizzazione, lungi dall’essere una “fatale necessità”, una tappa irreversibile ed anzi auspicabile sulla “via del progresso”, non è che l’effetto di una causa o, se si vuol essere meno genericamente deterministi, lo strumento di una strategia mondiale condotta, coscientemente e volutamente per decenni se non per secoli.
E se di determinismo si deve parlare, è su un piano metapolitico e persino metafisico che si deve spostare l’attenzione, come diremo in seguito trattando della concezione Ciclica della Storia.
La globalizzazione dei mercati non avrebbe potuto realizzarsi senza una preventiva opera preparatoria politica e culturale spesso imposta con l’uso delle armi e l’invasione militare: solo nel secolo scorso ci sono volute due guerre “mondiali” (appunto) e decine e decine di guerre locali, colpi di stato, stragi e genocidi, per realizzare l’One World americanocentrico.
Noi definimmo, e non da ora, questo progetto a respiro planetario MONDIALISMO.
Una delle più complete esplicazioni di questo termine ce la offre Giuseppe Santoro nel suo “Dominio globale. Liberoscambismo e globalizzazione”, un volumetto di cento pagine che dovrebbe rappresentare il “libretto rosso” di ogni vero rivoluzionario antimondialista.
Scrive Santoro:
“Il Mondialismo, in sintesi, è un’ideologia (e una prassi culturale, sociale e politica) universalista promossa da istituzioni internazionali politico-militari (ONU, NATO) ed economico finanziarie (Banca Mondiale, Fondo Monetario, WTO, Nafta, ecc…), da associazioni private (Council on Foreign Relations, Trilateral, Bilderberg, massoneria ecc..) [aggiungeremo noi anche religiose: Vaticano con la sua “pupilla”, l’Opus Dei, Consiglio Mondiale ebraico, sette varie protestanti e non] e da una fitta rete di lobbies e di organizzazioni internazionali di “consulenza” politico-sociale-culturale e massmediale (agenzie d’informazione, industria cinematografica ecc…), la cui principale base tattica è costituita dagli Stati Uniti”
Ed ancora:
“L’obiettivo del mondialismo è la creazione di un unico governo o amministrazione (il Nuovo Ordine Mondiale), di un unico assetto politico, istituzionale e sociale (il liberalismo), di un unico sistema di valori (l’individualismo-egalitarismo-dottrina dei “Diritti dell’Uomo”), e quindi di un unico insieme di costumi e di stile di vita (il consumismo) estesi a tutta la Terra e funzionali al dominio assoluto da parte delle forze politiche, economiche e culturali che lo incarnano: le élites della finanza mondiale”.
Santoro è anche autore di “Il mito del libero mercato”, approfondito studio sugli “economisti classici”.
E’ evidente da quanto scritto finora che il Mondialismo non è un meccanismo anonimo, senza volto, senza capo né coda, metastaticamente autoriproducentesi; un dato oggettivo scisso dall’intervento di idee, di pochi uomini e ben identificate istituzioni, che in tal caso sarebbero esse stesse oggetto e non soggetto del processo. Chi la pensa così ragiona in termini di un fuorviante determinismo meccanicista che la dice lunga sui devastanti effetti della falsificazione storico-ideologica condotta per secoli: dall’Illuminismo, al liberismo e al marxismo, passando per l’hegelismo di “destra” o di “sinistra”.